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Autore: Beauty    12/08/2012    20 recensioni
E se Belle e Rumpelstiltskin si fossero incontrati nella vita reale?
Mr. Gold, attraverso i suoi patti, tiene in pugno l'intera Storybrooke. E' considerato un uomo malvagio e incapace di amare, ma quando Belle French, per saldare i debiti del padre, accetta di lavorare per lui, le cose si rivelano diverse da come appaiono. Ben presto, Belle e Mr. Gold si ritroveranno inaspettatamente a provare dei sentimenti l'uno per l'altra, ma qualcuno intanto sta tramando nell'ombra...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Deal

 

Belle French finì di sciacquare l’ultimo piatto, quindi chiuse l’acqua del rubinetto per poter sentire meglio. Non che ci fossero dei problemi, in tal senso, quando suo padre era ubriaco non si preoccupava certo di fare il minor rumore possibile per nasconderlo, ma quel giorno il silenzio era innaturale. Sapeva che Maurice era sbronzo, lo aveva sentito entrare in casa un’ora prima inciampando nei mobili e imprecando contro tutto ciò che si poneva sul suo cammino con una voce talmente impastata e strascicata da lasciare poco o niente al dubbio.

Era sempre stato così, da quanto si ricordava. Belle avrebbe potuto contare sulle dita della mano le volte in cui aveva visto suo padre sobrio, o perlomeno non troppo alticcio. Aveva sempre bevuto, ma da quando la moglie era morta le cose erano peggiorate. Belle aveva perso sua madre a sei anni, uccisa da un cancro dopo una vita schifosa insieme ad un uomo che l’aveva sempre umiliata e maltrattata. Spesso si chiedeva perché l’avesse sposato, se dopo il matrimonio non aveva fatto altro che prendere botte; ma quello che la lasciava più interdetta era il fatto che Maurice amasse veramente la moglie, nonostante si divertisse a riempirla di lividi, tanto da affogare ancora di più nell’alcool il dolore per averla persa.

Ma era inutile rimuginare su ciò che poteva o non poteva essere. Il problema restava: suo padre era perennemente attaccato alla bottiglia, e questo aveva conseguenze devastanti su tutto. Non soltanto sulla salute di Maurice o su quella della stessa Belle, quando non aveva il buon senso di tacere e stare alla larga da lui, ma anche sugli oggetti. In genere, quand’era ubriaco non perdeva occasione di sfasciare tutto ciò che gli capitava a tiro, non importava che fossero stoviglie, posacenere o mobili, lui distruggeva tutto quello che lo infastidiva, e il fracasso che ne conseguiva era a dir poco assordante.

Invece, quel giorno, tutto taceva. Maurice si era chiuso in camera sua da più di un’ora, e non ne era ancora uscito. Per un po’ si erano sentiti mugolii indistinti intervallati di tanto in tanto con qualche bestemmia o maledizione ad alta voce, ma da circa mezz’ora regnava il silenzio.

Belle era sempre più preoccupata; quella situazione non era normale, stava cominciando a chiedersi, con ansia crescente, se suo padre, la mente annebbiata dall’alcool, non avesse compiuto qualche stupidaggine senza che lei se ne accorgesse…

La ragazza si tolse il grembiule, facendosi coraggio, e uscì dalla cucina. Nei suoi diciotto anni di vita, aveva imparato che non era saggio avvicinarsi a Maurice quand’era ubriaco, ma quello strano silenzio la inquietava. Salì in fretta le scale che portavano al piano superiore, attraversando il corridoio non molto lungo, fino a ritrovarsi di fronte alla stanza di suo padre. Accostò il volto al legno, rimanendo in ascolto: niente.

Prese un bel respiro, e si decise a bussare.

- Papà?- chiamò.

Nessuna risposta.

- Papà, ti senti bene?- chiese, a voce più alta, ma anche stavolta non ottenne risposta.

Senza attendere oltre, Belle spalancò la porta, entrando a passo svelto, ma si bloccò quasi sulla soglia.

Suo padre stava bene. Maurice era seduto sul letto, la camicia macchiata sbottonata sul petto, madido di sudore. Teneva in mano una bottiglia di birra già mezza vuota, e lo sguardo era fisso contro la parete.

Ci volle qualche istante, prima che si accorgesse di Belle.

- Che cazzo vuoi?- biascicò senza guardarla, buttando giù un sorso di birra.

- Io…mi spiace, ho bussato, ma…- provò a giustificarsi la ragazza, ma l’uomo le rivolse uno sguardo furibondo con gli occhi arrossati.

- E ti ho dato forse il permesso di entrare, sgualdrina?- urlò.

Belle serrò le labbra e chiuse gli occhi, ignorando l’insulto. Era abituata a venire insultata da suo padre, ormai non ci faceva più neanche caso. Anzi, non ricordava neppure che Maurice l’avesse mai chiamata per nome…

- Io…volevo solo sapere se stavi bene…- mormorò, già pronta a girare i tacchi, ma suo padre non glielo permise. Maurice si alzò di scatto, andandole in contro con passo pesante ma deciso.

- Volevi sapere se sto bene?- abbaiò, arrivandole a due centimetri dal naso, tanto che Belle si ritrovò paralizzata dalla paura.- Volevi sapere se sto bene? No che non sto bene, brutta stupida che non sei altro! Non sto bene per niente, testa di cazzo! Come accidenti pretendi che io stia bene, quando devo un mucchio di soldi ad un maledetto bastardo che si approfitta delle mie disgrazie, me lo spieghi?

Belle deglutì; il suo istinto di sopravvivenza le urlava di non dire nulla e di uscire immediatamente da lì, ma le parole soldi e maledetto bastardo avevano insinuato in lei un presentimento a dir poco terrificante.

- Che…che cosa?- balbettò, andando contro ad ogni forma di buon senso.- A chi devi dei soldi?

- Ad uno stronzo a cui ho chiesto un prestito - biascicò Maurice, allontanandosi da lei e dandole le spalle.

- Un prestito?

All’improvviso, Belle capì: suo padre si era di nuovo cacciato nei guai. Non era la prima volta. Il suo smisurato amore per l’alcool lo aveva spesso spinto a compiere sciocchezze, ad indebitarsi fino al collo. Più di una volta si erano ritrovati senza luce o riscaldamento perché lui non era riuscito a pagare le bollette, spesso erano stati sfrattati per l’affitto in arretrato, ormai la ragazza aveva perso il conto di quante volte gente sconosciuta con cui Maurice si era indebitato aveva fatto irruzione in casa loro e li aveva minacciati. Erano sempre riusciti a cavarsela, in qualche modo, ma Belle sentiva di avere come un cappio legato intorno al collo che veniva stretto di più ogni giorno che passava.

Lei e suo padre non avevano nulla, più nulla da dare. L’unica cosa che rimaneva loro era il piccolo negozio di fiori in cui anche Belle, non appena aveva preso il diploma, aveva iniziato a lavorare. Anzi, a dire il vero, ormai era solo lei che portava avanti la baracca, perché suo padre era troppo impegnato a buttare via lo stipendio al bar con i suoi amici di sbornia. Spesso la ragazza aveva avuto la tentazione di andarsene, aveva progettato di scappare lontano da quella vita che non le aveva riservato nient’altro che delusioni e umiliazioni, ma non l’aveva mai fatto. In parte perché, nonostante tutto, voleva bene a suo padre, e non osava pensare a cosa sarebbe potuto succedergli, se l’avesse abbandonato; in parte, perché lasciare quella vita e il negozio di fiori sarebbe stato come un tradimento nei confronti di sua madre. Sua madre adorava i fiori, diceva sempre che ogni fiore ha il suo significato e che erano il dono più bello e più significativo che una persona potesse ricevere.

Il negozio di fiori era ciò che la faceva sentire più vicina a sua madre, ma anche la loro unica fonte di sostentamento. Se l’avessero perso, allora non avrebbero davvero più saputo come fare.

- Sì, un prestito, sei sorda, per caso?- mugugnò Maurice.

- E a chi?

- Ma non sei capace a farti gli affari tuoi?!- tuonò Maurice, guardandola con rabbia.

- Questi sono affari miei!- ribatté Belle, con forza, non sapendo nemmeno lei da dove avesse preso tutto quel coraggio. Mai prima si era ribellata così a suo padre.- Anche se tendi a dimenticartelo, faccio anch’io parte di questa famiglia, che ti piaccia o no! E se tu hai dei debiti, automaticamente anch’io sono nei guai insieme a te! Come pensi di risolvere la questione?

Prima che la ragazza potesse accorgersene, Maurice le volò addosso, afferrandola per il bavero della t-shirt e sbattendola contro il muro. Avvicinò il suo volto a quello della figlia, e Belle dovette trattenere un conato di vomito nel sentire il fiato pesante di suo padre investirla con una nauseabonda puzza di birra.

- Non lo so come risolverò la situazione, troia!- sibilò Maurice.- Non lo so, so solo che quel porco viene qui fra un’ora, e dovrò fare del mio meglio per tenerlo a bada, quindi non mi scocciare con le tue lagne, hai capito? E ora, fila via, finisci di pulire!

Senza attendere risposta, la spintonò malamente fuori dalla stanza, per poi chiudere sbattendo la porta alle sue spalle.

La ragazza ansimò, cercando di riprendere fiato ed insieme di ragionare. Aveva detto che quell’uomo a cui doveva dei soldi, chiunque fosse, sarebbe venuto lì in meno di un’ora. Suo padre era ubriaco fradicio, come poteva pensare di poter risolvere la questione?! Dannazione, sarebbero finiti in mezzo ad una strada, lo sentiva, avrebbero perso tutto quanto…Ma lei non poteva permetterlo. Doveva trovare un modo per sistemare tutto quanto, doveva…

Belle sentì il cuore balzarle fino alla gola, quando udì improvvisamente suonare il campanello.

E’ lui!

Si precipitò giù per le scale, correndo ad aprire. Il suo cervello aveva iniziato a lavorare a tutta velocità: che avrebbe fatto? Non poteva permettere che quell’uomo incontrasse suo padre in simili condizioni, sarebbe stato un disastro. Si sarebbe inventata qualcosa, avrebbe raccontato una bugia. Avrebbe detto che suo padre non si sentiva bene, che non era in casa, oppure che…

Aprì la porta. Belle non avrebbe saputo dire se sentirsi sollevata o disperata.

Sollevata perché chi aveva bussato di certo non poteva avere in alcun modo a che fare con suo padre e i suoi debiti; disperata perché ciò non voleva dire che non si trattasse di una piaga altrettanto temibile.

La persona che aveva bussato e che ora se ne stava di fronte a lei con un sorriso che andava da un orecchio all’altro, appoggiato contro lo stipite della porta come se quella fosse casa sua, era un giovanotto sui venticinque anni, alto e muscoloso, con un mento molto pronunciato e i capelli castano scuro tagliati corti.

- Ehilà, Belle!- salutò, con fare spavaldo.

- Ciao, Gaston…- fece la ragazza, sforzandosi di sorridere.

Gaston era uno dei giocatori di football della squadra di Storybrooke, la cittadina in cui Belle viveva. La ragazza lo conosceva da una vita, ma non le era mai stato troppo simpatico. Gaston era uno di quei tipi, come avrebbe detto la sua amica Mary Margaret Blanchard, tutto muscoli e niente cervello.

- Come…come mai sei qui?- chiese, sperando che suo padre se ne restasse dov’era e non lo vedesse. Sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.

- Ero venuto per farti una proposta indecente - ghignò il giovane.

Belle si maledisse, sentendosi arrossire.

- C-come hai detto, scusa?- balbettò, incredula.

- Ehi, calma, calma, stavo solo scherzando!- rise il ragazzo.- Intendevo dire che volevo farti una proposta di appuntamento indecente.

Belle sollevò un sopracciglio.

- Credo di non capire…- disse, ma in realtà aveva capito benissimo dove voleva andare a parare quella specie di scimmione scappato dallo zoo.

- Immagina la scena: tu ed io a cena in un ristorantino di lusso, tanto ho la carta di credito di mio padre…Così possiamo conoscerci meglio e tu puoi accettare il mio invito a vedere un film a casa mia, che ne dici?- ammiccò Gaston, sfoderando un sorriso da fare invidia a qualsiasi pubblicità di dentifricio.

Dico che puoi scordartelo!, urlò una voce nella sua testa, ma Belle s’impose di mantenere un’aria cordiale. Tralasciando il fatto che la parte dell’andare a casa sua non la convinceva per niente, quel gorilla imbellettato le aveva chiesto di uscire sicuro che lei avrebbe accettato senza battere ciglio. Cielo, quanto detestava le persone come lui, arroganti e sicure di sé anche quando avrebbero fatto meglio a fare dietrofront e andarsi a nascondere in un buco. Ma non gli erano bastati tutti i no categorici delle altre volte?

- Grazie, Gaston, ma proprio non posso. Ciao - disse, tentando nel contempo di chiudere la porta. Tentativo vano, perché Gaston, con uno scatto fulmineo, frappose il piede fra lo stipite e il bordo della porta.

- Senti, se stasera non puoi, facciamo domani, o dopodomani…- disse, cercando di riaprire la porta, e Belle ebbe un bel da fare per impedirglielo. Dimenticava sempre di aver a che fare con un giocatore di football!

- No, davvero, Gaston…

- Allora, forse sabato…

- Sul serio, Gaston, mi dispiace ma è veramente un brutto periodo…

- Ma…

- Ciao!

Con uno sforzo immane, Belle riuscì a richiudere la porta. Vi si appoggiò contro con le spalle, sospirando di sollievo. Anche quella volta era riuscita a liberarsene, ma cominciava a non poterne davvero più di lui.

Gaston le faceva la corte da quando lei aveva quindici anni. All’inizio, Belle, da adolescente immatura e sognatrice che era stata, si era anche sentita lusingata dalle sue attenzioni, ma col tempo aveva capito che non era affatto l’uomo per lei. Certo, non si poteva negare che Gaston fosse un bel ragazzo, galante, atletico, ma dietro l’apparenza si celava ben poco. Non era colto né particolarmente intelligente, si dava arie solo perché il padre era ricco e, Belle sospettava, più che a lei come persona era interessato soltanto a portarsela a letto. E se anche così non fosse stato, la ragazza sentiva di non avere niente da condividere con lui. Gaston era un tipo esuberante ed impulsivo, pensava solo allo sport e a divertirsi con gli amici; lei, invece, si era sempre considerata una persona riflessiva, amava leggere e aveva poche amiche, ma fidate.

Insomma, loro erano come l’oceano e il deserto. Ma Gaston questo non sembrava volerlo capire, e non perdeva occasione per invitarla ad uscire, incassando ogni volta un sonoro no.

Sentì il campanello suonare di nuovo, e la rabbia iniziò a montarle dentro.

Si voltò di scatto, aprendo la porta con furia.

- Senti, Gaston, ho detto che…- cominciò a dire, ma le parole le morirono sulle labbra non appena vide chi le stava di fronte. Non era Gaston; era molto peggio.

A Belle bastò una sola occhiata per capire che era lui l’uomo che suo padre stava aspettando, l’uomo con cui aveva contratto un debito; un solo sguardo, per comprendere che per loro, ormai, non c’era più alcuna speranza.

L’uomo alla porta era Mr. Gold. Belle non ci aveva mai parlato, né l’aveva mai incontrato personalmente, ma ne conosceva benissimo la fama. Mr. Gold era un uomo sui quarant’anni, alto e magro, e ora le stava sorridendo con quel sorriso simile ad un ghigno che era divenuto famoso in tutta Storybrooke. Esattamente come le rare volte in cui lo intravedeva per le strade della città, era elegantissimo nel suo solito abito nero come la morte. Zoppicava leggermente, e portava un bastone nero con il manico d’argento per sostenersi.

Mr. Gold era l’uomo che chiunque avrebbe voluto evitare, l’ultima persona con cui un essere umano sano di mente avrebbe voluto avere a che fare. La sua amica Ruby scherzava sempre dicendo che lui spaventava i bambini, che per loro era peggio dell’Uomo Nero e, ahimé, non era troppo lontana dal vero. Mr. Gold era colui che teneva in pugno la città di Storybrooke. Così di primo acchito poteva apparire come un santo, sempre disposto ad aiutare la gente, ma alla fine si rivelava essere nulla più che un usuraio. Belle non conosceva nessuno che non avesse avuto a che fare con lui, con i suoi patti e i suoi accordi che, se non riuscivi a rispettare, non ti regalavano certo un lieto fine.

E ora, aveva stretto un patto con suo padre.

- Buongiorno - salutò Mr. Gold, con voce incolore.

- B-buongiorno…- mormorò Belle, cercando di non incontrare il suo sguardo.

- Questa è la casa di Maurice French, se non sbaglio…

- S-sì. E’ questa.

Mr. Gold le lanciò un’occhiata in tralice.

- E lui dov’è?

- Lui…

- Oh, Mr. Gold!- fece una voce impastata alle sue spalle, e Belle sentì il sangue gelarsi nelle vene. Si voltò di scatto, solo per vedere suo padre, ubriaco, scendere le scale barcollando con un sorriso sulle labbra talmente affabile che sarebbe risultato falso persino ad un criceto.- Benvenuto, la stavo aspettando…

- Lo so - ghignò l’uomo. - La signorina me lo stava giusto confermando…

- Signorina? Questo sgorbio?- Maurice rise sguaiatamente, spingendo di lato Belle che, pallidissima, non la smetteva di far dardeggiare lo sguardo dall’uno all’altro.- Non la importunerà più, è una promessa…Io sono un uomo di parola, sa?

- Lo spero…- rispose Mr. Gold, e Belle non poté fare a meno di notare una nota minacciosa nella sua voce.

- Ma certo. Venga, andiamo in salotto, lì potremo parlare con calma. Tu!- ululò quindi rivolto alla ragazza.- Tu, piuttosto, invece di stare lì a fissarci come una scema, vai in cucina e preparaci…ehm…Chiedo scusa, Mr. Gold, lei beve?

- No, se posso evitarlo - rispose l’uomo, secco.

- Oh, bel in tal caso…Preparaci due caffè. E vedi di darti una mossa!

Bastò quest’ultima minaccia per farla filare dritta in cucina. Belle iniziò ad armeggiare con tazze e piattini, mentre sentiva i passi dei due uomini avviarsi verso il salotto e chiudere la porta. Avrebbe dato qualunque cosa per sapere cosa si stessero dicendo, anche se, viste le condizioni in cui versavano suo padre e il loro conto in banca, c’era ben poco da immaginare.

Rovesciò il caffè sul pavimento e fece cadere i cucchiaini un migliaio di volte a causa delle mani che le tremavano. Quando finalmente ebbe ripulito tutto, prese il vassoio ed entrò in salotto.

Quello che vide non le piacque per niente.

Mr. Gold aveva un’aria soddisfatta, troppo soddisfatta; quanto a suo padre, sembrava quasi sobrio, tanto era preoccupato e disperato.

- Mi dia solo un altro po’ di tempo!- stava implorando in quel momento Maurice.

- Ha avuto una quantità disgustosamente abbondante di tempo, Mr. French - fece Mr. Gold, sempre con voce incolore. Belle si chinò a posare il vassoio sul tavolino. Mr. Gold si sporse verso Maurice. - A differenza sua, io rispetto i patti. Se lei non ha il denaro, Mr. French, allora vorrà dire che prenderò il suo negozio.

- No!- implorò Maurice.

- No!- non poté impedirsi di esclamare Belle.

Mr. Gold la guardò.

- La prego, il negozio no…- supplicò l’uomo. - E’ tutto quello che abbiamo…finiremo in mezzo ad una strada…

Mr. Gold sembrava non prestargli più attenzione, continuando a tenere lo sguardo fisso su Belle. Diede una breve occhiata al vassoio, quindi tornò a guardare prima la ragazza poi suo padre.

- Sua figlia è una ragazza laboriosa…- commentò.

Maurice rimase interdetto.

- Ho un’altra proposta da farle - continuò Mr. Gold.- Lascerò perdere il vostro negozio…

- Oh, grazie!- esclamò Maurice.- Grazie, io…

- Per un prezzo - concluse l’uomo, secco.

Maurice deglutì, sentendosi la gola secca.

- Che prezzo?- gracchiò.

- Il mio prezzo…è lei - Mr. Gold ghignò, indicando la ragazza.

Belle sgranò gli occhi dallo stupore. Maurice scattò in piedi, rabbioso.

- Porco schifoso!- urlò. - Cosa credi, di portarti a letto mia figlia?!

Mr. Gold non si scompose, né perse quel suo ghigno.

- Non ho mai detto di volerla “portare a letto”, come dice lei. Non sto cercando…amore - fece, con una smorfia beffarda.- Io sto cercando un’assistente. L’accordo è questo: sua figlia lavorerà nel mio negozio per un anno, senza compenso, ripagando i suoi debiti, Mr. French. In cambio, io non pretenderò alcun diritto sul suo denaro o la sua attività. Mi sembra ragionevole, non trova?

Maurice divenne rosso in volto; Belle non avrebbe saputo dire se per l’effetto dell’alcool o per la rabbia.

- Fuori!- tuonò, indicando la porta.- Fuori di qui, adesso!

Mr. Gold si alzò dal divano, calmo.

- Come desidera…- fece, avviandosi verso la porta.

- No, aspetti!- gridò Belle all’improvviso, quasi involontariamente.

Mr. Gold si voltò, lentamente; non aveva ancora smesso quel ghigno. Sotto lo sguardo furibondo di Maurice, la ragazza si avvicinò a lui.

- Se lavorerò per lei…- mormorò.- Il negozio di fiori sarà salvo?

- Hai la mia parola - ghignò Mr. Gold.

Belle inspirò profondamente.

- E lei ha la mia.

- Te lo proibisco!- tuonò Maurice.

La ragazza gli rivolse uno sguardo deciso, misto ad una sfida velata.

- Nessuno decide il mio destino tranne me - replicò. Tornò a guardare l’uomo che le stava di fronte.- Lavorerò per lei.

Mr. Gold la guardò, ghignando soddisfatto.

- Affare fatto.

 

Angolo Autrice: Ciao a tutti! J. Beh, che dire, non so da dove mi sia venuta fuori quest’idea, ma…ecco qui! XD. Questa è la storia di Rumpel e Belle come sarebbe stata (secondo me) se si fossero incontrati a Storybrooke, in un mondo dove la magia non esiste…da persone “normali”, insomma. Cercherò di attenermi il più possibile alla serie, ma inserirò alcune varianti, alcune delle quali (ma su questo non garantisco niente), saranno prese dalla Disney…che poi, le citazioni in Once Upon a Time sono prese da lì, quindi…

Spero che l’uso di qualche parolaccia non abbia infastidito nessuno, non ce ne saranno così tante in seguito, se a qualcuno ha dato fastidio, ditelo J.

Mi farebbe piacere se mi lasciaste un commento, anche negativo…J.

Al prossimo capitolo, ciao!

Dora93

  
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