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Autore: Nancy_Boy    10/08/2012    2 recensioni
Prima o poi arriva per tutti il momento di sbocciare, ma ci sono persone che ce lo impediscono, per il nostro bene o meno. Nascendo in mezzo al grigio è possibile trovare i propri colori ed esprimerli senza paura? Bisogna trovare le persone giuste, certo, ma questo non prima di passare per quelle sbagliate. Angelo questo lo vedrà a sue spese, scoprendo di appartenere ad una realtà che egli stesso negava, con tutte le sue forze.
Crescere, amare, odiare, soffrire: nient'altro che colori. [Può contenere scene di violenza o di natura erotica]
Genere: Erotico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo 1 - Monocromatico
Capitolo 1
Monocromatico



Settembre era appena iniziato, e le nuvole non tardarono ad arrivare. Il caldo non demordeva, l’ossigeno mancava, ma nonostante ciò un cielo d’un grigio tendente al bianco sovrastava i viali romani, rendendo l’aria irrespirabile. Un ragazzo minuto, castano, dai lineamenti delicati ed un’espressione apatica, sedeva in una saletta bianca e impersonale.
Angelo odiava le giornate così: tristi, grigie e smorte, ma con quella fastidiosa calura che non ti lascia respirare fino a sera. Il tempo aveva voglia di scherzare. E pensare, che si era anche messo la sua camicia preferita – di Gucci – pensò con orgoglio. Gliela aveva regalata sua madre, uno dei pochi regali ricevuti in tutta una vita per il suo diciottesimo compleanno, e visto che lo aveva praticamente costretto a seguire una psicologa, almeno l’avrebbe fatto in maniera presentabile. Non voleva assolutamente sudare, né avere quella fastidiosa sensazione di soffocamento, così sbottonò il colletto, lasciando respirare la pelle nuda. Guardò l’orologio della sala d’aspetto, e si chiese quando sarebbe arrivato il suo turno. Era incredibilmente squallido il fatto che fosse entusiasta di quella seduta con la sua psicologa, Giuliana. Ma dopo tre mesi d’estate passati quasi in solitudine nell’apatia del suo paese, vedere una persona dalla mentalità aperta e quantomeno fuori dall’ambiente familiare, lo rendeva stranamente euforico. In fin dei conti Giuliana non gli dispiaceva affatto. Aveva un talento naturale nel capire le persone, e un distorto senso dello humor, che rendeva le sedute di psicoanalisi leggere e scorrevoli. Forse capiva anche più di quello che Angelo sapesse realmente, cosa che il ragazzo definiva quasi inquietante. Non per niente era il suo lavoro.
Una porta di legno bianco finalmente si aprì, mostrando una figura bizzarra: una ragazza poco più che trentenne con occhiali dalla montatura nera e spessa, ed una “criniera” di treccine ramate legate in una coda ampia. Vestiva una camicetta bianca e una gonna a tubino nera, un abbigliamento formale e nettamente in contrasto con quell’aspetto stravagante.

-Angelo entra pure! - disse la ragazza con un sorriso, mostrando una dentatura perfetta.

Angelo rispose accennando un occhiolino e con un mezzo sorriso, ed entrò nella stanzetta in penombra. Avvertì fin da subito una sensazione di rilassamento generale.

-Accomodati caro, sei super fashion, accidenti!-

-Grazie Giuliana- rispose Angelo, ridendo internamente. Sapeva proprio come prenderlo.
Si sedette su una confortevole poltrona di pelle nera, e poggio le mani sulla scrivania che li separava.

-Come hai passato l’estate?- domandò lei, ormai seduta.

-Che vuoi che ti dica, una noia, come sempre. Mamma vorrebbe che uscissimo solo per andare in chiesa, e Sofia è ancora a Londra, con i suoi. Non so veramente con chi uscire. –

-Dovresti cercare di socializzare di più- aggiunse Giuliana con disappunto. - Ma io sono qui per ascoltarti, non per farti rimproveri da maestra elementare.- Sbuffò divertita.

-Eh si, mi ci vedo proprio insieme agli amici di mio fratello, a farci le trecce a vicenda e a parlare dell’ultimo cd di Madonna!-

Già, quando si parlava degli amici di suo fratello, non si poteva far altro che lasciarsi andare a battute ciniche ed autoironiche. Angelo sapeva di essere completamente diverso da Gabriele, e non ricordava un singolo episodio in cui loro due andassero d’accordo. Era meglio scherzarci amaramente su, piuttosto che soffrirne.

-Vedrai che troverai gente con le tue stesse passioni, ragazzi più simili a te. L’importante è non affannarsi a cercare, perché verranno spontaneamente. Devi essere te stesso il più possibile, dargli ciò che sei, senza pretendere di ricevere qualcosa in cambio. Ti feci questo discorsetto qualche mese fa, mi pare.-

-Certo, mi ricordo- asserì il ragazzo, con una vena malinconica. – Ma non è facile, a volte mi sento chiuso in gabbia. E vivere in un paese non aiuta.-

-Beh, allora scardina questa gabbia, esci, vedi posti nuovi! So che non dovrei dirtelo, ma lo dico lo stesso: a volte è giusto contraddire le figure autoritarie. Anche se sono…-

-…I nostri genitori – interruppe Angelo.

– Per caso parli di mia madre? – aggiunse ironicamente. – Non che ci sia qualcun altro…-

-So che lei tende ad essere una figura un po’, e mi spiace dirlo, opprimente, come dire... ma devi lottare un minimo per la tua libertà, altrimenti non vedrai mai il mondo là fuori. Prima o poi accetterà il fatto che sei "volato via".-

-Grazie, ci proverò-

Angelo sorrise. Giuliana sapeva essere involontariamente comica. Era schietta, ma in modo simpatico, faceva quasi tenerezza, e soprattutto diceva quelle cose perché gli voleva bene, non solo per il mestiere che esercitava.

-Allora, quei sogni, li fai ancora?- chiese la psicologa, rigirandosi una penna fra le mani.

-Già, è questo il motivo per cui sono venuto.-

-Sono offesa! Pensavo che fossi qui perché ti mancavo!- recitò Giuliana in modo melodrammatico.

-Ma è naturale, mia cara! – Angelo ridacchiò. –Non vedevo l’ora di parlartene, comunque, visto che a casa non posso. Stavolta continua, e in modo diverso-
 
Giuliana si poggiò comodamente sullo schienale della sua poltrona in pelle, facendo attenzione. Angelo tirò il fiato, come se dovesse togliersi un peso dal cuore.

-Sono sempre nel solito cantiere abbandonato, cammino da solo e l’atmosfera è molto strana,  come se tutto ciò che mi circonda avesse perso colore, è assurdo ora che ci penso, lo so…-

-Ok, e fin a qui ci siamo, esattamente come me l’avevi descritto l’ultima volta. Continua dai.-

-C’è un silenzio innaturale, e all’improvviso ai miei piedi spunta un fiore rosso, l’unica nota di colore in mezzo al grigio. Cerco di coglierlo, ma un rumore alle mie spalle mi distrae, e quando mi giro vedo un gruppo di poliziotti che mi insegue, facendo un gran casino. Quando me ne rendo conto, preso dal terrore scappo e raggiungo un’area isolata, in ombra. Un paio di occhi chiari mi fissa, nel buio e…-

Angelo si sentì mancare il fiato: il panico e l’ansia che aveva provato in quelle notti stava risalendo, di getto. Non riuscì a proferire parola per una manciata di secondi, poi trasse un respiro profondo e continuò il racconto. Giuliana riempì un bicchiere d’acqua e lo porse aldilà della scrivania.

-…delle mani, mi stringono il collo. Mi sento soffocare, cerco di liberarmi ma niente… e poi mi sveglio, tutto sudato, come se avessi lottato veramente con qualcuno. Il problema è che non so con chi…-

Giuliana guardò Angelo con intensità, cercando di estrapolare una giusta diagnosi dalla sua mente. Strinse gli occhi e il suo tono si fece serio.

-È chiaro che questo sogno è ricorrente, come se tu, inconsciamente, volessi tornare a sognare quelle scene, e il tuo cervello cercasse una spiegazione. Quando sei sveglio, se ci pensi, è questo ciò che vuoi. –

-Voglio capire, certo, ma rivivere quelle sensazioni è terribile, e la cosa peggiore è che quando mi sveglio, mio fratello mi guarda come se fossi uno psicopatico!-

-La cosa peggiore non sono le mani che ti strangolano al buio?-

-Quello è un sogno, mio fratello è reale e concreto. Non sai i commenti e le imprecazioni sotto voce che devo sopportare, e mia madre che mi fa il terzo grado durante il giorno! Seriamente, non posso reggere, è uno stress vivere in casa mia.-

Giuliana sorrise appena, e ruotò la poltrona girevole su cui era comodamente seduta. Evidentemente era arrivata al punto della situazione prima di Angelo, come spesso accadeva.

-Ti sei dato una spiegazione da solo. Ti senti oppresso, il tuo ambiente familiare ti soffoca, e il fatto che ti trovassi in un luogo deserto spiega il tuo bisogno di tranquillità. Dimmi se sbaglio-

Angelo alzò le sopracciglia, pensieroso. Una diagnosi degna di Giuliana: concisa, semplice e soprattutto veritiera. Eppure c’era qualcosa che sfuggiva ad entrambi, qualcosa di più profondo che non voleva – o non poteva – rivelarsi.

-Oh sì… dev’essere così.- rispose in ritardo, ormai sovrappensiero.

-Il fiore poi. Sai, il fatto che sia l’unico elemento di colore nel tuo sogno è molto importante. Penso che sia ciò che vuoi per la tua vita, ciò a cui aspiri, oppure rappresenta quello che vorresti essere, per questo cerchi di coglierlo e di farlo tuo.-

-Perché dovrei voler essere un fiore?- chiese il ragazzo, con una punta di cinismo.

-Freddy Mercury una volta si definì una giunchiglia. Ma effettivamente non credo che possa essere un esempio calzante. Ricorda che la maggior parte delle persone nega il proprio “Es” perché viene ostacolata, o teme il giudizio altrui. La nostra mente può celare misteri di cui neanche sapevamo l’esistenza. Divertente eh?-

Angelo sprofondò nuovamente fra i pensieri. Non ci aveva mai riflettuto, cosa poteva volere un ragazzo di diciotto anni cresciuto con una madre molto religiosa, una sorella più piccola e un fratello con cui aveva un pessimo rapporto? La libertà, certo, e cos’altro? Non riusciva a definire il suo presente, figurarsi se aveva a mente il suo futuro. Di sicuro non era quella la vita che voleva condurre, con pochi amici e pochissimi stimoli dal mondo esterno: una realtà monocromatica, vissuta passivamente attraverso le scelte degli altri. Forse aveva capito.

-Sono stufo. Stufo di tutti, per questo scappo dai poliziotti, non è vero? –

-Rappresentano la tua parte razionale, l’ordinarietà della vita da cui vuoi disperatamente fuggire. Vuoi lasciarti andare, ma delle figure autoritarie te lo impediscono –

-Strano, non credo di averne!- cantilenò il ragazzo, in tono scherzoso.

-Non c’è neanche bisogno che torniamo sull’argomento. Resta l’ultima parte, forse la più difficile da interpretare. Per caso hai paura di qualcosa, tesoro? –

-Della sporcizia, del cattivo gusto e degli orrori canori di Katy Perry quando si esibisce dal vivo. Ma non credo sia importante saperlo adesso.-

-Certo, vorrei sapere se avevi delle paure un po’ più intime. Sono quelle più difficili da tirar fuori, quindi ti chiedo di rifletterci bene. Ormai sono abituata al fatto che disconnetti il cervello per qualche minuto.- Giuliana fece un occhiolino.

Paure? E di cosa, con una madre iperprotettiva decisa a tenerlo in una campana di vetro? Non che Angelo conoscesse molto il mondo, là fuori, si limitava a sognare, almeno quello gli era concesso. Nato e cresciuto in un paesino, in cui l’unico svago era di andare al lago, di tanto in tanto d’estate, Angelo era decisamente annoiato della sua esistenza. Persino le sue paure erano attenuate dal torpore della monotonia, eppure c’era qualcosa in lui che non andava, altrimenti non si sarebbe sentito così tremendamente solo in mezzo agli altri. Diverso, si, ma in che modo?

-Io… io mi rendo conto di essere strano – asserì il ragazzo con tono neutro.

-Beh, la stranezza è piuttosto relativa.-

-Scommetto che molti a scuola lo pensano. Tutti che parlano di calcio, di moto, di ragazze. Non è che abbia molti spunti per iniziare una conversazione! Se poi provo a parlare io delle mie passioni, non ricevo altro che incomprensioni o chiusura mentale. Sfido a trovare qualcuno che capisca la moda quanto me! O che si vesta meglio di me, modestia a parte!-

Giuliana fece una risatina, di rimando. Faceva parte del suo carattere, l’essere vanitoso e autoironico al tempo stesso. Se la madre avesse saputo che Angelo provava anche un briciolo di vanità, probabilmente lo avrebbe fatto confessare fino a Natale. Tanto era abituato a nascondere le sue emozioni in casa, era una sorta di auto-protezione per evitare seccature inutili.

-Il fatto che tu abbia interessi particolari…- Giuliana sottolineò l’ultima parola - … non vuol dire che sei l’unico ad averli. Magari se socializzi con altre ragazze potrebbero capirti meglio, no?-

-Socializzare con un gruppo di ragazze? – Angelo assunse un tono preoccupato. – No grazie, non voglio essere etichettato come un… -

Le parole non gli uscivano di bocca. Era difficile pensarlo, figuriamoci dirlo.

-Un omosessuale? –

Angelo inorridì. Non poteva credere che l’avesse detto.

-Non sono gay.- sbottò il ragazzo con decisione.

Una risposta scattante, secca, chiusa. Con quella punta di acidità che lascia ben intendere che non è il caso di continuare a parlare di certi argomenti.

-Certo che no.- disse subito Giuliana con tranquillità.

Passò qualche istante trascorso da un lieve imbarazzo, e Giuliana si schiarì la voce.

-Tutto conduce alla parte finale del tuo sogno, comunque. Hai paura di essere diverso, in un contesto come quello della tua scuola appare chiaro il perché. Cerchi di evadere ma trovi l’ennesima delusione, l’ennesimo rifiuto. L’inadeguatezza che provi si trasforma in qualcosa di talmente sgradevole da soffocarti. Tu lotti, ma alla fine non sai se vincerai o meno, perché il sogno si interrompe.-

-Potrebbe essere-

Le diagnosi di Giuliana, spesso, lasciavano Angelo nello sgomento. Lo rendevano strano e incapace di replicare. Da una parte si ritrovava in ciò che la psicologa diceva, dall’altra non era mai totalmente convinto. Sentiva che in fin dei conti il mistero non era del tutto risolto, e la trama non era stata completamente sciolta. La suoneria di un cellulare interruppe il silenzio di tensioni che si era creato fra Angelo e Giuliana. Il ragazzo la riconobbe come estremamente familiare, e frugò nella borsa.

-“Vogue” di Madonna eh? – chiese Giuliana con una nota di malizia nella voce.

-Ovviamente- sottolineò con fervore Angelo. –T’ho istruito bene allora! È la sveglia delle sei. Devo andare a prendere il treno e tornare in quel mortorio di paese chiamato Nemi.
Ci sentiamo allora, così prendiamo appuntamento per il mese prossimo.-


-Buona noia mio caro!-

Giuliana diede una pacca sulla spalla ad Angelo, che di rimando socchiuse le palpebre, seccato. Il ragazzo fece per uscire, e si fermò un istante, titubando.

-Ehi Giù… mi dispiace di averti risposto male, prima-

-Oh- Giuliana mosse la mano come per scacciare una mosca. – Fa niente, chiunque ha degli argomenti tabù-

Angelo fece finta di non cogliere la frecciatina, era meglio congedarsi in pace. Si allontanò, con un cenno della mano e uscì dalla saletta.
Una volta seduto sul treno di ritorno “Roma-Nemi”, una miriade di pensieri ripiombò nella sua mente, come uno stormo di uccelli invisibili. Appoggiò la testa al vetro e mise le cuffiette, regalandosi una buona iniezione della sua musica preferita, proprio per placare quel flusso. Un pensiero piccolo e innocente però, si fece spazio nella testa del ragazzo, facendolo quasi sorridere. Sua madre lo aveva mandato da una psicologa per cercare di capire cosa avesse di diverso, sperando in una “cura” alle sue crisi notturne, ma non sapeva che Giuliana stava remando nella direzione opposta. Non analizzava semplicemente Angelo, lo stava aiutando, spronandolo alla libertà che proprio la madre gli stava negando. Se l’avesse saputo, sarebbe andata su tutte le furie, decisamente, ma Giuliana ormai gli voleva bene e non l’avrebbe tradito. Angelo non poté fare a meno di sorridere, fra sé e sé.
Il treno partì e in quell’istante, un ragazzo si sedette davanti ad Angelo, incrociando i piedi. Aveva i capelli neri, una barbetta curata ed un abbigliamento da mare. Nulla di strano, pensò il ragazzo. Nei suoi viaggi in treno, spesso si metteva a guardare tutti i passeggeri, osservandone l’aspetto, i comportamenti e addirittura i vestiti che indossavano. Forse era un modo inconscio di fare conoscenza con qualcuno, di instaurare un contatto solo attraverso gli occhi. Osservò quelli del ragazzo davanti a sé, e vide due pupille talmente scure, che sembravano riflettere i suoi occhi azzurri, limpidi e curiosi. Notò solo in quel momento che il suo sguardo era ricambiato con velato interesse, ed arrossì vistosamente. Che figuraccia, pensò, e chissà che cosa avrebbe pensato il tipo davanti a lui! Angelo distolse lo sguardo e cercò di fare il vago, trovando il soffitto del vagone incredibilmente interessante. Non riusciva mai a reggere più di tanto il contatto visivo con un ragazzo; che si trattasse di uno sconosciuto o di suo fratello non faceva alcuna differenza. Non si considerava una persona eccessivamente timida, ma con i maschi era tutto diverso. Che fosse l’assenza di una figura paterna a renderlo così?
Angelo non riuscì a rispondersi, e tornò a guardare dritto davanti a sé, cercando di apparire neutro. Il ragazzo in tutta risposta accavallò le gambe, muovendo appena le labbra in un sorrisetto di sfida. Gli occhi sembravano più ardenti che mai. Angelo sentì numerosi pensieri scabrosi nella testa, ma non volle dargli ascolto. Doveva darsi un contegno, controllare le sue emozioni. Un tipo attraente lo stava fissando da dieci minuti, ma non c’era nulla d’interessante in questo, anzi, era disgustoso. Si… ed il suo corpo atletico che svettava attraverso la canottiera era solo un dettaglio di poco conto. Angelo alzò gli occhi al cielo: quel ragazzo doveva scendere immediatamente.
Poco dopo, un breve suono e una voce registrata annunciarono l’arrivo del treno a Genzano di Roma. Il ragazzo moro prese la sua borsa e se la caricò in spalla, dando un ulteriore sfoggio del suo fisico muscoloso e abbronzato. Angelo fece quanto umanamente possibile per non girare la testa, e continuare a fissare il lurido tessuto dei sedili del treno. “Resisti, fra poco finisce tutto” pensò esasperato, quando un pezzettino di carta gli cadde dal nulla silenziosamente ai piedi. Angelo si chinò per raccoglierlo, e poco dopo il ragazzo in canottiera era sparito. Forse non doveva leggere il suo contenuto, ma la tentazione era troppo forte, quindi l’aprì svelando il suo contenuto. Un numero di telefono scritto a penna, piuttosto velocemente. Certo che ce n’erano di malati in giro, e guarda caso doveva incontrarli tutti lui - pensò Angelo con disappunto. Fece per accartocciare il foglietto, ma non lo buttò, e sorprendendo anche se stesso se lo mise in tasca. Era davvero combattuto ogni volta che doveva far fronte a quelle sensazioni, così nuove e travolgenti. Non era la prima volta che un ragazzo del genere gli faceva quell’effetto: era come se scatenasse un diluvio, una tempesta ormonale. Forse la sua psicologa aveva ragione, doveva accettare che qualcosa dentro di lui stava prendendo piede, però non doveva necessariamente esternarlo in pubblico. Tutto questo si sarebbe bruciato e consumato dentro di lui, senza che nessuno avesse mai dovuto saperlo. Forse negando con tutto sé stesso ed insistendo fino alla nausea quei desideri se ne sarebbero andati, così come erano venuti. Angelo cercò di abbandonare quei pensieri per il resto del viaggio, e finalmente arrivò a destinazione, nella piccola stazione di Nemi. Il sole si apprestava a tramontare, rendendo l’aria fresca e piacevole, e Angelo durante il tragitto a casa meditò su come trascorrere la noiosa serata che gli si presentava. Probabilmente avrebbe rivisto per l’ennesima volta lo “Sticky & Sweet Tour” sognando di essere là, ai piedi di Madonna. Di nascosto dalla madre, ovviamente. Provò un brivido di piacere. Arrivò nel familiare portico di casa, quando sentì due mani fredde e lisce che gli coprirono gli occhi. Il suo tocco femminile e un vago profumo di vaniglia: inconfondibile.

-Indovina chi sono?- squittì una voce familiare, alle sue spalle.

-Già sei tornata?- chiese Angelo fingendosi scocciato.

-Neanche mi rispondi? Villano-

Le mani si tolsero dal viso, facendo riacquistare ad Angelo l’uso della vista. Una sensazione di felicità mista a sorpresa lo invase. Una ragazza minuta, dal caschetto biondo platino e dal viso candido lo stava guardando con scetticismo. Quanto gli erano mancati quell’invadenza e quel contagioso entusiasmo, pensò Angelo fra sé e sé. Erano tipici di Sofia, la sua migliore amica da sempre. O almeno l’unica con cui sua madre non avesse nulla da obbiettare. 

-Sono sempre il tuo maschione preferito?- sussurrò Angelo cingendole la vita e tirandola a sé con un braccio, con aria pseudo-seducente.

-E smettila, che sei tutto fuorché un maschione tu!- replicò la ragazza fra le risate, liberandosi dalla presa.

-Sempre meglio dei damerini inglesi! Vuoi salire così mi racconti di Londra? –

-Sono già stata invitata da tua madre- rispose la ragazza con fare innocente. –quella donna mi adora, lo sai che mi trova un buon partito. “Sofia, sei incantevole oggi. Dove l’hai comprato quel vestitino?”-

E si mise a scimmiottare la madre di Angelo, gonfiando il petto in modo pomposo. Non c’era modo migliore per descriverla. Angelo pensò a lui e Sofia il giorno di un loro ipotetico matrimonio, con lanci di riso e fiori d’arancio, e non poté fare altro che scoppiare in una fragorosa risata. Sofia gli andò dietro, contagiata dal suo stesso umorismo. Risero per due minuti buoni, quando una figura non comparve dal balconcino, interrompendoli. Era una donna magra e alta: i capelli castani erano legati in uno chignon composto, e nonostante indossasse un grembiule da cucina non sembrava aver voglia di scherzare. Strinse le labbra sottili e con espressione algida guardò i due ragazzi dall’alto.

-Angelo era ora che arrivassi. Sofia, che piacere. Salite su che è pronta la cena.-

-Piacere mio Iris!- rispose di rimando la ragazza con un cenno di mano. La donna di rimando accennò un sorrisetto, e girò le spalle tornando in casa.

-Non far caso alla sua euforia, si calmerà- convenne Angelo, aprendo il portone.

Era tipica di sua madre, la coerenza: fredda nell’ambiente familiare, e altrettanto con gli ospiti. Però come si divertiva a fare la maniaca del controllo! Angelo trasse un respiro profondo ed entrò nel suo familiare appartamento. Luci calde e soffuse li accolsero nel salone, adornato come al solito da numerose reliquie e figure religiose. Angelo le trovava quasi inquietanti, per come sembrassero squadrare chiunque entrasse in quella casa, ma c’era abituato. Una piccola ragazzina castana corse verso di loro, in fretta e furia. Doveva avere sì e no dodici anni.

-Sofia, sei tornata!- squittì, e dopo una pausa guardò Angelo: - E… tu... –

-Ciao ragnetto. –

-Angelo uffa! Non chiamarmi così!-

-Sei un ragnetto puzzolente e ora vai a tavola prima che mi arrabbi- disse Angelo con un ghigno, fingendo una minaccia.
 
Voleva particolarmente bene a sua sorella Marta: nonostante la trovasse spesso d’impiccio e non la volesse tra i piedi, aveva un buon rapporto con lei. Fatto di scherzi e frecciatine, certo, ma comunque ricco di amore fraterno.

-Vado solo perché ho fame, non sono mica una ragazzina. E comunque sbrigatevi, voglio sentire i racconti di Londra! –

Si sedettero a tavola, nel salone adornato di oggetti sacri, ma nonostante l’atmosfera composta si respirava una strana tensione. Una sedia, con amara consapevolezza di Angelo, era vuota come al solito. La domanda che tutti si stavano ponendo internamente non tardò ad arrivare:

-Dov’è Gabriele?- chiese Sofia, con cautela.

Angelo si guardò intorno con aria preoccupata. Sua madre era in cucina, non avrebbe sentito. Sapeva che parlando in sua presenza si sarebbe alzata la tensione e quindi ne approfittò per rispondere sottovoce.

-A far casino? A ubriacarsi? A drogarsi? A uccidere gattini?-

Un sarcasmo tagliente e velenoso accompagnò quelle parole, velate di odio.

-Dai non scherzare! – sibilò Sofia dandogli una gomitata –Possibile che non ti interessa?-

-Che differenza farebbe? Neanche mamma se ne preoccupa più. Sembra che non debba rendere conto a nessuno, viene quando vuole e dorme qui di tanto in tanto. Per quanto mi riguarda, non c’è stato mai.-

Sofia non sapeva cosa dire. Angelo sfuriava, dava di matto quando pensava a quello che Gabriele gli faceva, ogni giorno. Il problema vero è che non faceva proprio niente. Gettava la sua vita per strada a fare cazzate con i suoi stupidi amici, senza preoccuparsi delle conseguenze. Iris  aveva perso le speranze cercando inutilmente di riportarlo sulla retta via. Aveva perso la voce, la rabbia e le lacrime per provare a trattenerlo, ma Gabriele continuava ad essere uno spirito libero a spese altrui. Chi ci aveva rimesso, alla fine, erano proprio Angelo e Marta, che erano ancora sotto l’ala protettiva di una madre ossessiva. Angelo notò solo in quel momento che stava stringendo lo spigolo del tavolo con estrema forza, e la mano di Sofia vi si posò sopra, con delicatezza.

-Adesso calmati. È vero, non c’è mai, ma ciò non vuole dire che non vi voglia bene. Si scontra spesso con tua madre, ok, ma tutte le famiglie litigano, cosa c’è di strano?–

-So perché lo stai difendendo- borbottò Angelo con gli occhi socchiusi.

Sofia arrossì lievemente, assumendo un’espressione vaga.

–Cosa intendi?-

-Non fare l’innocentina con me. Comunque tranquilla, appena lo vedo te lo saluto.-

Sofia strabuzzò gli occhi e diede una gomitata ad Angelo.

-Non penserai davvero che…!-

La porta della cucina si aprì interrompendo le chiacchiere, e Iris si avvicinò al tavolo con un vassoio di pollo arrosto. Se c’era una cosa in cui sua madre eccelleva -pensò Angelo- era proprio la cucina. Non per niente era una donna del sud, nonostante la freddezza che la caratterizzava. Iris posò il vassoio, ed Angelo e Sofia presero la forchetta per servirsi, quando una mano, fulminea, li bloccò.

-Prima la preghiera. Poi si mangia.-

Angelo socchiuse gli occhi e congiunse le mani, guardando Sofia come per dire ‘Mi dispiace, non posso farci niente’. Per sua madre la religione veniva prima di tutto, e gli ospiti non facevano eccezione. Angelo ormai era abituato ad assecondarla, visto che ormai aveva perso la fede ma sua madre questo non doveva saperlo. Passato qualche minuto fingendo di pregare, i ragazzi poterono dedicarsi finalmente alla cena. Iris posò lo sguardo su Sofia, e assunse un’espressione cordiale, ma allo stesso tempo intimidatoria.

-Londra dev’essere una città molto grande, ci sono molte chiese?-

-Ehm… non lo so, non ne ho viste molte. Però quelle poche che ho visto sono in stile gotico. –

Iris assunse un’espressione indecifrabile. Sofia si sentì imbarazzata, e bevve un bicchier d’acqua. Dopo aver preso fiato sembrò ritornare di un colorito normale. Angelo la guardò senza dire nulla, non avrebbe aiutato.

-Serviti pure cara, se ne vuoi ancora.-

-Grazie, ma sono a posto. Era tutto buonissimo comunque.-

-Sai cosa penso- Iris riprese a parlare facendo sussultare i presenti. – Che a Londra ci sia parecchio ordine, ma poco rispetto per il costume. Gente che si fa la cresta, i piercing, i tatuaggi, e gira liberamente come se nulla fosse! Lo credo che poi i bambini crescono deviati, se per strada incontrano quei fenomeni da baraccone!-

Nessuno a tavola osò contraddirla. Angelo sapeva che era meglio lasciar correre, quando sua madre si lamentava di qualcosa. Lo faceva spesso, ma fortunatamente finiva in fretta, se nessuno la contrariava. Nessuno a parte Sofia, ovviamente.

- Beh… mio fratello ha i capelli rasati e il piercing, eppure è un editore di moda. Le apparenze ingannano di solito. -

Angelo deglutì, sperando che non fosse l’inizio di una discussione. Sofia si ritrasse, e Iris si attenne ad un sorriso di circostanza.

-Forse a Londra le persone sono abituate a lasciarsi andare, ma qui c’è una morale, una morale cattolica che impone degli usi e costumi d’un certo tipo. Lo stato italiano com’è giusto che sia si attiene a questi usi e costumi, altrimenti la società andrebbe a catafascio. Anche la Gran Bretagna dovrebbe cominciare a farlo, o altrimenti si vedranno rappresentati da un ministro punk, che ne so!-

Angelo era decisamente contrariato. Sua madre a volte dimostrava di avere una mentalità davvero arretrata, da contessa del Settecento. Era una vita che il figlio lottava contro le false apparenze e i giudizi altrui, e il discorso in un certo modo lo riguardava. Le persone un po’eccentriche come lui, non meritavano forse un posto nella società? Cercò di non farsi montare dalla rabbia e provò ad intervenire, in modo pacato e gentile.

-Dai mamma, l’importante è che facciano bene il loro lavoro no? L’aspetto non conta più ormai, la società si è evoluta e accetta tutti.-

-Io non trovo che sia un bene, Angelo caro. – replicò Iris in modo affabile. – L’immagine conta ancora nella società moderna, più di quanto pensi. Con tutti i buffoni che abbiamo in parlamento, non mi stupirei se i prossimi avessero proprio delle creste colorate e tatuaggi ovunque. Tanto abbiamo già avuto quel mezzo uomo di Vladimir Luxuria… più in basso di così!-

Sofia trattenne il fiato, ma era evidente che voleva esprimere il suo dissenso. Angelo dal canto suo non riuscì a trattenersi, e inveì contro la madre.

-Mio dio, mamma! Possibile che nel 2012 devi essere ancora così retrograda?!-

Iris assunse un’espressione molto colpita. Angelo sapeva di aver scagliato la bomba, e che di lì a poco si sarebbe scatenata una gran bella discussione ma ciò non avvenne. Il telefono squillò prima che qualcuno potesse aprir bocca, e Iris andò a rispondere, mantenendo però lo sguardo fisso sulla tavola.

-Pronto? - Un sospiro e poi il silenzio, per alcuni minuti. –Si, sono la madre-

Ancora silenzio. Iris stette con la cornetta in mano, tremando vistosamente. Un senso crescente di ansia prese pian piano possesso di Angelo, mentre attendeva che il silenzio si tramutasse in parole. Non doveva assolutamente pensare al peggio.
Poi un tonfo irruppe nell’aria: il telefono era caduto a terra, fracassandosi. Iris giaceva immobile con gli occhi lucidi, lo sguardo nel vuoto e la mano tremante, a mezz’aria.





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Salve a tutti, sono tornato!
E voi direte -Ma chi diavolo sei?-
Ebbene si, sono un utonto dal lontano 2008, ma ho cambiato vari nomi e adesso ho deciso ricominciare da zero. Anni fa avevo pubblicato una storia romantica, ma avendo uno stile troppo acerbo ed infantile ho deciso di cancellarla. Tanto sarebbe rimasta incompleta a vita! Perciò ho deciso di darmi un nuovo inizio come “aspirante scrittore”, sperando di raccogliere un po’ di consigli da voi! Si può dire che è la prima volta che uso personaggi inventati in un contesto quotidiano, e la storia si alternerà fra Nemi – un paesino lacustre del Lazio – e Roma, la mia splendida città d’origine. Tutto è nato da un sogno che ho fatto… so che tutti gli scrittori inventano ‘sta scusa, ma stavolta è vero. In tutto il giorno seguente l’ho elaborato, ed il risultato finale mi è sembrato ottimo per scriverci su. Ho ben delineato in mente la trama, i personaggi e come questa si svilupperà, ma potrebbe anche prendere pieghe del tutto inaspettate. Si, ho scritto che ci saranno scene erotiche e un po’ violente, pazientate, con i prossimi capitoli non vi deluderò! Avete visto, in ogni caso: un protagonista frustrato, con problemi in famiglia e che non sa neanche lui che cos’è esattamente. Il fatto che abbia messo riferimenti pop qua è là non è per niente casuale: proprio come Angelo, anch’io sono un grande fan della musica pop (ma in primis dei grandissimi Placebo!). Come se non si fosse capito… ehm. Ho fatto terminare il capitolo con un po’ di suspense, spero di avervi messo almeno un po’ di curiosità! Il prossimo, con grande rammarico, inizierò a scriverlo a metà Settembre, cioè dopo che avrò dato tutti gli esami che ho rimandato nelle precedenti sessioni. Come si direbbe a Roma “Voglia de fà qualcosa, saltame addosso!”. Grazie per avermi letto, baci!


Nancy Boy
    “alias”
Massimo

  
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