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Autore: Danieled10    12/08/2012    0 recensioni
Premettendo che questa è la mia prima fanfiction scritta dopo moooolta esitazione e incertezze (e quindi invito i lettori/eventuali recensori a essere clementi!), passo subito a introdurre la trama: la storia prende avvio in un momento non meglio precisato a metà del gioco Pokémon Versione Bianca e Nera (dopo la parte della ruota panoramica e prima della palestra di tipo Ghiaccio), e si sofferma in particolare sulla relazione di N e Touya (o Black, l'eroe del videogioco) immaginando eventi nuovi a partire dal dialogo avuto sull'attrazione, e vorrebbe ampliare la complessità del loro rapporto originale.
Poiché la fanfiction poggia sulla conoscenza di alcuni elementi della storia di gioco, la lettura è consigliata a chi la conosce già almeno nei suoi elementi essenziali.
Concludo augurando buona lettura, spero che la mia "creazione" vi piaccia e vi invito a lasciare commenti, pensieri, impressioni, etc. anche se la storia è volutamente semplice e a tratti ingenua a causa della mia inesperienza!
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Videogioco
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   «Vai Snivy, ci siamo quasi, adesso usa Vorticerba!»
   Atterrando agilmente su un robusto ramo verso cui il Deerling selvatico che sta combattendo lo ha scagliato con una testata possente nonostante la sua piccola mole, Snivy obbedisce all’ordine, e, senza neanche riprendere fiato, comincia a ruotare sul posto per generare la corrente d’aria con cui immobilizzare l’avversario; vedendo, nel conciso lasso di tempo che la mossa di Snivy gli concede prima di abbattersi su di lui, il pokémon arretrare spaventato e guardarsi attorno con celeri occhiate alla ricerca di un’occasione di fuga, il giovane allenatore dà già per scontata la cattura del pokémon che cerca, e prepara, prendendola da una tasca della giacca blu, la Mega Ball da lanciare. «Perfetto, continua così!», incita Snivy.
   Non appena però il suo starter ultima l’attacco e Deerling, tra alti bramiti, non può muoversi a causa del turbine, dal folto del boschetto che circonda l’assolata radura accorre, con un distinto rumore di foglie e ramoscelli spezzati e di zoccoli che calcano sul terreno reso umido dalle recenti piogge, un vigoroso Sawsbuck che, con le sue corna fiorite, carica l’albero su cui si trova Snivy facendolo precipitare, e, approfittando della paura suscitata nel ragazzo, porta il suo cucciolo al sicuro scomparendo velocemente e con familiarità nel fitto intrigo della vegetazione.
   «Dannazione, ce l’avevo quasi fatta, una cattura da manuale! Tsk, e ora il mio Snivy e io siamo troppo spaventati per inseguirli! E chi se l’aspettava, che il padre sarebbe comparso così all’improvviso? Meglio rientrare al Centro Pokémon e far curare Snivy, casomai riproveremo a catturare un altro Deerling nel pomeriggio.»
   E puntando la Poké Ball verso la creatura tascabile ancora barcollante per la caduta, l’allenatore lo richiama e si incammina verso la strada che attraversa il bosco.
   «Puff, ecco finalmente il sentiero, per un attimo ho creduto di essermi perso, quanto ci siamo inoltrati inseguendo quel Deerl… Ehi, ma che diavolo…?! I miei occhiali!».
   Colpito da un getto d’acqua, all’allenatore cadono sulla terra erbosa i suoi occhiali dalla montatura rossa, che per fortuna non finiscono troppo lontano da lui e, soprattutto, non si rompono.
   «Chi è il simpaticone che si crede spiritoso giocando certi tiri infantili? Volevo vedere se si incrinavano, me li ripagava!»
   «Scusa, Komor, Oshawott è corso via improvvisamente ridacchiando tra sé, evidentemente deve averti visto e voleva farti uno scherzo, lo sai quant’è giocherellone!», afferma con un sorriso solare un adolescente, di circa sedici anni, dai capelli mori un po’ dritti e dagli occhi castani, vestito di un comodo giaccone blu con le zip bianche, pantaloni grigi scuri, scarpe da ginnastica rosse e una tracolla blu e grigia con, sul davanti, un disegno bianco simile al simbolo di una Poké Ball, simbolo che torna anche sul suo cappello per metà rosso e bianco, e dalla visiera nera.
   «Oh, Tōya, Oshawott, siete voi, pensavo fosse qualche pigliamosche in cerca di grane, non li sopporto quei mocciosi disutili che sanno solo dare la caccia a deboli pokémon coleottero e infastidire i viaggiatori! Si può essere più sciocchi, cioè non fissare un obiettivo davanti a sé? Umph.»
   «Ancora con questa storia, Komor? Secondo me esageri, va bene avere una meta nella vita, ma tu sei troppo duro con te stesso… Non dico di essere spensierato come Oshawott, che se non chiede scusa, per punizione non mangerà nessuna bacca a pranzo…» e, senza farselo ripetere, il pokémon inizia a strusciarsi alle gambe dell’amico del suo allenatore e a fissarlo con occhi lucidi «Ecco, che furbone che sei, sempre a fare gli occhioni dolci, sei proprio un bambino!», continua Tōya dandogli un succoso frutto rosso e un buffetto amichevole sulla testa; «Però non dovresti essere così ossessionato, non sei d’accordo?»
   «Lo sarei, forse, se solo il mio desiderio di essere più forte non implicasse un impegno serio e costante e potessi permettermi deviazioni e ripensamenti lungo il mio cammino… A proposito, Tōya, tu cosa ci fai qui? Dopo aver sconfitto insieme quegli scagnozzi del Team Plasma nel Deposito Frigo, a Libecciopoli, credevo avessi proseguito a nord, oltre la Cava Pietrelettrica, alla volta di Ponentopoli e delle sesta Palestra. Come mai sei tornato indietro? Qualcosa non va, per caso?»
   «Oh… Ecco, io… ehm» risponde Tōya, cercando di dissimulare il suo rossore e la confusione derivata da questa domanda a bruciapelo, tipica di Komor, spostando lo sguardo dall’amico a un punto indefinito dietro le sue spalle.
   «Io… Ho deciso di ritornare a Sciroccopoli… Per vincere degli utili premi al Metrò Lotta! E anche tu, perché sei qui? Pensavo avresti seguito lo stesso itinerario che hai descritto.»
   «È mia intenzione, tuttavia nel frattempo preferisco catturare per conto del Laboratorio Quattro Stagioni degli esemplari di Deerling di stagioni differenti; sai, mi hanno promesso una bella ricompensa! D’altronde, era proprio quello che tentavo di fare, catturare un Deerling Primavera, intendo, poco prima di incontrare te. O meglio, Oshawott e poi te.»
   «Be’,» ribatte Tōya ridacchiando, «allora cosa ne dici di incamminarci assieme verso Libecciopoli?», propone l’allegro adolescente con il berretto simile a una Poké Ball.
   «Fare la strada in compagnia è più divertente che da soli.»
   Detto fatto, Komor e Tōya si avviano verso Libecciopoli seguendo il percorso 6; con l’acqua che scorre tranquilla nel letto del ruscello alla loro sinistra producendo un dolce gorgoglio che accompagna il loro chiacchiericcio, frammezzato da più di una risata, si godono una calma passeggiata.

   «Io sono arrivato, tu cosa intendi fare, Tōya? Se non vai di fretta, posso seguire il tuo consiglio e svagarmi accompagnandoti a Sciroccopoli, dove magari facciamo qualche lotta in doppio al Metrò. Oppure, per qualche ragione che non vuoi ammettere, ma che immagino dato che oggi è 14 Febbraio, San Valentino, preferisci andare solo, eh, Tōya?», chiede Komor, tentando di cogliere la reazione che si aspetta dal suo amico per non aver creduto alla bugia.
   «Oh, ecco…» balbetta Tōya, imbarazzato, «Il fatto è che è proprio come dici tu!» confessa il ragazzo, troppo onesto per inventare un’altra frottola.
   «Ho un appuntamento a Sciroccopoli, per discutere di una cosa molto importante… Perdonami se non ti dico di più, però si tratta di una situazione complicata, neanch’io capisco cosa mi sta succedendo, sono così confuso…»
   «Non preoccuparti, non voglio mica sottoporti a un terzo grado! È solo che sei così poco bravo a dire le bugie e arrossisci come un peperone per ogni cosa, che è così divertente prenderti in giro!», esclama Komor mentre ride del rossore che ha provocato in Tōya.
   «Comunque, se hai dei dubbi e hai bisogno di qualcuno con cui confidarti, sai che di me ti puoi fidare.»
   «Uh, certo, lo so, è che in questo momento…»
   «Non te la senti, ok, non devi giustificarti!», afferma Komor, dispiaciuto per aver messo in difficoltà l’amico.
   «Dunque, parti subito o vuoi riposarti un po’?», indicando con un movimento del capo una poltrona all’apparenza morbida e comoda del Centro in cui sono entrati mentre dialogavano.
   «No,» dice Tōya scuotendo la testa più volte, ancora punto per prima «voglio proseguire, non ho un orario preciso, quella persona mi ha solo detto di vederci “nel pomeriggio”, e a me non piace far aspettare; e, siccome è già mezzogiorno, è meglio sbrigarsi.»
   «Capito, allora ciao e a presto», dice Komor dando una pacca sulla spalla di Tōya, mentre quest’ultimo, dopo aver sorriso sollevato dalla comprensione ricevuta, se ne va tutto di corsa continuando a salutarlo con la mano.
  
   «”Non essere ossessionato”, eh?» riflette tra sé Komor intanto che attende che i suoi pokémon si ristabiliscano.
   «Comprendo quello che intendi, ma io purtroppo non sono come te, Tōya: io possiedo un carattere pragmatico e non do ascolto ai sentimenti, né a quelli degli altri né ai miei… E un poco ti invidio, perché, se riesci a capire il tuo cuore e a non confondere, come stai facendo ora, i sentimenti che provi con volontà di giustizia e di aiutare un altro, allora otterrai un qualcosa a cui io, per quanto possa impegnarmi, probabilmente non arriverò mai… Spero che la tua bontà, la tua gentilezza saranno ricambiate e tu possa vivere una bella storia d’amore, te la meriti, al contrario di me, distaccato e calcolatore come sono.»   
   Formulato il pensiero, un’espressione corrucciata passa sul suo viso.
   «Tsé, ma cosa mi sta succedendo? Sono impazzito per farmi prendere da certe romanticherie, non è da me! Dev’essere l’impressione che ha riportato su di me il racconto di quella svampita di Belle riguardo il dialogo avuto da Tōya e quello strambo ragazzo sulla ruota panoramica di Sciroccopoli… Quelle congetture, con cui mi ha bombardato per l’intera lunghezza del Ponte Charizard, devono avermi rincretinito! Amore, dovere, amicizia verso i pokémon… Il suo complesso fantasticare è contagioso, devo smetterla di pensarci.»
   E spostando l’attenzione, attraverso le ampie vetrate della costruzione, verso una macchia di alberi in lontananza dondolantesi al vento stagionale che si sta alzando, inizia a stabilire una nuova strategia per catturare uno sfuggente Deerling.

   «Oshawott, non allontanarti, vedi quella macchia d’alberi? Il vento si sta alzando, è meglio accelerare il passo ed entrare in città, dove è più riparato. Ma prima…»; avvicinandosi al camper-panetteria che si trova sul Percorso 5, Tōya, ingolosito dal buon profumo di pane appena sfornato, acquista un panino alla Baccaliegia.
   «Bene, munch… chomp… ora possiamo oltrepassare il Gate!»
   Ed ecco aprirsi alla vista Sciroccopoli, metropoli dinamica e celebre per i molti divertimenti e attrazioni, che Tōya pensa di sperimentare in attesa dell’appuntamento.   
   «Come passiamo il tempo, Oshawott? Di combattere al Metrò Lotta non ho voglia: sono troppo eccitato e ansioso per occuparmi seriamente d’altro, però forse una scarica d’adrenalina è quello che ci vuole per togliermi la tensione di dosso. Uhm… No, meglio di no.» riflette il ragazzo che, parlando al suo pokémon intento a correre avanti e poi attenderlo, ha cominciato a vagare per i viali della città.
   «Oppure potremmo andare al Teatro Musical… No, neanche, altrimenti succede come l’altra volta che Oshawott si innamora di un Cinccino e non si stacca più dalla poltrona! Eheh, lasciamo perdere, nemmeno a me piace tanto quel posto, lo spettacolo mi annoia… Ehi, allora…!» e, decisosi per andare a seguire un incontro sportivo, richiama Oshawott diretto verso il Pokémon Center, dove vorrebbe mettersi a sonnecchiare, e si avvia verso lo Stadio Stellare.
   «Buongiorno, vorrei sapere che incontro è in corso nel campo» domanda alla signorina addetta all’accoglienza.
   «Attualmente si sta tenendo una partita di baseball, il termine è previsto per le 14:00. Sono ammessi spettatori.»
   «Ottimo. Oshawott, andiamo!»
   E, ringraziando la ragazza con un affrettato inchino, Tōya sale le scale metalliche per arrivare agli spalti, dove trova meno gente di quanto si aspettasse.
   «Chi vince?» chiede rivolto a un viaggiatore che si sporge dalle inferriate.
   «La squadra di casa sta conducendo la partita, e il team di Boreduopoli è sotto di parecchi punti.»
   Ringraziato cortesemente il signore, Tōya sale i gradoni e si sceglie un sedile da cui osservare il resto del match.
   Eppure, sarà che il risultato è scontato, malgrado gli sforzi, tra gli altri, di Darumaka, Sandile, Scraggy e Sigilyph sul diamante, o è lui che non riesce a distrarsi, Tōya ripensa alla conversazione che ha sostenuto settimane addietro con l’enigmatico N.

   «Io sono il sovrano del Team Plasma» gli ha improvvisamente confidato N quel giorno, quando Tōya l’ha incontrato inaspettatamente alla base del tendone a forma di Pikachu, e, altrettanto inaspettatamente, è stato invitato a fare un giro sulla ruota panoramica, la stessa sotto cui oggi i due debbono ritrovarsi.
   «Ghecis mi ha chiesto di aiutarlo a salvare i pokémon», ha continuato N una volta che la cabina è salita più in alto, «ma chissà quanti pokémon ci saranno al mondo?»
   «Costretto da Ghecis, ho trascorso la mia infanzia separato dalle persone e con la sola compagnia dei miei amici pokémon. Grazie a questa convivenza, sono in grado di ascoltare la loro voce di percepire la loro sofferenza quando sono imprigionati; pertanto, io custodisco un sogno, Tōya: liberare i pokémon e creare due universi paralleli, separati, uno abitato dagli umani e un altro dai pokémon, nei quali essi non possono interagire in alcun modo, ma sono anzi liberi, liberi di essere felici.»
   «Eppure,» ha proseguito N, «in moltissimi sono convinti del contrario, e non vogliono che i pokémon vivano un’esistenza indipendente; perciò, per armonizzare queste visioni che è assolutamente impossibile coesistano, devo riuscire a imporre la mia idea, e farla rispettare.»
   Dopodiché, Tōya e N sono scesi dalla giostra e N, incitato dai seguaci che lo hanno raggiunto, ha sfidato Tōya dicendogli: «È mio dovere proteggere chi vuole veramente il bene dei pokémon. Allora, Tōya, capisci il mio piano?»; alla risposta affermativa di Tōya: «Mi auguro che la tua risposta sia sincera. Ne sarei felice. Ho un futuro ben chiaro in mente, e farlo avverare spetta a me! Sconfiggerò anche il Campione e diventerò imbattibile… senza rivali. Farò in modo che tutti gli allenatori liberino i loro pokémon. Tu speri di stare sempre insieme ai tuoi pokémon? È questo il tuo desiderio? E allora colleziona le medaglie delle varie città e poi dirigiti alla Lega Pokémon! Una volta lì, prova a fermarmi.»
   «No» ha risposto Tōya, senz’esitare, «ti sbagli, entrambe le grandi famiglie di questo mondo, uomini e pokémon, non possono e non devono vivere separatamente, in quanto hanno bisogno del supporto reciproco per condurre un’esistenza completa. N, io comprendo perfettamente la bontà delle convinzioni e delle azioni che ci sono dietro il tuo progetto» ha continuato l’allenatore prescelto, con una risolutezza inconsueta trasparsa dallo sguardo fermo che ha posato sul suo introverso coetaneo, «ma c’è un altro sistema: è il viaggio affrontato con i propri pokémon, lo stesso che io sto facendo. Per cui, N, unisciti a me in quest’esperienza, e vedrai le ragioni per cui il tuo sogno è portatore di solitudine e tristezza, e non di pace e armonia.»
   E, ciò detto, gli ha porto la mano.
   «Sapevo di aver ragione nel selezionarti come mio confidente» ha rivelato N con una commozione così visibile da far credere che quella fosse la prima volta che la provava; «tu addirittura riesci a scuotermi nelle mie idee con una controproposta inattesa, e al contempo così semplice, ovvia!... Tuttavia» ha concluso N detergendosi gli occhi, anche per abbassare lo sguardo sostenuto coraggiosamente da Tōya, «Non sono certo di essere pronto al passo che mi proponi. Facciamo dunque così» ha detto affrettandosi per non permettere al rivale-amico di ribattere «mi prendo del tempo per riflettere e decidere: ci rivedremo qua, sotto la ruota panoramica, il pomeriggio del 14 Febbraio. Intanto, io continuerò a portare avanti il mio piano.»  
   Con queste parole, N è svanito, misteriosamente com’era apparso.
   Da allora, Tōya non lo ha più rivisto, ma la preoccupazione per l’enorme fardello che sa di aver caricato sulle sue spalle, in maniera analoga al comportamento di Ghecis  ma questo Tōya tuttora lo ignora , fa sì che la figura di N sia sempre davanti a lui, spesso anche durante i suoi sogni adolescenziali.

   «Uh, Boreduopoli ha perso» si accorge Tōya, disturbato nel rievocare i suoi ricordi dall’alzarsi degli spettatori che, tra chiacchiere, commenti e hurrà ai vincitori, si avviano verso le uscite, imitati dal ragazzo il quale, con ansia crescente, controlla l’orologio a ogni manciata di secondi.
   Giunto nei pressi della ruota, Tōya si guarda intorno: fortunatamente, N ancora non c’è.    
   Infastidito dal sole, si mette seduto su una panchina di fronte alla giostra, e vede una crescente fila di ragazzi e ragazze i quali, chi tenendosi per mano, chi portando con sé mazzi di fiori e scatole di cioccolatini, e chi, come lui, guarda spesso che ore sono nella visibile attesa di qualcuno, sfilano per il Parco Giochi, di cui la ruota è l’attrazione più gettonata.
   «Guarda, Oshawott, sembra che oggi ci sia un raduno di fidanzatini. Chissà se c’entra con quel San Valenqualcosa a cui accennava Komor… Molti sembrano vergognarsi e non camminano a fianco l’uno dell’altro… Ehi, ma, Oshawott, dove sei?» chiede a voce alta l’allenatore al suo pokémon che, non visto, si è diretto presso l’aiuola alla destra della panca, dove i suoi simili sembrano essersi riuniti spontaneamente a imitazione dei loro compagni umani.
   «Sempre a trastullarti, eh, Oshawott? Be’, goditi la gita intanto che io aspetto N.»
   Alzatosi, Tōya si dirige lentamente verso un paio di macchinette distributrici per acquistare una bibita per sé e N, il cui recipiente esce fumante dall’apertura e praticamente ghiacciato e bruciante al tatto, come se un pokémon vi avesse lanciato un attacco Idrovampata.
   «Mi domando se anche a N piaccia il lemonsucco… Io ne bevo a volontà, però se non gli piace potrebbe considerare il mio un gesto scortese…»
   «Ti sbagli, a me il lemonsucco piace e apprezzo la tua gentilezza», esclama contenta una voce conosciuta appartenente a un adolescente dal fisico snello e slanciato, con una lunga capigliatura color té verde, uguale agli occhi; come d’abitudine, indossa una maglia bianca a colletto alto sopra a un’altra, più aderente, nera, calzoni marrone fango e scarpe intonate a occhi e capelli. Come accessori, ha un cubo di Rubik, rigorosamente verde, agganciato alla catenella del pantalone; tre bracciali di forma quadrata al braccio sinistro e un altro, simile a un cinturino, al destro; una collana con un ciondolo a forma di globo nero tagliato a metà da due cerchi, rispettivamente uno giallo e uno blu; e un cappello da baseball bianco e nero, colori che complessivamente predominano il suo vestiario.
   «Oh, N, sei tu, sei arrivato! Sei qui da molto? Non ti avevo visto!», domanda Tōya, colto da un imbarazzo e un’agitazione improvvisi.
   «Che mi prende, perché arrossisco? Sarà perché mi ha sentito preoccuparmi di una sciocchezza?», mormora tra sé.
   Porta la lattina a N, Tōya, rigido nei movimenti, esordisce incerto: «E… Ecco, per quanto riguarda il discorso dell’altra volta, volevo dirti che…»
   «Aspetta, aspetta!» lo interrompe N con un gesto della mano, mentre apre il contenitore della bevanda.
   «Che ne dici prima di farci un giro per il Luna Park, ti va? Poi discuteremo di cose serie, ma per adesso godiamoci questa bella giornata di sole!»
   Grato per il diversivo e perché N, per la prima volta da quando lo ha conosciuto, sembra rilassato e interessarsi a lui non per le sue doti di allenatore bensì come suo coetaneo, Tōya accetta.
   «C’è troppa animazione oggi a Sciroccopoli,» osserva N, «andiamo ad Austropoli? Vorrei farti assaggiare una squisita specialità locale per ringraziarti del lemonsucco.»
   «Per me va bene, solo che, per andarci, si deve attraversare il Percorso 4, e, tra andata e ritorno, non faremmo in tempo a salire sulla ruota!».
   «Non preoccuparti, conosco un sistema per essere a destinazione in un batter d’occhio; anzi, in un batter d’ali.»
   Scelta una Poké Ball dalla sua cintura, N chiama un maestoso Unfezant maschio.
   «In groppa a lui,» spiega, «saremo velocissimi. Vieni.» incoraggia Tōya tendendogli la mano aperta, mentre quest’ultimo richiama Oshawott nella sua sfera Poké.
   Sollevatisi in aria, N e Tōya sono lasciati senza fiato da un panorama stupendo: dando le spalle al cuore verde di Unima, che custodisce l’Intramondo, si apre davanti a loro la distesa sabbiosa del Percorso 4, sollevata dal vento pungente e odoroso per via delle piogge della nottata. Avviato il pokémon verso il mare, ben presto sotto di loro si aprono a raggio le strade di Austropoli, tra cui N sceglie, come luogo di atterraggio per il fulmineo Unfezant, Via della Moda.

   «Il dolce che vorrei farti assaggiare, Tōya, è il rinomato Conostropoli. Mettiamoci in fila.»   
   E presa, pur con qualche resistenza da parte sua, la mano di Tōya, i due futuri eroi di Unima si mettono compostamente in fila.
   «Il Conostropoli è un cono di gelato bianco al latte Mumu e alla vaniglia, con cristalli di ghiaccio sulla pallina più grande a mo’ di bocca e occhi di Vanillite, con cui la somiglianza è completata da un ultimo ciuffo di crema sulla sommità. Non a caso, infatti, l’esercizio utilizza Vanillite per produrre queste prelibatezze caratteristiche.», spiega N, un po’ piccato per l’uso egoistico che i proprietari del chioschetto fanno di questi pokémon Ghiaccio, ma per stavolta lascia correre.
   «È buonissimo,» dice Tōya, una volta assaggiatolo, «è così soffice che si scioglie in bocca! Peccato che, la prima volta che sono passato per Austropoli, non l’abbia comperato perché c’era troppo da attendere per il proprio turno! Eheh, sono certo che, se mamma lo provasse, le piacerebbe tanto che non potrebbe lamentarsi che sono goloso! Ora», si affretta ad aggiungere Tōya, che ha notato l’ombra passata sul viso di N alla menzione di sua madre, «ti va di dare un’occhiata all’Atelier?» propone indicando la galleria d’arte situata dirimpetto al chiosco. «Ho sentito che adesso sono in mostra dei quadri di Artemisio.»
   «No, meglio di no,», replica N, «l’esposizione è a tema relativo alla leggenda di Unima, la conosco alla perfezione e non vorrei sprecare del tempo prezioso. D’altronde» continua consultando il display digitale posto su una faccia del suo cubo di Rubik, «son già le 17:00, non ne abbiamo molto. Perché invece non finiamo di mangiare il cono nella Piazza Centrale?»
   Al cenno affermativo di Tōya, i due si incamminano.
   La Piazza Centrale è uno snodo cardine di Austropoli, ed è un punto di ritrovo illuminato da un numero di lampioni dal design simile a quelli alimentati a gas e abbracciato da un cerchio di alberi, al cui centro si trova una fontana zampillante, delimitata a terra da una pavimentazione diversa, in mattoni disposti a formare un ulteriore tondo concentrico realizzata con mattonelle a motivo e forma di frecce di direzioni speculari l’una con l’altra.   
   Terminato lo spuntino osservando divertiti dei ballerini fare le loro acrobazie, N e Tōya decidono di salutare Austropoli andando a guardare le navi del porto.
   Risalendo Via Austropoli, più larga e su cui danno palazzi dalle tinte più austere rispetto a quelli della precedente, come la sede della Game Freak, i due amici vanno a guardare la Nave Reale Unima salpare da un molo riservato dove si trovano le bandiere, bianche e blu, della città, e il cui camminamento centrale è realizzato con mattonelle grigie e gialle con due rombi a formarne il disegno.
   Ammirando l’enorme imbarcazione nera e arancione allontanarsi sulla distesa marina frastagliata da alcune piccole e rare onde, Tōya nota in lontananza, nascosto da una sottile coltre di nebbia, l’enorme ponte sospeso che connette il Bosco Girandola e Austropoli.
   «N, ti andrebbe una gara di velocità in bicicletta sul Ponte Freccialuce? Chi perde, paga un secondo Conostropoli al vincitore.»
   «No, è meglio che non ti stracci; ho le gambe assai più lunghe delle tue, e vincerei sicuramente. Perché invece» soggiunge ridacchiando alle frasi di protesta del compagno, «non cerchiamo un punto più riparato da dove Unfezant può spiccare il volo e ritornare a Sciroccopoli? Ormai, alla ruota non dovrebbe esserci più tanta gente.»

   In effetti, rientrati nell’entroterra e varcati gli archi con le luci multicolori al neon che conducono al parco, Tōya e N trovano solo poche coppie ad aspettare per salire sulla ruota, e ben presto salgono nella cabina per metà trasparente e per metà verniciata in rosso.   
   Staccatasi essa dal suolo, un silenzio carico di pensieri non esternati scende tra i due, come già nella seconda parte della loro trasferta ad Austropoli, ma mentre prima si trattava dell’espressione serena di due anime che si sono a lungo cercate e che, trovatesi, si appagano dell’insperata comprensione reciproca, adesso c’è nell’aria una certa tensione, carica della consapevolezza di dover affrontare un discorso che, comunque si conduca, porterà alla fine di un’esperienza impagabile e, forse, irripetibile.
   È N a rompere gli indugi: «Tōya, guarda laggiù: vedi quell’arcobaleno prodotto dagli ultimi raggi del sole che tramonta? Mentre io, scorgendo il suo punto d’inizio in una macchia verde e la sua fine in un ristretto assembramento di case, vi vedo una conferma alla necessità della separazione fra umani e pokémon, tu, Tōya,» dice all’amico che, all’opposto di lui che si è alzato e si è avvicinato al vetro, è ancora seduto, con la testa bassa e il respiro percettibilmente affannato, «sono sicuro vi scorgeresti un emblema di pace, di amicizia, come se l’arcobaleno fosse un ponte che connette quelle due grandi famiglie, come le hai definite l’altra volta, come si trattasse di due persone che si stringono in un caldo abbraccio.»; espressione, questa, metafora dei suoi pensieri e delle sue azioni: infatti N, parlando, ha abbracciato Tōya e, sollevandogli il viso che l’allenatore tenta di riabbassare, gli dà un lieve bacio, carezza quasi impercettibile, su una guancia.
   «Più o meno un mese fa, proprio qui, salendo verso il cielo grazie a questa ruota che, impietosamente, sta per concludere nuovamente il suo giro, mi hai chiesto di accompagnarti nel tuo viaggio per Unima. Ho pensato a lungo se accettare, ma purtroppo» e Tōya, consapevole delle parole che, nolente, sta per udire, abbassa netto il capo, «debbo rifiutare. Cerca di capirmi, Tōya: ho consacrato troppo tempo ai miei pokémon, in una stanza di un gelido castello, perché possa imboccare un cammino differente da quello che ho già intrapreso; a malincuore, mi sono inoltrato sin troppo per quest’ultimo per riemergerne senza essere arrivato in fondo al sentiero. Probabilmente allora potrò viaggiare per il mondo, come fai tu; ma non prima.»

   «Te ne prego, Tōya, alza la testa, guardami in volto e dimmi che, anche se non sei convinto, hai capito la mia posizione: so che lo hai fatto, ma, se non me lo dici espressamente, non potrò fare a meno di tormentarmi nel dubbio e nel rammarico di averti ferito, sebbene non cambierebbe nulla, una volta che ci saremo separati, e oramai è giunto il momento.»
   E, sciogliendosi dall’abbraccio in cui l’aveva nuovamente cinto una volta scesi dalla cabina, N fissa Tōya, nell’attesa di una riposta, o, anche, di una parola qualsiasi; ma le sue labbra livide, immote, danno l’impressione di non stare per schiudersi.  
   Preso atto di ciò, N, addolorato, si discosta e, chiamato Unfezant:
   «Addio, Tōya. La prossima volta che ci rivedremo, sarà per combattere.», e se ne va, eccessivamente ferito per guardarsi indietro.
   Scosso per il rifiuto e per la difficoltà che per N è stato necessario oltrepassare per formularlo, Tōya è disperato:
   disperato per la giornata terminata eccessivamente in fretta e contrariamente alla gioia e all’allegria che l’aveva sino ad allora contraddistinta, nonché alle aspettative che Tōya aveva iniziato, inconsciamente, a nutrire alla vista di N spensierato ed espansivo;
   disperato per aver perduto l’opportunità di avvicinarsi come lui desidera – chissà poi perché e cosa significa questo suo bisogno innato, Tōya è incapace di spiegarselo – a N;   
   disperato nei suoi sentimenti traditi, i quali, impossibili da articolare, vengono esternati per tramite di un’unica lacrima di dolore che solca la sua guancia destra sfiorata dalle labbra dell’insondabile ed enigmatico N.
  
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