You made me what I am,
now you get what you deserve
"Ogni padre sul quale il
figlio alza la mano è colpevole:
colpevole di aver fatto un figlio che alza la mano su di lui."
colpevole di aver fatto un figlio che alza la mano su di lui."
Charles Péguy
Non ho mai significato un cazzo per te, vero? Vero, padre?
Niente di niente. Non mi
hai mai voluto.
Sono stato sempre e solo
un peso, un macigno legato al collo, la zavorra che ti faceva affondare
sempre più, il fardello da cui non riuscivi a liberarti. Senso
di colpa, si chiamava quella stretta alla bocca dello stomaco
che provavi ogni tanto, quando posavi lo sguardo su di me per poi
distoglierlo quasi subito. Non ti sei mai soffermato a riflettere su
quella sensazione che provavi. La scacciavi come si fa con una mosca
fastidiosa. Un inutile insetto, indegno della benché minima
attenzione, che però ti tormentava come una costante spina
nel fianco.
Mi avresti schiacciato
come si fa con una mosca, se avessi potuto. Padre.
Ti saresti sbarazzato di
me da subito, da quando capisti che non eri fatto per essere padre, tu,
che non avevi mai desiderato figli.
Mia madre ti diede la
notizia con la felicità che le danzava negli occhi come lo
scintillio tremulo di un nugolo di farfalle. Tu impietristi.
Il tuo viso
meccanicamente si contorse in un sorriso. Piatto, formale, come quelli
che riservavi ai tuoi colleghi al Ministero. Dentro,
raggelasti. Non avevi mai sentito così tanto gelo prima di
allora. Un masso ti cadde in fondo al cuore e da lì, da
allora, non si è più spostato. Anzi, è
diventato sempre più pesante nel corso degli anni, ti sfonda
il petto e le viscere. È come avere costantemente mal di
stomaco, vero, padre? Andarsene in giro con la faccia del perfetto uomo
efficiente e irreprensibile, mentre dentro di te qualcosa marcisce
nella vergogna e nel segreto più inconfessabili,
avvelenandoti lentamente, subdolamente, stilla dopo stilla, giorno dopo
giorno.
Non mi hai mai voluto.
Ma non potevi dire di no
a mia madre, a colei che hai sempre amato più di tutto il
resto, perfino più del tuo maledetto lavoro, del tuo
fanatico, insano, morboso, cieco rispetto per le leggi e le regole. Sei
stato zitto e hai ingoiato la rabbia in silenzio, ma quella
è cresciuta dentro di te fino a diventare un mostro. Un
mostro che ti azzannava al cuore, che ti corrodeva le viscere. E quel
mostro si è scagliato contro di me, perché ero io- solo
io- il responsabile di tutto.
Era colpa mia. Non avrei
nemmeno dovuto nascere. Non dovevo farti un simile affronto.
Ma, padre…ci
hai mai pensato che io davvero non avevo nessuna colpa? Che non avevo
scelta? Che sono stato messo al mondo così, senza che
nessuno me l’avesse chiesto, altrimenti- se avessi saputo
quanto dolore ti costava- me lo sarei di gran lunga risparmiato. Non ci
hai mai pensato, vero? A te bastava avere qualcuno da odiare, il
simbolo del tuo fallimento da trasformare in capro espiatorio delle tue
frustrazioni interiori.
Non avrei mai voluto che
accadesse. Non avrei mai voluto coprirti di vergogna. Ma tu
già ti vergognavi di me, senza che io avessi fatto niente.
Ero già colpevole ai tuoi occhi. Mi hai giudicato ancor
prima di avere le prove. Non avevi bisogno di prove, non ne volevi.
Mi hai condannato senza
appello, padre. Non mi hai dato la possibilità di
difendermi. Non hai voluto ascoltare nemmeno una parola. Mi hai sepolto
vivo in quel buco di Azkaban e hai lasciato che mi strappassero
l’anima. Non ti sei voltato indietro. Non hai alzato lo
sguardo nemmeno una volta, mentre i Dissennatori mi portavano via, in
singhiozzi.
***
"All around me are
familiar faces
worn out places
worn out faces
bright and early for the
daily races
going nowhere
going nowhere
Their tears are filling
up their glasses
no expression
no expression"
Me li ricordo i miei
giorni ad Azkaban. Oh, eccome se me li ricordo.
E’ qualcosa di
cui non potrò mai liberarmi.
Facce consumate,
tutt’intorno a me.
Ogni nuovo giorno che si
levava era un tormento che si prolungava.
Una lotta contro il
nulla. Uno sforzo vano e disumano. Un girare in tondo nelle proprie
menti, senza andare da nessuna parte. Lacrime su lacrime, a riempire
bicchieri invisibili. Non c’era espressione su quelle facce,
non più.
"Hide my head
I want to dry my sorrow
no tomorrow
no tomorrow
And I find it kind of
funny
I find it kind of sad
the dreams in which I'm
dying
are the best I've ever
had"
Mi rannicchiavo in un
cantuccio, nascondevo la testa tra le braccia per non vedere il buio,
mi tappavo le orecchie per non sentire i gemiti rotti, i respiri
sibilanti e rochi, i risucchi mortiferi. Pregavo di annegare nel mio
dolore, perché potessi essere libero da quella sofferenza.
Non c’era
domani tra le mura di Azkaban. C’era un eterno, orrido
presente, fatto di pensieri sconnessi e incubi che si rincorrevano come
uccelli impazziti nella mente, sbattendo contro il cranio, storditi ed
esausti. Ma gli incubi in cui lentamente annegavo erano i migliori che
avessi mai fatto.
Tutto era migliore
rispetto all’orrore indicibile della realtà che mi
stringeva in una morsa.
"I find it hard to tell
you
I find it hard to take
when people run in
circles
it's a very, very mad
world
mad world"
È molto
difficile per me parlartene, padre.
Te che non hai mai
conosciuto tutto questo.
Te che avrei desiderato
morissi soffocato vivo dalla disperazione, come stava accadendo a me.
Difficile da sopportare
la vista di tutti quei dannati, correre in cerchio come cani che
cercano di mordersi la coda. Impazzire e morire, l’uno dopo
l’altro. Sapendo che il tuo tempo si accorcia, che potresti
essere tu il prossimo. Invidiandoli, perché erano loro i
fortunati, non chi rimaneva.
"Children waiting for
the day
they feel good
happy birthday
happy birthday
Made to feel the
way
that every child should
Sit and listen
sit and listen"
Trascorsi il mio
diciannovesimo compleanno ad Azkaban.
Buon
compleanno, Barty. Buon compleanno.
C’era un
bambino rimasto intrappolato dentro di me, un bambino cui non era mai
stato permesso di uscire, di mostrarsi. Il bambino non voluto, non
accettato. Avrei dato di tutto per sentirmi come ogni bambino ha il
diritto di sentirsi. Felice che sia il giorno del suo compleanno. Ma
non avevo mai avuto quel diritto, nemmeno quando ero libero.
Per te non meritavo di
essere felice. Non mi hai mai fatto gli auguri di buon compleanno.
Tutto ciò che ho sempre ottenuto dalla tua bocca
è stato: “Siediti e stammi a sentire.”
Me lo ripetevi ogni
giorno. Non mi hai mai saputo dire altro, padre…
"Went to school
and I was very nervous
No one knew me
no one knew me
Hello, teacher
tell me
what's my lesson
Look right through me
look right thorugh me" *
Come il mio primo giorno
ad Hogwarts, te lo ricordi? Ero così nervoso...
Non conoscevo nessuno.
Nessuno mi conosceva, a parte il mio nome. Quello sì che era
famoso.
Avrei voluto solo un
abbraccio, padre. Ma tu mi hai negato anche quello, come mi hai negato
tutto il resto.
Non sono mai stato un
bravo scolaro. Lo sarei stato infinitamente di più, molto
più tardi, al cospetto del più grande Mago che
abbia mai calpestato questa terra. Quando, inginocchiandomi, con voce
ferma e decisa avrei chiesto:
“Ditemi,
mio Signore, qual è il mio compito?”
Mi guardavi, padre, ma
non mi hai mai visto veramente.
Guardavi attraverso di
me come se fossi vuoto e trasparente ai tuoi occhi.
Non hai mai guardato me.
***
Quando ho iniziato a
cambiare?
Quando ho finalmente
voluto guardare in faccia la realtà e rassegnarmi al fatto
che tu mai mi avresti amato o degnato della tua considerazione. Ero
solo una lumaca schifosa che eri costretto a portarti appiccicato alla
suola delle tue lucidissime scarpe, e che non potevi togliere, non
potevi calpestare, anche se lo avresti desiderato con tutto te stesso.
E non ne facevi mistero.
Non ti curavi di non darlo a vedere.
Forse solo davanti a mia
madre, per rispetto verso di lei, ti sforzavi di non prendermi a calci
in culo come avresti desiderato.
Ora vedo con chiarezza
chi sia stato il vero colpevole di tutto.
Sei stato tu,
caro, degnissimo padre.
Tu mi hai reso quello
che sono.
Tu mi hai indotto a fare
tutte le scelte sbagliate.
Se tu mi avessi amato,
anche solo la milionesima parte di quanto il tuo cuore striminzito
fosse capace, ecco… non sarei diventato quello che sono. Non
sarei finito così.
Ma tu mi odiavi troppo
ed eri troppo occupato col tuo lavoro.
Non mi hai mai
conosciuto veramente. Mai ti sfiorò il pensiero di quello in
cui mi stavo tramutando, non finchè non ci sbattesti col
muso contro. Io ero solo uno sconosciuto che ti eri messo per casa. Uno
sconosciuto odioso e detestabile, peraltro.
Ma poi incontrai Lui.
Lui sì che
è stato un vero Padre, per me, quello che tu non sei mai
stato- non hai mai voluto essere.
Sono diventato un
Mangiamorte, sì. Uno dei più giovani, e dei
più fidi.
Quando mi catturarono,
padre, non volevi crederci.
Ti sei detto che doveva
esserci un errore, che non poteva essere, che era tutto un complotto
per incastrarti…
Ma non c’erano
sbagli. Semplicemente, ero diventato quello che temevi più
di tutto sarei diventato. Il tuo peggior incubo si era avverato.
Se prima ti disgustavo
soltanto, ora mi aborrivi. Mi esecravi.
Per te meritavo di
marcire all’inferno per il resto dei miei giorni.
Mi concedesti un appello
solo per non dover più ascoltare i singhiozzi straziati di
mia madre, che ti spezzavano dentro, ti sgretolavano l’anima
un pezzo dopo l’altro.
Ti ho pregato, al
processo.
Ti ho pregato di
risparmiarmi, di non credere alle accuse, di dimostrarmi- per una volta
nella vita- che tenessi in qualche modo a me.
Ma tu non mi hai nemmeno
guardato. Mi hai trattato come un cane rognoso, mi hai trattato peggio
del più efferato criminale che fosse passato per le aule del
Wizengamot.
"Tu non sei mio
figlio. Io non ho figli. Portateli via, e che possano marcire
laggiù!"
Sai quanto le parole
possano ferire, padre? Anche un animo già malvagio,
già corrotto… possono spegnere in esso
l’ultima scintilla di bontà, possono portargli via
tutto quello che gli è rimasto.
Mi trascinarono in cella.
Invocai mia madre per
tutta la notte.
Nessuno venne a salvarmi.
***
Un anno dopo ti rividi.
Era passato un anno da
quel giorno al tribunale, quando mi fissasti- l’unico sguardo
che mi rivolgesti in tutto quel tempo- con folli occhi sbarrati e fuori
dalle orbite urlandomi quelle parole che mi annichilirono.
Non venisti per me. Non
hai mai fatto nulla per me.
Mia madre stava morendo
e te l’aveva chiesto come ultimo favore. Non hai mai saputo
dirle di no, proprio come quella volta in cui ti guardò con
lo sfarfallio emozionato negli occhi annunciandoti di aspettare un
bambino.
Ti si congelarono le
viscere, dentro, proprio come quella volta. Ma acconsentisti.
Non avrei mai lasciato
che mia madre morisse per salvarmi.
L’amavo. Come
l’amavi tu.
Ma lei sarebbe morta
comunque e io non sarei sopravvissuto a lungo se fossi rimasto ancora
un po’ nelle mani dei Dissennatori.
Accettai lo scambio.
Ero libero.
Non ero libero.
Ero scampato ad Azkaban
per finire in un’altra prigione, invisibile ma non meno
crudele, non meno atroce. Avere l’aria, il sole, le risate
della gente a portata di mano e non poterne godere. Essere costretto a
rimanere nascosto sotto il Mantello ventiquattro ore su ventiquattro,
senza poter scambiare una parola con nessuno.
Solo e murato vivo nel
mio silenzio, proprio come ad Azkaban.
C’era Winky a
prendersi cura di me.
L’unico essere
vivente con cui fossi a contatto. Ascoltare il suo chiacchiericcio
sommesso, il suo querulo “padroncino Barty”,
abbandonarmi alle sue cure e alla sua dedizione, mi tranquillizzava.
Calmava per qualche attimo la rabbia cocente che mi bolliva da dentro.
Te non ti vedevo mai,
padre. Non c’eri mai, come quando ero piccolo. Sempre via,
sempre al lavoro, sempre al Ministero. Avresti preferito essere da
qualsiasi altra parte che a casa con me, dov’eri costretto a
vedermi, a starmi fianco a fianco, a insozzarti della mia presenza.
Io, che avevo ucciso
anche mia madre.
Era morta di crepacuore,
per il dolore che le avevo causato finendo ad Azkaban.
Mi scagliasti
l’Imperius per
tenermi soggiogato a te come un bravo cagnolino.
Dov’era la mia
dignità umana, padre? Che ne facesti di me? Mi riducesti
peggio di una bestia.
Ma dovevi, no? Dovevi
tenermi sotto controllo, non potevi permetterti il mino sbaglio, la
minima distrazione, altrimenti il tuo splendido piano criminale sarebbe
crollato, e tu ti saresti ritrovato ancora una volta travolto dallo
scandalo e dalla miseria.
Cos’avrebbe
pensato il mondo magico venendo a sapere che il grande Crouch,
che una volta era stato candidato a diventare Ministro, non solo aveva
violato la legge- cui asseriva di tenere più di chiunque
altro- salvando suo figlio, uno sporco Mangiamorte, da Azkaban, ma
addirittura lo teneva segregato in casa ricorrendo a Maledizioni senza
perdono?
Cosa ne sarebbe stato di
Barty Crouch se fosse trapelata la notizia?
Sarebbe caduto ancora
più in basso di quanto non avesse fatto appena un anno
prima…
Dovevi essere proprio
disperato, padre, per ricorrere a maledizioni illegali. Superasti te
stesso, allora.
Ma io diventavo sempre
più forte.
Mi stavo rimettendo. I
poteri mi stavano tornando.
Non ero più
lo spettro emaciato che cavasti da Azkaban. Stavo tornando in me.
La mia mente, ogni
tanto, recuperava sprazzi di lucidità. Mi rendevo conto
della mia situazione. Iniziavo a resistere all’Imperius.
Ora mi ci voleva solo un’occasione a rimuovere
l’ultimo ostacolo.
E l’occasione
venne.
E io la colsi.
Fu alla Coppa del Mondo
di Quidditch.
Lì diedi
prova della mia incondizionata fedeltà al mio Padrone,
scagliando nel cielo il suo Marchio. Non avevo paura di professare
liberamente, sfacciatamente, la mia fede al Signore Oscuro, nemmeno
sotto gli occhi di tutti i Maghi del Ministero. Sotto i tuoiocchi,
padre.
Non immagini nemmeno il
godimento selvaggio che provai, allora, nel ferirti, nel mettere in
pericolo la tua reputazione.
Tu capisti subito
cos’era successo quando fu accusata Winky. Capisti subito e
non lasciasti trasparire nulla dal tuo viso. Impassibile e ipocrita
come sempre. Perché tutto ciò che ha sempre
contato per te era l’apparenza. L’essere perfetti e
integerrimi agli occhi degli altri. Avere una bella buccia liscia e
lucente fuori e un cuore marcio roso da vermi dentro.
Credevi davvero di
essere migliore di me, padre? Io almeno non sono stato un fariseo,
né un vigliacco.
Io ho avuto il coraggio
di mostrarmi per quello che sono veramente, non mi sono nascosto dietro
belle facciate.
Quando il mio Signore
venne a prendermi, ecco che si realizzò la mia piena
vendetta.
Non solo ero assurto al
rango di più fedele seguace, cui veniva affidato il compito
più importante, cruciale, ma finalmente vedevo te, padre,
prigioniero, sottomesso, domato, sconfitto.
Ora eri tu quello in
trappola, quello braccato, quello in catene.
Non sai che
soddisfazione mi dava, vederti in quello stato, privato della
dignità, privato della volontà, privato della
libertà. Un verme, quale sei sempre stato. Un verme che
aveva osato darmi in pasto ai Dissennatori senza pensarci due volte.
Ma proprio come me
iniziasti a ribellarti all’Imperius.
Sapevo che era solo
questione di tempo, che saresti riuscito a contrastarla.
Fuggisti.
Comparisti un giorno
nella Foresta Proibita, ai confini di Hogwarts. Certo con
l’intento di andare a spifferare a Silente tutti i tuoi
orribili crimini, illudendoti così di lavarti la coscienza,
povero vecchio imbecille.
Niente avrebbe potuto
pulire la tua anima, lorda per sempre, come niente potrebbe pulire la
mia.
Alla fine, ti sei
rivelato molto più simile a me- il tuo schifoso inutile
figlio- di quanto avresti mai pensato. Attendevo impaziente il momento
della verità, e della giustizia.
Schiantai il ragazzo di
Durmstrang alle spalle.
Non mi aveva
né visto né sentito arrivare. Si
afflosciò come un sacco di patate e lì giacque.
Tu eri lì, a
terra, in ginocchio come il cane che sei sempre stato.
Deliravi. Non eri in te.
Continuavi a parlare e
ad abbracciare un albero lì vicino. Quando mi avvicinai il
tuo farfugliare lacrimoso mi divenne comprensibile:
“Dorotea…tesoro
mio…stai calma, farò come dici tu…lo
farò uscire, se è questo che vuoi…lo
farò per te, mio amore… ti amo…”
Credevi di parlare con
mia madre.
Per un attimo mi fermai,
la bacchetta sollevata a metà.
In
quell’attimo, ebbi quasi pietà di te. Quella che
tu non avevi mai mostrato per me.
Ma poi tu ti voltasti.
Alzasti gli occhi vacui verso di me.
Non potevi riconoscermi,
acquattato nelle spoglie di Alastor Moody.
Ma vedesti la mia anima
agitarsi in fondo all’unico occhio normale di Moody e, nella
tua pazzia, nel tuo farneticare, intuisti.
Per la prima volta mi
guardasti davvero, padre. Mi cercasti e mi trovasti.
Ma era troppo tardi per
te.
“Tu!
Tu! Carne della mia carne…che tu sia maledetto!”
Non hai mai smesso di
odiarmi fino all’ultimo. Fino a un attimo prima di morire.
Ogni tuo respiro, ogni
tuo battito, hanno scandito il tuo odio per me finchè non ti
ho strappato la vita, padre. Non ho avuto alcun rimorso.
Sei stato una delusione
così colossale …
Dopo, guardai il tuo
corpo morto e rigido ai miei piedi e ti sputai in faccia. Sputai sulla
tua pelle solcata da rughe, sui tuoi occhi aperti e vuoti, sulla tua
brutta, odiosa faccia grigia che così spesso galleggiava nei
miei incubi. Finalmente, non l’avrei più vista.
Mi ero vendicato. Ero
libero. Ero soddisfatto di me stesso.
Più tardi
trascinai il tuo cadavere nel folto della foresta, lo Trasfigurai e lo
seppellii davanti alla capanna del Guardiacaccia. Chissà se
gli stupidi studenti della scuola, quando vi passano davanti, sanno
cosa si nasconde sotto i loro piedi, nella nera terra silenziosa. Sanno
quale feccia stanno calpestando? Quale indegno, abietto, deplorabile
padre?
La vittima di un giusto
crimine.
Te lo sei meritato. Tutto.
Fino alla fine.
Fine
* Gary Jules, Mad
World