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Autore: ignorance    13/08/2012    3 recensioni
“Quella, se non mi sbaglio, è una pianta di Alioto, la cui proprietà è quella di provocare isteria se ingerita”
Crossover Merlin/Harry Potter, Merthur accennata.
Partecipa alla Challenge "Chi, con chi, che cosa facevano" - Plot bunny #4.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Commenti: la pubblico più per esasperazione che altro. Sono sparita dalle scene per un po', e niente, questo è un Cross-Over Merlin/Harry Potter sopravvissuto al completo crack del mio pc e al disastroso crollo della mia ispirazione. La pubblico nella sezione Merlin perché la coppia principale è la Merthur, appena accenata - una sensazione aleggiante che, se fossi riuscita ad andare avanti, sarebbe successo qualcosa. Chissà cosa, poi. *ride*
Non l'ho riletta, ma è inspiegabilmente lunga, per i miei standard, e... Mi dispiace, solo questo. *affranta

Questa storia partecipa alla Challenge "Chi, con chi, che cosa facevano" - Plot bunny #4.

Disclaimers: i personaggi non mi appartengono, anche se mi piacerebbe, come penso piacerebbe a chiunque. ;w;


***


Merlin si guardò intorno nervosamente, deglutendo, e si sfregò le mani tra loro per riscaldarle. Espirò una nuvoletta di aria condensata e desiderò ardentemente essersi portato una sciarpa. La figura nera e ammantata, vicino a lui, si limitò a sbattere la nocca sul grosso cancello inferriato e ad emettere un sospiro seccato alla mancata risposta.

Dopo un interminabile minuto, la cancellata si aprì, e un piccolo signore, salutandoli con un sorriso amichevole, gesticolando, li invitò ad entrare.

Percorsero un breve tragitto a piedi, in assoluto silenzio, finché non arrivarono ai piedi di una grossa carrozza senza conducente. L'ometto fece loro cenno di salire, precedendoli, e si ritrovarono tutti e tre stretti in un abitacolo scuro, ma perlomeno erano al riparo dalla pioggia.

“Piacere, io sono il professor Vitious”, si presentò allegramente l'uomo, i cui piedi non toccavano il fondo della carrozza. “Vi do il benvenuto a Hogwarts. D'ora in poi saremo colleghi, speriamo per un periodo piuttosto lungo” e ridacchiò piano.

La figura ammantata tese una lunga mano pallida, che l'ometto strinse immediatamente, e una voce profonda ma vagamente inquietante scandì, spiccia: “Severus Snape, cattedra di Pozioni”, calcando con una nota di disprezzo sull'ultima parola.

Merlin rabbrividì impercettibilmente, ma tese la mano all'uomo, dicendo: “Merlin Emrys, cattedra di Erbologia”.

L'uomo lo guardò, poi sorrise e gli strinse calorosamente la mano. “Oh, ma certo!” esclamò. “Benvenuto, benvenuto, professor Emrys! Avremo bisogno del suo aiuto, certo che sì” e rimase in silenzio per il resto del tragitto.

Quando la carrozza si fermò, Merlin scese per primo. Si strinse nel mantello, cercando di riparararsi dal freddo, e osservò l'uomo che aveva detto chiamarsi Snape con una punta di curiosità. I suoi capelli erano neri come il buio, piuttosto unticci, e la pelle era pallida e giallognola, come se fosse appena uscito da una malattia grave e debilitante. Il suo sguardo era freddo, e la sua bocca, sotto il naso aquilino, era tesa in una sottile linea serrata.

Quando i loro occhi s'incrociarono, Merlin distolse subito lo sguardo, imbarazzato, e fu certo di aver visto un accenno di ghigno sprezzante arricciare le labbra di Snape. Rabbrividì ancora, ma non per il freddo, e si girò ad ammirare il castello: era magnifico. Era enorme, soprattutto. Le torri spuntavano ovunque dalle mura di pietra, e il portone imponente di stagliava davanti a loro, sbarrato. L'altezza era incalcolabile da lì, registrò distrattamente, ma avrebbe avuto tempo di fare i suoi calcoli, ne era sicuro.

Aveva già visitato le Serre di Erbologia, quello sì, e sapeva che sicuramente avrebbe trovato materiale di studio con cui distrarsi.

Il professor Vitious aprì il portone, tirando fuori la bacchetta e colpendola delicatamente, e li fece entrare nell'atrio. Merlin sospirò di sollievo, sentendo i piedi che si scaldavano e la sua temperatura corporea che tornava alla normalità.

“Adesso assisterete allo Smistamento”, disse Vitious, con un sorriso. “Credo che siate già stati informati delle metodologie d'insegnamento”.

Merlin annuì, troppo affascinato per accorgersi che avevano già varcato un altro portone. Il soffitto di questa stanza era un ammasso di nuvole scure, come quello all'esterno, e delle candele fluttuavano accese ad illuminare tutta la scena. Gli studenti non avevano ancora occupato le quattro enormi tavolate, evidentemente l'Espresso non era ancora arrivato. Dumbledore, a suo tempo, gli aveva spiegato che il primo Settembre l'Espresso per Hogwarts partiva dalla stazione nove e tre quarti, e che gli studenti, una volta arrivati, avrebbero attraversato il lago con delle barche, guidati dal Guardiacaccia, Hagrid.

Gli aveva anche spiegato che si soleva dividere gli studenti in quattro Casate, corrispondenti ai quattro fondatori della Scuola – Gryffindor, Slytherin, Ravenclaw e Hufflepuff. Il tutto grazie ad un Cappello Parlante.

Merlin si era documentato, divorando Storia di Hogwarts, ma non poteva rimanere indifferente davanti al soffitto incantato e la grandezza della Sala Grande.

Merlin era contento di non aver dovuto attraversare il lago da solo, con quella pioggia scrosciante e il freddo annichilente, nonostante fosse solo il primo di Settembre. Il suo compagno era stato silenzioso per tutto il tempo, ma se non altro non aveva fatto battutacce sul tempo e quei soliti argomenti idioti che si possono tirare fuori durante i momenti imbarazzanti. Argomenti che lui avrebbe seriamente preso in considerazione, se non fosse stato fermamente convinto che si sarebbe impappinato e avrebbe balbettato, rovinando intollerabilmente ogni parvenza di credibilità della sua cattedra di Erbologia.

Per lui tutto ciò era una novità: sua madre l'aveva istruito alla magia in casa, e la sua preparazione in materia era, a sua detta, decisamente più scarsa di quella dei maghi ordinari. Non capiva tutt'ora come Dumbledore avesse potuto dargli la cattedra, considerato che aveva fatto domanda solo per la disperazione, non riuscendo a trovare un lavoro che non fosse sottopagato e, soprattutto, non proprio legale.

Così, preso dalla foga di chi non ha niente da perdere, aveva preso la prima Passaporta per Hogwarts – cosa straordinaria, ma si diceva che Dumbledore avesse veramente bisogno di personale –, e si era diretto verso l'ufficio del Preside, senza nemmeno perdersi ad ammirare il panorama.

Quando si era presentato lì, tre mesi prima, il barbuto preside, un gentile signore piuttosto attempato con gli occhi brillanti, gli aveva sorriso ed indicato con un cenno della mano una pianta sulla scrivania dietro la quale siedeva. “Signor Emrys, le spiacerebbe dare un'occhiata a questa pianta?”, aveva detto, scrutandolo con aria gentile e intrecciando le dita delle mani, posandole sulla superficie di legno. “Prego, si accomodi”, avveva soggiunto poi, come se si fosse ricordato solo ora che quello fosse un colloquio di lavoro. “Mi spiace, ma dopo tutti questi colloqui spossanti si tende a dimenticare persino la cortesia”

Merlin aveva scoccato un'occhiata in tralice alle sue spalle, poi si era seduto sul bordo di un comodo pouf comparso davanti alla scrivania e aveva gettato uno sguardo nervoso alla pianta.

Sotto lo sguardo paziente del professor Dumbledore, aveva riconosciuto le foglie dalla forma caratteristica di una pianta che cresceva nel suo paese d'origine, i suoi occhi si erano illuminati e, con le guance arrossate dall'eccitazione, aveva cominciato a parlare.

Merlin sospirò. Si era ovviamente trattato di un mero colpo di fortuna. Non contava di averne un altro per i prossimi dieci secoli, quindi avrebbe fatto bene a rifiutare il posto. Ma aveva disperatamente bisogno di un salario fisso, e senza pensarci troppo aveva accettato la cattedra che gli veniva miracolosamente offerta.

Vitious, distraendolo momentaneamente dalle sue elucubrazioni, gli indicò un posto su una tavolata discosta dalle quattro delle diverse Casate, più elevata, e lui si sedette docilmente, con un altro sospiro.

Snape, si accorse nervosamente, si era messo vicino a lui, senza parlare. Era piuttosto inquietante. Ma, come abbiamo già detto, era se non altro grato di non venire trascinato in discorsi in cui si sarebbe messo certamente in imbarazzo. La sua tolleranza riguardo alle relazioni con gli altri era minima. Non era abituato a venire considerato troppo, era più il tipo che sta silenziosamente dietro le quinte, a coordinare il lavoro altrui. Avendo inoltre vissuto in un paesino Babbano, non aveva molta confidenza con l'ostentazione di abilità magiche.

Aveva vissuto nascondendo questa sua peculiarità fino adesso, considerandola più un peso che un dono. Quindi non aveva idea di un sacco di cose che invece persino i ragazzini del primo anno consideravano ormai basilari.

Rimuginando in silenzio, si accorse solo vagamente della sala che si riempiva, delle panche che grattavano contro il pavimento e del vociare prepotente di mille voci tutte insieme, un cicaleccio senza fine che avvolgeva ogni cosa. Neanche fece caso alle sedie intorno a lui che pian piano si riempivano, evidentemente di professori in carica già da tempo.

Solo quando Vitious, alla sua sinistra, gli rivolse la parola, Merlin alzò lo sguardo dalle sue mani intrecciate sotto il tavolo e si rese conto che doveva avere passato un tempo considerevole perso nei suoi pensieri. “Eh?”, disse, guardando smarrito l'ometto, che gli sorrise.

“Dicevo”, riprese Vitious, urlando un poco per farsi sentire, “Professor Emrys, le presento i suoi colleghi” e indicando con il piccolo dito illustrò: “Professoressa Minerva McGonagall, Trasfigurazione”. Un strega con i capelli raccolti in uno chignon, l'espressione seria e l'aria severa, gli fece un cenno rigido e tornò a guardarsi intorno con l'aria di voler controllare gli studenti anche da lì. “Professor Remus Lupin, Difesa Contro le Arti Oscure”, disse ancora Vitious. Un signore piuttosto giovane, ma con i capelli grigi e l'aria piuttosto spossata, stropicciato come se fosse stato costretto ad invecchiare prematuramente, gli fece un sorriso gentile. “La Professoressa Charity Burbage, di Babbanologia”. Una signora abbastanza normale, dall'espressione mite, gli sorrise e fece un cenno. “Poi, ovviamente, il professor Snape, di Pozioni, e io, che insegno con scarsi risultati Incantesimi” e rise.

“Mancano le professoresse Trelawney e Sinistra, il professor Ruff, che avrà tempo di conoscere, sicuramente, e Hagrid, che al momento sta scortando i primini attraverso il lago e poi in carrozza, come abbiamo fatto noi.” Vitious si guardò intorno, poi soggiunse: “Dovrebbero essere qui a momenti... Oh, infatti, eccoli qui!” esclamò.

Merlin prima gettò un'occhiata distratta, poi sgranò gli occhi: una mandria di ragazzini fradici, in fila, stava entrando dal portone. La professoressa McGonagall si alzò, e il brusìo si spense immediatamente. La vide posare un cappello sgualcito su una seggiola, e vide le facce piene d'aspettativa degli studenti, che lo guardavano come se da un momento all'altro avesse potuto prendere a cantare.

Cosa, che in effetti, fece. Merlin osservò attentamente e con sgomento uno strappo del cappello che si apriva e cominciava a cantare in rima, e nonostante ne avesse letto su Storia di Hogwarts, ne rimase sbalordito. Almeno quanto i primini, che avevano un 'espressione rapita e pendendevano dalle, ehm, labbra del Cappello.

Senza fare troppo caso ai versi, Merlin intercettò forse l'unico sguardo annoiato dell'intera sala. Apparteneva ad un giovane biondo e dagli occhi chiari, seduto alla tavolata Gryffindor, che stava sbadigliando pigramente senza neanche nascondersi dietro la mano. Era piuttosto alto, e sembrava suppergiù del Sesto anno.

Lo osservò a lungo, fino a quando non si accorse che il Cappello Parlante aveva finito di cantare e che la professoressa McGonagall aveva srotolato una lunga pergamena, e stava dicendo dei nomi. Evidentemente era cominciato lo Smistamento. I primini si facevano avanti, tremanti, si mettevano il Cappello in testa e quello gridava il nome di una casa.

Ogni casa accoglieva i nuovi studenti con un caloroso applauso. Anche il ragazzo biondo applaudiva, sorridendo.

Merlin seguì lo Smistamento fino a un certo punto, poi si distrasse. Rubeus Hagrid, il guardiacaccia, si presentò in quel momento, dandogli una pacca allegra da sopra il tavolo, andando a colpire un calice, che si rovesciò, e siedendosi al suo posto. “Piacere”, borbottò Emrys, sovrappensiero, e Hagrid fece un enorme sorriso che lui non notò, mentre Vitious si operava per asciugare la tovaglia e Snape sibilava qualcosa di velenoso.

Merlin si mise ad osservare il ragazzo biondo, poggiandosi una mano sotto il mento e sorreggendosi sul tavolo, mentre la McGonagall continuava a pronunciare un numero infinito di nomi e il Cappello Parlante gridava nomi di Case, tra applausi e fischi.

Lo guardò sorridere ai primini, e ridacchiare alle battute del suo vicino, sulla panca, un tizio dai capelli scuri e mossi, lunghi poco sopra le spalle, il sorriso allegro e spontaneo. Registrò distrattamente che al biondino, quando sorrideva, si illuminavano gli occhi, e che applaudiva molto rumorosamente, più per il gusto di far casino che per reale partecipazione, si sarebbe detto.

Ad un certo punto il ragazzo si accorse del suo sguardo, perché allacciò gli occhi ai suoi e scintillò di un sorriso malizioso, per poi tornare a parlottare con il suo amico.

Merlin s'imporporò, senza poter evitare di farlo, e distolse rapidamente lo sguardo. Riportò l'attenzione allo Smistamento, e si accorse sollevato che era quasi finito. Quando la McGonagall pronunciò l'ultimo nome, e il Cappello ebbe smistato il ragazzo a Hufflepuff, il Preside comparve da una porticina laterale.

L'arrivo di Albus Dumbledore stroncò sul nascere il vocìo eccitato della sala. La McGonagall portò via il Cappello e lui si fece avanti, allargando le braccia come a voler avvolgere l'intero salone. “Benvenuti, ai nuovi studenti! E a quelli vecchi, bentornati!”, esclamò, e fu in quel momento che nella mente di Merlin la sua voce sfumò. La barba bianca scintillava alla luce delle candele, e Merlin si perse a snocciolare mentalmente tutte le tonalità di bianco che conosceva.

Arrivato al bianco sporco, si sentì dare una gomitata piuttosto potente e sobbalzò, alzandosi in piedi senza volerlo. Il possessore del gomito piccolo ma appuntito che gli aveva quasi rotto una costola era Vitious, che adesso lo guardava con un sorriso.

Anche Dumbledore gli sorrise, e disse, con la voce amplificata dall'incantesimo Sonorus: “Vi presento il nuovo professore di Erbologia, Merlin Emrys”. Merlin avvampò sotto lo sguardo di tutta la sala, e fece un impacciato cenno di saluto, che venne accolto con un applauso piuttosto rumoroso. Il suo sguardo saettò sulla tavalolata Gryffindor, e vide il ragazzo biondo che applaudiva forte, sorridendo con gli occhi che brillavano divertiti.

Si sarebbe sotterrato volentieri. Ma poi Dumbledore presentò Snape, e lui, di nuovo seduto, sentì le parole che aspettava da tutto il giorno: “E adesso, abbuffatevi!”



Merlin trovava la sua stanza veramente deliziosa. Gliel'aveva indicata lo stesso Dumbledore, con lo sguardo divertito, e poi lo aveva lasciato solo con i suoi bagagli. Era semplicemente un piccolo cottage vicino alle Serre, con una stanza e un piccolo bagno, ma era davvero accogliente: un letto a baldacchino, un armadio, delle piccole mensole a muro e persino una libreria con alcuni tomi d'Erbologia. C'era persino il camino, in cui il fuoco già scoppiettava allegramente.

Dumbledore, tra l'altro, gli aveva assicurato che non c'era pericolo che soffrisse il freddo. “Tutti gli altri professori alloggiano nel castello”, aveva detto, “ma sono sicuro che questa sistemazione le sarà oltremodo utile” e aveva sorriso.

Gli avevano dato anche una dettagliata tabella delle lezioni che avrebbe dovuto svolgere, e lui aveva provveduto ad attaccarla al muro, in bella vista, per non rischiare di dimenticarsene. Dimentico di qualsiasi altra cosa, disfece i bagagli in pochissimo tempo, in quanto non era mai stato molto benestante e non possedeva molte cose, ma alla fine era soddisfatto del risultato: il piccolo cottage adesso aveva un'aria più intima, più sua. Le ampolle di alcuni filtri fatti con le erbe medicinali sulle mensole, gli scaffali stipati di ingredienti naturali, la libreria ricolma di tomi, il grosso calderone in un angolo, vicino al fuoco.

Merlin poteva dire che le erbe erano la sua vita. Aveva vissuto catalogando e studiando ogni proprietà di ogni pianta, e lo trovava immensamente più interessante di qualsiasi altra cosa.

Dopo aver fatto, incautamente, un giro nelle varie Serre, e sistemato alcune delle piante che gli sarebbero servite per la lezione del giorno seguente, tornò nella stanza con diverse parti del corpo congelate ed una stanchezza assassina nelle membra. Senza neanche cambiarsi, crollò sul letto, dopo aver gettato uno sguardo alla tabella delle lezioni e registrato che l'indomani la sua prima lezione sarebbe stata con i Gryffindor e gli Hufflepuff del Sesto anno.



Si svegliò completamente vestito, con i capelli appiccicati alla fronte, e di soprassalto. Non ricordava il sogno che aveva fatto, ma doveva essere piuttosto angosciante. L'unica cosa chiara era che c'entravano due paia di occhi azzurri e Snape, rimembrò rabbrividendo. Tirandosi a sedere stancamente, guardò l'orologio e sobbalzò. Avrebbe avuto la prima lezione tra venti minuti, e aveva persino saltato la colazione!

Balzò in piedi e corse a guardarsi nel piccolo specchio che aveva appeso sopra il lavandino del bagno. Aveva un aspetto orribile, assolutamente: i capelli neri sembravano appena usciti da una centrifuga, nonostante fossero piuttosto corti, e aveva gli occhi di un invasato. Fortunatamente lo stato della barba era ancora accettabile, pensò con un sospiro. Si perse un attimo a guardarsi, le orecchie a sventola e il naso dritto, la bocca piccola e sottile, e poi si riscosse, dandosi dell'idiota.

Si lavò la faccia, ingurgitò una maleodorante pozione alle erbe che gli avrebbe permesso di rimanere in piedi almeno fino a pranzo, si diede un contegno, cambiandosi i vestiti stropicciati, e fece appena in tempo a fare una capatina in bagno e lavarsi i denti.

Serra quattro, diceva la tabella. Si sistemò la sciarpa blu al collo, si avvolse nel mantello e uscì. Il tempo era decisamente migliorato, e un sole incerto spuntava da dietro le nuvole. Ma faceva ancora dannatamente freddo.

Arrivò nella Serra giusto in tempo per vedere gli studenti, una ventina circa, sciamare dentro alla ricerca di un po' di calore. Merlin si sentiva in soggezione, sotto tutti quegli sguardi che lo fissavano, ma si fece coraggio e si schiarì la voce, creando un silenzio a sua detta miracoloso.

“Buongiorno”, disse, con un piccolo sorriso, “Io sono il professor Emrys, e sarò il vostro professore di Erbologia, ehm, speriamo per molto”, soggiunse, sucitando una risata. Non stava andando poi così male, dài. Le sue aspettative erano molto meno rosee.

Fu in quel momento che notò una testa bionda, e un paio di occhi azzurri che scintillavano, fissandolo impunemente. Era lo stesso ragazzo del giorno prima, notò Merlin con un moto di terrore completamente ingiustificato, e si bloccò per qualche secondo a notare i piccoli particolari che da lontano non era riuscito a cogliere: il naso piccolo, la bocca carnosa, le sopracciglia non tanto sottili e il Pomo d'Adamo che sporgeva dalla divisa, visibile data la mancanza della sciarpa o anche solo della cravatta.

Quando le labbra del giovane si arricciarono in un sorriso, Merlin si riscosse. Deglutì e distolse lo sguardo, continuando come se niente fosse: “Per oggi non spiegherò nulla di nuovo, ma avrei bisogno di testare le vostre capacità”, spiegò, fissando un punto del muro davanti a sé. “Quindi dividetevi in”, fece un rapido calcolo mentale, contando ventun studenti, “Sette gruppi da tre ciascuno, e mettetevi ognuno davanti ad una pianta”.

Attese pazientemente che i gruppi si formassero e che il brusìo si spegnesse, poi notò che nel gruppo più vicino a lui si trovavano il ragazzo biondo e il suo amico castano del giorno prima. Il suo stomaco ebbe un irragionevole spasmo.

“Perfetto”, disse, cercando di farsi sentire da tutti. “Qualcuno sa dirmi che pianta sia quella?”

Una sola mano scattò in aria, e il suo sguardo fu costretto ad intercettare quello del giovane biondo di Gryffindor.

“Sì, signor..?”, domandò, ricacciando un sospiro abbattuto.

Il giovane fece un sorriso. “Arthur Pendragon”, chiarì, con voce ferma. “Quella, se non mi sbaglio, è una pianta di Alioto, la cui proprietà è quella di provocare isteria se ingerita”

Merlin, impressionato, annuì. “Esattamente, signor Pendragon. Cinque punti a Gryffindor”, disse, e vide il sorriso allargarsi sul volto del ragazzo, assumendo una piega abbastanza orgogliosa. “Bene, sapete tutti cosa fare”

Il resto della lezione passò in fretta. I ragazzi sembravano molto preparati, e per Merlin era una cosa meravigliosa. Non avrebbe dovuto sforzarsi più di tanto. Inoltre, il grado di attenzione era costante, e non era certo cosa da poco. Pian piano si dimenticò anche della strana sensazione che gli suscitava il giovane Pendragon, pur rimanendo all'erta. Si accorse, ascoltando per caso i discorsi del suo gruppo, che il ragazzo castano si chiamava Gwaine e che Pendragon era piuttosto smargiasso e altezzoso, forse troppo fiero di sé, ma decisamente competente. Come avevo immaginato, si disse, divertito, facendogli un sorriso, che egli non esitò a ricambiare.

La lezione era terminata. Adesso avrebbe avuto un'ora di buco, quindi cominciò a riordinare la Serra mentre gli studenti uscivano. Cominciava a fare caldo, così si tolse il mantello e rimase in camicia e pantaloni. Si allentò la sciarpa e sospirò, grato che il primo giorno, o almeno la prima parte, fosse andata bene.

Non si accorse, dunque, dell'arrivo di Snape, che gli picchiettò una spalla e lo fece sobbalzare. Quando riconobbe la figura in nero, avvampò, in imbarazzo. “Oh, p-professor Snape!” balbettò, “Buongiorno”.

“Buongiorno”, replicò freddamente Snape, scrutandolo. “Avrei bisogno di un ingrediente per una Pozione di dimostrazione, e sono sicuro che lei possa darmi una mano”, spiegò monocorde.

Merlin annuì, velocemente. “Oh, certo, certo”, disse, grato che non fosse qualcosa di peggio, come si era immediatamente prospettato. “Di cosa ha bisogno?”, chiese, cordialmente. Snape aprì bocca per rispondere, ma Merlin fu distratto da un movimeno sulla porta della Serra. Alzò il braccio per bloccarlo e avanzò, dandogli le spalle.

Snape fece una smorfia seccata e rimase in silenzio, mentre Merlin, lentamente, sbirciava fuori dalla porta.

Arthur Pendragon lo guardava sorridente, appoggiato allo stipite con un braccio. Tutta la sua postura indicava un rilassamento totale. Solo i suoi occhi sembravano brillare, e le lunghe ciglia chiare sfavillavano alla luce obliqua del sole. “Salve, professore” flautò Pendragon, con un tono totalmente innocente, “Volevo chiederle una cosa”.

Merlin lanciò uno sguardo di scuse a Snape, che lo accolse con una smorfia affettata. Era un “fai pure, anche se non ne sono proprio contento”, e Merlin lo trovò molto sbagliato. Molto, molto sbagliato.

Avanzò con cautela, cercando di evitare gli ostacoli – tipo spine, radici, sassi, il pavimento –, poiché avrebbe rischiato seriamente si cadere, imbranato com'era. Ma il suo tragitto era più lungo e tortuoso di quanto immaginasse, perché un traliccio appuntito di una delle piante, che aveva personalmente – dannazione a lui – posizionato in quel punto il giorno precedente, gli si attaccò ai pantaloni.

Non avendo percepito la gravità effettiva della cosa, Merlin si limitò a tirare. Se ne sarebbe pentito per il resto dei suoi giorni.

I pantaloni gli si strapparono con un secco “crack”, sonoro e inconfondibile, e misero all'aria i suoi boxer (fortunatamente bianchi e puliti) in maniera piuttosto evidente. Mentre Merlin si faceva paonazzo e balbettava scuse e maledizioni insieme, guardandosi intorno, Snape aveva arricciato le labbra in un ghigno inquietante, mentre Pendragon, sulla porta, tentava in tutti i modi di trattenere le risate – con scarso risultato, a dire il vero.

Ma Merlin non era tipo da farsi impanicare così. Riprese immediatamente il controllo, si avvolse il mantello addosso e, imbarazzato a morte, fornì a Snape l'aiuto che gli serviva, mentre Pendragon continuava a ridacchiare a mezza voce. Facendo finta di non sentirlo, Merlin salutò il professor Snape con un sorriso tirato, e lui rispose con uno scintillìo pericoloso delle pupille, sparendo dalla porta. Proprio come un pipistrello, pensò rabbrividendo.

Non si era dimenticato di Pendragon. Anche nel caso, la sua risata glielo avrebbe ricordato limpidamente. Fece un grosso sospiro, e si girò verso di lui, non pronto al peggio ma quasi. “Dica, signor Pendragon”, disse, cordialmente, e cercò di sorridere.

Arthur rispose con una brillante sghignazzata, che si tramutò presto nel più dolce dei sorrisi. Mentre lo stomaco di Merlin cominciava a contrarsi, le parole entravano sfarfallando nelle orecchie. “Avrei bisogno di una mano nella sua materia, professore”, stava dicendo Pendragon, sbattendo le ciglia. “Ho sempre avuto dei problemi di comprensione, e-”

Merlin si riscosse e lo guardò. “Uh”, esordì. “Be', allora è meglio che andiamo nel mio, ecco, ufficio. Venga” a passo rapido, cercando di non far svolazzare troppo il mantello, si diresse con il cuore in gola verso il cottage, mentre Pendragon lo seguiva a passo svelto, con un sorrisetto indecifrabile sulle labbra.

Quando furono dentro, Merlin si girò a guardarlo e lo vide in piedi, per niente imbarazzato, con le braccia penzolanti sui fianchi, che lo scrutava. Si guardò intorno, disperato, poi disse: “Si sieda, signor Pendragon” con un tono piuttosto patetico. Non pensava avrebbe abuto dei problemi già il primo giorno. Anzi, era sembrato andare tutto bene.

Mentre si diceva che illudersi era una cosa sbagliata, il ragazzo si sedette sul bordo del suo letto e prese a parlare con tono suadente. “Volevo chiederle, professore, se sarebbe disposto a darmi ripetizioni di Erbologia”, disse, e la mente di Merlin si annebbiò. “Sa, ho sempre avuto dei problemi di, uhm, vario tipo, con questa materia, ma lei mi sembra veramente valido e...”

Ma Merlin non lo sentiva. Stava macinando idee nella sua mente, mentre il ragazzo continuava a sproloquiare, su come uscirne. Ucciderlo non era neanche nelle opzioni. Ricattarlo. No, al massimo era lui a poterlo ricattare, dopo quella scena memorabile di lui con le mutande al vento. Piegarlo con le lusinghe e poi ucc- no. Il ragazzo però voleva ripetizioni. Non capiva perché, visto la sua brillante riuscita di poco prima, ma... Prese una decisione proprio in collimazione con la fine del lungo e dettagliato discorso di cui aveva sentito sì e no le prime parole.

Sentì la sua voce sfumare in una conclusione vibrante e piena di sentimento, e s'infilò fra le sue parole, pensando che probabilmente si era perso qualcosa di importante: “Facciamo un, be', un patto, signor Pendragon”, disse, con un lungo sospiro, e lasciò la frase in sospeso per dargli il tempo di assimilare il concetto. Lo vide sorridere scaltro e continuò, titubante: “Io ti faccio ripetizioni e tu, in cambio, dimentichi il piccolo... episodio di pochi minuti fa”.

Pendragon scintillò di un sorriso enorme. “E le sue mutande?”, ridacchiò.

Merlin gli scoccò un'occhiata al vetriolo e annuì seccamente, suo malgrado imporporandosi. “Anche quelle, sì”.

Mentre Arthur rideva, con gli occhi che brillavano di divertimento, Merlin pensò che si era cacciato in un guaio enorme. Disastroso, distruttivo, altezzoso, egocentrico ma anche estremamente affascinante. E a quel punto sorrise, sconfitto, e tirò ancora un sospiro – il primo che sarebbe diventato uno dei tanti di una lunga, lunghissima serie.
   
 
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