E lontano ( lontano
nel mondo )
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E lontano, lontano nel tempo,
l’espressione di un volto
per caso
ti farà ricordare il mio
volto.
Hunk arrivò al tramonto, preceduto dalla sua lunga
ombra che a poco a poco oscurò l’aia bagnata di rosso e d’oro. Dorothy sorrise
alla sagoma affusolata che si avvicinava, saltò giù dal carretto dove si era accoccolata
a leggere il libro che lo zio Henry le aveva fatto trovare sotto il letto, si
assicurò di non calpestare Totò e gli corse incontro. Era sempre bello correre
incontro a Hunk, anche se arrivava sempre prima lui. Aveva
le gambe così lunghe; o forse era solo che non vedeva l’ora di vederla.
La raggiunse davanti al pagliaio dove qualche
volta lei si fermava – ancora – a cantare di posti oltre la luna, le nuvole e l’arcobaleno.
Aveva qualcosa in braccio. Per un attimo rimasero a guardarsi e a sorridersi
così, ansanti e scarmigliati, e il vento da ovest soffiò sulle labbra di Dorothy
il profumo della paglia di cui la vecchia tuta di lui era sempre intrisa; poi Hunk tese le braccia e le sorrise un «Buon compleanno,
Dorothy!», e lei abbassò lo sguardo e sussultò.
Ci fu un istante di perfetto silenzio. Hunk sbirciava Dorothy perplesso, evidentemente timoroso di
aver sbagliato qualcosa; il gattino tra le sue mani gli leccò le dita macchiate
di terra e fece le fusa. Dorothy andò con lo sguardo da quella pallina di
morbido pelo a quel volto dolorosamente
familiare, sorrise, circondò con le sue le mani di Hunk
e gli si accostò, mormorando un «Grazie» che si perse nella stoffa sul suo
petto.
Il cuore di Hunk batté
più veloce sotto la sua guancia. Lei chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
Nessun posto
è bello come casa mia.
Una lacrima inzuppò la testolina del micio, che
si scrollò tutto e fece le fusa più che mai.
E lontano, lontano nel
mondo,
una sera sarai con un
altro.
Al
tramonto la strada di mattoni gialli di fronte a lui si aprì in un bivio, e alla
sua vista si stese quel vecchio campo di grano in cui un tempo i corvi venivano
da lontano a beccare e a ridergli in faccia. Non era cambiato nulla; le ultime
spighe della stagione ondeggiavano al vento e i «cra cra» erano sempre l’unico suono; però adesso il palo era
vuoto.
Lo Spaventapasseri sedette scompostamente sul
ciglio della strada, nel punto esatto in cui era rotolato la prima volta che
aveva posato i piedi a terra, e là rimase a lungo con gli occhi rivolti a
oriente, dove il cielo era già scuro. Se si guardava con molta, molta
attenzione, al di sopra delle casette dei Mastichini
si poteva scorgere il tetto di una casa molto più grande, che un giorno era
piovuta giù dal cielo e aveva portato nuova vita nel Paese di Oz. Non era la stessa casa – quella era sparita insieme a lei – ma la buona Glinda
aveva fatto sì che ai Mastichini restasse per sempre
quel segno, che nessuno dimenticasse mai ‘il giorno della stella’. Lo Spaventapasseri
sorrise triste. I Mastichini avevano un riflesso di
fattoria e un lungo sentiero dorato; lui aveva un campo di grano e il ricordo
di due labbra buone su quel misero volto di tela ruvida. Era difficile dire a
chi fosse rimasto di meno, anche per un cervello come il suo.
Restò immobile finché qualcosa lo sfiorò e lo
fece sussultare. Allora chinò il capo e vide un gattino che gli si strusciava
contro uno stivale, desideroso di attenzioni. Il mucchio di paglia muffita che
aveva al posto del cuore sembrò sbriciolarsi definitivamente. Era un così bel
gattino. A lei sarebbe piaciuto.
Se solo
avessi avuto un cervello.
Lo Spaventapasseri lasciò che gli si
arrampicasse addosso, e, mentre il micio gli si aggrappava forte al petto,
rimpianse un po’ di non poter piangere come faceva lei.
E ad un tratto, chissà
come e perché,
ti troverai a parlargli
di me,
di un amore ormai troppo
lontano.
Era stato un gatto a cercare di farla restare.
Forse, se l’avesse fatto lui, lei
sarebbe rimasta davvero.
Spazio
dell’autrice
Da tempo volevo sviluppare
una Spaventapasseri/Dorothy sulla meravigliosa Lontano lontano di Luigi Tenco. Considerata
la presenza di ‘un altro’ che avrebbe dovuto necessariamente essere Hunk, non potevo che scrivere una movieverse.
Così ho deciso di focalizzarmi su quell’aspetto del film che è il gatto – il gatto che fa sì che Totò
salti giù dal pallone del Mago, e che Dorothy non possa tornarsene in Kansas
insieme a lui. E, niente, ho voluto immaginare quale e quanto effetto potessero
avere i gatti sullo Spaventapasseri e su Dorothy dopo la chiusura del film;
lui, come minimo, rimpiangerebbe amaramente di aver avuto meno spirito d’iniziativa
di quel micio ;_;
‘Il giorno della stella’ è
la data della venuta di Dorothy a Oz; Glinda e i Mastichini credevano
che il Kansas fosse una stella, da ciò l’appellativo. Per quanto riguarda il
gattino che Hunk regala a Dorothy per il suo compleanno
e quello che viene a lenire la solitudine dello Spaventapasseri, essenzialmente
si tratta dello stesso animale, così come Hunk e lo
Spaventapasseri sono più o meno la stessa persona in due mondi differenti.
Hope you liked it,
Aya ~