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Autore: Ariana_Silente    12/08/2012    1 recensioni
TITOLO PROVVISORIO.
"Lo sguardo era fiero e sicuro, una corta barba sul volto ovale che non copriva lo sfregio fresco sulla guancia destra"
Genere: Fantasy, Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Nessuna importanza

 Una sera lo raggiunsi alla palestra in cui si allenava e allenava i suoi allievi. Mi misi al bordo del tappeto ad ammirarlo.
 Per un po' fece finta di non accorgersi di me, ma percepivo gli sguardi furtivi che mi lanciava tra una mossa e l'altra, poi si mise in posizione di riposo e mi si inginocchiò difronte.
 Ci sorridemmo, notai che il suo respiro era regolare come se non avesse fatto alcuna sforzo fisico.
 «Come te la cavi con le arti marziali?»
 «Non me la cavo» il suo sguardo si rabbuiò e per un attimo mi soppesò. Mi tese la sua mano. Io lo scrutai, incerta. Allungai le mie dita sulla sua mano e lui le strinse con decisione.
 Mi sollevò e mi portò davanti a lui, in piedi.
 «Lascia che t'insegni» non ero sicura di volerlo fare, avevo già abbastanza impegni così senza aggiungere altro... ma nel suo sguardo lessi una cupa ansia, un timore antico e profondo che si rifletteva nell'espressione tesa e intensa del viso che alla fine annuii poco convinta un paio di volte.

 Mi sorrise, un sorriso da lupo.

 Così iniziammo il mio allenamento, non fu nulla di difficile all'inizio. Mi insegnò le basi, quella sera.
 A mano a mano che procedeva però ad insegnarmi le tecniche vi associava allenamenti di corsa, flessioni e piegamenti con programmi sempre più intensi.
 Nel giro di qualche mese mi portò a fronteggiarlo, a combattere con lui. Fu molto duro mi faceva pagare ogni errore con sedute di allenamenti inclementi.
 Accanto agli allenamenti però c'erano sempre le nostre passeggiate con il mio cane o da soli, mano nella mano.
 Eravamo sempre più legati, senza che me ne rendessi conto.
 Un giorno eravamo in un prato, all'ombra di un grande albero ombroso. Mi teneva abbracciata e io godevo di quel contatto così semplice e naturale.
 «Come ti chiami?» gli chiesi girandomi verso di lui. Mi accarezzò la guancia, sistemando dietro l'orecchio una ciocca di capelli.
 «Quanta importanza ha un nome?» appoggiò la sua fronte sulla mia, la brezza soffiò ad avvolgerci.
 «Nessuna...» sussurrai anche io, mentre sulle mie labbra fioriva un nome che fino all'attimo prima non sapevo, ma ora conoscevo.
 Ci guardammo e lui capii che sapevo, sorrise.
 «Ara» mormorò a fior di labbra.
 «Caylus» lo imitai, mi prese il volto tra le mani. «Ma il mio nome....» continuai, alcune lacrime si gonfiarono agli angoli dei miei occhi. Quello era il mio nome, lo riconoscevo, faceva parte di me. Ma oggi, in quel momento, nessuno mi conosceva con quel nome.
 Non ero Ara, lo ero stata ma solo in un tempo remoto: faceva malissimo quel nome, mi procurava un dolore atroce il suo suono, nonostante Caylus lo avesse sussurrato con dolcezza infinita.
 Anche i suoi occhi si riempirono di lacrime. Mi strinse a sé con delicatezza, lo sentivo tremare.
 «Non temere, Greta. È lo stesso, senti?» non mi lasciò andare finché non mi calmai.
 Ero di nuovo io, l'angoscia mi abbandonò.
 E sentivo ancora di appartenergli, nella stessa misura in cui lui apparteneva a me.
 Tornai a respirare normalmente, assaporando l'aroma che emanava il suo corpo. Sollevai il capo lentamente fino a incontrare le sue labbra, credo che capì quante domande mi si accavallassero nella mente. Scosse impercettibilmente il capo prima che mi appoggiassi alla sua bocca con la mia.
 Non so quanto tempo trascorremmo sotto quell'albero, tra cielo e terra. Quando ritornammo a interessarci del mondo esterno, il buio era sceso e le stelle brillavano numerose nel cielo.
 Dopo quello che successe sotto l'albero, fui presa da un'angoscia inspiegabile, profondamente legata a lui.
 Non lo cercai più ed evitai di scendere al parco nei miei soliti orari, cercando di immergermi il più possibile nella mia solida, confortante e conosciuta quotidianità. Lui non mi cercò né si fece vedere, sembrò che avesse capito che ero turbata e mi lasciò il tempo per riflettere.
 Passai molte sere, seduta sul letto a pensare.
 Pensai al legame che sentivo nei suoi confronti e iniziai a chiamarlo Claudio, Caylus mi rammentava troppo il nome di un gioco da tavolo, dentro di me, cercando di sgrovigliare i fili che si intrecciavano tra me e lui.
 Non avevamo avuto bisogno di chiederci di stare insieme, semplicemente lo eravamo, mi sentivo bene accanto a lui, mi sembrava di conoscerlo da sempre, leggevo i suoi pensieri attraverso il suo sguardo e lui sapeva fare altrettanto con me. Come era successo: non gli avevo chiesto di lasciarmi sola.
 E quel nome... Ara... mi creava veramente un atroce dolore, una sensazione fisica associata a sconfitta e impotenza, perché?
 Non era il mio nome, eppure... lo era stato, non riuscii a spiegarmelo. In una vita precedente forse... poteva essere una spiegazione, ma non credevo alla reincarnazione... non per questa situazione.
 Sbuffai e mi strofinai gli occhi, senza capire perché sentissi quel magone in gola, pensando a quel nome che Claudio aveva sussurrato a fior di labbra. Mi addormentai con un groviglio vorticante di pensieri in testa.
 Mi svegliai di soprassalto la mattina, ero sudata e affannata.
 I pensieri cupi mi misero di malumore e fu difficile affrontare la giornata, in molte occasioni alcune lacrime mi sfuggivano dagli occhi, senza che potessi spiegare il motivo.
 Nel pomeriggio cercai di liberarmi da quella cappa emotiva che mi impediva di concentrarmi e portai gli asini al recinto in cima alla collina e invece di tornare indietro, mi sedetti su un masso ad osservare l'allevamento stendersi sotto di me placido e sicuro.
 Rimasi così, facendo correre lo sguardo sulla terra, sugli edifici e poi sempre più su verso il cielo, alle nuvole bianche.
 Uno degli asini ragliò e io scossi la testa, lasciando da parte i pensieri.
 Udì chiaramente dei passi avanzare con cautela. Mi misi ad ascoltare e riconobbi a chi appartenevano.
 Penso si fosse fermato a qualche metro da me, attendendo che facessi in modo di fargli capire che poteva avvicinarsi.
 Ma non feci niente, rimasi immobile. Altre inspiegabili lacrime che non toccai mi piovvero sulle guance.
  Lui, esitante si fece avanti, un passo alla volta con gli sguardi degli asini puntati addosso. Lo sapevo, conoscevo i miei polli.
 Lo sentii incombere su di me, immaginai il vento accarezzargli i capelli lunghi e spostarli verso destra. Mi appoggiò una mano sulla spalla e a quel contatto insicuro ebbi un brivido, non spostò la mano.
 «Posso sedermi?» mi spostai di lato, quel tanto perché si potesse sedere. Non lo guardai.
 «Credo di doverti delle scuse» lo guardai asciugandomi le lacrime, lui fu attento a non toccarmi.
 «No» il suo sguardo si oscurò e fece per parlare, ma glielo impedii «No, penso piuttosto che tu mi debba delle spiegazioni» lessi il sollievo nel rilassamento dei muscoli del viso, ma tornai a fissare l'orizzonte. «Ho fatto un sogno.» sentii di poterne parlare finalmente proprio perché era lui, dovevo parlarne, non sarei riuscita a tenermelo dentro ancora. Le sue spiegazioni potevano attendere.
 «Raccontamelo, ti prego.» la sua voce tremò. Gli lanciai un'occhiata e allungai una mano per stringere la sua.
 «Non ricordo dove fossi. Eravamo prigionieri entrambi, ma non so di cosa. Ero Ara, Caylus. Ero schiava: non so di chi. Fuggimmo, nel mio sogno eri venuto a prendermi per salvarmi e scappammo, cercando un rifugio. Eravamo inseguiti da nemici pericolosi che promettevano di farci pentire di essere nati. Mi sono svegliata alla mattina con quest'angoscia di dover fuggire senza sapere se ci fosse stato un domani. Ricordo molto bene una cosa.» mi guardò con lacrime aggrovigliate alla barba di pochi giorni.
 «Cosa ricordi?» rimasi a fissarlo molto a lungo. Poi iniziai a sollevare la mano destra tremante, fino a sfioragli la barba, premetti le dita e cercai la pelle. Caylus rimase immobile mentre le mie dita incontrarono una piccola cicatrice.
 «Nel mio sogno...» una profonda commozione mi impastò la bocca.
 «Vai avanti» mi incoraggiò accarezzandomi la guancia a sua volta, senza nascondere le sue lacrime. «Era una sfregio grande, qui, proprio dove ho le dita... il simbolo di assassini e traditori» concludemmo insieme.
 «Cosa significa, Cla?» non sembrò stupito del modo in cui lo chiamai. Si scosse a disagio.
 «Non posso spiegartelo, ma posso mostrartelo... quello che ricordo» mi osservò.
 Era sincero, ma capivo che sarebbe stato un passo che mi avrebbe portato a scoprire cose che forse sarei stata più contenta a non sapere. Lasciava a me la scelta, non poteva impormi quella che sarebbe stata molto probabilmente un'esperienza infelice.
 «Capirò?»
 «Può darsi, ma se preferisce non...» scossi la testa: il sogno, il nome... Caylus... non potevo far finta di niente, c'era qualcosa che ci legava al di là del tempo e dell'età... dovevo capire. Scossi la testa con fermezza.
 «Mostrami quello che puoi» mi sorrise, mi prese il viso tra le mani e appoggiò la sua fronte alla mia.
 «Sei sempre stata coraggiosa» commentò, io sbuffai.
 «O forse solo molto incosciente» ridacchiò e mi baciò a lungo, poi smise e inspirò lentamente ed espirò allo stesso ritmo, io lo imitai....
 



 §§§

 
vi chiedo scusa per l'attesa, ma ancora di più per quella che, già lo so, dovrete sostenere per il prossimo (in cantiere) ma non so quando avrò tempo di continuarlo con le vacanze in arrivo^^

 spero che questo capitolo vi piaccia come i precedenti e spero non ci siano troppi errori.
 buone vacanze a tutti!!!



 AS
  
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