Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: kenjina    10/08/2012    6 recensioni
Non fu il dolore fisico che gli procurò quello strazio assordante, né la carezzevole consapevolezza che sarebbe morto in pochi minuti. Morire significava liberarsi dal peso opprimente di un fardello che non era riuscito a sopportare e che ora lo stava schiacciando, per lasciarlo finalmente libero dalle angosce e dai tormenti. Aveva sempre immaginato la sua morte e sapeva che sarebbe stato in battaglia. Sarebbe caduto da soldato, davanti le mura della sua amata città, per difendere con onore il suo popolo dalle armate nemiche che giungevano come un'ombra da Est. La sua morte sarebbe servita per salvare le terre che lo avevano visto crescere, per dare una possibilità alle future generazioni di vivere una vita lontana dalle tenebre e dalle paure.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Eccoci con il penultimo capitolo. È lungo e corposo, spero davvero di non deluderti. Ho una paura pazzesca!

Vi annuncio che il prossimo sarà l'epilogo - e ho un magone in gola grande quanto un Troll a cavallo di un Olifante. Sarà un capitolo più corto degli altri e mi servirà per definire le ultime cose ancora lasciate in sospeso ed una piccola idea che avevo dall'inizio della storia, che devo inserire. Altrimenti inizierò a sbattere ripetutamente i piedi per terra.

Buona lettura, lettori e lettrici!

Marta.

 

 

 

Betulla

15.

28 Aprile 3019 T. E.

 

 

Erano in marcia da quattro giorni, da quando avevano lasciato l'accampamento in cui avevano vissuto per quasi un mese. Avevano salutato il Campo di Cormallen ed oltrepassato Cair Andros, diretti verso sud, verso Minas Tirith, seguendo senza timori il letto dell'Anduin, in direzione di Osgiliath.

Frodo e Sam si erano risvegliati dopo un'infinità di tempo, tanto che molti di loro non si erano rilassati finché non li avevano visti aprire gli occhi. E dopo quasi una settimana di profondo sonno i due Hobbit avevano anche trovato le forze di alzarsi sulle loro corte gambe e muovere i primi passi.

Brethil e i Raminghi, accompagnati anche da Legolas e Gimli, tuttavia, non avevano trascorso l'intero soggiorno con loro. C'era ancora del lavoro da svolgere, per ricacciare indietro gli ultimi Esterling e Sudroni sopravvissuti e che continuavano a tendere imboscate nonostante l'evidente sconfitta, e Boromir non ebbe neanche la possibilità di avere la sua fidata compagna al fianco per cercare un po' di conforto, né gli fu concessa la presenza di Aragorn, intento a curare i numerosi feriti. Per fortuna con lui c'era Pipino, e qualche giorno dopo il loro arrivo all'accampamento si era unito persino Merry, giunto da Minas Tirith dopo una settimana, con Beregond. Non c'era molto da fare, se non attendere che i due Hobbit provenienti da Mordor si risvegliassero, e Boromir fu ben felice di spendere il suo tempo con i due cugini della Contea. Lo aiutavano a non concentrarsi troppo sul futuro incontro con Frodo e a ciò che avrebbe dovuto e voluto dirgli per scusarsi. Avevano parlato a lungo, esplorando la foresta di betulle che li circondava, e l'Uomo gli aveva raccontato numerose storie che lo vedevano protagonista con il fratello, quando erano ragazzi e il padre li portava nei boschi per imparare a cacciare. Per Faramir l'Ithilien era sempre stata una terra magica e avrebbe tanto voluto avere il fratello al suo fianco, per fargli raccontare tutte quelle leggende elfiche che solo lui conosceva.

Boromir sorrise nel guardare i due Hobbit, uno seduto sulla sella di Éomer, l'altro su quella di Beregond, e si chiese per quanto tempo ancora avrebbe potuto godere della loro allegra presenza prima che decidessero di partire verso la lontana Contea. Scosse il capo, cacciando con forza quei pensieri. Non aveva alcuna intenzione di aggiungere ulteriori angosce a quelle che già aveva. Lanciò una veloce occhiata davanti a sé, verso il cavallo di Aragorn; alle sue spalle Frodo si reggeva sulla sella con precarietà, forse ancora troppo debole per mettersi in viaggio così presto, ma risoluto a rimanere in piedi finché ce l'avesse fatta.

Durante la sera di festa che avevano dedicato a Frodo e Sam, dopo un ricco banchetto e tante risate, Brethil lo aveva esortato a raggiungere il resto della Compagnia che si era riunita per chiacchierare e per raccontarsi tutto ciò che era avvenuto in quei mesi dopo la loro separazione; nonostante lui fosse apparso riluttante per il profondo senso di colpa che gli stringeva nuovamente il cuore, aveva acconsentito. Si era avvicinato al gruppo, che aveva già iniziato a discorrere e ad ascoltare le proprie storie, ma aveva preso posto in disparte, accanto ad Aragorn. Per tutta la serata non aveva avuto il cuore e il coraggio di guardare Frodo, nonostante avesse sentito su di sé il suo sguardo pesare come un macigno. Aveva invece scambiato numerose ed astiose occhiate con Sam, che evidentemente mai avrebbe digerito ciò che era successo tra il suo padron Frodo e l'Uomo di Gondor. Boromir, però, capì che non avrebbe potuto fuggire lo Hobbit ancora a lungo, ma fintanto che fosse stato possibile avrebbe atteso ancora qualche tempo, per raccogliere quel poco di coraggio morale che gli era rimasto.

Il Capitano della Torre Bianca sospirò, stringendo i denti. Da quando era diventato così codardo?

Abbassò lo sguardo sulla donna che cavalcava con lui e chiuse gli occhi, inspirando il profumo della sua pelle che gli inebriava i sensi da due giorni. La piacevole e confortante sensazione di averla vicino era diventata quasi insostenibile, ora che non indossava più la pesante armatura, ma semplicemente la cotta di maglia sotto la tunica blu. Si era imposto di tenere le mani sulle gambe, anziché stringerla per i fianchi quando accelerava l'andamento del galoppo di Nerian e lei doveva essersi accorta di quel piccolo cambiamento, ne era sicuro. Eppure nessuno dei due fece accenno a quella strana situazione che, da qualche tempo, si stava creando tra loro. Boromir era sempre stato convinto che l'amicizia tra uomo e donna non fosse possibile, perché o l'uno o l'altra avrebbe iniziato a provare qualcosa di più profondo del semplice rispetto; poi aveva dovuto cambiare idea quando aveva visto con che devozione Brethil trattasse con Aragorn, o con i gemelli di Gran Burrone. Persino con lui, all'inizio, sembrava ci fosse una profonda amicizia fraterna. Eppure perché sentiva che ora le cose stessero prendendo una piega diversa?

«Guardate, amici miei.» disse Aragorn, interrompendo il flusso sconclusionato dei suoi pensieri. «Oltre quella collina vedremo finalmente le bianche mura di Minas Tirith.»

I cori di felicità si elevarono per tutto l'esercito e Boromir sorrise, orgoglioso. Sarebbe finalmente tornato a casa, insieme ad Aragorn. Ma prima di perdersi in spensierate fantasie, aveva un compito da svolgere. Aveva promesso a Brethil di mostrarle la sua città in tutto il suo splendore, anche se l'ultima volta che l'aveva veduta le ferite della guerra erano ancora sanguinanti. Eppure la maestosità di Minas Tirith non sarebbe svanita neanche dopo la fine del mondo, di questo ne era sicuro.

«Brethil.» disse al suo orecchio. La sentì rabbrividire, ma non ci fece caso - o meglio, non volle farci caso. «Devo chiederti di chiudere gli occhi, prima di oltrepassare la collina. Voglio farti vedere qualcosa.» Lei gli lanciò un'occhiata scettica, ma lui sorrise. La circondò con le braccia per prenderle di mano le briglie. «Ti bendi da sola o devo farlo io?»

«Non vuoi farmi conoscere la via per raggiungere Minas Tirith, per caso?» gli domandò, con non troppo velato sarcasmo. «Perché credo che sia abbastanza evidente.»

«Bendati, non voglio ripetermi. O rovinerai la sorpresa.»

«Non mi piacciono le sorprese.» borbottò lei, eseguendo ugualmente l'ordine. Brethil si calò sul viso il profondo cappuccio e chiuse gli occhi, fortemente a disagio; e non certo perché non si fidasse di Boromir - l'Uomo sapeva cavalcare anche con un corpo tra lui e le redini. Ma con la vista momentaneamente inutilizzabile ogni suo altro senso s'acuì terribilmente e non fu semplice per lei sopportare il fiato di lui sul viso e la barba ispida che le graffiava il volto ad ogni scossone; così come fu una tortura l'odore della sua pelle, fresca di sali e acqua. Ma da quando aveva iniziato a percepire tutte quelle sensazioni?

Forse, Merry aveva ragione.

Forse, lei amava Boromir.

E l'aver preso coscienza di quel fatto la scosse, proprio come Nerian la sballottò per saltare un ostacolo.

«Dimmi, per quanto tempo devo rimanere cieca?» chiese, allontanando quel pericoloso ragionamento.

«Ancora pochi minuti, promesso.» le disse. Poté immaginarlo sorridere, nel sentire quel tono sicuro e quasi orgoglioso. «Fidati di me, sarà spettacolare.»

Brethil non osò chiedergli cosa sarebbe stato spettacolare, perché era più che certa che non le avrebbe detto niente di più. Così attese paziente, nel buio completo, concentrandosi sulle voci che udiva e non sulle braccia dell'uomo che la cingevano per reggere le briglie. Passarono davvero solo pochi minuti, quando sentì che la salita della collina era conclusa e ora iniziava la discesa.

Boromir le sfilò il cappuccio. «Puoi guardare, adesso.»

E meraviglia! L'imponente ed affilata figura di Minas Tirith che si stagliava contro la parete del Mindolluin, bella e fiera nonostante la rovina portata dalla guerra. La bianca pietra con cui era stata costruita risplendeva sotto i raggi del sole di mezzogiorno e l'alta e snella Torre di Ecthelion troneggiava sui campi del Pelennor, vertiginosamente. Brethil non ricordava di aver ammirato la Città dei Re mentre la raggiungeva stanca ed affamata, né ovviamente durante la battaglia nel Pelennor; ma ora che ne aveva la possibilità non riuscì a nascondere lo stupore di tanta bellezza. Era risaputo che fossero gli Elfi a creare ciò che di più bello vi fosse sulla Terra di Mezzo, e che i Nani sapessero costruire con la pietra meglio di chiunque altro. Ma quell'opera degli Uomini era davvero qualcosa di indescrivibile, così elegante e al tempo stesso spaventosa da commuoverla; la razza umana era mortale, ma con quell'opera di splendente architettura erano riusciti a rendersi eterni.

«È la città più bella che i miei occhi abbiano mai osservato, Boromir.» gli disse, in un sussurro. E pensava veramente ciò che aveva appena pronunciato. Così come capiva da dove provenisse l'ardore con cui l'Uomo parlava della sua città. Chi non si sarebbe innamorato di tanta bellezza?

«Sì, lo è.» Boromir sorrise apertamente nell'osservare l'imponente chiglia di pietra che sembrava farsi largo tra i campi, una nave nata dalla roccia del Mindolluin e che faceva rotta verso Osgiliath, quella che un tempo era la splendente capitale di Gondor che si distendeva sotto i loro occhi, alle pendici della collina. Proseguirono in silenzio, beandosi di quella vista spettacolare, finché le rovine di Osgiliath nascosero la stazza di Minas Tirith. L'esercito rincontrò quello lasciato giorni addietro e si fermò per un giorno a riposare, prima della penultima tappa di quel lungo ed insperato viaggio di ritorno.

Boromir sparì tra i soldati, che lo accolsero con gioia e rispetto, e Brethil lo seguì con lo sguardo finché le fu possibile. Le rovine di quella città erano così tristi ed affascinanti che per un attimo un senso di tristezza le strinse il cuore. Provò ad immaginarsi come potessero essere gli archi ora crollati, con i conci perfettamente squadrati e levigati; guardò le colonne abbattute sul pavimento lastricato, dai capitelli scolpiti da mani sapienti, così come tutte le costruzioni sventrate da catapulte ed incendi. Chissà se quella città fantasma, avamposto di vitale importanza per la difesa della capitale, un giorno sarebbe tornata a splendere come un tempo, con la musica e la bellezza che Boromir aveva tanto decantato?

La donna smontò dal suo Nerian, accarezzandogli il collo e baciandogli il muso; lo assicurò vicino ai destrieri degli altri Raminghi ed Elegost le si avvicinò, con una borraccia ormai svuotata. «Ho sentito dire che ci sia una fonte d'acqua, da queste parti. Andiamo in esplorazione?»

Brethil annuì, conscia che non avrebbe saputo che fare se non vagabondare alla ricerca di qualcosa per intrattenersi. Detestava quei momenti di calma, perché non vi era abituata. Per tutta la vita aveva dovuto imparare a rimanere guardinga, a nascondersi e a battersi nel mezzo di foreste, tra la natura incontaminata. Lei non era una persona da città, neanche se questa fosse stata desolante ed inabitata. Ora che le cose stavano cambiando si sarebbe mai abituata? Ne dubitava fortemente.

Seguì Elegost, passando inosservata tra i grandi soldati di Gondor, nonostante i capelli, in quell'ultimo mese, fossero cresciuti un po' troppo per i suoi gusti. Aveva tentato di accorciargli, nei giorni precedenti, ma Boromir, sostenuto dai petulanti Pipino e Merry, l'avevano dissuasa; e lei si ritrovava ora ad accarezzarsi quelle ciocche che le sfioravano le spalle con disagio, attendendo che, da un momento all'altro, qualcuno potesse realmente accorgersi di lei, una donna tra gli uomini. Ma dato che neanche le cicatrici che aveva in volto sembravano attirare più attenzioni del previsto - aveva notato molti visi sfregiati, in quei giorni - proseguì l'esplorazione alla ricerca di acqua. Trovarono una fontana non molto lontano dal luogo dove avevano lasciato i cavalli e si dissetarono avidamente.

Il Ramingo si sedette sul bordo in pietra, osservando l'amica, in piedi con le braccia incrociate. Si guardava intorno con circospezione, quasi temendo che da un momento all'altro potessero subire un attacco inaspettato dall'altra parte del fiume. Elegost quasi rise dal sollievo. «Amica mia, potresti anche rilassarti, sai?»

Lei gli riservò un'occhiata penetrante, stringendo le labbra. Poi sospirò, lasciandosi andare accanto all'uomo.

«Abbiamo vinto, siamo vivi. Lui è vivo.» aggiunse in un sussurro, quasi con rammarico. «Cosa ti preoccupa, ancora?»

Brethil si guardò intorno: il clima gioioso ed in festa aveva contagiato tutti, persino le pietre. Perché, allora, lei sentiva un nodo allo stomaco? Credeva di avere la risposta. Si sentiva insicura, incerta del futuro che l'attendeva. La guerra era finita, ma ci sarebbero state molte altre battaglie da combattere per riportare la pace sulla Terra di Mezzo. Eppure non ci sarebbero stati vagabondaggi, né nascondigli per i Raminghi. Aragorn avrebbe sciolto il loro ordine e ognuno avrebbe potuto scegliere cosa meglio fare dei propri ultimi anni di vita. Lei sapeva cosa avrebbe fatto: avrebbe continuato a servire il suo mentore ed il suo Re fino alla morte. Ma lui l'avrebbe accettata? E soprattutto, avrebbe trovato un posto in quella città?

Brethil si passò una mano tra i capelli, spostando un ciuffo scuro dal viso. L'adattamento non era mai stato un suo problema, di questo ne era consapevole; quando si era trasferita ad Edoras aveva la sua stanza, ma nessuno la serviva e riveriva come una dama di corte, perché così lei aveva espressamente chiesto; non c'erano Rainiel varie che le portavano abiti sontuosi da indossare e che le pettinavano i capelli. Senza contare che Rohan e le sue praterie erano principalmente la sua casa e trascorreva pochissimo del suo tempo negli alloggi riservati all'esercito. Ma Minas Tirith era differente: era raffinata e meno selvaggia, e il Re ed il Sovrintendente erano i suoi migliori amici; li conosceva bene e non le avrebbero permesso di dormire al Terzo Cerchio, neanche se avesse iniziato a pregare Ilùvatar e tutti i Valar. Boromir soprattutto non avrebbe accettato che una donna proseguisse in quel travestimento mascolino che lei tanto amava, perché la rendeva sicura e le garantiva un'identità.

Sì, era questo che temeva. Non voleva perdere la sua identità. Aveva lottato contro se stessa nell'ultimo anno, sovrastata dalla vergogna di ciò che aveva fatto, e combattendo contro l'impulso di tornare dalla sua gente in ginocchio, per chiedere perdono. Aveva agognato quella vita che aveva abbandonato come nient'altro al mondo e ora la possibilità di tornare tra i Raminghi si faceva più flebile di giorno in giorno. Cosa ne sarebbe stato di Brethil la Dùnadan?

Elegost si sporse verso di lei, una mano sul braccio per risvegliarla da quell'abisso di pensieri che sembrava averla risucchiata da minuti interi. Lei lo guardò quasi senza vederlo, inizialmente. Poi sorrise, ricordandosi la sua domanda, e scosse il capo. «Stai tranquillo, buon Elegost. Non c'è niente che mi preoccupi. Devo solo abituarmi al cambiamento.»

L'Uomo non parve tanto convinto da quella risposta, ma non obiettò. Sapeva di non chiamarsi Elladan o Elrohir per avere l'onore di conoscere i suoi pensieri. «Lo immagino. Aragorn Re di Gondor... è una bella novità!»

Brethil annuì, anche se non fosse realmente quel mutamento di appellativo a spaventarla. «Sarà un buon sovrano, ne sono sicura.»

«E noi i suoi servitori più fedeli. Questo niente potrà cambiarlo.»

La donna rifletté per qualche istante su quelle parole e pensò che Elegost avesse ragione. Forse tutto e niente sarebbe mutato. Ora doveva solo pensare a riposarsi, finalmente.

Riposarsi.

Non era neanche del tutto convinta di conoscere il significato di quella parola.

 

 

Vigilia di Maggio 3019 T. E., prima dell'alba

 

 

Si erano accampati sul Pelennor solo qualche ora prima, ma Brethil non riusciva a dormire. Guardava la sua tenda come se fosse una prigione, rigirandosi da un fianco all'altro. Aveva anche tentato di conciliarsi il sonno lucidando la spada del padre, ma neanche quello sembrò giovarle in alcun modo. Il giorno dopo avrebbero varcato le mura di Minas Tirith e allora la sua vita sarebbe cambiata definitivamente. Si era imposta un po' di calma, perché non sarebbe stata lei la Regina di Gondor e Aragorn sarebbe dovuto essere più teso di una Dùnadan in crisi d'identità. Eppure non vi era riuscita. Più volte aveva cacciato l'impulso di andare da Boromir per cercare un po' di quella tranquillità che solo lui riusciva ad infonderle, ma le scoperte che aveva fatto in quegli ultimi tempi su ciò che provava per l'Uomo l'avevano convinta a non muoversi. Il timore di poter vedere solo un profondo affetto e non l'amore che lei provava per lui era opprimente.

Osservò lo scrigno che Beregond le aveva consegnato il giorno prima e non riuscì a frenare un sorriso nell'immaginare l'espressione di Boromir quando avesse visto cosa conteneva.

Fu quando udì il movimento della tenda che si apriva che pensò di trovarsi il Sovrintendente davanti, anch'esso insonne. Eppure l'ospite inatteso non era Boromir. Aragorn non aveva un'ottima cera, sebbene le sorrise, anzi: sembrava che anche lui, per tutta la notte, non avesse chiuso occhio.

Brethil chinò rispettosamente il capo, nascondendo l'ironia di quel gesto. «Mio Signore.»

«Per favore, amica mia, non farlo.» la pregò l'uomo, sedendosi accanto a lei. Teneva in mano un fagotto ma non osò aprirlo, ancora. «Ho già il tuo rispetto, non vi è necessità alcuna per cui ti rivolga a me in quel modo. Anche se lo hai fatto con sarcasmo.»

La donna sorrise apertamente, ora. «Non riesci a dormire neppure tu.»

Aragorn inspirò ed espirò profondamente, cercando la forza di parlare e di trovare le parole giuste. «Sono spaventato. Mentirei se affermassi il contrario.»

«È normale che lo sia. Non si diventa Re tutti i giorni.»

«Questo dovrebbe confortarmi?» le domandò, aggrottando la fronte. Rise nel vedere il divertimento negli occhi grigi dell'altra.

«Sarai un buon Re, Aragorn. Ne hai già dato prova in questi giorni. Non vi è nulla che devi temere.» gli disse, stringendogli una mano. «E presto sarai affiancato dalla Regina più devota e bella che Terra di Mezzo abbia mai visto.»

L'Uomo sorrise, perdendosi nel ricordo del bel viso della Stella del Vespro. Ma non si attardò troppo nei suoi pensieri. Le porse il fagotto che teneva sulle gambe e lei lo osservò con curiosità. «È un dono che spero accetterai.»

Brethil non capì l'occhiata che le regalò finché non scoprì cosa l'Uomo le stesse porgendo. La tunica blu arrivava sopra le ginocchia, sagomata sulla forma di un corpo femminile, e faceva mostra di un Albero Bianco ricamato ed impreziosito da sette piccole gemme trasparenti e brillanti che lo coronavano, al di sopra di una corona alata. Un paio di pantaloni stretti e del medesimo colore completavano il quadro con una cinghia argentata e un mantello più scuro dai risvolti rossi, insieme a dei copri braccia in pelle decorati con il medesimo motivo di Gondor.

«Aragorn...» sussurrò Brethil, accarezzando la morbida stoffa tra le dita. «Perché?»

«Ciò che indossi ora fa parte del passato e devi lasciarlo alle spalle.»

«Mi rappresenta bene, però.»

L'Elessar sorrise, benevolo. «Amica mia, la Prima Guardia del Re deve mostrarsi in tutto il suo splendore; non voglio che sia ricoperta con un vecchio e logoro mantello.»

Gli occhi della donna sgranarono per la sorpresa. Lei la Prima Guardia del Re? Aragorn la stava davvero onorando con quel ruolo?

Quello che un tempo non troppo lontano si faceva chiamare Grampasso fece scattare la spilla argentata che le teneva fermo il manto sulla spalla sinistra e lo rigirò tra le mani per qualche tempo, osservando la stella argentata simbolo dei Raminghi del Nord. «Questa puoi tenerla ed indossarla, se lo desideri. Anche se i Dúnedain non esistono più, voglio che il loro ricordo sia tramandato negli anni. E tu, Brethil figlia di Aeglos, sei l'esempio migliore.»

Brethil sorrise tra le lacrime ed annuì, stringendo la spilla tra le mani e abbracciando l'amico e mentore di una vita. «Dopo tutto quello che ho fatto vuoi davvero premiarmi così? Non credo di meritarmi un simile posto al tuo fianco, Aragorn.»

«Sta a me decidere cosa sia meglio o no. E abbiamo a lungo discusso sul passato. Dimentica ciò che è stato, ma non dimenticare mai chi sei, Brethil.»

«No, non lo farò mai, mio Re.» fece la Dùnadan, ora seria e regale come la donna che era sempre stata.

 

Brethil e Aragorn, però non erano gli unici che non riuscivano a dormire. Anche Boromir, infatti, se ne stava seduto all'aria aperta, vicino alla sua tenda, per guardare quel cielo stellato da troppo tempo celato dietro le nuvole di Mordor. E se voltava il capo verso la sua sinistra avrebbe potuto vedere le luci di Minas Tirith, piccole fiaccole che illuminavano le strade durante la notte. Mancava ancora poco, ormai, al suo rientro accanto al Re ed era così entusiasta che difficilmente avrebbe chiuso occhio. Non avrebbe mai creduto che durante la sua vita avrebbe potuto assistere al ritorno del Re, né che sarebbe stato suo amico e Sovrintendente. Era una sensazione così bella che lo lasciava senza fiato.

Il sorriso che gli era nato sulle labbra sparì nello stesso momento in cui si accorse di una piccola presenza seduta al suo fianco. Frodo si era avvicinato silenzioso come solo un Hobbit sapeva fare e ora rimirava le stelle in silenzio, senza voltarsi per guardarlo. Boromir sentì i suoi muscoli tendersi per il nervosismo e abbassò lo sguardo. Il profondo e tremendo senso di colpa che aveva provato dal momento in cui lo Hobbit era scappato dalle sue grinfie ora si fece insopportabile e quando Frodo gli chiese come mai non riuscisse a dormire, l'Uomo non riuscì a parlare. Ci provò, ma dalla gola non fuoriuscì che un insieme incomprensibile di sillabe.

Non era ancora pronto ad affrontarlo; perché lo stava mettendo così a dura prova? Era forse quella la sua punizione? Oh, era più che sicuro che nessuna pena sarebbe bastata a sedare l'odio che provava per se stesso, né quello di Frodo.

«Boromir.»

La voce dello Hobbit riecheggiò nella mente dell'Uomo, facendolo rabbrividire. In tutte quelle settimane nessuno dei due aveva osato rivolgere la parola all'altro, e ora sentire il suo nome sulla bocca del Mezzuomo lo debilitò più d'ogni altra cosa: perché non riusciva a capire cosa significasse quel tono stanco, sereno, con un filo di bonario rimprovero. Non vi era astio nella voce di Frodo, ma forse solo il fastidio di non aver ricevuto una risposta alla sua semplice domanda.

Il Sovrintendente si schiarì infine la gola. «Conto le ore che mancano all'alba.» Boromir sospirò di sollievo. Non era poi stato tanto difficile mettere qualche parola in fila per creare una frase di senso compiuto, dopo tutto.

«Dovresti riposare, invece. Il Re avrà bisogno di un consigliere in forze, non dagli occhi cerchiati di nero.»

Boromir si voltò un minimo per spiare il viso rilassato dell'altro. «Potrei rimproverarti per lo stesso motivo. È tardi.»

«Ho dormito sufficientemente per una settimana e le notti successive sono state così liete e prive di incubi che posso dirmi soddisfatto. Non ho sonno.»

Boromir mosse le gambe, guardando i palmi delle mani che strinse a pugno. «Non è saggio da parte tua venire proprio da me, Frodo.»

Lo Hobbit lo guardò negli occhi chiari, finalmente. «Perché non dovrei? Abbiamo giocato a nascondino per troppo tempo, ormai. Non credi?»

«Non hai paura che io... che io possa farlo di nuovo?»

«L'Anello è andato distrutto, forse potresti recriminarmi questo. Ma non avresti niente da rubarmi.» Frodo sorrise, tristemente. «Le voci che ti spinsero sull'orlo della pazzia sono sparite. Neppure io le sento più, finalmente.»

«Sì, è... è una liberazione.» Boromir chinò il capo. Sembrava voler aggiungere qualcosa, eppure non riuscì a parlare.

«Continui a desiderarlo, nel tuo profondo, vero?» Frodo attese che lui annuisse, quasi con timidezza. «Capisco cosa stai provando, Boromir. Lo capisco più di chiunque altro. Sono oltremodo felice che sia andato distrutto, che la sua minaccia non oscuri più questa bella terra. Ma la consapevolezza di non poterlo più riavere al collo e di poterlo toccare è un dolore talmente lancinante che provo vergogna di me stesso. E questa sensazione non mi abbandonerà mai.»

«No! No, non devi vergognarti, Frodo.» esclamò l'uomo, con enfasi. «Portasti un fardello così pesante che non riesco ad immaginare neppure un briciolo della sofferenza che dovesti sopportare in questi mesi. La tua forza è talmente più grande della mia che ti ha permesso di andare avanti, di non lasciarti incantare dal suo potere e di distruggerlo. Hai fatto ciò che io e che nessuno di noi avrebbe saputo come affrontare. Dovresti essere fiero di te stesso.»

«Fiero, dici?» Frodo rise, senza allegria. «Oh, Boromir, se solo sapessi cosa feci e, soprattutto, cosa non feci, durante il mio viaggio. Quando mi presi l'onere dell'incarico, quel lontano giorno a Gran Burrone, ero davvero deciso a portare a termine la mia missione, perché non volevo che la mia bella Contea potesse correre il rischio di essere incenerita da quel pericolo immenso. Sapevo che non sarebbe stata una scampagnata, mi rendevo conto che non sarebbe stato facile. Non sarei stato solo, ma avevo portato io l'Anello fino a quel momento e solo io avrei potuto continuare a farlo; solo io avevo il potere di tenerlo e, di conseguenza di gettarlo tra le fiamme del Monte Fato. Ma già da allora il suo potere mi aveva ammaliato e unicamente alla fine mi son reso conto che non ci sarei riuscito. Avrei causato la distruzione della Terra di Mezzo, se non fosse stato per Sam... e per Gollum.»

Boromir lo interrogò con lo sguardo. «Gollum?»

«Gandalf aveva ragione, come sempre, quando mi disse che anche lui avrebbe avuto un ruolo in questa storia. Promettimi di non dirlo a nessuno: è un segreto che voglio portare con me nella tomba, anche se questo significa mentire a tutti coloro che ancora oggi elogiano Frodo dalle Nove Dita. Solo il buon caro Sam conosce la verità.»

L'Uomo annuì. «Non devi parlarmene, se non ti fidi di me. Lo capirei.»

«L'avrei tenuto per me.» disse Frodo velocemente, senza ulteriori esitazioni, per paura di non riuscire ad ammettere la sua colpa se avesse atteso oltre. «Non ebbi il coraggio di gettarlo nel fuoco. Feci ciò che fece anche Isildur, millenni fa: lo reclamai come mio e me lo misi al dito - quello che mi manca. Gollum mi aggredì e fece di tutto per riprendersi ciò che credeva suo. Morì con lui, poco dopo. Avrei fatto esattamente ciò che l'Anello desiderava, l'avrei tenuto per me.» Frodo sospirò e un lungo silenzio pesante calò tra i due. E in tutto quel racconto Boromir non riuscì a non pensare a Brethil, al suo sogno e alla sua liberazione di Gollum. Oh, se solo avesse saputo, sarebbe stata felice e magari parte di quella colpa che continuava ad addossarsi sarebbe sparita!

Fu lo Hobbit a spezzare quella lunga pausa. «Non esiste un eroe in questa storia, Boromir, né io lo sarò mai. Spero che questo possa consolarti, un poco. Abbiamo sbagliato entrambi, ma non è stata colpa nostra. Chi non ha subito il richiamo dell'Anello non potrà mai capire. Per questo non hai niente da recriminarti. Ti perdonai già quello stesso giorno. Ci lasciammo da amici... lo siamo ancora?»

Boromir sentì la tensione accumulata in quei mesi sciogliersi improvvisamente di fronte a quella semplice domanda che gli riempì il cuore di sollievo. «Non mi perdonerò mai quello che ho fatto, Frodo, anche se chiunque continuerà a dirmi che non fossi in me, quel maledetto giorno. Eppure se non fossi stato io, l'Uomo che ti aggredì, non ricorderei niente di quei momenti. Ma purtroppo li ho ben vivi nella mente e non riuscirò mai a dimenticarli. Hai sempre avuto il mio appoggio, Frodo, e la mia stima; e io ho rovinato tutto per la disperazione. Sei davvero sicuro di voler chiudere questa faccenda così semplicemente?»

«Fu già chiusa nel momento in cui vidi il tuo sguardo, Boromir. Ora rispondi alla mia domanda, per favore.» ripeté Frodo, sorridendo. Perché in cuor suo conosceva già la risposta dell'uomo: poteva leggergli il tormento ed il dispiacere in viso come un libro aperto.

«Sarò tuo amico finché la vita non abbandonerà questo corpo, Frodo della Contea. E anche quando non ci sarò più tu la mia stirpe e tutto il popolo di Gondor ti ricorderà come il migliore degli amici.» Boromir sospirò sollevato nel vedere la luce di felicità brillare negli occhi dello Hobbit e tornò a guardare nuovamente verso la Città Bianca. «Domani vedrai finalmente il luogo in cui nacqui, quarantuno anni fa. Ti mostrerò i luoghi della mia infanzia e le bellezze di Minas Tirith; e potrà accompagnarci anche Sam, se lui vorrà. Anche se temo che non sarà così comprensivo come te, e di questo non lo accuso.»

«Sam ti sembrerà scontroso, ma non offenderti. Non può capire cosa abbia significato per noi l'influsso dell'Anello. Ma sarà felice di visitare una così grande città degli Uomini, se glielo chiederò. Quante storie avrà da raccontare al suo Gaffiere!» Frodo si stiracchiò, alzandosi con un saltello. Lo guardò con un sorriso e gli strinse una mano sulla spalla. «Sono felice che tutto si sia risolto per il meglio, Boromir. In queste ultime settimane il nostro silenzio mi aveva quasi oppresso. Finalmente tutto ora è risolto e il mio animo ne gioisce.»

L'Uomo lo seguì, in piedi, e cacciò indietro le lacrime che gli pizzicavano insistentemente gli occhi. «Se tu sei felice allora io non saprei che nome dare alla gioia e al sollievo che provo in questo momento, perché è talmente grande ed insperata che non mi sembra neanche di meritarla.» Le parole di Boromir quasi vennero interrotte dall'abbraccio di Frodo, e qualsiasi cosa fu inutile per fermare il pianto liberatorio che aveva cercato di bloccare.

Si salutarono pochi istanti dopo, forse imbarazzati per quel gesto eppure con un peso in meno sul cuore. Lo Hobbit si congedò, intenzionato a camminare ancora un po' prima di tentare di dormire. Boromir, d'altro canto, non aveva nessuna voglia di chiudere occhio: prima era troppo eccitato dall'idea dell'incoronazione di Aragorn, ora doveva raccontare a qualcuno dell'immensa gioia che provava nell'aver chiarito ogni malinteso e ogni colpa con Frodo. Era più che sicuro che se avesse incontrato Pipino o Merry avrebbero iniziato a saltare e a ballare, facendo un gran chiasso e svegliando mezzo esercito. Ma per fortuna i due Hobbit russavano già da qualche ora, così Boromir si diresse a grandi passi verso la tenda di Brethil, da cui proveniva la tremula luce di una candela.

«È permesso?» domandò a bassa voce. Scostò la tenda appena lei gli rispose e qualsiasi cosa stesse per dire fu fermata da ciò che vide. Aragorn doveva averle consegnato la nuova divisa, era evidente; ma vederla piegata in un fagotto e poterla osservare sul corpo della legittima proprietaria erano due cose diverse. E Brethil gli apparve più bella che mai, anche senza i capelli acconciati e un abito sontuoso.

«Non è troppo... troppo

Boromir si crucciò. «Cosa vuol dire "troppo troppo"?»

«Per me, intendo. Non è troppo?» ripeté lei, indicando i suoi vecchi abiti. «Non ho mai indossato una divisa così bella. Anzi, non ho mai indossato una divisa, che è ben diverso. A parte il mantello e questa.» aggiunse, sfiorando la spilla che ora le teneva fermo il lungo e pulito mantello blu.

«È adatta al tuo valore, Brethil. E al ruolo che coprirai tra qualche ora.» le rispose, avvicinandosi ed accarezzandole le braccia per riscaldarla con un po' di conforto. «Gondor non vedrà Prima Guardia del Re più nobile di te, credimi.»

«Tu sapevi e non mi hai detto niente?» Brethil prese un respiro profondo, sorridendo mestamente. «Credo che mi ci dovrò abituare. Ma almeno è meglio di quell'orribile abito che mi costrinsi ad indossare.»

«Orribile? Lo scelsi di persona!»

«Allora lascia che ti dica che hai un pessimo gusto, Boromir. Aragorn dovrebbe darti qualche lezione in proposito.»

Si osservarono in cagnesco per qualche istante, ma non durò a lungo. Entrambi risero, trattenendo il volume della loro ilarità per non svegliare i vicini di tenda.

«Sei bellissima, Brethil. Davvero.»

Lei abbassò il capo, arrossendo, e gli diede le spalle con la scusa di dover recuperare qualcosa che gli apparteneva. Prese uno scrigno e glielo porse. «Un giorno ti dissi che qualsiasi oggetto rotto sarebbe potuto essere riparato, così come Andúril nacque dai frammenti di Narsil. Oggi vedrai che avevo ragione.»

Boromir prese il regalo con riverenza, sentendo distintamente il cuore iniziare a galoppare per l'emozione. Sì, ricordava bene quel giorno, così come tutti quelli che avevano trascorso insieme. Lui si era adirato, perché l'oggetto di cui stavano parlando non era un cimelio di poco conto, ma uno dei simboli della Casa dei Sovrintendenti. Eppure, eccolo lì, il Corno di Gondor! Un tempo spezzato in due dall'infuriare della battaglia sui colli di Amon Hen, ora nuovamente riportato all'antico splendore. Le giunture in cui si era rotto erano pressoché invisibili, segno dell'ottimo lavoro di artigianato, e sorrise come un bambino. Spostò lo sguardo dal corno alla donna, incredulo. «Quando...?»

«Durante la mia convalescenza mi son fatta degli amici a corte.» rispose lei, pensando al buon Beregond. «Sottovaluti troppo l'amore e la bravura del tuo popolo, Boromir. Elladan ed Elrohir hanno fatto il resto.»

Il sorriso dell'uomo s'ingrandì così tanto che si ritrovò a ridere per la felicità. Avrebbe voluto suonarlo per condividere la gioia, ma dovette rimandare. Accarezzò il viso della donna con riverenza e le baciò la fronte. «Dove ti tenevano nascosta, Brethil?» le chiese, abbracciandola. «Prima salvi la mia vita e la mia anima, e ora anche uno degli oggetti a cui tengo di più. Devi essere necessariamente un dono dei Valar.»

Lei scosse il capo, nascondendo a stento il piacevole malessere che provò nell'udire quelle parole e nello stare tra le sue braccia. «Faccio solo ciò che è in mio potere per rendere felici le persone che amo.»

Boromir sorrise e si allontanò un poco, per guardarla, assorto nei suoi pensieri. Si disse che quello che stava per fare non fosse razionale, che per quanto vi avesse rimuginato non era ancora giunto ad una conclusione. Eppure quelle ultime parole gli avevano dato quell'incentivo in più che gli diede la forza di parlare, di agire. Si schiarì la gola e s'inumidì le labbra, visibilmente nervoso. Non si era mai trovato in una situazione simile e per quanto fosse pronto ad affrontare qualsiasi tipo di battaglia - anche uno contro cento! - nessuno lo aveva addestrato ad un momento simile. Chi avrebbe dovuto farlo, purtroppo, aveva lasciato quelle terre troppo presto. Tuttavia si diede mentalmente la carica e finalmente parlò. «Ci sarebbe una cosa che desidererei chiederti, Brethil.»

Lei annuì. «Qualsiasi cosa per il Sovrintendente di Gondor.»

Boromir sorrise, sollevando una mano verso la guancia sfregiata di lei e accarezzandola un po' rozzamente. I polpastrelli callosi e ruvidi di lui la fecero rabbrividire, ma Brethil non osò muoversi, con il timore di compiere qualche sciocchezza o semplicemente di rovinare quell'assoluto momento di perfezione.

«Molto bene.» esordì lui, rizzando la schiena e assumendo un'espressione seria che, per un attimo, la fece vacillare nell'incertezza. «Hai ben detto, sono il Sovrintendente di Gondor, ed è un ruolo assai pesante.»

«Sono certa che saprai come compiere il tuo lavoro, Boromir.»

«Sì, non ne dubito nemmeno io.»

Brethil sorrise di fronte alla sua sfrontatezza, ma continuò ad ascoltarlo senza interromperlo ulteriormente; aveva la netta sensazione che stesse girando intorno ad una questione importante che lo innervosiva parecchio, e questo non faceva altro che alimentare la sua curiosità e la sua tensione.

«Eppure,» continuò l'Uomo «anche il più grande dei Re ha bisogno del suo consigliere più fidato. Io non sarò mai Re, ma avrò bisogno della mia coscienza per evitarmi di compiere sciocchezze in futuro.» Boromir sorrise nel vedere la perplessità in quegli occhi grigi. «Per questo motivo ti chiedo, Brethil figlia di Aeglos, di farmi l'onore di diventare mia moglie, cosicché possa avere la Coscienza che cerco sempre al mio fianco. Perché sei diventata importante quanto l'aria che respiro, e ti amo. Ma se questo sentimento non è ricambiato allora accetta le mie scuse.»

Brethil non assimilò subito il significato di quelle parole finché non si accorse che gli occhi dell'Uomo attendevano impazientemente una risposta. Strinse le labbra, contrariata dal fatto che le sue corde vocali non la stessero aiutando a dovere, né il suo cervello osasse formulare una risposta immediata. Perché era troppo scioccata dalla proposta di Boromir eppure lusingata che venne travolta da una profonda confusione. Non aveva mai preso in considerazione l'idea di sposarsi, un giorno, perché non credeva che la sua vita gliene avrebbe dato la possibilità. Non aveva abbandonato il sentiero che aveva iniziato a percorrere da piccola, ma stava semplicemente prendendo una via che lo affiancava e che a sua volta le apriva numerose possibilità. Il matrimonio, per la Prima Guardia de Re, era concesso?

Brethil socchiuse le labbra per parlare, ma quando si rese conto che non avrebbe avuto la forza di pronunciare neanche la sillaba più semplice che conoscesse, fece l'unica cosa che le riuscì. E il bacio che i due si scambiarono, quella notte di fine Aprile, fu solo il primo di una numerosa serie.

 

 

 

 

*

 

Spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto. Io sono un po' spaventata, perché ci sono numerosi passaggi che mi hanno dato parecchie rogne - vi avevo avvisati di dare le colpe a Boromir e Frodo! Quattro giorni solo per scrivere la loro scena, non è normale.

Ci leggiamo la settimana prossima, con i ringraziamenti vari ed eventuali.

Grazie per tutto a tutti voi che siete la fuori!

Un abbraccio,

Marta.

 

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: kenjina