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Autore: Katekat    08/08/2012    1 recensioni
Prima del parricida, ci fu l'innocente.
Un tempo la sua coscienza non conosceva l'odio.
Poi il non-amore tramutò la vittima in carnefice.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bartemius Crouch junior, Bartemius Crouch senior
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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You made me what I am, now you get what you deserve
 
 
 
 
 
"Ogni padre sul quale il figlio alza la mano è colpevole:
colpevole di aver fatto un figlio che alza la mano su di lui."
 
Charles Péguy
 
 
 
 

Non ho mai significato un cazzo per te, vero? Vero, padre?
Niente di niente. Non mi hai mai voluto.
Sono stato sempre e solo un peso, un macigno legato al collo, la zavorra che ti faceva affondare sempre più, il fardello da cui non riuscivi a liberarti. Senso di colpa, si chiamava quella stretta alla bocca dello stomaco che provavi ogni tanto, quando posavi lo sguardo su di me per poi distoglierlo quasi subito. Non ti sei mai soffermato a riflettere su quella sensazione che provavi. La scacciavi come si fa con una mosca fastidiosa. Un inutile insetto, indegno della benché minima attenzione, che però ti tormentava come una costante spina nel fianco.
Mi avresti schiacciato come si fa con una mosca, se avessi potuto. Padre.
Ti saresti sbarazzato di me da subito, da quando capisti che non eri fatto per essere padre, tu, che non avevi mai desiderato figli.
Mia madre ti diede la notizia con la felicità che le danzava negli occhi come lo scintillio tremulo di un nugolo di farfalle. Tu impietristi.
Il tuo viso meccanicamente si contorse in un sorriso. Piatto, formale, come quelli che riservavi ai tuoi colleghi al Ministero. Dentro, raggelasti. Non avevi mai sentito così tanto gelo prima di allora. Un masso ti cadde in fondo al cuore e da lì, da allora, non si è più spostato. Anzi, è diventato sempre più pesante nel corso degli anni, ti sfonda il petto e le viscere. È come avere costantemente mal di stomaco, vero, padre? Andarsene in giro con la faccia del perfetto uomo efficiente e irreprensibile, mentre dentro di te qualcosa marcisce nella vergogna e nel segreto più inconfessabili, avvelenandoti lentamente, subdolamente, stilla dopo stilla, giorno dopo giorno.
 
Non mi hai mai voluto.
Ma non potevi dire di no a mia madre, a colei che hai sempre amato più di tutto il resto, perfino più del tuo maledetto lavoro, del tuo fanatico, insano, morboso, cieco rispetto per le leggi e le regole. Sei stato zitto e hai ingoiato la rabbia in silenzio, ma quella è cresciuta dentro di te fino a diventare un mostro. Un mostro che ti azzannava al cuore, che ti corrodeva le viscere. E quel mostro si è scagliato contro di me, perché ero io- solo io- il responsabile di tutto.
 
Era colpa mia. Non avrei nemmeno dovuto nascere. Non dovevo farti un simile affronto.
Ma, padre…ci hai mai pensato che io davvero non avevo nessuna colpa? Che non avevo scelta? Che sono stato messo al mondo così, senza che nessuno me l’avesse chiesto, altrimenti- se avessi saputo quanto dolore ti costava- me lo sarei di gran lunga risparmiato. Non ci hai mai pensato, vero? A te bastava avere qualcuno da odiare, il simbolo del tuo fallimento da trasformare in capro espiatorio delle tue frustrazioni interiori.
 
Non avrei mai voluto che accadesse. Non avrei mai voluto coprirti di vergogna. Ma tu già ti vergognavi di me, senza che io avessi fatto niente. Ero già colpevole ai tuoi occhi. Mi hai giudicato ancor prima di avere le prove. Non avevi bisogno di prove, non ne volevi.
 
Mi hai condannato senza appello, padre. Non mi hai dato la possibilità di difendermi. Non hai voluto ascoltare nemmeno una parola. Mi hai sepolto vivo in quel buco di Azkaban e hai lasciato che mi strappassero l’anima. Non ti sei voltato indietro. Non hai alzato lo sguardo nemmeno una volta, mentre i Dissennatori mi portavano via, in singhiozzi. 
 
 ***
 
 
"All around me are familiar faces
worn out places 
worn out faces
bright and early for the daily races
going nowhere 
going nowhere
Their tears are filling up their glasses
no expression
no expression"
 
 
Me li ricordo i miei giorni ad Azkaban. Oh, eccome se me li ricordo. 
E’ qualcosa di cui non potrò mai liberarmi.
Facce consumate, tutt’intorno a me.
Ogni nuovo giorno che si levava era un tormento che si prolungava.
Una lotta contro il nulla. Uno sforzo vano e disumano. Un girare in tondo nelle proprie menti, senza andare da nessuna parte. Lacrime su lacrime, a riempire bicchieri invisibili. Non c’era espressione su quelle facce, non più. 
 
 
"Hide my head
I want to dry my sorrow
no tomorrow
no tomorrow
And I find it kind of funny
I find it kind of sad
the dreams in which I'm dying
are the best I've ever had"
 
Mi rannicchiavo in un cantuccio, nascondevo la testa tra le braccia per non vedere il buio, mi tappavo le orecchie per non sentire i gemiti rotti, i respiri sibilanti e rochi, i risucchi mortiferi. Pregavo di annegare nel mio dolore, perché potessi essere libero da quella sofferenza.
Non c’era domani tra le mura di Azkaban. C’era un eterno, orrido presente, fatto di pensieri sconnessi e incubi che si rincorrevano come uccelli impazziti nella mente, sbattendo contro il cranio, storditi ed esausti. Ma gli incubi in cui lentamente annegavo erano i migliori che avessi mai fatto.
Tutto era migliore rispetto all’orrore indicibile della realtà che mi stringeva in una morsa.
 
"I find it hard to tell you
I find it hard to take
when people run in circles
it's a very, very mad world
mad world"
 
È molto difficile per me parlartene, padre.
Te che non hai mai conosciuto tutto questo.
Te che avrei desiderato morissi soffocato vivo dalla disperazione, come stava accadendo a me.
Difficile da sopportare la vista di tutti quei dannati, correre in cerchio come cani che cercano di mordersi la coda. Impazzire e morire, l’uno dopo l’altro. Sapendo che il tuo tempo si accorcia, che potresti essere tu il prossimo. Invidiandoli, perché erano loro i fortunati, non chi rimaneva.
 
"Children waiting for the day
they feel good
happy birthday
happy birthday
Made to feel the way 
that every child should
Sit and listen
sit and listen" 
 
Trascorsi il mio diciannovesimo compleanno ad Azkaban.
Buon compleanno, Barty. Buon compleanno.
C’era un bambino rimasto intrappolato dentro di me, un bambino cui non era mai stato permesso di uscire, di mostrarsi. Il bambino non voluto, non accettato. Avrei dato di tutto per sentirmi come ogni bambino ha il diritto di sentirsi. Felice che sia il giorno del suo compleanno. Ma  non avevo mai avuto quel diritto, nemmeno quando ero libero.
Per te non meritavo di essere felice. Non mi hai mai fatto gli auguri di buon compleanno. Tutto ciò che ho sempre ottenuto dalla tua bocca è stato: “Siediti e stammi a sentire.”
Me lo ripetevi ogni giorno. Non mi hai mai saputo dire altro, padre…
 
"Went to school
and I was very nervous
No one knew me
no one knew me
Hello, teacher
tell me 
what's my lesson
Look right through me
look right thorugh me" *
 
Come il mio primo giorno ad Hogwarts, te lo ricordi? Ero così nervoso...
Non conoscevo nessuno. Nessuno mi conosceva, a parte il mio nome. Quello sì che era famoso.
Avrei voluto solo un abbraccio, padre. Ma tu mi hai negato anche quello, come mi hai negato tutto il resto.
Non sono mai stato un bravo scolaro. Lo sarei stato infinitamente di più, molto più tardi, al cospetto del più grande Mago che abbia mai calpestato questa terra. Quando, inginocchiandomi, con voce ferma e decisa avrei chiesto:
Ditemi, mio Signore, qual è il mio compito?
 
Mi guardavi, padre, ma non mi hai mai visto veramente.
Guardavi attraverso di me come se fossi vuoto e trasparente ai tuoi occhi.
Non hai mai guardato me.
 
***
 
Quando ho iniziato a cambiare?
Quando ho finalmente voluto guardare in faccia la realtà e rassegnarmi al fatto che tu mai mi avresti amato o degnato della tua considerazione. Ero solo una lumaca schifosa che eri costretto a portarti appiccicato alla suola delle tue lucidissime scarpe, e che non potevi togliere, non potevi calpestare, anche se lo avresti desiderato con tutto te stesso.
E non ne facevi mistero. Non ti curavi di non darlo a vedere.
Forse solo davanti a mia madre, per rispetto verso di lei, ti sforzavi di non prendermi a calci in culo come avresti desiderato.
 
Ora vedo con chiarezza chi sia stato il vero colpevole di tutto.
Sei stato tu, caro, degnissimo padre.
Tu mi hai reso quello che sono.
Tu mi hai indotto a fare tutte le scelte sbagliate.
Se tu mi avessi amato, anche solo la milionesima parte di quanto il tuo cuore striminzito fosse capace, ecco… non sarei diventato quello che sono. Non sarei finito così.
Ma tu mi odiavi troppo ed eri troppo occupato col tuo lavoro.
Non mi hai mai conosciuto veramente. Mai ti sfiorò il pensiero di quello in cui mi stavo tramutando, non finchè non ci sbattesti col muso contro. Io ero solo uno sconosciuto che ti eri messo per casa. Uno sconosciuto odioso e detestabile, peraltro.
 
Ma poi incontrai Lui.
Lui sì che è stato un vero Padre, per me, quello che tu non sei mai stato- non hai mai voluto essere.
Sono diventato un Mangiamorte, sì. Uno dei più giovani, e dei più fidi.
 
Quando mi catturarono, padre, non volevi crederci.
Ti sei detto che doveva esserci un errore, che non poteva essere, che era tutto un complotto per incastrarti…
Ma non c’erano sbagli. Semplicemente, ero diventato quello che temevi più di tutto sarei diventato. Il tuo peggior incubo si era avverato.
Se prima ti disgustavo soltanto, ora mi aborrivi. Mi esecravi.
Per te meritavo di marcire all’inferno per il resto dei miei giorni.
Mi concedesti un appello solo per non dover più ascoltare i singhiozzi straziati di mia madre, che ti spezzavano dentro, ti sgretolavano l’anima un pezzo dopo l’altro.
Ti ho pregato, al processo.
Ti ho pregato di risparmiarmi, di non credere alle accuse, di dimostrarmi- per una volta nella vita- che tenessi in qualche modo a me.
Ma tu non mi hai nemmeno guardato. Mi hai trattato come un cane rognoso, mi hai trattato peggio del più efferato criminale che fosse passato per le aule del Wizengamot.
 
"Tu non sei mio figlio. Io non ho figli. Portateli via, e che possano marcire laggiù!"
 
Sai quanto le parole possano ferire, padre? Anche un animo già malvagio, già corrotto… possono spegnere in esso l’ultima scintilla di bontà, possono portargli via tutto quello che gli è rimasto.
Mi trascinarono in cella.
Invocai mia madre per tutta la notte.
Nessuno venne a salvarmi.
 
***
 
Un anno dopo ti rividi.
Era passato un anno da quel giorno al tribunale, quando mi fissasti- l’unico sguardo che mi rivolgesti in tutto quel tempo- con folli occhi sbarrati e fuori dalle orbite urlandomi quelle parole che mi annichilirono.
Non venisti per me. Non hai mai fatto nulla per me.
Mia madre stava morendo e te l’aveva chiesto come ultimo favore. Non hai mai saputo dirle di no, proprio come quella volta in cui ti guardò con lo sfarfallio emozionato negli occhi annunciandoti di aspettare un bambino.
Ti si congelarono le viscere, dentro, proprio come quella volta. Ma acconsentisti.
 
Non avrei mai lasciato che mia madre morisse per salvarmi.
L’amavo. Come l’amavi tu.
Ma lei sarebbe morta comunque e io non sarei sopravvissuto a lungo se fossi rimasto ancora un po’ nelle mani dei Dissennatori.
Accettai lo scambio.
 
Ero libero.
 
Non ero libero.
Ero scampato ad Azkaban per finire in un’altra prigione, invisibile ma non meno crudele, non meno atroce. Avere l’aria, il sole, le risate della gente a portata di mano e non poterne godere. Essere costretto a rimanere nascosto sotto il Mantello ventiquattro ore su ventiquattro, senza poter scambiare una parola con nessuno.
Solo e murato vivo nel mio silenzio, proprio come ad Azkaban.
 
C’era Winky a prendersi cura di me.
L’unico essere vivente con cui fossi a contatto. Ascoltare il suo chiacchiericcio sommesso, il suo querulo “padroncino Barty”, abbandonarmi alle sue cure e alla sua dedizione, mi tranquillizzava. Calmava per qualche attimo la rabbia cocente che mi bolliva da dentro.
Te non ti vedevo mai, padre. Non c’eri mai, come quando ero piccolo. Sempre via, sempre al lavoro, sempre al Ministero. Avresti preferito essere da qualsiasi altra parte che a casa con me, dov’eri costretto a vedermi, a starmi fianco a fianco, a insozzarti della mia presenza.
Io, che avevo ucciso anche mia madre.
Era morta di crepacuore, per il dolore che le avevo causato finendo ad Azkaban.
 
Mi scagliasti l’Imperius per tenermi soggiogato a te come un bravo cagnolino.
Dov’era la mia dignità umana, padre? Che ne facesti di me? Mi riducesti peggio di una bestia.
Ma dovevi, no? Dovevi tenermi sotto controllo, non potevi permetterti il mino sbaglio, la minima distrazione, altrimenti il tuo splendido piano criminale sarebbe crollato, e tu ti saresti ritrovato ancora una volta travolto dallo scandalo e dalla miseria.
Cos’avrebbe pensato il mondo magico venendo a sapere che il grande Crouch, che una volta era stato candidato a diventare Ministro, non solo aveva violato la legge- cui asseriva di tenere più di chiunque altro- salvando suo figlio, uno sporco Mangiamorte, da Azkaban, ma addirittura lo teneva segregato in casa ricorrendo a Maledizioni senza perdono?
Cosa ne sarebbe stato di Barty Crouch se fosse trapelata la notizia?
Sarebbe caduto ancora più in basso di quanto non avesse fatto appena un anno prima…
 
Dovevi essere proprio disperato, padre, per ricorrere a maledizioni illegali. Superasti te stesso, allora.
Ma io diventavo sempre più forte.
Mi stavo rimettendo. I poteri mi stavano tornando.
Non ero più lo spettro emaciato che cavasti da Azkaban. Stavo tornando in me.
La mia mente, ogni tanto, recuperava sprazzi di lucidità. Mi rendevo conto della mia situazione. Iniziavo a resistere all’Imperius. Ora mi ci voleva solo un’occasione a rimuovere l’ultimo ostacolo.
E l’occasione venne.
E io la colsi.
 
Fu alla Coppa del Mondo di Quidditch.
Lì diedi prova della mia incondizionata fedeltà al mio Padrone, scagliando nel cielo il suo Marchio. Non avevo paura di professare liberamente, sfacciatamente, la mia fede al Signore Oscuro, nemmeno sotto gli occhi di tutti i Maghi del Ministero. Sotto i tuoiocchi, padre.
Non immagini nemmeno il godimento selvaggio che provai, allora, nel ferirti, nel mettere in pericolo la tua reputazione.
Tu capisti subito cos’era successo quando fu accusata Winky. Capisti subito e non lasciasti trasparire nulla dal tuo viso. Impassibile e ipocrita come sempre. Perché tutto ciò che ha sempre contato per te era l’apparenza. L’essere perfetti e integerrimi agli occhi degli altri. Avere una bella buccia liscia e lucente fuori e un cuore marcio roso da vermi dentro.
Credevi davvero di essere migliore di me, padre? Io almeno non sono stato un fariseo, né un vigliacco.
Io ho avuto il coraggio di mostrarmi per quello che sono veramente, non mi sono nascosto dietro belle facciate.
 
Quando il mio Signore venne a prendermi, ecco che si realizzò la mia piena vendetta.
Non solo ero assurto al rango di più fedele seguace, cui veniva affidato il compito più importante, cruciale, ma finalmente vedevo te, padre, prigioniero, sottomesso, domato, sconfitto.
Ora eri tu quello in trappola, quello braccato, quello in catene.
Non sai che soddisfazione mi dava, vederti in quello stato, privato della dignità, privato della volontà, privato della libertà. Un verme, quale sei sempre stato. Un verme che aveva osato darmi in pasto ai Dissennatori senza pensarci due volte.
 
Ma proprio come me iniziasti a ribellarti all’Imperius.
Sapevo che era solo questione di tempo, che saresti riuscito a contrastarla.
Fuggisti.
Comparisti un giorno nella Foresta Proibita, ai confini di Hogwarts. Certo con l’intento di andare a spifferare a Silente tutti i tuoi orribili crimini, illudendoti così di lavarti la coscienza, povero vecchio imbecille.
Niente avrebbe potuto pulire la tua anima, lorda per sempre, come niente potrebbe pulire la mia.
Alla fine, ti sei rivelato molto più simile a me- il tuo schifoso inutile figlio- di quanto avresti mai pensato. Attendevo impaziente il momento della verità, e della giustizia.
 
Schiantai il ragazzo di Durmstrang alle spalle.
Non mi aveva né visto né sentito arrivare. Si afflosciò come un sacco di patate e lì giacque.
Tu eri lì, a terra, in ginocchio come il cane che sei sempre stato.
Deliravi. Non eri in te.
Continuavi a parlare e ad abbracciare un albero lì vicino. Quando mi avvicinai il tuo farfugliare lacrimoso mi divenne comprensibile:
Dorotea…tesoro mio…stai calma, farò come dici tu…lo farò uscire, se è questo che vuoi…lo farò per te, mio amore… ti amo…”
Credevi di parlare con mia madre.
Per un attimo mi fermai, la bacchetta sollevata a metà.
In quell’attimo, ebbi quasi pietà di te. Quella che tu non avevi mai mostrato per me.
Ma poi tu ti voltasti. Alzasti gli occhi vacui verso di me.
Non potevi riconoscermi, acquattato nelle spoglie di Alastor Moody.
Ma vedesti la mia anima agitarsi in fondo all’unico occhio normale di Moody e, nella tua pazzia, nel tuo farneticare, intuisti.
Per la prima volta mi guardasti davvero, padre. Mi cercasti e mi trovasti.
Ma era troppo tardi per te.
Tu! Tu! Carne della mia carne…che tu sia maledetto!”
 
Non hai mai smesso di odiarmi fino all’ultimo. Fino a un attimo prima di morire.
Ogni tuo respiro, ogni tuo battito, hanno scandito il tuo odio per me finchè non ti ho strappato la vita, padre. Non ho avuto alcun rimorso.
Sei stato una delusione così colossale …
Dopo, guardai il tuo corpo morto e rigido ai miei piedi e ti sputai in faccia. Sputai sulla tua pelle solcata da rughe, sui tuoi occhi aperti e vuoti, sulla tua brutta, odiosa faccia grigia che così spesso galleggiava nei miei incubi. Finalmente, non l’avrei più vista.
Mi ero vendicato. Ero libero. Ero soddisfatto di me stesso.
Più tardi trascinai il tuo cadavere nel folto della foresta, lo Trasfigurai e lo seppellii davanti alla capanna del Guardiacaccia. Chissà se gli stupidi studenti della scuola, quando vi passano davanti, sanno cosa si nasconde sotto i loro piedi, nella nera terra silenziosa. Sanno quale feccia stanno calpestando? Quale indegno, abietto, deplorabile padre?
La vittima di un giusto crimine.
Te lo sei meritato. Tutto. Fino alla fine.
 
 
 
 
 
Fine
 
 
 
 
* Gary Jules, Mad World 
  
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