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Autore: lasuen    11/08/2012    2 recensioni
«E perché ti sei messo sotto la scrivania?»
«Ho già detto che sei troppo nervoso. Sei molto agitato. Non mi piace quando sei così agitato.»
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Titolo:  Little Red Rooster

Autore: TABUretka

L’originale si trova su: http://holmesecret.ru/fanfiction/188-little-red-rooster

Traduttrice: LaSuen

Pairing: Sherlock/John

Disclaimer: Non ci appartiene niente.

Note: La musica sullo sfondo è “Little Red Rooster” di Rolling Stones. 

E' la mia prima volta che pubblico qualcosa qui. Spero che vi piaccia. Buona lettura!
 

# # #
   

L’appartamento al numero 221B di Baker Street era... come dire? Un elemento instabile? Qualcosa del genere. Era una porta dietro cui spalancava l’incertezza e John non sapeva mai dove stesse entrando. Secondo le varie circostanze ci si poteva imbattersi in un laboratorio, un tirassegno, un conservatorio infernale oppure perfino un obitorio. Una volta si sono spariti tutti gli oggetti di ferro, un’altra tutte le superfici orizzontali erano coperte in uno strato liscio dei topi bianchi e squittenti.

Fu proprio per questo che John non si stupì a ritrovare la via dalla porta alla cucina trasformata in qualcosa somigliante ad un labirinto – un labirinto tozzo, l’ingombro dei cassoni e scatole messi caoticamente sul pavimento, come se qualcuno provasse a giocare a cubetti giganteschi, ma poi lasciò quel stancante passatempo. La carta vecchia emanava un odore stantio che pervadeva tutta la sala, mentre la voce di Mick Jagger, proveniente dall’appartamento sovrastante, cantava a tutta forza – l’eco della gioventù tumultuosa di Mrs. Hudson non voleva placarsi a nessun conto. John non sapeva se questo fatto dovesse farlo felice oppure un po’ impaurire.

«Casa dolce casa», mormorò John, passando sopra gli ostacoli di medie dimensioni e schivando gli accatastamenti di roba piuttosto alti.

«Attento, per favore», disse una voce dal basso. Colto alla sprovvista, John sobbalzò indietro, allo stesso tempo cercando di ripescare la sua pistola che, però, non c’era al suo posto sulla cintura. Dopotutto, John è solo andato a fare le spese. Per circa un mezz’ora. Trenta minuti al massimo. Ma come ha fatto a...

Inciampò nelle scatole, disturbandole e subito sollevando nembi di polvere, tanto da aggiungere un pizzico di misteriosità all’atmosfera già incupita della sala.  John tossì e si rivolse alla criniera di capelli arruffati e scomposti.

«Sherlock? Cosa stai facendo?»

Trovare l’unico consulente detective al mondo in ginocchio, strisciando fra le scatole d'ignota provenienza e il loro contenuto – diventò già una cosa ben normale. Dopo un anno ci si abituò. Ormai, con un sospiro di rassegnazione, John sempre chiedeva mentre Sherlock…

«Sto cercando il brillante.»

… rispondeva.

«Il brillante?»

«Un nuovo indizio nel caso dei gioielli contraffatti.»

«Aspetta. Vuoi dire che l’hai fatto cadere per terra?»

«Per terra, sì. Evidentemente. E’ così come funziona. Nessuno ha ancora abolito la gravitazione.»

Facendo uno sforzo immane, John si costrinse a pensare a qualunque cosa tranne il brillante perduto del valore di metà quartiere. Poi stentò a tralasciare di chiedersi da dove Sherlock sapesse che cosa era la gravitazione.

«Ah. Certo. Ma queste scatole sono...?»

«L’archivio. Gli appunti segreti. Scotland Yard li voleva cancellati e distrutti, ma non gliel’ho lasciato fare. »

«E adesso li teniamo noi.»

«Esattamente.»

Nel frattempo Charlie Watts batteva qualche ritmo spensierato, e John faceva del suo meglio per riempirsi della sua imperturbabilità.

«Ma mica devono stare proprio qui? Perchè non la sposti tutta questa spazzatura meravigliosa a camera tua? Tanto che non ci vai praticamente mai.»

«E’ impossibile», brontolò Sherlock, trascinandosi fuorì dalla zona del presunto smarrimento del brillante famigerato.

In preda ad un brutto presentimento, John si posò distrattamente su uno dei cassoni più vicino.

«E’ colma fino al soffitto, immagino?»

«Già.» Sherlock poteva essere estremamente laconico. Peccato però che questo periodo di reticenza si faceva vivo soltanto dopo un ennesimo atto di una genialità particolare. Come la trasformazione del loro appartamento in un deposito della carta polverosa e talvolta ammuffita, per esempio.

John non era sicuro che sarebbe in grado di sopportare i discorsi tipo “No, non possiamo conservare tutti questi documenti/tenere a casa tanti topi/vivere senza forchette/eccetera” e rimanere sano di mente. Aveva un gran bisogno di qualche distrazione o tranquillità. Forse, potrebbe cercare su Internet un indirizzo di un deposito a buon mercato. Oppure un numero cellulare di un killer. O di uno psichiatra che gli consiglierebbe una casa terapeutica da accoglierlo per il momento.

Un tragitto verso il laptop costò John un livido sulla gamba sinistra, mentre pensava quanto forte fosse il suo amore per Sherlock e per le sue idee. Dopo aver tolto un paio di cassoni per farsi spazio, spostò la sedia e si siede alla scrivania, tentando di fissare la sua attenzione sul monitor del computer e cercando di non guardare sotto. Così poteva far finta che tutto andasse come dovrebbe e che nel labirinto di cartone non nascondesse il suo mostro personale in caccia di un tesoro, accompagnato dalla musica degli anni sessanta.

Pensando di poter distrarsi facendo qualche cosa di quotidiano, John decise di controllare le nuove email, poi scorse i commenti sul suo blog, dopo di che rispose ad un paio di messaggi e nel frattempo si rassegnò all’odore di carta vecchia quando sentì il fruscio dei cassoni – il mostro raggiunse lentamente la scrivania e stava per sgomberare la roba che bloccava il passaggio. 

«Sherlock!»

Con sforzo sovrumano John represse l’istinto di dare un calcio all’uomo sotto la sua scrivania.

«Ma lo stai facendo apposta? Non puoi aspettare? Cinque minuti, Sherlock. Sono sicuro che non hai ancora rovistato in cucina. O in camera tua. O da qualsiasi altra parte dove sei riuscito a perdere l’unico brillante autentico in questo maledetto caso!»  

«Hai i nervi tesi»,  notò la voce pensierosa da sotto la scrivania.

«Ma davvero? E come fai a saperlo?»

«Il brillante l’ho trovato cinque minuti fa.»

La mano di John restò immobile sopra la tastiera. Sapeva bene quel “ho qualcosa in mente” tono. 

«Ma perché dunque ti sei messo sotto la scrivania?»

«Ho già detto che sei troppo nervoso. Sei molto agitato. Non mi piace quando sei così agitato.»  

Sherlock toccò il suo ginocchio. Le sue mani afferrarono per la cintura, tirandolo verso di sé e facendo John scivolare un po’ in giù.     

«Ma cosa stai... »

Niente può fermare il diluvio delle obiezioni meglio di una chiusura lampo che si apre.

«I am the little red rooster», cantava Jagger in tono confidenziale.

Finalmente, Sherlock tolse l’ultimo strato di stoffa che gli impediva l’accesso, facendo John dimenticare tutte le lettere dell’alfabeto che adesso sembravano gli svolazzi curiosi in nero, mentre John cercò invece di concentrare sul cursore tremolante sul monitor.    

«Too lazy to crow for day»

Con ogni movimento che faceva Sherlock John sentiva il suo interesse per quello che succedeva aumentare sempre di più.   

«If you see my little red rooster, please drive him home».

Proprio nel momento che l’uomo laggiù cessò di immaginare davanti a lui una caramella e si mise al lavoro, John pensò che il piano della scrivania stesse praticamente per crollare sotto le sue dita. E per quanto bravo non fosse Sherlock, non era soltanto il merito suo. Il fatto fu che proprio in quel magnifico momento, poco opportuno per una visita, entrò Lestrade.   

«Buongiorno, signor Watson.»

Odio la polizia inglese.

Perché mai non ho chiuso la porta?

Che tu possa sprofondare, Sherlock Holmes.

Facendo tanta fatica a non sparare i suoi pensieri a voce alta, John fece un sorriso forzato e disse:

«Buongiorno, ispettore.»

«Sherlock è a casa?»

Il bastardo geniale strinse le sue labbra intorno a lui, cominciando ad aiutarsi con la mano. John, con cautela, lentamente intrecciò le dita, appoggiando i suoi gomiti da due lati dal computer. Superò la guerra e supererà anche questo. Ma che diavolo, Mrs. Hudson questa canzone l’ha messa in loop?

«Sì, ma in questo momento è occupato», John si sforzò di rispondere, desiderando più di ogni altra cosa che Lestrade andasse via e Sherlock muovesse un po’ più veloce – esattamente in questo ordine, perché se Sherlock davvero cominciasse a muovere più veloce, John diventerebbe assolutamente incurante della presenza di Lestrade. «Gli farò sapere che lei è venuto a trovarlo.»

«Gli dica che aspetto la sua telefonata appena possibile. Da quanto pare, abbiamo un serial killer. Almeno, sarà da supporre.»

Sherlock si fermò.

«No», sputò fuori John.

«Purtroppo tutti gli indizi indicano che il killer è una persona spietata, con la immaginazione puittosto morbosa e anche delle straordinarie capacità mentali.»

«No no no, non oserai...»

Ma Sherlock già spuntò fuori da sotto la scrivania.

«Quante vittime? Dove? Come sono stati uccisi? Testimoni?»

Mentre Sherlock saltava sopra i cassoni come un camoscio, indossando il suo cappotto e avvolgendosi in una sciarpa, Lestrade e John diventavano rossi in faccia fino a quel colore eccezionale, significante dell’imbarazzo del massimo grado.   

«Prego scu...»

«Mi dispia...»

Con l’aria perplessa, Sherlock spostava lo sguardo dall’uno all’altro.

«Che c’è? Ch’è qualcosa che non va?»

John sospirò e chiuse gli occhi.

«Lo porti via, ispettore. Lo porti via e lo tiene a buona distanza da me per quanto a lungo possibile. Altrimenti avrete un altro omicidio.» 

Con sollievo John sentì la porta d'ingresso sbattere lasciandolo solo dentro il labirinto in cui abitava l’unico consulente mostro al mondo.

Inviando la lettera ad un titolare di un deposito, John capì che tranne sollievo provò qualcosa di simile alla malignità. Appena Sherlock risolve il caso presente, avrà un altro mistero da indovinare.

Il mistero dei cassoni spariti.

«Ain’t no peace in the farmyard since my little red rooster’s been gone».

   FIN

  
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