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Autore: Nivees    09/08/2012    5 recensioni
{ Nezushi | Shion Centric | Post No.6 }
Non poteva essere.
Si affacciò alla ringhiera che gli permetteva di non cadere tra le rampe di scale e lo vide, situato su un muretto crollato che gli faceva da palcoscenico, con una mano tendente verso di lui. Nezumi. Che ci faceva li?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Karan, Nezumi, Shion
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buon pomeriggio! Eccomi qui in questo fandom, con una piccola Shot senza pretese e magari non proprio la più bella che abbiate mai letto in vita vostra, ma io ve la propongo lo stesso :3 Chissà, magari piacerà a qualcuno!
Durante il periodo perso a scriverla, ero molto ispirata, anche perché una mia amica mi ha parlato talmente tanto di Romeo e Giulietta -ed ammetto che troppe volte ci ho visto loro due al posto degli attori durante il film xD- che non ho potuto fare a meno di aggiungerci le mie frasi preferite :D Spero gradirete.
Bene, penso sia tutto. *incrocia le dita sperando che piaccia davvero*

Niv.
 





Somebody knows it was all a lie



Erano arrivati i diciassette anni anche per lui, ma non si era mai sentito più piccolo in vita sua prima di quel giorno. Sua madre l'aveva praticamente costretto a scappare via, data la mega festa di compleanno che aveva minacciato di organizzare, non sapendo che Shion fosse a portata d'orecchio quando lo disse alle sue amiche.
Aveva paura di cosa aspettarsi, quindi decise che di aspettare non se ne parlava proprio; così scappò.
Vagò in giro per la vecchia No.6 senza una meta apparente: i suoi occhi rossi si posarono sulle fondamenta di quelle poche case che erano ancora in piedi, e le rovine che piano piano gli abitanti sopravvissuti stavano ricostruendo. Infondo, era passato troppo poco tempo affinché tutto tornasse -più o meno- com'era prima.
Da quando No.6 era caduta, erano passati mesi -quanti ormai non lo sapeva; Shion aveva smesso di contare il tempo da un bel po'- ma si era reso conto del passare delle stagioni, così come il clima alterato da quella famosa primavera che aveva fatto da scenario a quel Giorno Sacro che nessuno scorderà mai.
Era passata quella primavera. Era arrivata l'estate e dopo quella era ritornato l'autunno.
Beh, quasi. Tecnicamente parlando, nonostante il clima troppo freddo per essere solo i primi di Settembre, l'autunno non era ancora arrivato, anche se si sentiva il suo arrivo nell'aria.
Sospirando, fece qualche altro passo. Ignorò il fatto che si sentisse seguito, come d'altronde accadeva spesso quando si allontanava troppo dal covo sicuro della panetteria: ancora non capiva che c'era da preoccuparsi tanto, in quella piccola comunità si conoscevano tutti e tutti si aiutavano a vicenda, quindi non poteva succedergli nulla di male. E poi, sapeva difendersi anche da solo.
Ma tutto ciò non gli dispiaceva affatto, considerando chi lo stesse pedinando.
Per tutti quei mesi, Nezumi non si era più fatto sentire nè vedere, ma comunque c'era. Come ora. Mandava sempre uno dei suoi topi che osservavano ogni sua piccola mossa, ma non era mai riuscito ad acchiapparne uno, e neanche di poter scovare da qualche parte il loro proprietario.
«Credo che oggi sia Tsukiyo...» mormorò a tra sè, senza girarsi indietro per certificare se avesse ragione o no, ma poco importava. «Ieri era Hamlet, mentre la sera prima Cravat... Mi sa che fanno a turno» mormorò, sovrappensiero, senza smettere di avanzare verso chissà dove.
Camminò e camminò senza nemmeno rendersene conto di dove fosse finito, troppo perso nei meandri della sua mente, fino a che non notò appena che quel terreno sotto ai suoi piedi non era il cemento di No.6. Alzò gli occhi davanti a sè -dopo averli tenuti in basso, verso le sue scarpe- e non riuscì a trattenere un urlo.
«Waaaaaa! E dove sono finito ora?» si disperò, con le mani tra i capelli, «Beh» sussurrò poco dopo, «Almeno ho la scusa che mi sono perso, se non torno a casa per la festa».
Quella costatazione lo rasserenò un pochino, ma non durò molto. Quel posto davvero non lo conosceva, non faceva parte di nessun distretto o cose simili. Era solo una landa desolata di terra e resti di case ormai distrutte.
Si guardò attorno, sospirando. I suoi diciassette anni non iniziavano nel migliore dei modi.
Poi si girò, ricordandosi che solo pochi minuti prima Tsukiyo lo stava seguendo ma ormai non sentiva più i suoi occhietti puntati su di lui e quasi gli venne da piangere: anche l'ultima speranza di tornare a casa senza girovagare a vuoto per un po' andarono a farsi benedire.
Cominciò a camminare di nuovo, guardando il tramonto davanti a sè. Era ormai stanco di camminare sempre, quindi decise di sedersi per un po', prima di riprendere il viaggio verso la via del ritorno -se l'avesse mai ritrovata!
Tra le varie macerie e rovine di quel posto, trovò una spaccatura tra due muri e vi ci infilò, guardando in che posto fosse finito. Doveva essere stata una casa una volta, o forse un palazzo. Aveva molte scale, ma da dove era entrato sicuramente non era l'entrata; esse erano in posti dove non dovevano essere, sicuramente erano crollate. Sospirò di nuovo e si guardò un attimo alle spalle, per non perdere di vista l'uscita.
E una voce lo prese di soppiatto.
«Ma zitto! Qual luce rompe laggiù da quella finestra? Quello è l’oriente, e Giulietta è il sole!…».
Non poteva essere.
Si affacciò alla ringhiera che gli permetteva di non cadere tra le rampe di scale e lo vide, situato su un muretto crollato che gli faceva da palcoscenico, con una mano tendente verso di lui. Nezumi. Che ci faceva li?
Che lo avesse portato Tsukiyo?
«Sorgi, bel sole, e uccidi l’invidiosa luna, che già inferma e impallidisce di dolore, perché tu, che sei soltanto una sua ancella, sei tanto più bella di lei. Licenziati dal suo servizio, dal momento ch’ella t’invidia tanto: la sua livrea di vestale è d’un verde color malato, e non l’indossano più altro che i dissennati. Getta via! È la mia signora».
Nezumi recitava, purtroppo non sapeva cosa. Non osò in ogni caso interromperlo, incantato da quelle parole e dalle sue movenze, proprio come lo aveva visto quel lontano giorno a teatro, nelle vesti di Ophelia.
E arrossì tremendamente, nel pensare che gli era così tanto mancato e che era così bello lì, tra le macerie, a recitare solo per lui.
«Oh è il mio amore! Oh, s’ella potesse sapere d’essere l’amor mio! Ella parla, eppur non dice nulla. Come può accadere? Son gli occhi suoi, a parlare, ed è a loro ch’io risponderò. Ma io presumo troppo: non è a me ch’ella parla. Due fra le più belle stelle di tutto il cielo, avendo che fare altrove, supplicano gli occhi di lei di brillare nelle lor proprie sfere fino al loro ritorno. E se i suoi occhi fossero laggiù, e le stelle fossero sul viso di lei? Lo splendore delle sue gote svergognerebbe quelle stelle, al modo che la luce del giorno fa onta a quella d’una lampada. Gli occhi di lei in cielo lustrerebbero d’un tal splendore per le regioni dell’aria che gli uccelli si darebbero a cantare credendo che non fosse più notte… Ve’, com’ella posa la sua gota sulla mano! Oh, s’io fossi un guanto su quella mano, così che mi fosse concesso di toccar quella gota!».
Con una mano, si aggrappò alla ringhiera e con l'altra si allungò verso di lui, sporgendosi più che potè senza rischiare di cadere rovinosamente giù, ma lui restava nella solita posizione con il sorriso sulle labbra mentre pronunciava quelle parole.
Sapeva che stava solo recitando -per quale motivo lo stesse facendo lì, in quel posto caduto in rovina non lo sapeva, ma a Shion non interessava poi granché in quell'istante- e sapeva bene che quelle parole non erano veritiere. Come potevano esserlo? Infondo, lui non era quella ragazza tanto decantata e sicuramente erano versi tratti da uno di quei tanti libri che possedeva. Quelle parole, non erano riferite a lui.
«Ora toccherebbe a Giulietta parlare...» sussurrò Nezumi ad un certo punto, abbassando la mano. I suoi occhi grigi luccicarono della luce del tramonto che spuntava dalle crepe e li tenevano puntati nei suoi.
Shion sbattè le palpebre, «Eh? Giulietta?».
L'altro scoppiò a ridere. Si strinse nella sciarpa che aveva attorno al collo e fece qualche passo di lato, «Ti fa ancora così schifo Shakespeare?».
Ma non rispose a quella domanda, piuttosto si sporse un po' di più, forse per volerlo inconsciamente afferrare e non farlo andare via, dato che lo vedeva avanzare sempre di più verso gli angoli scuri di quelle macerie.
«N-Nezumi!» lo chiamò, sperando che non se ne andasse di nuovo.
Lui si fermò e lo fissò. I suoi occhi brillarono: perché? Che significava?
«Shion» mormorò il suo nome, «Verrai stasera a teatro? Reciterò Romeo e Giulietta, e ovviamente non farò la parte di Romeo come poco prima» ridacchiò. Poi gli diede le spalle, ignorando gli occhi dell'albino che lo pregavano di non andare via, nel mentre il topino blu notte che lo aveva seguito fin lì gli salì in spalla e lui continuò: «Lui ti riporterà a casa e quando sarà l'ora ti guiderà al teatro. Stavolta non ti perderai» rise, poi aggiunse, «Ah, un ultima cosa: buon compleanno, Shion».
Un cenno con la mano e Nezumi se ne andò. A nulla valse correre giù per le scalinate e raggiungere il posto dove era poco prima, ormai di lui non restava nemmeno una minima traccia.
Con un sospiro, si accasciò su uno scalino e accolse su un palmo della mano il topino. «L'hai portato tu qui, vero?» gli chiese e Tsukiyo squittì come conferma.
Poteva considerarlo come regalo di compleanno?

Tsukiyo aveva fatto il suo lavoro in modo impeccabile. Lo portò a casa giusto in tempo per sorbirsi le lamentele di sua madre, che, una volta capito che Shion non desiderava per nulla al mondo festeggiare in quel modo, si era arresa ma si era fatta ripromettere di non farlo più e che la prossima volta glielo avrebbe dovuto dire, senza scappare di casa o roba del genere.
«Allora te lo dico...» borbottò Shion, sedendosi sulla sedia a peso morto, «Stasera vado... a teatro...».
La donna sbattè le ciglia, presa in contropiede. «A teatro? Io non pensavo che ti piacesse» gli fece notare.
«Beh, non che ci vado matto ma, vedi, c'è una persona che ci... lavora... e gli ho promesso di essere presente».
«Di chi si tratta? La conosco?».
«Non di persona!» rispose subito, ridacchiando un po' istericamente, «E' Nezumi, mamma».
Karan rimase in silenzio, guardando le venature nel legno del tavolo. Shion sapeva bene che sua madre ricordava quel nome, e che gli era anche molto grata dopo quello che lui aveva fatto per loro. Di certo, non lo avrebbe rinchiuso in casa per proibirgli di andare a vederlo. Anzi, forse l'incontrario! Infatti...
«E cosa aspetti? Perché non vai da lui?» gli chiese con dolcezza. Si alzò e gli accarezzò i capelli nivei con la mano.
«Verrà uno dei suoi topi a prendermi...». Shion si godette quella carezza, socchiudendo gli occhi.
«Va bene. Allora aspettiamo».
Sua madre si allontanò per un minuto buono, prima di ritornare in fretta dalla cucina sotto lo sguardo rassegnato di Shion, che appena la vide tornare con quello che aveva tra le mani, sospirò. Con il sorriso sulle labbra, però.
«Mamma...».
«Tanti auguri, tesoro» gli mormorò dolce la donna, avvicinandosi a lui con due fette di torta alla ciliegia. «E' sempre stata la tua preferita... Spero sia venuta bene, l'ho fatta piuttosto di fretta oggi».
«Ah, mamma, lo sai che ogni cosa che cucini ti viene bene!» la lodò, addentando il dolce. Era buona, come tutte le altre volte. Sua madre si faceva troppi problemi!
Eppure, non riusciva a restare sereno per troppo tempo. Il cuore gli batteva all'impazzata e, nonostante il suo inconscio sapesse benissimo per quale motivo, fingeva di non capire e di non pensarci. Con scarsi successi, a dire il vero. Quel dannato muscolo era lì, che minacciava si fuoriuscire dalla cassa toracica da un momento all'altro.
Iniziò mentalmente a maledirlo. Perché faceva così? Agitazione? Ansia? Era forse paura?
No. Il suo cuore batteva per qualcos'altro...
«Shion?» si sentì chiamare. Alzò lo sguardo verso sua madre, che lo guardava in un modo piuttosto strano, ma non fece in tempo a chiederle alcunché, perché la donna scosse la testa con un sorriso e indicò fuori dalla finestra, «Lì c'è un topino che con il muso sta picchiettando sul vetro. Credo che cerchi te, tesoro».
«Ah!». Si alzò di scatto e prese l'immancabile impermeabile marroncino con una mano, mentre con l'altra tentava di mantenersi da qualche parte per non cadere a terra, data la furia che aveva in corpo, «Sì, è Tsukiyo... io devo... andare».
Karan annuì e si avvicinò al figlio, dandogli un piccolo bacio sulla fronte a cui lui non si ritrasse. Gli mormorò di divertirsi, poi lo vide sparire oltre la soglia della porta, correre dietro a quel topino blu con la felicità ben impressa sul suo volto, segno che desiderava ardentemente rivedere Nezumi.
E in effetti, era così. Shion correva come un forsennato per tenere il passo con un veloce Tsukiyo, perché lui, non aveva assolutamente intenzione di arrivare tardi, dato che stavolta era Nezumi che lo stava aspettando.

Tardi, in effetti, non arrivò.
Anzi, per la cronaca, sembrava persino che lui fosse uno dei primi ad essere arrivato in quel posto, ad eccezion fatta per gli attori. Tsukiyo, prima si ritirarsi, gli mostrò la strada fin dentro il teatro e ciò che si presentò agli occhi rossi di Shion fu un solo piccolo palco di fronte a lui, mentre tutto attorno solo poltroncine ancora vuote.
Inizialmente, aveva temuto di essere in un così mostruoso ritardo che lo spettacolo era già finito da un pezzo, ma quando si rese conto che le persone sul palco stavano probabilmente facendo delle prove, sospirò di sollievo.
Soprattutto, quando vide Nezumi -o meglio, Eve- affacciato ad una piccolo balconcino dello scenario, che guardava piuttosto annoiato l'altro attore inginocchiato ai piedi di esso.
Quando sembrò toccare a lui, prese un bel respiro e nascose ben bene la noia che provava in quel momento, iniziando a recitare con innata bravura dei versi che Shion non conosceva e che erano diversi da quelli di quel pomeriggio.
«O Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Rinnega il padre tuo e rifiuta il tuo proprio nome. Ovvero, se proprio non vuoi, fa soltanto di legarmi a te con un giuramento d’amore, ed io, non sarò più una Capuleti. È soltanto il tuo nome ad essermi nemico: tu saresti sempre te stesso, anche se non fossi un Montecchi. Che può mai significar la parola 'Montecchi'? Non è una mano, non un piede, non un braccio, né un volto né alcuna altra parte che s’appartenga a un uomo. Oh, sii qualche altro nome! Che cosa c’è in un nome? Quel che noi chiamiamo col nome di rosa, anche se lo chiamassimo d’un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo. E così Romeo, pur se non fosse chiamato più Romeo, serberebbe pur sempre quella cara perfezione ch’egli possiede tuttavia senza quel nome. Rinunzia dunque al tuo nome, Romeo, e in cambio di quello che pur non è alcuno parte di te, accogli tutta me stessa».
Eve era appoggiata languidamente alla ringhiera del balcone. I suoi capelli erano legati in una crocchia alta, che lasciava liberi solo due ciocche ai lati del viso, sotto forma di boccoli ben curati. Gli faceva ancora così strano a Shion vedere Nezumi in quei panni, sembrava così diverso. Sapeva che era tutta una finzione, sapeva che stava solo recitando, proprio come quel pomeriggio, ma non potè fare a meno di guardarlo sognante, e un rossore abbastanza familiare colorargli le gote. Le sentiva eccome, le sue guance stavano andando a fuoco.
E quel cuore non aveva ancora smesso di battere. Aveva ancora paura? No, non era quello...
«Ti prendo in parola: chiamami soltanto amore, ed io sarà ribattezzato. D’ora in avanti non sarò Romeo» recitò l'altro ragazzo ancora inginocchiato, poi subito dopo Nezumi sbattè le mani sulla ringhiera.
Shion non ebbe il tempo di capire che stesse succedendo e che gli fosse preso, che una ragazzina gli si avvicinò timidamente e mormorò: «Lo spettacolo non è ancora iniziato, quindi la prego di aspettare fuori...».
«Lui sta con me!». La voce di Nezumi sembrò così vicina e così diversa da quella di poco prima -quella di Eve- segno che si era allontanato dalla sua postazione sul palcoscenico e lo aveva raggiunto, «E' un mio conoscente». Conoscente? «E l'ho invitato io qui. Quindi, ora che ho finito con queste stupide prove di cui io non ho assoluto bisogno, me ne vado in camerino e non voglio vedere nessuno fino a che non inizia lo spettacolo. Chiaro?».
Stizzito, non attese la risposta di nessuno dei presenti e prese solo Shion per un polso, trascinandolo tra le varie poltroncine per allontanarsi dalla sala. L'albino non fiatò, si lasciò solo portare via, ovunque Nezumi avesse avuto intenzione di andare. Stavolta lo avrebbe seguito, non gli sarebbe bastato un solo 'Ci rincontreremo'.
Si chiusero in una stanza, che solo dopo Shion capì essere il suo camerino. Era piuttosto spoglio: uno specchio attaccato al muro e dei libri sparsi per il pavimento. Era da Nezumi, quello era certo.
Shion si sentì un po' a disagio, mentre guardava l'altro ragazzo che gli dava ancora le spalle avvicinarsi allo specchio e sciogliersi quella crocchia, che dalle smorfie sul suo viso capì essere abbastanza fastidiosa.
«Sei arrivato presto» esordì allora Nezumi, sempre senza guardarlo, «Hai fatto a corsa con il topo?» lo prese in giro, girandosi con finalmente i capelli liberi da ogni costrinzione.
Ora sì che somigliava di più al suo Nezumi.
«A dire il vero, avevo paura di fare tardi...» borbottò di risposta, arrossendo inconsciamente al suo pensiero.
«O di perderti, forse?» rise ancora, sempre con l'intento di farsi beffe di lui. A Shion non importava comunque.
Lo aveva finalmente di fronte, lo poteva finalmente guardare negli occhi e non solo sentire la sua presenza nascosto da qualche parte dopo tutti quei mesi. Nonostante questo, non sapeva che fare. C'era solo il cuore che batteva.
Per quale motivo, non se lo seppe ancora spiegare.
«Allora... uhm...» mormorò con un po' di imbarazzo l'albino, e senza pensarci si stava avvicinando lentamente a lui, «I-Io... prima di ogni altra cosa, voglio... voglio dirti una cosa».
Doveva dirglielo in quel momento, ora che sentiva dentro di sè un po' di quel coraggio che sapeva di non avere. Ma in realtà, cosa doveva dirgli? Cosa voleva dirgli?
«Davvero? Beh, avanti. Dillo» lo spronò a parlare, e dal suo sguardo sembrava che Nezumi avesse già capito cosa stava per dirgli, diversamente da lui che aveva ancora in pappa il cervello, «Sarai però in grado di pagarne le conseguenze?» gli chiese però, in tono di scherno.
«Le conseguenze? Quali conseguenze, Nezumi?».
«Ogni tipo di conseguenza che può portare ciò che dirai. Potrà essere di tuo gradimento, così come non potrà esserlo. Ti senti pronto per affrontarlo?».
Shion lo guardò scocciato, con gli occhi a mezz'asta quando capì che lo stava prendendo nuovamente in giro. «Io ti odio quando fai così. Sto cercando di dirti una cosa seria!» lo rimproverò, con il broncio.
Nezumi sospirò e gli diede nuovamente le spalle, ritornando ad acconciarsi i capelli in quella crocchia fastidiosa. «Non ti sto prendendo in giro, se è questo quello che pensavi. Comunque lascia perdere, non dirmi niente. Anzi, lo spettacolo dovrebbe iniziare tra meno di dieci minuti, quindi sbrigati ad andare a sederti se non vuoi assistere al tutto in piedi come un idiota».
Peccato che Shion non aveva nessunissima voglia di liquidare la faccenda così, «Conoscenti...».
«Come?» si girò Nezumi, sbattendo le lunghe ciglia.
«Mi hai definito un conoscente prima...».
«Era questo quello che dovevi dirmi?».
«No no» rispose subito, «Però...».
«Preferivi che ti presentassi come un amico?» gli chiese avvicinandosi, con un sorriso lieve sul volto.
«No. Come il tuo ragazzo».
A quelle parole, entrambi sgranarono gli occhi. Nezumi perché non si aspettava affatto che l'albino glielo dicesse così, in faccia, chiaro e tondo. Shion perché... beh, perché era oltremodo imbarazzato.
Però era quello che voleva. Non aveva assolutamente intenzione che Nezumi recitasse anche con lui.
Ma l'imbarazzo era davvero troppo, quindi non riuscì a reggere il suo sguardo per molto. Cavolo, era una dichiarazione quella! Si era dichiarato! Lo aveva fatto davvero? Intanto, il suo cuore continuava a battere, forse addirittura più forte di prima. E ora, sapeva anche per quale motivo.
L'imbarazzo però non durò molto. Il tempo giusto di sentire le dita leggermente fredde di Nezumi sfiorargli il mento per alzargli il volto e vedere quasi a rallentatore le sue labbra avvicinarsi con tutto l'intento di appoggiarsi sulle sue. In quel bacio, non sentiva affatto vergogna o cose del genere, proprio come le altre volte.
Sentiva solo quel dannato cuore che ormai gli era in gola, e gli bloccava il respiro. Dovette per forza staccarsi, quando ormai il fiato non era abbastanza.
Nezumi gli sorrise, ma nonostante lo nascondesse bene, anche lui era rosso in viso. «Adesso vai o davvero non trovi il posto a sedere» gli disse, spingendolo senza poi troppa forza fuori dal camerino.
«Nezumi!» lo chiamò, però, prima di decidersi ad andare via una volta per tutte.
«Che vuoi ancora?».
«Dopo lo spettacolo, andiamo a casa» gli disse col sorriso, prima di chiudersi la porta alle spalle una volta uscito.
Perché lo sapeva, che adesso non sarebbe più stato in grado di lasciarlo andare da solo. Lo avrebbe seguito anche in capo al mondo se era necessario. Adesso, due paroline non sarebbero state abbastanza.
Sarebbe rimasto accanto a lui, perché lo sapeva che Nezumi con lui non era tutta una bugia.

  
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