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Autore: Sabry93    11/08/2012    6 recensioni
I momenti più significativi della vita di Sherlock e John.
Dal testo:
“Qualunque cosa sia successa sei un idiota”
“Cosa ti fa credere che sia stata colpa mia?” chiese Sherlock appena con un filo di voce.
“Perché è sempre colpa tua!” rispose John che cominciò ad aprirgli la camicia per analizzare le ferite. [...]
Sherlock posò la sua mano su quella dell’altro e gliela strinse appena e sorridendogli gli disse “Andiamo a letto”. La mattina dopo Sherlock si svegliò sul fianco sinistro con il braccio di John che gli cingeva la vita e la mano posata sulla sua.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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For better or worse





Questa storia (come tutte le storie) inizia in modo semplice, inizia con un uomo: un terrestre per l’esattezza, che non conosce il suo destino più di quanto una foglia di the conosca la storia della compagnia delle Indie; il suo nome è John Watson.(1)
Erano già passati otto da quando si erano conosciuti lui e Sherlock, si erano messi insieme un paio di mesi dopo il ritorno dalla morte di Sherlock.
I tre anni peggiori della sua vita, anche peggio degli anni passati in guerra e guardare i propri commilitoni e amici morire davanti ai suoi occhi, tre anni passati come un corpo vuoto senza più un’anima, cercare di sopravvivere e sperare invano in un suo ritorno, sperare che tutto fosse un brutto sogno, passati a piangere sulla sua tomba (una tomba vuota) e alla fine ritrovarselo in casa come se nulla fosse successo, come se fosse uscito appena un’ora prima per andare a risolvere qualche caso estremamente semplice.
Lo aveva picchiavo, con un bel pugno gli aveva addirittura rotto il naso, e poi lo aveva medicato come faceva sempre quando tornavano da qualche indagine un po’ pericolosa, resa ancora più pericolosa dall’incoscienza di Sherlock.
Durante il primo mese non gli aveva quasi rivolto la parola, lo faceva solo se strettamente necessario e non lo aveva accompagnato sulle scene del crimine, fino a quando un evento lo aveva fatto riflettere e tutto era cambiato.
John era in salotto intento a leggere un buon libro quando vide apparire sulla porta di casa Sherlock tutto insanguinato e che arrancava cercando di arrivare al divano per potersi sdraiare. Il dottore sentì il proprio cuore fermarsi: gli ritornarono alla mente un marciapiede e Sherlock steso a terra in una pozza di sangue, sentì i suoi occhi pizzicare e un grosso groppo un gola che preannunciava il suo imminente scoppio in un pianto ma da buon soldato seppe trattenersi e dopo aver fatto un profondo respiro e aver sentito il cuore ricominciare a battere in maniera più o meno regolare , gli corse incontro e lo aiutò ad arrivare al divano e a sdraiarsi.
“Qualunque cosa sia successa sei un idiota”
“Cosa ti fa credere che sia stata colpa mia?”  chiese Sherlock appena con un filo di voce.
“Perché è sempre colpa tua!” rispose John che cominciò ad aprirgli la camicia per analizzare le ferite.
Andò a prendere il kit del pronto soccorso e cominciò a pulire e disinfettare le ferite: non erano molto profonde e nemmeno molto gravi, tutte tranne un taglio provocato da un coltello all’altezza del collo. Quel taglio se fosse stato fatto appena tre centimetri più in su avrebbe reciso l’arteria carotide e l’avrebbe portato alla morte in pochi minuti per dissanguamento.
Questo, oltre che fargli mancare un battito lo fece riflettere, si passò le mani sulla faccia e poi le posò sulle sue gambe, con lo sguardo basso e la voce un po’ tremante disse “Sono uno stupido, un idiota! Ho passato tre dannati anni a desiderare di riaverti con me, poterti dire tutte quelle cose non dette che ci sono tra di noi, di poterti abbracciare almeno una volta e da quando sei tornato non ho fatto altro che odiarti e non rivolgerti la parola. Mi è stata data una seconda possibilità e io la sto buttando al vento per colpa del mio maledetto orgoglio e c’è voluto il rischio di perderti un’altra volta per farmelo capire. Mi dispiace”
Sherlock era sempre stato una frana con i sentimenti, non erano la sua area, ma in quel momento, nel vedere John stare così male ed essere così spaventato al solo pensiero di perderlo ancora,  provò una profonda tristezza e un dolore lancinante in mezzo al petto, all’altezza del cuore. Quel cuore di ghiaccio che si era costruito in tanti lunghi anni e con così tanti sforzi si stava velocemente sciogliendo a causa di un comune John Watson, il suo John. Man mano che quel ghiaccio si scioglieva rivelava un cuore vero, fatto di arterie, vene e ventricoli ma soprattutto calore e sentimenti, quei sentimenti che aveva sempre cercato di assopire dentro di sé perché ritenuti uno svantaggio e non portavano mai a nulla di buono.
“Mi dispiace per ciò che ti ho fatto passare, John. Perdonami.” John sapeva che quelle parole erano costate un’immensa fatica al suo amico, sia per le ferite ma soprattutto per il semplice fatto di chiedere scusa, che non era un’azione che Sherlock compiva tutti i giorni.
Da quel giorno le cose cominciarono a migliorare tra i due: ricominciarono a parlarsi e a bisticciare come un tempo, John riprese ad accompagnarlo nei casi e piano piano ricominciarono anche a ridere insieme.
Nell’arco di un paio di mesi il loro rapporto tornò come un tempo, se non addirittura più intenso.
 
 
Il loro primo bacio era stato un po’ un disastro.
Una sera erano andati a cenare da Angelo, solito tavolo, solita candela (John aveva smesso da tempo di obbiettare sul fatto di essere il ragazzo di Sherlock), soliti piatti; era una cena normale come tante altre in precedenza, ma quella volta John bevve più vino del solito trovandolo particolarmente buono; man mano che la serata proseguiva l’alcool entrava in circolo, John si sentiva più rilassato e la mente svuotarsi.
Quando tornarono al 221B di Baker Street, Sherlock dovette aiutarlo a salire le scale che portavano al loro appartamento, non era ubriaco perché non ne aveva i sintomi ma il disturbo del coordinamento dei movimenti faceva presumere che fosse in stato di ebbrezza.
Quando entrarono nell’appartamento John era ancora aggrappato a Sherlock in un goffo abbraccio e a nessuno dei due quel contatto dispiaceva, lo trovavano quasi rilassante, infatti né il detective né il dottore provò ad allontanarsi, anzi John sistemò meglio la sua testa nell’incavo del collo dell’altro e passò le braccia attorno alla vita tenendole strette.
“Che stai facendo?” disse Sherlock rigido a quel contatto inaspettato.
“Sono comodo qui e poi profumi di buono, come sempre”
“John, sei ubriaco. È meglio se vai a letto”
“No, non lo sono! Però il letto non è una brutta idea, vieni con me?” chiese John sempre tenendo la faccia premuta contro Sherlock.
Sherlock arrossì appena un po’ all’idea di andare a letto con John “Ti rendi conto di quello che mi hai appena chiesto? Se tu non fossi ubriaco non ti saresti mai sognato di chiedermi qualcosa del genere quindi non dire che non sei ubriaco perché non è vero, ok, forse sei più in stato di ebbrezza dato che normalmente reggi bene l’alcool e vista la quantità che ne hai bevuto stasera, ci sono tutti i segni” John alzò la testa e lo guardò negli occhi con uno sguardo stranito, come quello di un bambino quando non riesce a capire qualcosa che agli occhi di un adulto può risultare così semplice, non aveva capito una parola di quello che gli aveva detto ma dalla velocità e dalla gran quantità di parole che erano appena uscita da quella bocca doveva essere una delle sue brillanti deduzioni, a John scappò un sorriso e tutto quello che riuscì a dire fu “Sei bello quando fai le tue deduzioni” e dopo averlo fissato per un paio di secondi  “Devi tagliarti i capelli, sembrano tanti piccoli e buffi animaletti(2)”
Sherlock stava cominciando a divertirsi nel sentire i deliri provocati dall’alcool del suo amico ma quando John posò le sue labbra su quelle del detective in un goffo bacio a stampo, appena un leggero tocco di labbra,  Sherlock restò immobile non sapendo che fare, non credeva che la serata avrebbe preso questa piega, a dir la verità non credeva che nessuna serata avrebbe preso questa piega ma il bacio di John gli aveva fatto accelerare il cuore e dilatare le pupille, gli era piaciuto e voleva rifarlo.
Gli posò una mano sulla guancia sfiorando lo zigomo con il pollice e lentamente gli si avvicinò finché le loro labbra non furono di nuovo a contatto. John tenne gli occhi chiusi fin dal momento in cui Sherlock gli accarezzò la guancia, beandosi di quel contatto tanto agognato e così dolce, strofinando un po’ la guancia contro la mano del detective, Sherlock invece tenne gli occhi aperti fino all’ultimo con il timore che John potesse allontanarlo.
Inizialmente fu solo un bacio casto e tranquillo, un muoversi di labbra, quelle di John erano sottili e dolci mentre quelle di Sherlock piene e invasive, ritraevano perfettamente il carattere dei due uomini. La mano che fino a un attimo prima accarezzava la guancia di John passò sulla sua nuca e l’altra andò a posizionarsi  sui suoi capelli, quei capelli fini e di quel colore biondo che adorava, gli dava  una sensazione meravigliosa sentirli fra le sue lunghe dita sottili. Le mani di John invece andarono a posarsi sui fianchi di Sherlock e in seguito sulla sua schiena, aveva un corpo così magro che poteva sentire sotto le proprie dita, attraverso la sua camicia viola, tutte le costole e le vertebre, ma oltre ad essere molto magro era anche molto muscoloso e gli dava un senso di protezione.
Quando entrambi cominciarono a rilassarsi sentirono la passione crescere dentro di loro e il desiderio di essere sempre maggiormente a contatto con l’altro, Sherlock mordicchiò appena il labbro inferiore di John e gli passò la punta della lingua sulle labbra, in risposta il dottore le dischiuse ed andò a cercare la lingua dell’altro con la sua, era una danza di labbra e lingue che avrebbero continuato all’infinito; non esisteva più niente in quel momento, solo Sherlock e John e il loro bacio, il primo bacio.
Quando si staccarono per pura carenza d’ossigeno si guardarono un attimo negli occhi ed entrambi non videro più la rabbia,  la tristezza,  il risentimento,  la paura che li avevano accompagnati negli ultimi mesi, videro solo l’amore che provavano reciprocamente e si sorrisero.
“Sì, sono decisamente ubriaco. La proposta di venire a letto con me è ancora una cattiva idea?” chiese John con un sorrisetto malizioso mentre dava un’occhiata al proprio inguine e a quello dell’altro.
“Vai a dormire, John. Buonanotte” rispose Sherlock cercando di mantenere la calma e non lasciarsi sopraffare dall’istinto. Per quanto volesse andare a letto con lui (anche solo per dormire) non voleva né farlo mentre uno dei due era ubriaco, né voleva trovarsi lì quando si sarebbe svegliato la mattina seguente e avrebbe preso coscienza di quanto accaduto o peggio se si fosse pentito. Conoscendo John la mattina seguente sarebbe stata un inferno anche senza trovarsi nel letto accanto a lui.
 
La mattina successiva John si svegliò con un mal di testa lancinante ma con le immagini del bacio della sera prima ben impresse nella mente e tutto quello che il suo normodotato cervello riuscì a formulare a quel ricordo fu “Oh cavolo!” riordinò le idee per un attimo e scese dal letto, si fece la doccia e si vestì.
Scese le scale per recarsi in cucina per la colazione e trovò Sherlock sul divano, scese un pesante imbarazzo tra i due. John fece un respiro profondo e ruppe il silenzio “Buongiorno” l’altro rispose con un mugolio, era rimasto sveglio tutta la notte a cercare di darsi una spiegazione per il bacio ma soprattutto voleva sapere perché gli era piaciuto così tanto e quali effetti aveva avuto quello stimolo sul suo corpo.
John si avvicinò al divano lentamente cercando di pensare a cosa dire, perché sapeva che sarebbe toccato a lui parlare di quanto successo, e cercare di dire le cose giuste per non essere frainteso “Senti..m-mi dispiace per ieri sera.. soprattutto per quello che ti ho chiesto” fece una pausa riflessiva “Però..di una cosa non mi sento minimamente pentito..” lasciò la frase in sospeso nel tentativo di attirare l’attenzione di Sherlock e sperare che ci arrivasse da solo “E quale sarebbe?”  come non detto, John non capiva se lo stesse facendo di proposito o se non ci arrivava sul serio, per qualsiasi altro argomento avrebbe sicuramente pensato alla prima ipotesi e scartato a priori la seconda ma trattandosi di sentimenti e argomenti simili entrambe le ipotesi erano adatte e statisticamente probabili in egual misura quindi prese un bel respiro e si buttò  “Beh.. il bacio disse John tutto d’un fiato e con il cuore che gli martellava nel petto.
“Oh –si schiarì la gola- va bene” John si passò le mani sul viso, voleva finire quella conversazione il più presto possibile o morire all’istante magari di combustione umana spontanea, anche se in quel caso sicuramente Sherlock avrebbe utilizzato i residui del suo corpo per degli esperimenti.
“D’accordo, facciamo finta che non sia mai successo..cerca di dimenticarlo, fai come con il sistema solare! Chissà che diavolo mi è preso” imbarazzato oltre ogni limite John si avviò verso la cucina con l’intento di soffocare i suoi dispiaceri in una buona tazza di the e in tanta marmellata, ma prima che potesse raggiungere la cucina una mano gli afferrò il polso e glielo tirò per farlo girare di nuovo verso il salotto, non fece in tempo a rendersi conto di quello che stava succedendo che le labbra del detective erano sulle sue.
Venne preso alla sprovvista e quando stava per rispondere al bacio l’altro si staccò appena poggiando la fronte contro quella del dottore e con i loro nasi che si sfioravano “Non mi pento mai di quello che faccio, John” Sherlock si staccò da lui e tornò al suo divano e a qualsiasi cosa stesse facendo prima mentre a John si formò un gigantesco sorriso da ebete sulla faccia che lo accompagnò per quasi tutto il giorno insieme alla consapevolezza che ubriacarsi non porta inevitabilmente a qualcosa di male.
 
Da quel giorno si ritennero una coppia, almeno John la pensava così. Non se lo erano mai detto apertamente ma i baci che di tanto in tanto si scambiavano nel loro appartamento e quei rari momenti di coccole che John riusciva a rubargli erano una prova tangibile della loro relazione.
Fuori dal 221B di Baker Street, in particolar modo a lavoro, non cambiò nulla. Entrambi volevano tenere le loro vita privata...beh, privata, ma a Scotland Yard tutti si accorsero che tra loro qualcosa era cambiato: la costante vicinanza dei loro corpi, lo sfiorarsi reciproco anche più del necessario e i loro sguardi molto più intensi erano chiari segni, evidenti anche al più idiota degli Yarder come Anderson. Tutto questo però non comprometteva in alcun modo il lavoro di Sherlock e le sue deduzioni, sempre e costantemente brillanti, per cui nessuno gli diede troppa importanza, era uno dei tanti gossip che nel giro di poco tempo avrebbero smesso di interessare.
Avevano deciso di andarci piano e non corre nella loro relazione visto che era la prima volta per entrambi:  John era sempre stato un eterosessuale convinto ed era la prima volta che provava qualcosa di così forte per un uomo, per Sherlock era la prima volta e basta.
 
Da quando Sherlock era tornato, John non era solito fare incubi, ma alcune notti i fantasmi dell’Afghanistan e quelli della caduta tornavano a fargli visita e solitamente si svegliava nel momento più terribile: quando gli sparavano e poteva sentire il proiettile trafiggergli la carne ed entrare nella spalla sinistra, continuare la sua traiettoria fino ad uscire dalla parte opposta lasciandogli un foro più grande di quello d’entrata ed un dolore indescrivibile; oppure quando il suo migliore amico gli diceva quelle ultime due parole‘Goodbye, John’  e un attimo dopo apriva le braccia e si lasciava cadere giù da quel palazzo, un gesto che nei suoi incubi durava un’eternità ogni volta mentre nella realtà era successo tutto in pochi secondi e tutto sotto i suoi occhi e la sua incapacità di fare qualcosa per evitargli quel crudele destino.
In quelle notti terribili si svegliava con un grido o chiamando il nome dell’amico, in cuore che voleva saltargli fuori dal petto, la fronte imperlata di sudore  e una lacrima che gli scendeva piano lungo la guancia mentre le altre venivano trattenute chiudendo stretti gli occhi per non farle scappare, come era solito fare da buon soldato.
Erano passati alcuni giorni dal loro primo bacio e quella notte John ebbe un incubo, quello della caduta.
Si svegliò si soprassalto verso le tre del mattino gridando il nome di Sherlock che apparve pochi secondi dopo davanti alla porta della sua stanza con un’espressione preoccupata sul volto.
Sherlock rimase a guardarlo per un paio di secondi e nel frattempo la sua mente aveva già elaborato tutti i dati ed era arrivato all’unica soluzione: incubo.
“John? Stai bene?” chiese Sherlock con tono incerto, l’altro si limitò ad annuire. Il detective si avvicinò lentamente al letto e si sedette accanto a lui posando la mano sopra quella del dottore.
John sapeva che quello era il suo modo di confortarlo e gli si formò un piccolo sorriso che non scappò agli occhi sempre vigili di Sherlock che in risposta gli strinse maggiormente la mano. “Resti qui stanotte?” chiese John quando si fu calmato un po’ .
“Va bene”.
Sherlock si alzò, fece il giro del letto e si mise sotto le coperte nella parte di letto libera, John gli si avvicinò, appoggiò la testa sulla sua spalla e passò un braccio sul suo petto in un abbraccio dolce ma al tempo stesso forte, non lo avrebbe lasciato mai più per nessuna ragione al mondo, ora che era tornato ed era suo non avrebbe permesso a nessuno di portarglielo via di nuovo anche a costo della sua stessa vita e tutto questo voleva trasmetterglielo con quell’abbraccio e affondando il viso nella sua maglia respirando a pieni polmoni il suo profumo.
Sherlock, che doveva aver ricevuto il messaggio, prese la mano di John e se la porto alla bocca dove cominciò a baciargli il palmo. John rimase un attimo sorpreso di questo gesto non proprio da Sherlock, alzò la testa per poterlo guardare in faccia e gli chiese “Che stai facendo?”
“Che domanda stupida. Sto baciando la tua mano, ovvio.” John fece un enorme sorriso e gli posò un leggero bacio sul collo proprio sopra la giugulare e sotto le sue labbra sentì il suo battito cardiaco lievemente accelerato, dopodiché si risistemò sulla sua spalla. Dopo un paio di minuti, avvolto dal calore del corpo di Sherlock cadde in un sonno sereno e senza sogni, ma soprattutto senza incubi, mentre il detective rimase a vegliare per tutta la notte sul suo dottore assicurandosi che nessun incubo potesse turbare la serenità del suo sonno.
Da quella notte iniziarono a dormire insieme, quando Sherlock non era troppo occupato con un caso, a fare esperimenti o rimuginare su qualcosa che attirasse la sua attenzione, però quasi ogni notte, quelle che non passava a dormire con lui, si affacciava sulla porta della camera da letto di John e lo guardava  dormire per un po’ assicurandosi che non avesse più incubi.
Il suo cuore di ghiaccio si stava sciogliendo sempre di più, non erano rimasti che pochi resti di quel duro cristallino trasparente fatto d’acqua allo stato solido  e piccole scintille cominciavano a formarsi nel suo petto che prima o poi si sarebbero trasformate in un fuoco, quello dell’amore e della passione che provava per quel piccolo soldato, un semplice dottore con un’intelligenza nella norma ma con qualità speciali come essere un ottimo stimolante del suo genio, proprio come gli aveva rivelato a Baskerville, ma soprattutto la sua più grande qualità era quella di avere un cuore enorme: era sempre gentile con tutti, dolce, buono anche con chi non se lo merita, molte volte e in primo luogo con Sherlock ,ma in particolar modo per non aver gettato subito la spugna con lui a differenza di tutti gli altri catalogandolo subito come quello strano, il sociopatico e psicopatico e per  aver cercato di conoscerlo e di capire cosa c’era oltre quella buffa testolina riccioluta.
Per questo e per molto altro gli doveva tanto, lo aveva reso un essere umano migliore ma questo non lo avrebbe mai ammesso, il suo orgoglio non glielo permetteva.
 
Un paio di notti dopo John si svegliò verso le quattro del mattino e Sherlock non era venuto a dormire, era la terza notte di fila che non veniva a letto, quindi non dormiva da tre giorni, ancora John si chiedeva come riuscisse a stare sveglio per più di settantadue ore e non sentire minimamente la stanchezza o il bisogno fisico di dormire.
Curioso di quello che il grande detective stesse facendo si alzò e si recò in salotto.
Mentre scendeva si rese conto che qualcosa non andava, c’era troppo silenzio nell’appartamento e Sherlock non era noto per il suo carattere calmo e tranquillo, tutto il contrario, perciò si preoccupò un poco ma tutte le preoccupazioni scomparvero quando notarono una figura sdraiata sul divano vestita del suo pigiama e della sua amata vestaglia azzurra aperta che scendeva leggermente giù dal divano: Sherlock stava dormendo.
Per quanto Sherlock avesse allenato il suo cervello a rimanere costantemente sveglio e vigile era consapevole che dopo più di tre giorni si è a rischio Lapses: veri e propri micro sonni dove parti del cervello decidono di “spegnersi” per riposarsi, questo comprometterebbe le sue funzioni cognitive e evidentemente aveva deciso di dare un po’ di tregua alla sua amata mente.
John sorrise inconsapevolmente guardando il petto del suo amico alzarsi e abbassarsi in modo calmo e rilassato, non avrebbe mai voluto svegliarlo ma era in una posizione scomodissima e sicuramente la mattina seguente si sarebbe lamentato con lui fino allo stremo per qualche muscolo indolenzito.
Si sedette in quel poco spazio di divano all’altezza del fianco dell’altro, gli andò a spostare una ciocca ribelle di capelli che cadeva sulla fronte e lo chiamò quasi sussurrando. L’altro per tutta risposta face un grugnito e non ebbe la minima intenzione di aprire gli occhi. John riprovò a chiamarlo un paio di volte ma non ottenne alcuna risposta e decise che c’era una sola soluzione, la più drastica e pericolosa, ma era necessaria!
“Sherly..” questi aprì di colpo gli occhi e fece sobbalzare il dottore per la sorpresa e lo scatto improvviso, non era ancora abituato a ritrovarsi quei due diamanti che aveva al posto degli occhi così vicini e che lo guardavano, anzi analizzavano, probabilmente non se ne sarebbe abituato mai.
Sherlock socchiuse gli occhi e gli scoccò uno sguardo fulminante “Se mi chiami ancora così la prossima volta che mi annoierò non userò il muro come bersaglio ma te”
“Non lo faresti mai”
“Dottore, non sfidarmi..potresti pentirtene”
“Ma come sei permaloso! E comunque era in senso affettuoso” John incrociò le braccia al petto e si imbronciò. Sherlock lo guardò un attimo: fronte corrugata, labbro inferiore un po’ in fuori rispetto a quello superiore, gli scappò un sorriso nel vederlo così fintamente imbronciato, proprio come faceva lui quando era in vena di capricci “E poi sono io il permaloso eh? Beh.. perché mi hai svegliato, ti lamenti sempre che non dormo abbastanza, cos’è hai cambiato idea?”
“Assolutamente no, tu DEVI dormire!” abbassò lo sguardo posandolo sull’orlo della maglia del detective che improvvisamente divenne il dettaglio più interessante, e sentì un enorme calore affluirgli alle guance per quello che stava per dire “è che sembravi così scomodo e ho pensato che se venivi a letto stavi più comodo e dormivi meglio..e anch’io..”
Era bello vedere il suo dottore così rosso e imbarazzato, ma dovette ammettere che l’idea di dormire con John non gli dispiaceva, anzi, era diventata la sua parte preferita della giornata anche se non sempre poteva permettersi il lusso di dormire o rimanere a letto a guardare John dormire, il suo cervello non glielo permetteva ripeteva continuamente “Datemi lavoro, datemi problemi”(3).
Sherlock posò la sua mano su quella dell’altro e gliela strinse appena e sorridendogli gli disse “Andiamo a letto”.
La mattina dopo Sherlock si svegliò sul fianco sinistro con il braccio di John che gli cingeva la vita e la mano posata sulla sua. Il detective cominciò delicatamente a muovere la propria mano facendo piccole carezze a quella dell’altro, le punte delle dita che cominciarono a cercare gli spazi tra le dita della mano di John ma sempre utilizzando un leggero tocco che l’altro sembrava apprezzare molto perché si fece più vicino, poteva sentire il suo respiro caldo e ancora piuttosto regolare sul proprio collo, e cominciò a rispondere a quelle piccole carezze e a ricercare la sua mano per intrecciarla ma senza farlo realmente, sembrava una danza, la loro danza: quel prendersi e rincorrersi che li caratterizzavano nella vita ora lo avevano trasmesso alle loro mani.
John si avvicinò ancora di più al corpo dell’altro e gli posò un dolce bacio sul collo, Sherlock girò di scatto il volto verso quello di John che se lo ritrovò a pochi centimetri dal suo e che lo guardava con il terrore di essere andato troppo oltre, di averlo spaventato e d’aver rovinato tutto.
Rimasero a guardarsi così per un paio di secondi, occhi negli occhi: quelli blu profondi di John incatenati su quelli azzurro intenso di Sherlock, le loro mani ancora una sopra l’altra. Sembrava si stessero studiando, pensando a cosa sarebbe stato giusto fare e cosa no, finché finalmente la loro passione scoppiò in un bacio mozzafiato.
Non era un bacio dolce e casto come quelli che si erano scambiati, era appassionato, quasi violento con le lingue che si cercavano e si rincorrevano e con piccoli morsi alle labbra di tanto in tanto.
John durante il bacio si mise a cavalcioni sul corpo del detective con le mani sugli zigomi affilati, le mani di Sherlock invece vagavano sulla schiena di John finché una non si intrufolò sotto la maglia del pigiama e fu a contatto con la sua pelle bollente.
Quando si staccarono da quel bacio così intenso che nessuno dei due aveva mai sperimentato si guardarono negli occhi e entrambi videro il desiderio e l’amore che provavano per l’altro “Sei sicuro?” chiese John.
Sherlock annuì prima di riappropriarsi delle sue labbra.
Quella mattina fecero l’amore per la prima volta e capirono che nessuno dei due avrebbe più potuto vivere senza l’altro.
 
A pomeriggio inoltrato Sherlock si era appena seduto sulla sua poltrona con una bella tazza di caffè in mano, nero con due zollette come piaceva a lui, e con indosso solo una vestaglia nera decisamente un po’ troppo piccola per la sua altezza, gli arrivava a metà coscia e con le maniche che gli arrivavano all’avambraccio, era quella di John.
Non sapeva perché si era messo quella del dottore anziché la sua ma aveva il buon profumo di shampoo, bagnoschiuma e the che caratterizzavano il suo John.
Stava bevendo il primo sorso del suo caffè quando John entrò in salotto con la sua vestaglia di seta azzurra, sembrava un bambino con i vestiti del padre(4): la lunga vestaglia gli arrivava fino ai piedi, le maniche erano arrotolate affinché non coprissero le mani e la spalla sinistra, quella con la cicatrice, era nuda perché a causa della grandezza del capo d’abbigliamento non riusciva a non scivolargli giù scoprendo parti del suo corpo da soldato che in quella mattinata aveva toccato, baciato, morso in ogni suo centimetro.
“Sherlock..Ridammi la mia vestaglia”  disse John cercando di mantenere la calma e soprattutto cercando di coprirsi più che poteva con quella vestaglia che non ne voleva sapere di restare ferma e coprirlo alla bell’e meglio.
“Perché? Sei così carino nella mia” gli rispose con uno sguardo e un sorrisetto malizioso.
John alzò gli occhi al soffitto e rassegnatosi tornò in camera a vestirsi con uno dei suoi maglioni preferiti  color crema e un paio di jeans.
Quando tornò in salotto evitò di guardare il detective per non ricadere in pensieri impuri visto che quella vestaglia copriva il minimo indispensabile di quel corpo perfetto che fino a un paio d’ore prima era sotto il suo e completamente nelle sue mani, si diresse in cucina e cominciò a prepararsi il the.
Quando fu pronto prese la sua tazza e andò a sistemarsi sulla sua poltrona, davanti a quella occupata da Sherlock, con il computer sulle gambe per aggiornare il blog con alcuni casi che non aveva ancora avuto il tempo di raccontare i suoi lettori.
Stettero un silenzio per un paio di minuti, non era un silenzio imbarazzato o di chi non sapeva cosa dire, era un silenzio tranquillo e rilassato dove non c’era bisogno di dire nulla e cercare di godersi la presenza dell’altro, fu il detective che ruppe quel momento schiarendosi la voce, parlando con tono timoroso e alzando lo sguardo sul suo “I miei livelli di dopamina, serotonina e ossitocina aumentano quando sto con te”
John lo guardò con occhi straniti e corrugando la fronte non capendo all’istante le sue parole, si mise a cercare nella sua capanna mentale (non poteva certo paragonarlo al palazzo mentale del suo coinquilino) gli effetti provocati dai tre neurotrasmettitori  appena citati ed ebbe l’illuminazione.
Sherlock aveva abbassato lo sguardo e le guance gli si erano tinte di un rosa tenue che risaltava sulla sua pelle diafana, John gli sorrise e disse “Ti amo anch’io” .
 
Il giorno di San Valentino era sempre stato considerato da Sherlock una festa inutile e noiosa, anche se non era un esperto di sentimenti capiva che quella era una festa creata all’insegna del consumismo per comprare inutili regali e bigliettini al partner che sarebbero stato cestinati dopo poco tempo, quello che provava per John lo provava tutto l’anno non solo quel giorno quindi non vedeva il motivo per cui quel giorno dovesse essere tanto speciale. Sapeva però che essendo John una persona normale avrebbe desiderato un regalo che gli comunicava quello che provava per lui perciò si costrinse a fare un’eccezione per il suo buon dottore e si mise a pensare a un regalo adeguato ‘Cosa regala la gente normale? fiori? no, non adatti per un uomo; cioccolatini? noiosi; cena fuori? andiamo sempre da Angelo non sarebbe una novità; anello? assolutamente no’ stava quasi per rinunciare dato che non riusciva a trovare niente di adatto e che sicuramente John avrebbe capito che queste cose non gli interessavano quando un pensiero gli si formò nella mente ‘se dovessi fargli un buon regalo lui poi potrebbe..’ le immagini che la sua mente geniale gli presentò non erano decisamente adatte a uno che fino a sei mesi prima era chiamato “Verginello” così prese la sua decisione.
Prese velocemente il cappotto e la sciarpa blu notte e prima di fiondarsi fuori dall’appartamento si rivolse a John “Esco. Ho bisogno di…un consiglio” non aspettò la risposta del dottore o le sue eventuali domande, perché sapeva sarebbero arrivate, e corse giù per i diciassette scalini dell’appartamento. John rimase immobile dalla fretta con cui il suo coinquilino era uscito ma aveva imparato che Sherlock non era esattamente una persona normale perciò non si curò della sua fuga improvvisa e tornò a oziare sul divano davanti la tv.
Sherlock andò a bussare nell’appartamento di Mrs. Hudson, era stata la prima a sapere della loro relazione e li conosceva meglio di chiunque altro quindi sembrò la più adatta a cui chiedere un consiglio del genere.
“Sherlock caro, posso fare qualcosa per te?”
Sherlock si rigirò la sciarpa che aveva tra le mani e dopo aver fatto un respiro profondo le disse “Avrei bisogno di un consiglio su cosa regalare a John per San Valentino”
A Mrs. Hudson si sciolse il cuore vedere il freddo e geniale detective impacciato e un po’ imbarazzato e gli sorrise come solo lei sapeva fare “Oh, caro ragazzo, devi ascoltare il tuo cuore”
Sherlock la ringraziò per il consiglio, la salutò e uscì, non aveva idea di cosa gli stesse dicendo il suo cuore, stava imparando ad usarlo grazie a John e non sapeva ancora bene come utilizzarlo, specie in questi casi.
Visto che Mrs. Hudson non era stata molto d’aiuto provò a recarsi al Bart’s e cercare Molly, magari lei avrebbe potuto consigliargli qualcosa di meglio ma anche con la patologa non ebbe molta fortuna dato che appena glielo chiese diventò rossa come un peperone e bofonchiò qualcosa di incomprensibile nell’imbarazzo più totale e sfiorando l’iperventilazione, sbuffò e se ne andò.
Era rimasta l’ultima persona di cui si fidava e considerava amica e sperò che almeno Lestrade potesse dirgli qualcosa, dopo tutti i casi che aveva risolto per Scotland Yard questo era il minimo, pensò Sherlock recandosi all’appartamento dell’ispettore.
Greg lo stava osservando con le braccia incrociate al petto e sguardo stupito “Un consiglio romantico? Sherlock, dici sul serio?” il detective sbuffò e alzò gli occhi al soffitto, stava per replicare quando Mycroft apparve nella stanza con boxer e camicia e incurante del fratello che aveva davanti andò ad abbracciare da dietro Greg avvolgendo le braccia all’altezza dei suoi fianchi “Gregory, torna a letto” disse Mycroft con la testa appoggiata sulla spalla dell’altro.
Sherlock uscì in fretta dall’appartamento dei Lestrade per evitare di vomitare dopo quella scena orribile che i suoi poveri occhi avevano dovuto subire.
Stava cominciando a stancarsi, nessuno gli aveva dato un consiglio quanto meno accettabile e non aveva più nessuno di fidato a cui chiedere ‘Stupido giorno di San Valentino!’ pensò frustrato.
Non avrebbe voluto arrivare a tanto ma ormai gli sembrava la sua ultima opzione così estrasse dalla tasca del suo cappotto il blackberry e cominciò a creare un nuovo post sul suo sito web, magari qualcuno dopo aver letto il blog sui 243 tipi di cenere di tabacco avrebbe speso due minuti per rispondere anche a questo.
Cinque minuti dopo trovò una risposta: “Compra dei preservativi. –Anonimo-“ Sherlock alzò un sopracciglio e con la frustrazione che cresceva sempre di più disse tra sé e sé “…Grazie, internet”
Stava tornando a casa abbandonando completamente l’idea del regalo e dimenticare questa infernale giornata quando passando davanti a un negozio gli tornò alla mente la risposta nel sito web e mentre entrava pensò ‘beh..sarà stato un pazzo ma probabilmente li useremo comunque’
Mezzora dopo tornò a casa e trovò il salotto e la cucina vuoti, si tolse cappotto e sciarpa e li appese al solito gancio dietro al porta quando sentì una voce che lo chiamava dalla camera da letto, era la voce di John.
Si affacciò nella stanza e trovò John completamente nudo sdraiato sul letto “Sherlock? Li hai presi?”
Il detective davanti al corpo del dottore aveva definitivamente mandato in ferie il cervello “se ho preso cos-..oh..OH!”  Sherlock si ritrovò a sorridere prima di saltargli addosso e avvinghiarlo come un polipo, lo aveva stretto così forte che sentì John sotto di sé che stava cominciando a faticare a respirare ma non voleva lasciarlo andare o allentare la presa “John..è il regalo più bello che potessi farmi”
Il dottore sotto quell’abbraccio soffocante cercò di fargli allentare un po’ la presa anche se non con molto successo “Aspetta, Sherlock..veramente ti ho comprato un libro..” ma quando il detective cominciò a baciarlo e a spogliarsi “..beh..puoi sempre leggerlo più tardi” disse John prima di andare a catturare le labbra a cuore di Sherlock e immergere le mani nei suoi splendidi riccioli neri.
Tutto sommato quella giornata non era stata del tutto un disastro.
 
Per il matrimonio non ci fu una vera e propria proposta con anello, uno dei due in ginocchio, non sembrava decisamente nella loro natura, i momenti romantici e affettuosi erano un po’ aumentati rispetto all’inizio me Sherlock continuava a preferire un buon triplo omicidio e a John andava bene così, si era innamorato di lui soprattutto per quello e non gli importava fare le solite cose da coppia normale, loro non erano di certo normali. Lo avevano deciso insieme una mattina finché erano a letto, Sherlock se ne era uscito con tutta la tranquillità del mondo dicendo “Perché non ci sposiamo?” fu un miracolo che gli occhi di John non gli fossero usciti dalle orbite per la sorpresa nell’udire quelle parole. Non aveva mai pensato al matrimonio, non con Sherlock almeno, immaginava che non interessasse al detective ma evidentemente di sbagliava.
“Ehm..come scusa?”
“Hai sentito benissimo e sai quanto odio ripetermi”
“Uhm..pensavo che rientrando nella categoria ‘sentimenti’ non ti interessasse o lo ritenessi inutile e noioso”
“Si pensavi bene, ma in genere due persone che vivono insieme, hanno una relazione sentimentale e hanno regolari rapporti sessuali poi si sposano.. e in più stavo pensando che con la vita che facciamo se a uno dei due dovesse succedere qualcosa l’altro non potrebbe fare niente, perciò che differenza fa uno stupido foglietto di carta firmato da entrambi, sposiamoci”
“Tu si che sai come rendere romantica una proposta di matrimonio, Sherlock” disse John alzando gli occhi al soffitto.
“Non andava bene?” chiese Sherlock con lo sguardo più innocente e fanciullesco che John gli avesse mai visto sul volto. Il dottore si sciolse sotto quello sguardo e che quella proposta nel dizionario Sherlock-inglese significava molto di più della semplice firma di un contratto, era il suo modo di chiedergli di legarsi a lui per sempre e di non lasciarlo mai più, non dopo aver abbattuto tutte le sue barriere e averlo fatto innamorare di lui, di averlo reso finalmente vivo dopo una vita intera passata a sopravvivere, non avrebbe potuto desiderare una proposta migliore. Si avvicinò al suo viso fermandosi a un millimetro dalle sue labbra a forma di cuore e invitanti “Era perfetto..e sì, ti sposo” disse prima di baciarlo.
Il matrimonio fu molto semplice con pochissimi invitati, il minimo indispensabile: Mrs. Hudson, che ha passato tutto il tempo ad asciugarsi le lacrime con un fazzolettino ricamato, Molly, Greg, il testimone di Sherlock, e Mycroft, il testimone di John nonostante le numerose lamentele e minacce da parte di Sherlock.
“Per quale diavolo di motivo hai chiesto a Mycroft di farti da testimone? Non ce lo voglio!”
“Perché è tuo fratello! E poi non sapevo a chi altri chiederlo..Greg è già il tuo testimone”
“Potevi chiederlo a tua sorella”
“Ma se non l’ho nemmeno invitata! È di nuovo in terapia, non voglio che rovini il giorno del nostro matrimonio”
“E vorresti che lo facesse Mycroft? John, hai avuto contatti con Anderson nelle ultime 24ore?” Chiese Sherlock con un sopracciglio alzato.
John sbuffò “No, e comunque Mycroft sembrava contento dell’idea. Magari ricambieremo il favore quando anche Greg e tuo fratello si sposeranno” disse con un sorriso.
“Vorrai scherzare spero! A parte il fatto che Lestrade prima dovrà divorziare da sua moglie, che per inciso lo tradisce ancora con l’insegnante di ginnastica, non credo proprio che mio fratello sia una persona da matrimonio e poi quel giorno avrò un impegno“
“Perché tu, il grande e geniale Sherlock Holmes saresti un tipo da matrimonio?!” disse John ridacchiando, l’altro gli rispose con un’occhiataccia.
“A proposito di divorzi..come l’ha presa il tuo lavoro quando gli ha chiesto il divorzio?”
“Non molto bene, ha minacciato di uccidermi svariate volte” rispose Sherlock in uno dei suoi rari ma sempre splendidi sorrisi.
John non era molto entusiasta all’idea di chiedere a Mycroft di fargli da testimone di nozze, sapeva che era stato lui a vendere il suo compagno a Moriarty ma non era un uomo che portava rancore e in un certo senso era grazie a lui se quel matrimonio poteva avere luogo, se Sherlock non avesse inscenato la propria morte John non avrebbe mai accettato i propri sentimenti per un altro uomo e non avrebbe mai intrapreso la sua relazione con quella che poi è diventata la persona più importante della sua vita.
All’inizio entrambi avevano deciso di non mettersi la fede, non ne sentivano il bisogno, ma quando Mrs. Hudson lo venne a sapere dovettero subirsi una bella ramanzina dalla povera donna che disse loro che le fedi non sono un semplice anellino portato a caso su un dito ma sono simboliche: con loro si scambia un dono d’amore e di fedeltà per tutta la vita caratterizzato dalla circolarità dell’anello che simboleggia la vita e l’unione. Inoltre va indossato sull’anulare della mano sinistra perché secondo una tradizione in quel dito passa un’arteria collegata direttamente al cuore quindi rappresenta un vero gesto d’amore con l’unione dei cuori dei due sposi. Secondo tutti questi significati per Mrs. Hudson era assolutamente inammissibile che non portassero la fede.
Dopo aver ascoltato le parole della loro padrona di casa si guardarono negli occhi e decisero che una fede non sarebbe poi stata tanto male.
Optarono per delle fedi molto semplici in oro bianco che si scambiarono durante la cerimonia davanti agli occhi dei loro più cari amici.
 
 

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Passarono più di due anni da quel giorno ed erano ancora insieme e più uniti che mai.
Era una tipica giornata estiva al 221B di Baker Street e quella mattina l’unico desiderio di John era di restare a letto a oziare, magari coccolando un po’ suo marito, anche se questo era a dir poco un desiderio utopico visto che appena il suo cervello cominciò a mettersi in moto prese coscienza che tutto ciò che lo circondava era una stanza vuota, ma soprattutto data la scarsa capacità di Sherlock di fare e farsi coccolare.
Mise una mano nella parte di letto dove avrebbe dovuto esserci Sherlock e la sentì fredda, segno che si era alzato già da chissà quanto tempo e solo Dio sa per far cosa.
Anche se la porta della stanza era chiusa riusciva chiaramente a sentire la voce di Sherlock che parlava con qualcuno, non si sentiva una seconda voce quindi doveva essere al telefono. Prima di riagganciare diede un appuntamento in una strada che non aveva mai sentito prima alla persona all’altro capo del telefono.
Quando Sherlock tornò in camera era già vestito di tutto punto con il suo completo e con la camicia viola, che John adorava.
“Sei già vestito” disse John con ancora la voce un po’ roca dal sonno “abbiamo un caso?” chiese poi ricordando la telefonata che aveva udito poco prima.
“No, a quanto pare Lestrade e quegli inetti di Scotland Yard possono farcela anche da soli qualche volta”
“Allora dove vai?”
“Ho..delle faccende da sbrigare” disse Sherlock esitando un po’ sulle parole da usare, questo dettaglio però non scappò a John ma preferì non insistere, doveva ammettere che la curiosità di sapere con chi avesse concordato di incontrarsi era molta e se si aggiunge il fatto che nell’ultima settimana il detective era stato, se possibile, ancora più strano del solito un minimo di dubbio se lo poneva. Non voleva ritrovarsi a fare la parte della mogliettina gelosa, si fidava di Sherlock quindi scacciò dalla mente quei brutti pensieri.
“Pensavo che avremmo potuto fare qualcosa stamattina..sai..” disse John con un sorrisetto malizioso.
“Se lo riesci a fare in 45 secondi..”
“Posso provare”
Sherlock alzò un sopracciglio “Sarei proprio curioso..ma i 45 secondi sono passati. Sarà per un’altra volta”
John per la frustrazione si tirò su le coperte fin sopra la testa lasciando spuntare solo i capelli.
Sherlock sorrise e prima di sparire posò un bacio sulla testa che spuntava da quel groviglio di coperte dove il dottore si era nascosto e ne aveva fatto la sua tana.
Quando sentì Sherlock uscire di casa si precipitò fuori dal letto e si vestì più in fretta che poté dirigendosi fuori dall’appartamento. Vide il detective salire su un taxi e senza pensarci un attimo ne fermò uno che stava giusto passando per quella via e ci saltò dentro “Segua quel taxi” aveva sempre desiderato dirlo!
Sapeva che seguirlo non era esattamente sinonimo di ‘ho fiducia in mio marito’ ma da quando quel tarlo gli si era formato nel cervello aveva smesso di ragionare con lucidità, era guidato solamente dai sentimenti e dalla gelosia, una vocina nella sua testa gli continuava a ripetere ‘vedrai che non è niente, dovrà parlare con uno della sua rete di senzatetto o avere delle informazioni da qualcuno per qualche questione importante’.
Un’altra invece si intromise dicendogli ‘e se avesse una donna o un uomo? Che fosse tornata la Adler e che lui ne fosse ancora attratto?’ si, alla fine Sherlock gli aveva raccontato la vera storia della Donna e di come era riuscito a salvarla, che ne fosse attratto era evidente a tutti, anche se lui continuava a dirgli che era affascinato solo dalla sua genialità. Quelle due vocine sembravano esattamente come l’angioletto e il diavoletto, posati sulla sua spalla, tipici dei cartoni animati l’unica differenza era che l’angelo aveva le sembianze di Mrs. Hudson, mentre il diavolo di Jim Moriarty. Era morto da più di sei anni ma quel criminale di prim’ordine riusciva ancora a rovinagli la vita.
Dopo circa venti minuti di strade e vicoletti di cui non aveva mai sentito parlare il taxi si fermò e dopo aver pagato Sherlock scese e si diresse in un piccolo bar lì vicino.
John pagò il tassista e si nascose dietro l’angolo per cercare di non farsi vedere dal detective ma al tempo stesso riuscire a controllare il tavolino dove si era appena seduto l’altro.
‘Perché un bar? È un luogo in vista e se avesse bisogno di informazioni non le chiederebbe certo in un luogo pubblico, non è da Sherlock fare queste cose’ pensò John finché osservava suo marito.
‘Forse starà aspettando l’amante’ disse la vocina di Jim ‘Oh caro, non ascoltarlo, sono sicura che avrà un valido motivo per essere li. Sherlock non è tipo da fare certe cose, non ti farebbe mai soffrire!’ rispose la vocina di Mrs. Hudson.
Dopo pochi minuti John vide un uomo avvicinarsi al tavolino di Sherlock. Era molto alto e muscoloso, capelli neri corti, occhi azzurri e mascella squadrata, con un portamento tipicamente militare; era Adam, un suo commilitone dell’esercito.
Adam era un tipo molto taciturno e serio, l’avranno visto ridere si e no due volte in tutti gli anni passati nell’esercito.
Sembrava un uomo sempre arrabbiato col mondo e la sua tipica risposta era un grugnito che i suoi vecchi compagni si divertivano a catalogare, ne aveva uno per ogni situazione. Il migliore era il suo grugnito numero sette: scettico con un pizzico di cinismo.
Il suo ruolo nella squadra era quello di mitragliere ma era anche un ottimo tiratore scelto, capace di colpire un obiettivo da distanze che sfioravano il chilometro, solo poche persone al mondo ne sono capaci.
Un vero amante delle armi, dalla classica pistola Browning alle mitragliatrici leggere come l’MP5 passando per il classico fucile come l’AK47.
Inspiegabilmente era anche la persona con cui aveva legato di più ai tempi dell’esercito. Ci sapeva decisamente fare con i tipi strani visto che aveva sposato il più strano del mondo.
Adam si sedette al tavolino con Sherlock e parlarono per circa dieci minuti, purtroppo dalla posizione in cui si trovata John non riuscì a capire di cosa stessero parlando ma fortunatamente riuscì a capire che quel pomeriggio dovevano incontrarsi in un albergo non molto lontano da dove si trovavano.
‘Un albergo?! Che diavolo dovranno fare in un albergo?’ pensò John.
‘Te lo devo proprio spiegare? O forse preferisci un disegnino?’ chiese la vocina di Jim con quella sua risata da pazzo.
‘Oh John caro, non ho mai visto nessuno amare un’altra persona come Sherlock ama te, non ascoltare questo mascalzone!’ disse la vocina di Mrs. Hudson, quel che restava della sua mente razionale.
Quando vide che Adam si era alzato e se ne andava girò l’angolo e si incamminò verso l’ambulatorio, sperando i trovare un taxi da qualche parte visto che erano praticamente dall’altra parte della città.
Fece il suo turno di lavoro: soliti pazienti, solite malattie, tutto normale. Quello che non era normale era John. Non riusciva a togliersi dalla testa tutte queste stranezze di Sherlock, certo era strano anche prima, ma in quelle ultime settimane, e quel giorno soprattutto, lo aveva lasciato con enormi e numerosi dubbi nel suo cervellino normodotato e pensava di star impazzendo.
L’incontro all’albergo era fissato per le 18:00 e dato che John finì il turno alle 16:30 ebbe la possibilità di fare sua una delle tecniche più volte usate dal compagno: l’arte del travestimento.
Non era esattamente un esperto come Sherlock ma gli bastava quel poco per non rendersi visibile agli occhi del detective.
Giunse all’albergo con mezzora d’anticipo e si sedette a un tavolino del bar, da quella posizione aveva perfettamente visione della reception e dell’entrata così da poter controllare chiunque entrasse.
Quando intravide i capelli ricci di Sherlock farsi avanti verso la porta dell’albergo volse lo sguardo altrove e per non rischiare si aprì il giornale e finse di leggerlo posizionandolo n modo che la sua faccia non fosse vista.
Fortunatamente Sherlock era troppo impegnato a pensare al suo piano e alla “riunione” che avrebbe avuto di li a poco per accorgersi di John. Sherlock chiese la chiave della stanza 221 e si incamminò verso l’ascensore per recarsi in camera ed aspettare l’ospite.
John ormai aveva sperato fino all’ultimo che l’incontro non avvenisse in camera, aveva sperato che dovessero incontrarsi nel bar o nel ristorante dell’albergo, sembrava che il mondo gli fosse caduto addosso, non poteva credere che lo stesse tradendo, con un suo ex compagno dell’esercito per giunta!
‘La 221? Che gran figlio di…! Ha preso la stanza con il numero di casa nostra! Che bastardo” si disse John in preda ad una crisi di nervi. Non sapeva cosa fare, arrabbiarsi? Piangere? Andare in quella stanza e spaccare la faccia a Sherlock? o aspettare che arrivasse Adam e coglierli in flagrante? Questa opzione era di gran lunga la peggiore ma voleva vedere con i propri occhi se il loro matrimonio, la loro relazione, la loro amicizia fosse finita per colpa di un tradimento.
Aspettò impazientemente l’arrivo di Adam che dopo aver chiesto al receptionist dove si trovasse la stanza 221 si avviò verso l’ascensore.
Nonostante la sua lotta interiore tra la sua razionalità e il suo sentimentalismo decise di farsi coraggio e gettarsi in quell’uragano che lo avrebbe portato alla distruzione.
Stava per alzarsi quando vide entrare dalla porta dell’albergo Sarah, Mike, Lestrade. Si fermò immediatamente e vide i suoi amici chiedere al receptionist esattamente la stessa cosa che aveva chiesto Adam pochi minuti prima, tutti chiedevano della 221.
‘Quattro persone? Mi tradisce con QUATTRO persone contemporaneamente?! Una era troppo poca per il grande Sherlock Holmes?! E oltretutto, che begli amici!’ pensò John prima sorpreso e subito dopo furioso.
‘Oh guarda guarda, il povero Johnny-boy sta soffrendo. Non mi dispiace sai? Questa sarà divertente, me la voglio proprio godere’ disse la vocina di Jim in tono di derisione.
Senza pensarci due volte si alzò e decise di recarsi alla 221, voleva vederci chiaro sotto tutta questa faccenda, anche a costo di uscirne con un cuore spezzato.
Quando arrivò davanti alla porta estrasse la chiave magnetica che era riuscito a farsi dare dal receptionist inventando qualche scusa. Infilò la chiave magnetica per aprire la porta molto lentamente e appena la strana serratura scattò balzò all’interno della stanza aspettandosi di trovare chissà quale orribile visione.
Tutto quello che vide però furono cinque persone sparse per la stanza e soprattutto vestite.
Sarah e Mike erano seduti sul letto matrimoniale, Greg era vicino alla finestra intento ad ammirare il panorama, Adam era appoggiato alla piccola scrivania e Sherlock era seduto su una sedia girata al contrario rispetto alla normale seduta e con le braccia appoggiate sullo schienale.
La camera era piccola ma accogliente, era abbastanza economica e prevedeva un letto matrimoniale, una piccola tv appoggiata a un tavolinetto che aveva anche funzione di scrivania, e un bagno.
Quando John entrò si immobilizzò all’istante a quella visione e tutti quasi all’unisono dissero “Ciao John”.
Aveva passato un’intera giornata a fare i pensieri più assurdi e immaginando cose che al solo ripensarci mettevano i brividi e ora tutto quello che aveva ipotizzato non c’era, niente faceva pensare a un tradimento.
“John..” disse Sherlock “Che ci fai qui?”
“Dovrei chiederlo io a voi” rispose John dopo essersi ripreso dallo shock iniziale.
“Beh..ecco noi…come posso dire..” “Stavamo organizzando una festa a sorpresa per te” disse Adam interrompendo le parole esitanti di Sherlock.
“Cos-Una festa? E perché? Il mio compleanno è passato da un pezzo”
“Lo so..ma dici sempre che non mostro mai quanto apprezzi quello che fai e così ho pensato di dimostrartelo invitando i tuoi amici, questa doveva essere una specie di riunione organizzativa” disse Sherlock riprendendo il controllo della situazione.
John era rimasto ammutolito, nessuno gli aveva mai organizzato una festa di ringraziamento e non pensava che nemmeno Sherlock l’avrebbe fatto.
Quell’uomo riusciva a stupirlo ogni giorno con tutti i suoi gesti: il suonare il violino alle tre di notte, continuare a parlare con lui anche dopo che se ne era andato ma questa era la sorpresa più grande che potesse fargli, non la festa, di quella non gli importava un granché, ma dal gesto così spontaneo e venuto dal cuore fatto appositamente per lui da uno come il geniale Sherlock Holmes.
 
La sera stessa.

Erano appena andati a letto, John appoggiò la testa contro la spalla del suo compagno e l’abbracciò forte, nascondendo anche il volto nella maglia del pigiama e annusandone l’odore “Mi dispiace tanto” disse John con la voce ovattata e attutita dal pigiama di Sherlock.
“Va tutto bene, tutte le coppie credono che il marito tradisca il compagno con TUTTI i suoi amici e per giunta contemporaneamente”
“Non c’è bisogno di fare del sarcasmo, mi sento già abbastanza in colpa per aver rovinato tutto, non ti ci mettere anche tu” disse John ancora con la faccia nascosta nel suo nuovo posto sicuro.
“ok, va bene. Che ne dici se lasciamo perdere le feste a sorpresa e ti offro un’intera giornata tutta per te?”
“Cosa avresti in mente?”
“Potremmo chiamarlo il giorno di John”
“Mi porteresti la colazione a letto?”
“No”
“Eviteresti di farti ammazzare almeno per quel giorno?”
“No”
“Potrei coccolarti in qualsiasi momento della giornata?”
“No”
“Allora che avrebbe di speciale questa ‘giornata di John’?”
“Ti comprerei un bigliettino d’auguri”(5)
John si mise a ridere, quell’uomo era pazzo, ingenuo, capriccioso, saccente e infinitamente geniale ma era anche capace di una tenerezza fuori dal comune “Ok, Ci sto”
Sherlock sorrise e posò un baciò sulla testa di John “Adesso riposati, Buonanotte John”
John alzò la testa per incontrare le labbra del suo compagno con le proprie in un bacio dolce e delicato “Buonanotte Sherlock”
John si accoccolò meglio contro il corpo caldo e accogliente del detective e Sherlock avvolse le sue lunghe braccia attorno al corpo del marito.
Si addormentarono così, in un unico intreccio di corpi e d’amore.





NOTE:

(1)Inizio del film "Guida galattica per autostoppisti"
(2)Citazione presa da un episodio di Chuck
(3)Citazione film: Sherlock Holmes
(4)Citazione presa da un episodio di Doctor Who
(5) Scena ispirata da una puntata di The Big Bang Theory dove Sheldon propone di creare il “Giorno di Leonard” per far pace con il suo coinquilino.
Adam è ispirato al personaggio di Chuck John Casey e all'attore che lo interpreta: Adam Baldwin.
Armi: non so esattamente quali siano quelle in dotazione dell’esercito britannico così ho citato le mie preferite.



NdA:
Buonsalve!
Se siete arrivati fin qui..Beh complimenti!
Prometto che d'ora in poi mi darò all'ippica XD
Questa cosa è la storia più lunga che abbia mai scritto in vita mia, non avrei mai pensato di arrivare alle 9000 parole O.o
Beh, spero che non faccia poi così tanto schifo e che vi sia piaciuta almeno un po' :)
A presto!
Sabry93
 

  
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