Capitolo
uno: il lamento della stella morente.
Un
temporale di quella portata non si era
mai visto. Tutti, compresi i vecchi, non serbavano memoria di un
avvenimento
così immenso e nessuno era rimasto nelle case; persino le
balie coi neonati al
seno erano uscite per ammirare le imponenti nuvole nere che si
riversavano
sulla città, i cirri e i cumuli enormi farsi avanti ed oscurare il sole, i lampi
fluorescenti e i
fulmini che andavano a infrangersi a terra nei campi esterni a
Winscott. Le
bianche mura della città risplendevano agli ultimi raggi del
caldo sole,
soffocato da quel nero che scendeva dal cielo e giungeva
all’improvviso,
rapido, portando folate di aria umida e calda nella città
invasa dalla canicola
della stagione del sole. I soldati, di guardia sulle mura,
rabbrividirono nel
vedere infrangersi al suolo un fulmine, mentre il rombo del tuono
scuoteva i
vetri delle Case Maggiori e Minori, in cui i simulacri degli Dei
dormivano
sonni odoranti incenso, e dei palazzi signorili. I bambini urlarono e
le madri
se li strinsero al petto, correndo sotto i vasti portici che
ombreggiavano le
strade cittadine, vanto e bellezza di Winscott, capitale del regno di
Scott. I
vecchi, fermi sulle soglie delle case, il naso per aria, si guardavano
l’un
l’altro e scuotevano la testa, increduli: chi se lo ricordava
un temporale di
tale entità? Accarezzavano i loro cani bastardi e rognosi e
si sedevano sulle
sedie appena fuori dagli usci, certi che se fossero morti colpiti da un
fulmine
almeno sarebbero morti per qualcosa di straordinario.
Anche a
Palazzo Scott il maestro astrologo guardava il cielo dalla torre
più alta,
fissando le nuvole attraverso l’Occhio
Grande , un tubo che per un gioco di lenti era in grado di ingrandire
gli
oggetti posti a grandi distanze, ammirando i fulmini azzurrini che si
creavano
da una scintilla e saettavano verso il basso, più veloci di
un batter di
ciglia, schiantandosi al suolo un battito di ciglia dopo. La stagione
calda era
appena iniziata e i temporali sarebbero dovuti arrivare dopo, molto
dopo, a
metà della stagione delle piogge, pensava
l’astrologo che, preoccupato, frugava
con la mente antiche pagine di antichi manoscritti, frutto di antichi
maestri
vissuti in antichi tempi: si ricordò di un passo di cinque
secoli prima, in cui
un maestro, vissuto sotto il primo Re Scott , parlava
di una stagione estiva particolarmente
piovosa… un fulmine si scagliò a terra e il tuono
fu così forte che l’astrologo
sentì tutto il suo vecchio essere vibrare di paura. Si,
poteva esserci stato
qualche precedente, ma quello che stava per accadere quel giorno
sarebbe stato
unico e lui non poteva lasciarselo sfuggire perché aveva
semplicemente paura.
Con un fremito di impazienza ed eccitazione, l’astrologo
ripose l’Occhio Grande
nella sua custodia e rientrò nel suo studiolo, prendendo
pergamena e penna e
attendendo, trepidante, l’arrivo del temporale su Winscott
dalle bianche mura.
Parecchi
metri sotto la torre dell’astrologo, nella corte secondaria
del palazzo di
Winscott, sotto i portici imbiancati a calce, un uomo si muoveva
nell’ombra
cupa. Era un uomo alto dalla carnagione diafana, i capelli pallidi come
neve e
gli occhi rossi e penetranti come rubini, vestito completamente di nero
tranne
per una fascia rossa legata attorno alla vita ben delineata, un pugnale
cerimoniale infilato fra le pieghe. Passeggiava tranquillo, Haiduc di
Albeis,
quando si appoggiò alla colonna, il naso puntato verso
l’alto, pronto ad inspirare
l’odore buono della pioggia. Gli erano sempre piaciuti i
temporali, anche
quando era un marmocchio, e quello era il primo che vedeva a Winscott
dopo
tutti quegli anni di permanenza nella città. Un tuono si
abbatté rombante sulla
città, così forte da lasciarlo piacevolmente
stupito e da convincerlo ad
osservare con maggiore attenzione il cielo: un manto nero,
perfettamente
omogeneo, rischiarato qua e la dai lampi e dai fulmini che, come strali
divini,
cadevano a terra. Ad ogni lampo, urla si alzavano dalla
città, stupita e
spaventata. La bocca di Haiduc si piegò in un ghigno: se gli
abitanti di
Winscott avessero mai visto una delle tempeste che si abbattevano su
Albeisine
avrebbero definito quanto stava per rovesciarsi sulle loro teste un
acquazzone
di fine estate. Un altro tuono proruppe, facendo vibrare i mattoni
della
colonna a cui Haiduc era appoggiato, e l’Albeis si
lasciò andare alla piacevole
sensazione di vibrare assieme alla natura furiosa, mentre antiche
memorie gli
invadevano la mente. << Non avevo mai visto niente di
simile. >>
Disse una voce piatta alle sue spalle, interrompendo il flusso di
pensieri. <<
E’ perché tu non sei mai stato ad Albeisine,
Nicolai. >> Rispose Haiduc
senza voltarsi, riconoscendo la voce del suo interlocutore. Poco dopo,
un uomo
biondo ed alto, dal viso sbarbato, vestito di camicia bianca e
pantaloni neri,
entrò nel suo campo visivo. Nicolai sogghignava, guardando
l’Albeis con quei
suoi penetranti occhi verdi. Un lampo gli fece puntare gli occhi al
cielo.
<< In ogni caso, questo evento ha dello straordinario.
>> Adocchiò
la torre di astrologia. << Di
sicuro, il maestro astrologo starà annerendo pagine e pagine
di pergamena, su
questo avvenimento: non si era mai visto un temporale di questa portata
nella
stagione delle piogge, figuriamoci all’inizio di quella del
sole! >>
<<
Preferisce starsene chiuso in quello studiolo misero e polveroso,
piuttosto che
mettere fuori il suo lungo naso e godersi lo spettacolo.
>> Haiduc
ridacchiò. << E questo spettacolo sembra
davvero interessante… >>
Il
biondo inarcò un sopracciglio << Ma non hai
appena detto che i temporali
di Albeisine erano i migliori di tutti? Ti rimangi così la
parola, Albeis?
>>
Haiduc
evitò accuratamente di rispondere alla stoccata, mentre la
memoria vagava
lontano, nei ricordi di quando era un ragazzino e guardava le tempeste
abbattersi su Albeisine, la città degli Albeis, la
città a lui destinata.
Guardava i lampi riflettersi sulle case lucide di pioggia, vedeva il
mare
intero alzarsi attorno alla città e andare a cozzare contro
l’alta scogliera su
cui Albeisine era arroccata, lo vedeva dall’alto della sua
camera e quello
spettacolo aveva la magia di incantarlo anche allora, a distanza di
anni, di
secoli… la voce di Nicolai tornò a distrarlo
nuovamente, riportandolo
bruscamente alla realtà. << Quanti temporali
hai visto come questo,
Haiduc? >>
<<
Molti. >> Rispose l’Albeis con un malinconico
sospiro. << Perché?
>>
Un
fulmine di un insolito colore viola si abbatté molto vicino
alla città, forse
addirittura dentro le mura, tanto che lo spostamento d’aria
provocò lo scoppio
di alcuni vetri sopra di loro e numerose grida proruppero dalle stanze
del
palazzo. Haiduc e Nicolai rimasero immobili, mentre un vetro sopra la
loro
testa si sfracellò in mille pezzi sui ciottoli della corte.
<< Che mi
dici di questi? >> La voce di Nicolai era tesa, mentre
l’uomo si ritirava
nell’ombra del portico per correre via. L’Albeis
seguì Nicolai lentamente,
irrigidito dalla sensazione che gli era passata nelle viscere,
facendole
contorcere. Si accorse di non aver risposto alla domanda
dell’uomo, mentre un
altro fulmine viola si abbatteva sulla città e lampi rosati
illuminavano il
cielo nero e i tuoni si confondevano con le urla del popolo. I fulmini
apparivano stranamente materici e dove colpivano abbattevano case,
provocavano
incendi e crateri; i pennacchi di fumo iniziavano ad essere visibili
anche
dalle corti del Palazzo attraverso cui Haiduc e Nicolai camminavano
veloci, per
giungere alla Corte Magna, l’ingresso al Palazzo. Li, vi
trovarono un’unità
della Guardia Cittadina pronta ad uscire per andare a salvare i civili
e
spegnere incendi. << Dobbiamo assolutamente uscire.
>> Disse
Nicolai, camminando a passo spedito accanto alla colonna di fanti,
diretto alle
stalle, con Haiduc che lo seguiva per inerzia, il cuore e lo stomaco
stretti in
una sola morsa con gli intestini: temeva gli sarebbe tremata la voce
nel dirgli
che, il giorno in cui Albeisine venne rasa al suolo, era stato a causa
di un
temporale come quello che si stava abbattendo su Winscott…
<< Haiduc!
>> Lo scrollò Nicolai, mettendogli fra le mani
le briglie di un cavallo
preso dalle stalle. << La Guardia Cittadina
uscirà tra poco e su ordine
del Re porterà il popolo nelle catacombe, nella speranza che
la tempesta si
plachi. Io e te dobbiamo andare a vedere sulle mura, per conto di sua
Maestà.
>> L’Albeis annuì, vacuo, osservando
l’amico montare in sella: era
eccitato, ma la durezza della mascella squadrata dimostrava che la
paura di
Nicolai era davvero molta, anche se cercava di nasconderla sotto la
maschera
dello sbruffone. Haiduc deglutì piano, cercando di calmare i
battiti del
proprio cuore: ciò che era successo ad Albeisine lui
l’aveva visto da lontano,
ma non era sicuro che la stessa cosa sarebbe capitata a Winscott-
sperava, in
cuor suo, di non dover perdere nuovamente la propria casa, il proprio
posto.
Pregò il suo Dio che nulla di male accadesse alla sua
città adottiva e montò in
sella, scacciando pensieri infelici. Cavalcarono a fianco della
fanteria
facendosi strada tra la folla impaurita, spronata dai fanti a dirigersi
verso
le catacombe, dove sarebbe stata sicuramente più al sicuro
che all’esterno.
Dalla
torre di astrologia, l’astrologo non poteva credere ai suoi
occhi: palle di
fuoco violaceo si formavano da scintille nelle nuvole nere e
schizzavano a
terra come dardi infuocati, cadendo ed emettendo boati una volta giunti
al
suolo. Era pericoloso restare li, lo sapeva bene, ma il mondo doveva
sapere
quello che stava accadendo, doveva essere coraggioso e fare il proprio
dovere,
come il maestro esploratore di Re Wulf della terza era, che era andato
a
banchettare negli abissi marini pur di riportare al suo re la conferma
che nel
mare vi era un mondo simile al nostro, semplicemente subacqueo. Trasse
un
profondo sospiro e intinse il pennino nel calamaio:
…
i lampi si fanno da bianchi a
rosati, mentre palle di luce viola si formano come masse infuocate e si
scagliano a terra, come strali lanciati da divinità
infuriate. Che Dei a noi
sconosciuti si siano adirati con noi? Io vedo queste palle, e mi chiedo
se esse
siano della stessa consistenza delle stelle lontane, che ardono nella
notte. Di
certo, le stelle che cadono nelle sere della stagione calda non fanno
tutti
questi danni. Ecco, ora gli strali divini si abbattono su Winscott,
distruggendo case e palaz- Un
tuono di incredibile portata gli strappò un grido, mentre i
vetri della torre
andavano in mille pezzi a causa della pressione dell’aria,
ferendolo in volto e
facendolo cadere dallo sgabello, il calamaio che cadeva sulla pergamena
e
imbrattava ogni cosa. Anziano come era, il maestro astrologo fece
fatica a
riaversi dal tremendo spavento ma nulla, nulla, lo
terrorizzò e stupì più di
quanto vide quando riuscì a rialzarsi: una luce aleggiava
sopra la città,
simile ad un velo, appena sotto il manto di nubi. L’astrologo
era abbastanza in
alto per vedere che la luce si muoveva ad un ritmo proprio, come se
coordinata
da una musica, ed appariva leggera e benigna nel suo rosa pallido.
Senza badare
al pericolo, l’astrologo uscì sul piccolo
davanzale della torre, la bocca
spalancata dallo stupore, gli occhi fissi su qualcosa che andava oltre
le sue
capacità. Fu allora che la vide.
Fu
allora che la videro. Haiduc e Nicolai erano sul bastione della porta
nord, e
guardavano un punto preciso sopra le loro teste: una figura si muoveva
nel velo
di luce che si era srotolato sopra la città di Winscott.
Più che muoversi, la
figura galleggiava nell’aria, sospesa nel colore, quasi fosse
un liquido
uterino e materno, protettivo. I fulmini si erano fermati, e Winscott
alle loro
spalle mostrava qua e la i segni della loro furia in pinnacoli di fumo
nero. Da
sotto lo spesso strato di nubi, il sole era tornato a filtrare, dando a
Winscott i suoi bianchi bastioni e al velo un’iridescenza
ipnotica. <<
Nicolai… >> Mormorò Haiduc con
fatica, senza distogliere lo sguardo dal cielo. << Devi
sapere che
mentivo, quando ti dicevo che non avevo mai visto un temporale di
simile
portata. >> Nicolai rimase in ascolto, senza guardarlo,
attendendo che
Haiduc proseguisse. << Albeisine… è
stata distrutta da un temporale come
questo. >> Concluse l’Albeis, senza vergognarsi
della nota tremula che la
sua voce aveva acquisito nel dire la verità. Che vergona
c’era nel dimostrarsi
spaventato? Quei fulmini viola avevano portato la fine del suo mondo, e
Nicolai
doveva saperlo.
<<
Dei misericordiosi. >> Si lasciò scappare
Nicolai dopo un lunghissimo
silenzio, distogliendo lo sguardo dal cielo e puntandolo
sull’amico. Si girò
per vedere la sua città, la sua Winscott, per pensare al
luogo in cui era nato,
cresciuto, vissuto fino ad allora. Guardò al Palazzo, alla
sua mole nella Città
Alta, guardò il piccolo puntino che si muoveva sulla torre
di astrologia, gli
uccelli che si muovevano sinuosi nel vento tempestoso…non si
stupì di avere gli
occhi lucidi, quando riportò lo sguardo al cielo, e non si
vergognò di invocare
gli Dei perché la loro punizione fosse rapida e indolore.
Ma
quello non era il momento di Winscott, e nemmeno di Nicolai o di
Haiduc; non
era il momento nemmeno dell’astrologo, che guardava
dall’alto i due puntini che
si trovavano sul bastione nord. Quello era il momento della figura
avvolta nel
colore, piccola e nuda. Era suo, e di nessun altro.
Accadde
tutto così velocemente che nessuno credette mai alle loro
parole: il velo di colore
inziò a farsi più spesso e a vibrare con maggiore
forza, mentre le nubi
andavano ritirandosi a ammassandosi attorno alla figura. Il colore del
cielo si
faceva sempre più intenso, mentre il velo iniziava a
ritirarsi verso la
figurina e ad avvolgerla in una palla rosa, vorticosa ed instabile. Man
mano,
le nubi nere ripiegavano e prendevano
forma di spirale sopra la palla, muovendosi dapprima lentamente e poi
vorticosamente una volta che il velo ebbe finito di avvolgersi attorno
alla
figura. La palla ora girava e scariche elettriche di fulmini violacei
mostravano tutta la sua potenza distruttrice, mentre le nubi sopra di
essa
vorticavano e andavano assottigliandosi sempre di più, quasi
fossero esse il
motore che spingeva lentamente la palla a terra. Poi, ci fu un rumore
sordo,
una vibrazione dell’aria, una pulsazione e la palla
iniziò a scendere verso il
terreno, lenta, quasi dolce, simile ad una foglia nel vento. Nicolai e
Haiduc
non potevano credere ai loro occhi, mentre dall’alto della
torre il maestro
ammirava le nubi tempestose assottigliarsi e contrastare, con la loro
forza
irruenta, con la dolcezza del movimento della palla. La vibrazione
nell’aria si
ripeté di nuovo, più forte, e tutti nella
città, anche gli abitanti nelle
catacombe, anche il Re sul suo trono, anche Haiduc e Nicolai, anche il
maestro
astrologo la percepirono, restandone terrorizzati. La vibrazione si
ripeté per
ben due volte, prima che la palla si fermasse a qualche metro da terra.
Allora,
un vento forte iniziò a soffiare, convergendo nello spazio
tra la palla di luce
e la terra, come se volesse risucchiare il mondo. <<
Dobbiamo andarcene!
>> Gridò Nicolai, ma Haiduc sembrava come
ipnotizzato da quella palla:
non riusciva a distogliere lo sguardo da essa, morbosamente curioso di
vedere
cosa sarebbe successo. << Haiduc! >> Lo
chiamò ancora Nicolai, ma
ormai era tardi: la palla era entrata in contatto con la terra e tutto
era
inutile.
Una luce
accecante abbagliò la città. La vibrazione che
emanò il contatto fu così potente
che quando investì la città, parecchie case
pericolanti crollarono, mentre le
catacombe ressero per miracolo. A qualche vecchio il cuore cedette e
qualche
cane impazzì di paura ma, a parte questo, Winscott dai mille
portici
sopravvisse senza problemi. Sul bastione della porta nord, Haiduc e
Nicolai caddero,
perdendo l’equilibrio, ma immediatamente si rialzarono,
consci che quell’avvenimento
sarebbe entrato nelle cronache e nelle leggende. I due si sorpresero a
piangere, mentre la palla di luce entrava in contatto con la terra, a
pochi
metri da loro. Nella sua caduta, la palla scavava un cratere via via
sempre più
grande e profondo, lanciando vibrazioni sempre più deboli ed
emettendo qualcosa
di nuovo: un lamento di agonia, un grido che partiva del basso per
diventare
sempre più acuto, coincidendo con la fine della caduta.
Haiduc e Nicolai si
tapparono le orecchie, continuando a guardare: la palla ora era per
metà nel
cratere e per metà fuori di esso e, lenta, iniziava a
spegnersi, esaurendo il
suo potere distruttivo e la sua carica elettrica. Si ritraeva,
lasciando dietro
sé una scia di fumo rosato. Finito
il
lamento, Haiduc e Nicolai si guardarono, asciugandosi le lacrime.
<< L’hai
sentito anche tu? >> Chiese Nicolai, tirando su col naso,
mentre l’adrenalina
scorreva ancora nelle sue vene. Haiduc annuì appena, gli
occhi rossi fissi sul
cratere. << Un lamento. >> Disse Nicolai.
<< Anzi: il lamento di
una stella che muore,
ecco cosa abbiamo udito. >>
Haiduc
lo guardò. << Hai colto nel segno.
>> Ammise. << Vieni,
usciamo. >>
Il
maestro astrologo riprese fra le mani l’Occhio Grande,
tremando per l’emozione:
che ne era della figura al centro della palla, questo si chiedeva. Ma
il fumo
era troppo fitto e denso, non ci vedeva. Non poté far altro
che concentrare
l’attenzione sui due cavalieri che uscivano proprio in quel
momento dalla porta
nord.
Haiduc e
Nicolai si avvicinarono cautamente al bordo del cratere, coprendosi con
le
maniche delle camice naso e bocca per non respirare il fumo acre che
esalava
dalla terra. << Per i miei Dei e per il tuo Dio!
>> Proruppe
Nicolai, asciugandosi gli occhi mentre guardava il pinnacolo di fumo
rosa.
<< Credi che sia caduta assieme alla palla?
>> Haiduc arrivò
all’orlo del cratere, cercando con lo sguardo un segno
qualsiasi di vita.
<< Io… credo che si sia sciolta, Nicolai.
>>
Nicolai
annuì. << Già… ma che
cos’era? >>
Hiaduc
scosse la testa: quando la Fine del Mondo si era abbattuta su Albeisine
non vi
era stato alcun velo, alcuna figura, alcuna palla di luce. Solo fuoco
viola,
morte e distruzione per mano dei fulmini di quel fottutissimo
temporale. Ma lui
era lontano, non aveva visto bene… << Non ne
ho la più pallida idea.
>> Ammise l’Albeis, scrutando ancora dentro il
cratere: il fumo non
accennava a diradarsi e la curiosità era grande…
<< Procurami una corda
>> Disse all’amico, fissandolo con uno dei suoi
ghigni. << Mi calo.
>>
Attraverso
l’occhio grande, l’astrologo riuscì a
vedere che un folto gruppo di persone
erano uscite per riunirsi attorno al cratere: popolani,
nobili… erano tenuti a
debita distanza da un cordone di fanti della Guardia Cittadina, su
ordine di
Haiduc d’Albeis- lui era riconoscibilissimo nella sua pelle
adamantina, tanto
invidiata dalle dame di corte- e Nicolai Cavaliere della Lingua, sempre
in
mezzo ai guai. L’astrologo sorrise, grattandosi il naso
adunco e gibboso,
continuando ad osservare, curioso come una comare nel voler svelare il
mistero
attorno la palla di luce.
Haiduc
d’
Albeis si era sempre fatto vanto di non temere nulla, ma stavolta, la
corda
legata attorno alla vita, il pugnale tra i denti e gli occhi di mezza
Winscott
puntati addosso lo facevano sudare freddo- o era il cratere a creargli
quella
brutta sensazione? Si appuntò di andare alla Casa e di
accendere per ogni Dio cinque
candele, per ringraziarlo di aver avuto misericordia di Winscott.
Nicolai gli
batté una mano sul sedere, mettendolo in serio imbarazzo
davanti alla folla.
<< Allora, sei pronto o devo darti una spintarella?
>> Ridacchiò il
cavaliere, ricevendo un’occhiata stizzita
dall’altro che, per tutta risposta,
gli diede il capo libero della fune. << Renditi utile.
>> Gli disse
solo, prima di iniziare a calarsi nel fumo.
Il
cratere era profondo tre metri abbondanti, ed era illuminato dai
riverberi che
il sole proiettava sul
fumo ancora
spesso. Vi era il più totale silenzio e Haiduc si muoveva
con fare circospetto
sul fondo della conca, cercando di vedere qualcosa nella nebbia rosata.
Fece
pochi passi, prima di urtare qualcosa col piede. Si sentì
gelare il sangue
mentre, guardando in basso, riconosceva nel grumo sporco e sanguinante
che
aveva urtato una mano semi aperta. Rapido, Haiduc si chinò e
la vide: una larva
umana, ustionata, bruciata, sanguinante, butterata era ai suoi piedi,
nel
centro del cratere, e i piccoli movimenti del corpo la rivelavano viva.
Nella
sua vita non aveva mai visto niente di simile, e si chiese come gli Dei
potessero tollerare una simile sofferenza. <<
Hei. >> Chiamò
l’Albeis, toccando con la punta delle dita la creatura
disgraziata. Questa si
ritirò immediatamente, mugolando di dolore al contatto con
l’altro. La voce di
Nicolai giunse da lontano
<<
Trovato niente? >>
Haiduc
non aveva tempo per rispondere: si tolse la camicia e la fusciacca,
mostrando
il petto pallido e liscio, e avvolse la creatura miracolosamente viva
in essi,
facendo piano e sussurrandole parole di conforto. La osservò
bene: era piccola,
la creatura, senza il primo strato dell’epidermide; i capelli
spuntavano a
ciocche insanguinate sul capo, mentre delle orecchie e del naso non era
rimasto
nulla, se non i fori; gli occhi erano grandi e gonfi, chiusi come
quelli dei
neonati e tutto era connotato da un’innaturale magrezza,
dovuta con ogni
probabilità al prosciugamento di muscoli e liquidi. Mentre
avvolgeva le gambe
della creatura nella sua lunga fusciacca, vide che era femmina. Lei
aprì la
bocca, lasciandosi sfuggire un lamento quando Haiduc la prese fra le
braccia,
stringendosela al petto. << Ti porto fuori.
>> Le disse, dando un
forte strattone alla corda << Nicolai! >>
Chiamò << Tirami
su! C’è un ferito qui! >>
Fu
così
che a Winscott nacque la leggenda della ragazza caduta dal cielo, la
Stella
Morente.