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Autore: KrisJay    13/08/2012    6 recensioni
Bella Swan si è appena trasferita a Los Angeles con la sua figlioletta Allyson. Sta per cominciare una nuova vita lì, cercando di dimenticare il passato che le ha regalato qualche delusione e anche qualche dispiacere. Ci riuscirà, grazie anche all'affetto della sua famiglia, dei nuovi e vecchi amici che la circondano e, naturalmente, grazie ad un nuovo amore che la conquisterà quando meno se lo aspetta...
"«Oh, interessante!» quello, era un modo carino di dire “Non me ne frega niente di ciò che c’è scritto lì sopra, anche se tu me lo stai dicendo ugualmente.”
«Sì, molto interessante… ma non interessante quanto te, Isabella.» il dottor Cullen posò di nuovo la cartella sul tavolo e posò gli occhi su di me, guardandomi intensamente.
Oh, merda.
Ci stava provando con me dopo neanche cinque ore che ci eravamo conosciuti… era la prima volta in assoluto che mi accadeva una cosa simile!
«Eh… Dottor Cullen…»
«Ti prego, Isabella, chiamami Edward.»
«Edward,» dissi, accontentandolo, «non so… che stai facendo?»
«Sto cercando di conoscerti meglio, Isabella. Sai, non mi dispiacerebbe affatto sapere qualcosa in più su di te… in tutti i sensi.» sorrise sghembo, facendomi rabbrividire.
Dio mio, che persona sfacciata!"
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Solo il tempo... - Capitolo1

Solo il tempo…
 
 
 

Capitolo 1

 
Spinsi in avanti la porta di uscita dell’aeroporto, lasciando la piacevole frescura di quel posto, e sentii subito sulla mia pelle l’aria calda e afosa che c’era all’esterno dell’edificio, che mi colpì in pieno.
Ci avrei sicuramente impiegato un po’ per abituarmi a quelle nuove temperature, così alte rispetto a quelle a cui ero sempre stata abituata, però ero contenta di essermi lasciata alle spalle il freddo della penisola di Olympia.
I miei capelli non avrebbero avuto invece lo stesso beneficio; avevano preso già abbastanza umidità a Forks, fino a poche ore fa, e di certo ne avrebbero presa abbastanza anche a Los Angeles.
Los Angeles, la “città degli angeli”. La mia nuova casa… mi faceva uno strano effetto pensarla così, ma era la realtà e mi sarei dovuta abituare anche a quel nuovo particolare.
- Mamma! Mamma! – mi voltai subito non appena sentii la vocetta un po’ stridula di mia figlia, che mi stava chiamando.
Allyson se ne stava appollaiata in cima alle nostre numerose valige, posizionate sul carrello portabagagli che uno dei facchini dell’aeroporto si era gentilmente offerto di trasportare.
Io non ce l’avrei fatta di certo, erano troppo pesanti – papà si era offerto di trasportarle al posto mio quando ero partita da Seattle - e poi c’era anche Allyson che dovevo controllare… quella bambina era davvero vivace, un piccolo pericolo pubblico.
Non aveva aspettato neanche un secondo prima di decidere di arrampicarsi sopra ai nostri bagagli, sotto lo sguardo divertito di Bob il facchino, che aveva da subito preso in simpatia mia figlia.
- Mamma, aspettami! – esclamò ancora Allie, dimenandosi da sopra le valige per poter riuscire a scendere.
- Aspetta un secondo, signorina! – Bob, palesemente divertito dalla vivacità della piccola, fermò il carrello e fece il giro per poterla aiutare a scendere; la prese in braccio e poi la depositò sul pavimento, ridacchiando quando Allie sbucò via dalle sue braccia per potermi raggiungere.
- Amore, non correre… - la ammonii bonariamente, ma non ottenni nessun risultato, come sempre. In due secondi Allyson era già ancorata alle mie gambe, con il respiro leggermente più veloce del normale per via della corsetta. Alzò il viso, osservandomi con i suoi occhietti azzurri e vispi.
- Mamma, ma qui fa caldo! – esclamò ancora.
Risi, carezzandole i capelli biondi e ricci. – Sì, fa tanto caldo…
- È vero che dopo andiamo a vedere il mare? Me l’avevi promesso… - mi guardava con il faccino pieno di aspettativa e di speranza, ed era così tenera che quasi non risposi subito di sì alla sua proposta.
- Allie, amore… - mi inginocchiai, mettendomi alla sua altezza; approfittai di quella posizione per sistemarle la gonna del vestitino ed il piccolo fermaglio a forma di farfalla che le teneva indietro la frangia. – Oggi non si può, dobbiamo mettere a posto la casa nuova… però domani pomeriggio ci possiamo andare. Che ne dici?
La bimba mi sorrise, mostrandomi i suoi piccoli e perfetti dentini da latte. – Va bene, però me lo compri il gelato adesso?
Beh, un gelato era un bel compromesso. Si poteva fare.
- Lo compriamo per strada e poi ce lo mangiamo a casa, ok? – Allie annuì con la testa, facendo ballonzolare i riccioli biondi.
Mi rimisi in piedi, e aggiustai con una mano la tracolla della borsa mentre con l’altra prendevo quella di Allyson. Insieme raggiungemmo l’uscita dell’aeroporto, dove Bob ci stava aspettando insieme ai nostri bagagli.
Nell’enorme parcheggio esterno impiegammo una decina di minuti per cercare e trovare la mia auto; la settimana prima era stata ‘spedita’ e lasciata nel parcheggio fino a quando non saremmo arrivate noi. Avevo ritirato le chiavi mentre aspettavo, insieme a Allyson, che arrivassero le nostre valige e mi avevano detto che l’avrei trovata lì… e infatti fu così.
Avrei riconosciuto tra mille il mio catorcio, che poi tanto catorcio non era. Aveva qualche annetto, sì, ma la mia Polo era ancora una meraviglia!
- È questa qui, signora? – chiese Bob, non appena mi avvicinai alla macchina.
Storsi il naso. ‘Signora’… non ero poi così vecchia, e non mi piaceva quando mi chiamavano in quel modo. Ma il fatto di avere una bambina di tre anni spesso portava la gente a riferirsi a me con quell’appellativo, anche se dovevo compiere ancora ventidue anni e ne dimostravo addirittura qualcuno in meno.
A sentire mio padre, era proprio così.
- Sì, è questa qui. – risposi a Bob e poi premetti il pulsantino che fece scattare la sicura dell’auto, aprendola.
Bob caricò con velocità e efficienza le valige nel bagagliaio – chissà quante altre volte lo aveva fatto, per diventare così rapido – mentre io mi preoccupavo di far sedere una Allyson parecchio scocciata e capricciosa nel suo seggiolino, sul sedile posteriore. I bagagli si scoprirono essere più voluminosi di quanto immaginassi, tanto che alla fine sistemammo le ultime due valige, le più piccoline, accanto al seggiolino di Allyson e sul sedile del passeggero, che era libero.
- Non dovrebbero dare problemi, sistemate in questo modo. – Bob assicurò l’ultima valigia fissandola con la cintura di sicurezza.
- La ringrazio moltissimo… Allie, non toccare! – sgridai prontamente mia figlia, che stava già cominciando ad esplorare il suo interessante ‘vicino’ di viaggio.
- Ma mamma, è la valigia di Kitty! – disse, con fare ovvio, indicando l’irritante micetto bianco dotato di fiocco rosa che decorava il trolley: un regalo da parte di mia madre per la sua adorata nipotina.

Mamma mia, quanto odiavo Hello Kitty.
- Già, mamma, è la valigia di Kitty! – Bob le fece il verso, divertito. – A parte gli scherzi, signora mia, parta tranquilla perché quelle valige non si muoveranno neanche se vorrebbero. – concluse, dando una pacca al borsone che si trovava sul sedile del passeggero.
- Questo mi farà stare davvero tranquilla. – sorrisi riconoscente a quella persona così gentile e cercai nel borsone in stile Mary Poppins il portafoglio, dopodiché lasciai a Bob una generosa mancia che cercò quasi di rifiutare.
- Su, non si faccia pregare! – esclamai, ficcando quasi a forza le banconote nella sua mano.
Vedendo che non mi sarei arresa tanto facilmente, Bob alla fine accettò la mancia… allungando una banconota da cinque dollari a mia figlia, che la afferrò con uno slancio per quanto glielo permettevano le cinture del seggiolino.
- Waw, grazie! – urlò, contenta.
- Fatti comprare un bel gelato dalla mamma. – le sorrise dolcemente e poi sorrise anche a me, facendomi un cenno col capo. – Benvenute a Los Angeles! – esclamò prima di allontanarsi, e fare così ritorno in aeroporto.
- Mamma, che cos’è Loz Angeles? – mi chiese Allie non appena presi posto al volante.
- Los Angeles, tesoro, Los Angeles. – la corressi mentre mettevo la cintura di sicurezza. - È il nome di questa città, ti piace?
La osservai dallo specchietto retrovisore, che stavo aggiustando, mentre scuoteva rapidamente la testa. – No, non mi piace! A me piace di più Focks!
Scoppiai a ridere; le riusciva ancora male pronunciare qualche parola, anche se il suo vocabolario era bello ricco e parlava abbastanza bene per essere una bambina di soli tre anni. Sembrava più grande, e alcune volte mi confondevo persino io…
- Forks amore, si dice Forks…
- Focks! – disse ancora, ridendo.
Risi con lei, e contemporaneamente avviai il motore dell’auto.
 

-
 

Fermai la macchina davanti alla palazzina dove, se non avevo sbagliato ad inserire l’indirizzo sul navigatore, si trovava la nostra nuova casa. Dall’esterno il posto prometteva davvero bene: la palazzina era tutta dipinta di bianco, con le imposte delle finestre di un simpatico verde bottiglia. Non sembrava neanche troppo malandato, il che mi fece smettere di preoccuparmi subito. Anche il quartiere sembrava promettere bene… beh, sperai che fosse davvero così.
- Allie, siamo arrivate. – dissi, mentre osservavo ancora la palazzina.
La bambina non mi rispose, così mi voltai per controllarla e scoprii che aveva gli occhi chiusi; doveva essersi appisolata durante il viaggetto in macchina.

Ecco perché non chiacchierava, pensai con un sorriso.
Slacciai la cintura di sicurezza e mi sporsi all’indietro, fino a scrollare piano la spalla della bambina. Allyson socchiuse gli occhi dopo qualche secondo, osservandomi un po’ confusa.
- Siamo a casa, tesoro. – le sussurrai, carezzandole piano il braccino scoperto.
Lei sbadigliò, e si strofinò gli occhi con le manine chiuse. – Ma… ma non mi hai ancora comprato il gelato… - disse, borbottando.
- Ci andiamo tra poco, adesso andiamo a vedere la casa, okay?
Dopo essere scesa dalla macchina la aiutai a scendere dal seggiolino e poi, tenendola per mano ancora assonnata, salimmo l’unico gradino che c’era prima del portone della palazzina; era leggermente socchiuso, quindi mi bastò spingerlo un po’ per poter entrare. Una leggera frescura, forse causata dal condizionatore, ci accolse insieme allo sguardo un po’ confuso di quello che doveva essere il portiere, che aveva appena alzato lo sguardo da una rivista.
- Buon pomeriggio. – dissi, sospingendo piano Allyson fino al banco dove si trovava l’uomo; dovevo spiegargli il motivo per cui eravamo lì, oltre che a prendere le chiavi dell’appartamento.
- Buon pomeriggio… - il suo sopracciglio destro si inarcò verso l’alto, in attesa che aggiungessi qualcosa che non fosse solo un semplice saluto.
- Sono… sono Isabella Swan, e lei è Allyson, - indicai con una mano la bambina, - siamo qui per…
- Oh, ma certo! Lei è la nuova proprietaria dell’appartamento 7D! – mi interruppe, e adesso sul volto del portiere era comparso un bel sorriso, tra il sollevato e il sorpreso. – Piacere di conoscerla, signora Swan, io sono Stanley Johnson, ma mi può semplicemente chiamare Stan. Non immaginavo di vederla così presto…
- Oh… - mi morsi il labbro, in un riflesso incondizionato. – Beh, abbiamo approfittato della prima occasione per venire qui. – Non volevo già spifferare gli affari miei, o almeno non alla prima persona che mi capitava davanti.
- Sono sicuro che vi troverete entrambe bene qui… ecco. – Stan, che si era messo a frugare all’interno di alcuni cassetti, mi porse un semplice portachiavi al quale vi erano inserite tre chiavi argentate. – Le due in più sono di riserva, naturalmente ne ho una anche io se dovessero insorgere delle emergenze… però queste le può avere lei tranquillamente.
- Grazie. – mi schiarii la voce. – Però… se non le dispiace, Stan, mi chiami pure Bella.
- Ma certamente! Allora, Bella, adesso ti accompagno a vedere la casa… - abbassò lo sguardo e lo puntò sul visetto di mia figlia, che si vedeva a malapena visto che era seminascosta dal banco della portineria, e poi le sorrise. – Tieni, Allyson, vuoi portare tu le chiavi?
Allyson allungò il braccino e prese il portachiavi che Stan le porgeva, e cominciò subito ad agitarlo come se fosse un sonaglio. – Grazieeeeeeee! – esclamò.
Si entusiasmava veramente con poco, dovevo dirlo.
- Non le perdere, mi raccomando! – Stan le fece l’occhiolino prima di uscire dal banco della portineria. – Ok, adesso andiamo a vedere il vostro nuovo appartamento…
Stan, come se fosse stata una guida professionista, ci accompagnò fino al terzo piano della palazzina, dove si trovava la nostra casa; aiutò Allie ad aprire la porta con le chiavi e poi ci fece fare il giro della casa, mostrandoci tutte le stanze.
Sapevo già più o meno com’era fatto l’appartamento – il servizio online dell’agenzia immobiliare che avevo contattato era stato davvero molto utile -, ma non pensavo davvero che potesse essere così bella… e grande!
Cucina, salottino, sala da pranzo, due camere da letto – una con bagno annesso –, bagno che affacciava sul corridoio e un bel balcone che poteva anche essere considerato un piccolo terrazzo… era stupenda, contando anche che era già arredata di tutto lo stretto necessario.
E tutto questo, mi veniva a costare soltanto trecento dollari al mese… beh, non potevo mica lamentarmi, contando che a Seattle il buco di appartamento dove abitavo prima con Allyson mi costava quasi il doppio!
- Allora signorina, ti piace la casa? – ovviamente, Stan non si stava riferendo a me, ma a mia figlia.
- Sì! – non disse altro, ma si limitò ad abbracciarmi le gambe e a cominciare a saltare sul posto. – Mamma, voglio il gelato!
Alzai gli occhi al cielo. – Allie, portiamo su le valige e poi andiamo a comprarlo… un po’ di pazienza, su!
Sentii Stan ridacchiare, accanto a noi. – C’è un bar davvero carino a pochi passi da qui, puoi portare lì la bambina a prendere il gelato… si chiama “Il mondo di Alice”.
- Ah, che carino! Ce la porterò sicuramente… però adesso andiamo a prendere le valige.
- No mamma, adesso andiamo a prendere il gelato! Per favoreeeeeeeee! – Allie non smetteva più di saltellare, impaziente.
Sospirai. Quando cominciava a fare i capricci in quel modo non la sopportavo proprio… era più forte di me, anche se era mia figlia e avrei dovuto ‘sopportarla’ anche quando diventava più lamentosa del solito.
- Allyson… - la ammonii, ma come sempre il mio tentativo fu vano.
Dio, non riuscivo ad essere più severa di così con lei!
- Bella, se posso permettermi… porta la bambina a prendere il gelato, mi occupo io delle vostre valige. Le porto qui, non ho nessun problema a farlo. – Stan venne in mio soccorso, ed io stavo ancora cercando di capire quello che mi aveva appena detto quando Allyson rispose al mio posto.
- Va bene, va bene! Mamma, andiamooooooooo!
Sospirai di nuovo, con un sorriso sconfitto sulle labbra. – Va bene, andiamo.
Una volta consegnate a Stan le chiavi della macchina e quelle dell’appartamento, io e Allie ci avventurammo verso la direzione che ci aveva indicato il nostro nuovo amico; secondo la sua descrizione, “Il mondo di Alice” era distante solo qualche decina di metri dalla palazzina e lo avremmo riconosciuto subito.
- Allora… - osservai mia figlia che, al mio fianco, zompettava e camminava allo stesso tempo, guardando i suoi piedi. – Che gusti ci vuoi, nel gelato?
- Cioccolato, fragola, cocco… limone, caramello, e zuppa inglese! E anche la panna! – elencò i gusti tutti sulle dita della mano libera, facendomi rabbrividire ad ogni cosa che diceva.

Oddio, che accozzaglia disgustosa di gusti! Per fortuna che lei aveva uno stomaco forte…
- Oh bene, io invece prendo solo nocciola e menta. – ridacchiai, riportando lo sguardo sui pochi negozietti che incontravamo, fino a riconoscere il bar che ci aveva raccomandato Stan. – Hey, guarda Allie, siamo arrivate!
- Evvivaaaaa! Gelato, gelato, gelato!
Beh, almeno così era contenta.
Aprii la porta del bar, che assomigliava davvero molto ad un posto delle favole – oltre al nome, naturalmente. I tavolini sparsi per il locale, il bancone e la maggior parte delle pareti erano tutte di un bel color verde bosco, spezzato qua e là da alcune decorazioni colorate e simpatiche di fatine e gnomi; al lato del bancone, ad altezza di bambino, c’era un bel cartonato di Trilli, la fatina di Peter Pan.
- Mamma, guarda! – Allie la indicò subito, contenta; lei adorava quel personaggio.
- Poi chiediamo al proprietario se ce lo regala. – dissi, più per gioco, ma con Allyson vicino non era tanto sensato dire cose del genere. Mi prendeva sempre sul serio, la birbante!
- Sì, dai, la voglio in cameretta! – infatti…
- Oh, per la miseria! – non ero stata io a parlare, in risposta a quello che mi aveva appena detto mia figlia, ma un’altra persona. La voce di questa persona, poi, mi sembrò anche piuttosto familiare.
Vagai un po’ con lo sguardo all’interno del locale e poi interruppi la mia ricerca; sgranai gli occhi non appena questi ultimi si soffermarono su un viso conosciuto, simpatico e dalla bellezza mozzafiato.
- Oh, cavolo!
- Ma sei davvero tu? – la ragazza, che sembrava più sorpresa di me, fece il giro del bancone e si fermò a pochi centimetri di distanza da me e da Allyson; aveva un sorriso che andava da una guancia all’altra, e i suoi occhi blu brillavano di gioia. – Isabella Swan a Los Angeles, non ci credo! Ma che ci fai qui?
Detto questo, mi abbracciò di slancio e quasi mi soffocò nella sua stretta.
- A… Alice! – dissi, con voce strozzata, ricambiando l’abbraccio.
Alice Brandon, la ragazza che in quel momento mi stava sbriciolando nella sua stretta, era stata una delle mie migliori amiche ai tempi del liceo, a Forks. Passavamo sempre il nostro tempo libero insieme e non ci separavamo mai, tanto che spesso e volentieri la gente pensava che fossimo sorelle separate alla nascita.
Subito dopo il diploma, però, Alice decise di trasferirsi e di aprire una attività tutta sua; il college, a detta sua, non faceva proprio per lei, e aiutata dai suoi genitori si era trasferita a Los Angeles – “la città dei suoi sogni”, per citare le sue parole – pronta a cominciare una nuova vita lì.
Sapevo che si era creata un posticino tutto suo e che gli affari le andavano piuttosto bene – i coniugi Brandon mi avevano sempre tenuta informata, anche quando ormai i nostri contatti si erano chiusi improvvisamente -, ma non immaginavo proprio che avesse aperto un bar!
Il nome che gli aveva dato, poi, doveva in qualche modo suggerirmi qualcosa.
- Non ci credo, non ci credo! La mia migliore amica a Los Angeles! Sei in vacanza? Ma che sorpresaaaaaaaaa! – urlò mentre scioglieva l’abbraccio.
Non era cambiata per niente, anche se la rivedevo dopo ben quattro anni; era sempre allegra, sempre solare, sempre bella… e sempre bassa. Nonostante i tacchi alti e rossi che aveva ai piedi, non raggiungeva la mia spalla.
- Dio, Alice, non pensavo che avessi un bar! – ammisi, davvero felice di rivederla. – Come stai?
Lei mi prese le mani tra le sue e le strinse, ridendo di cuore. – A meraviglia, davvero! Va tutto benissimo… tu, invece, che mi dici? Hai finito gli studi? Sapevo che studiavi infermieristica…
- Beh, sì… mi sono laureata a luglio… - mi interruppi quando sentii qualcosa tirare l’orlo dei pantaloncini che indossavo; abbassando lo sguardo, trovai Allyson aggrappata ad essi, e seminascosta dalle mie gambe.
Oh, dio, mi ero completamente dimenticata di lei! La sorpresa di ritrovare la mia vecchia amica mi aveva completamente fatto passare per la mente che insieme a me c’era anche mia figlia… che madre svampita che ero, altro che Reneè!
- Oh! – il sussurro di Alice mi fece capire che anche lei si era accorta della presenza della bambina.
- Alice… - dissi, sentendomi improvvisamente strana all’idea che dovessi presentarle mia figlia. Non perché non volessi, ma perché quello era un ‘dettaglio’ della mia vita di cui lei non doveva essere proprio a conoscenza. – Alice, lei è… è Allyson, mia figlia.
- Tua figlia?! – Alice sgranò gli occhi, facendoli scorrere dal mio viso a quello seminascosto di Allie. – Bella, hai… ma come…
Sospirai. – Ci sono alcune cose che… che dovrei raccontarti, ma non credo che questo sia il momento giusto per farlo. – accennai un sorriso, alla fine. – Siamo venute qui per prendere un gelato, Allie lo cerca da un sacco di tempo.
- Davvero? Aw! – anche Alice riprese il sorriso, e si inginocchiò subito mettendosi così alla stessa altezza di Allie. – Ciao Allyson, io sono Alice. Lo andiamo a prendere questo bel gelato, che ne pensi?
Allyson si affacciò attraverso lo spiraglio delle mie gambe, studiando attentamente il viso della mia amica; aveva le labbra imbronciate, cosa che faceva sempre quando stava pensando a qualcosa, ed era ancora più buffa del solito. Alla fine sorrise. – Sembri un folletto! – esclamò, allungando una manina per toccare i capelli corti e sbarazzini di Alice.
Lei rise. – Ah, lo so, me lo dicono tutti… e forse lo sono anche! Vuoi vedere come faccio bene i gelati?
- Sì!
- Vieni con me, allora!
Allyson alzò il viso, osservandomi attentamente. – Posso, mamma?
- Siamo qui per questo… - dissi, un po’ sconcertata del fatto che mi avesse chiesto il permesso.
- Sììììììì! – Allie sgusciò via dal suo nascondiglio preferito e si buttò tra le braccia di Alice, che mi lanciò un occhiata divertita e allo stesso tempo confusa.
Sapevo per quale motivo era confusa.
 

-
 

- Non ci credo ancora che hai una bambina così dolce… Bella! Potevi dirmelo! – esclamò per l’ennesima volta, poggiando i gomiti sul bancone mentre osservava mia figlia da lontano.
Seguii il suo sguardo; Allyson era seduta ad un tavolo, a poca distanza da noi, ed era impegnata a mangiare il suo tanto agognato gelato ‘tutti gusti’. Aveva addosso una specie di grembiule di plastica con la stampa di Mickey Mouse, gentilmente prestato da Alice, per evitare che si sporcasse il vestitino bianco che indossava.
- Eh, e come facevo a dirti una cosa simile? – tornai ad osservare la mia amica, che ancora non si capacitava del fatto che a neanche ventidue anni compiuti, ero già una mamma. - È accaduto tutto così in fretta, Alice, che per poco non riuscivo a realizzarlo neppure io!
- Lo immagino, tesoro… no, non posso proprio immaginarlo. – scosse la testa in fretta, agitando allo stesso tempo anche le braccia, poi tornò a guardarmi. – Senti, so che molto probabilmente non vorrai parlarne con me, ma… per caso è la figlia di Mike?
- Mike Newton? – chiesi, sbalordita che potesse pensare una cosa del genere. Quando Alice annuì silenziosamente, scoppiai a riderle in faccia.
- Questo mi fa pensare che non è sua figlia… - borbottò la mia amica, mentre io ancora mi sganasciavo dalle risate.
- Tu sei pazza! – dissi, ridacchiando. – Io e Mike ci siamo lasciati un paio di settimane dopo che sei partita per la California. Il padre di Allie è… è un altro, uno che ho conosciuto all’università.
- Ah. Sai, è perché l’ho vista così bionda…
- Suo padre è altrettanto biondo. – lo dissi con un tono secco, quasi acido, tanto che Alice cominciò a guardarmi assumendo un cipiglio dubbioso.
- Non ne vuoi parlare, vero? – mi chiese dopo un po’, tornando a poggiare i gomiti sul bancone. – Se non vuoi ti capisco…
- Non è che non voglio, Alice. – sospirai, posando gli occhi sulla coppetta di vetro che conteneva il mio gelato alla vaniglia, ormai sciolto; dovevo cercare di spiegarle quello che sentivo senza innervosirmi troppo, e senza demoralizzarmi subito. - È solo che non è il posto giusto per parlare di certe cose, e poi non voglio che la bambina senta tutto… so che ha solo tre anni e che è ancora piccola, ma è parecchio sveglia.
Alice annuì. – Ho capito. Però, voglio che tu sappia che se vuoi confidarti con qualcuno, o se hai bisogno di una mano, puoi contare su di me. – mi mostrò un enorme sorriso, degno davvero di un folletto dei boschi.
Le sorrisi anche io. – Va bene.
- Ora, per cambiare argomento… hai trovato una casa, oppure per il momento hai dovuto ripiegare per un albergo?
- Casa in affitto! – risposi prontamente. – Si trova a una trentina di metri da qui… e forse conosci il portiere, Stan. È stato lui a consigliarmi il tuo bar, anche se non sapevo che era il tuo.
- Ah, ma certo che lo conosco! Brava persona, Stan. E in quale appartamento siete? – chiese, curiosa; dovevo dire che anche la sua curiosità non era andata persa, anzi, era cresciuta in quegli ultimi anni in cui non l’avevo più sentita.
- Il 7D, ed è anche più grande di quanto pensassi… io e Allie ci troveremo bene, lì.
- Ne sono sicura…
- Mamma! – mi voltai verso la voce di mia figlia; la bimba ci aveva raggiunto, e adesso se ne stava ferma accanto allo sgabello su cui ero seduta reggendo tra le mani la sua coppetta di gelato… vuota. – L’ho mangiato tutto!
- Oh, ma che brava! Adesso vieni qui, che ti pulisco per bene…
Pescai dalla borsa, che avevo posato sullo sgabello accanto, la confezione di salviettine imbevute che mi portavo sempre dietro – con Allie non si poteva mai stare tranquilli - e con una le pulii per bene il viso e le manine, appiccicaticce di gelato.
- Accidenti, se l’è mangiato tutto! – esclamò Alice, colpita. – Era enorme… non le verrà il mal di pancia?
- Se imparerai a conoscerla meglio, capirai che le piace mangiare un sacco… e un sacco di schifezze. – ridacchiai, togliendo ad Allie quella specie di scafandro di plastica e riconsegnandolo alla mia amica. Poi, presi in braccio la bambina e la feci sedere sulle mie gambe. – E niente mal di pancia, te lo posso assicurare.
Alice, nel frattempo, aveva tolto dal bancone sia la coppetta vuota di Allyson che la mia – non avevo toccato quasi per niente quel gelato - ed era poi tornata davanti a noi. Osservava con attenzione mia figlia, come se fosse alla ricerca di qualche dettaglio interessante.
- Ha il tuo naso. – disse alla fine, sorridendo.
Annuii. – Una delle poche cose che ha ripreso da me, oltre alla timidezza…
- Me la ricordo, la tua timidezza: alcune volte non riuscivi neanche a comprarti le caramelle da sola, da piccina! – mi morsi il labbro ricordando quanto la mia timidezza mi avesse frenato, nella mia infanzia.
- Oddio, non me lo ricordare! – esclamai, ridacchiando insieme a Alice; poi, alla fine, dovetti ammettere a me stessa che era ora di tornare all’appartamento per cominciare a sistemarlo, anche se stare in compagnia di Alice era bello proprio come ai vecchi tempi. – Su, amore, è ora di tornare a casa.
- Noooo! Io voglio stare qui, mamma… - si lamentò Allyson, guardandomi tristemente.
- Ma dobbiamo mettere a posto i bagagli, e tra poco chiamerà anche nonna. Non le vuoi parlare? – tentai di convincerla, carezzandole i capelli.
Sbuffò, e mugugnò un “Occhei” mentre cercava di scendere dalle mie gambe; l’aiutai, rimettendomi in piedi a mia volta.
- Alice, quanto ti devo per i gelati? – le domandai non appena recuperai la borsa.
- Non ci provare neanche a pagare che ti strozzo! Oggi offre la casa… - si sporse sul bancone, arrampicandosi quasi sulla superficie di legno lucido, - …e domani sera venite a cena a casa mia! È il giorno di chiusura del bar, quindi sono libera ed è libero anche Jazz!
- Chi è Jazz? – adesso era arrivato il mio momento di essere curiosa.
- Jazz… Jasper, è il mio ragazzo. – arrossì, tirandosi una corta ciocca di capelli. – Conviviamo da un paio di mesi…
Le sorrisi estatica, davvero contenta di sapere quelle cose. – Ma che bello Cece! Non vedo l’ora di conoscerlo!
- Aspetta che ti scrivo il mio indirizzo, così non ti perdi… hai il navigatore in macchina, vero? Oddio, dimmi che hai la macchina ti prego!
- Certo che ho la macchina, e ho anche il navigatore… ti preoccupi, per caso? – mi venne quasi da ridere.
- Beh, così almeno so che la strada la trovi tranquillamente e non ti perdi. – ridacchiò, ma smise subito imbronciandosi nel giro di pochi istanti. – E non mi chiamare Cece, l’ho sempre odiato! Anche Jazz mi chiama così, che palle!
- Alice, la bambina! – la ammonii; non volevo che mia figlia imparasse già le parolacce.
Alice mi porse un foglietto di carta, ridendo di cuore. - Ma non mi ha sentito, se ci hai fatto caso è scappata via.
Mi guardai attorno, improvvisamente preoccupata per mia figlia, ma la trovai subito; era a poca distanza da me, tutta impegnata a contemplare da vicino il cartonato di Trilli. La raggiunsi in fretta, sollevata.
- Allie, saluta Cece che adesso andiamo a casa. - le dissi, dandole una leggera pacca sulle spalle.
- Ma chi è Sese? – mi domandò, storpiando anche quel nomignolo.
- È Alice, tesoro.
Lei subito si voltò verso di Alice, che ci aveva raggiunto e che mi stava guardando arrabbiata; quasi mi strozzai per soffocare una risata. Odiava davvero tanto quel soprannome, nonostante non lo usasse più nessuno da anni.
- Ciao ciao Sese! – la salutò Allyson, usando anche le manine.
- Aw, ma ciao Allie! – la mia amica si inginocchiò e la abbracciò, dandole un bacino sulla guancia che venne subito ricambiato. – Se vuoi, puoi portare a casa Trilli… ne ho un’altra in magazzino.
Gli occhi di mia figlia si sgranarono per la felicità.
- Davvero? Grazieeeeeeeeee! – e si buttò tra le sue braccia.
- Ma di niente! – esclamò lei. – E la tua mamma… divertiti pure a chiamarla Sissi!
- Alice! – sbraitai contro di lei.
Odiavo quel cavolo di soprannome… mannaggia a mia madre!
 

-
 

- Allora, tesoro, va tutto bene lì? – era la terza volta che mia madre me lo chiedeva, mentre mi osservava attentamente grazie allo schermo del computer.
Sbuffai. – Sì, mamma, va tutto bene… e sto sistemando tutti i nostri averi, se non te ne sei ancora accorta! – agitai una delle tante maglie che, fino a qualche minuto prima, si trovava in una delle mie valige.
Mia madre socchiuse gli occhi. – Bella, non fare del sarcasmo, che poi non ti riesce neanche bene!
Alzai gli occhi al cielo, incurante del fatto che la mamma mi stesse osservando.
Erano le sette di sera, eravamo tornate a casa da un paio di ore dalla visita al bar di Alice, e ancora ero in alto mare con lo svuotamento delle valige; mi ero occupata, prima di tutto il resto, di sistemare il letto di Allyson ed i suoi vestiti, così che non avesse nessun problema. Poi ero passata a sistemare la mia roba, ed avevo appena iniziato.
Non avevo neppure pensato a comprare qualcosa per cena – cosa che avevo evitato scrupolosamente di rendere noto a mia madre -, e alla fine mi ero fatta consigliare da Stan una buona pizzeria che facesse anche servizio a domicilio. Stavo aspettando che arrivasse il fattorino con la nostra cena, mentre procedevo nei miei compiti.
- Sai che non sapevo se avevi Internet, lì, Bella? Mi sono collegata e ho temuto per tutto il tempo che non potessi parlare con te…
- No, qui Internet è a posto, funziona anche il telefono! – la misi al corrente di tutto, mentre ripiegavo i miei jeans e li mettevo da parte. – La casa è da abbellire un po’, ma per ora va bene anche così.
- Ma certo che va bene
- Papà dov’è? A lavoro?
La sentii sbuffare, tanto che alla fine tornai a guardare lo schermo del pc. – No, è a cena con alcuni colleghi. Stasera sono sola soletta, e mi guarderò in santa pace Dirty Dancing, senza interruzioni!
- Ecco perché non l’ho trovato, prima! Ce l’hai tu! Mamma! – le urlai contro.
- Ma Bella, sai che è il mio film preferito! Non potevo lasciartelo portare in California… ne comprerai un’altra copia, che sarà mai.
Eh già, che sarà mai…
- Senti, mamma… - mi interruppi, indecisa se chiederle o no quello che volevo sapere sin da quando ero partita con mia figlia, ma alla fine decisi che era meglio non rimandare. – Mamma, lui si è fatto vedere? Ci ha cercato, oppure…
- No, no tesoro mio. Non l’ho visto per niente qui, e farebbe meglio a non farsi vedere! Sa meglio di me e di te quello che gli può accadere.
Annuii, sentendomi un po’ più sollevata. Un impiccio in meno.
- Bella, davvero non devi assolutamente preoccuparti. Lui non sa dove siete e non verrà di certo a saperlo tanto facilmente. – continuò a dirmi mamma.
- Cercherò di ricordarlo…
- Ma dov’è Allie? Mi manca di già la mia piccolina!
- È di là, sta… giocando. – non appena mia madre la nominò, mia figlia uscì di corsa dalla sua nuova cameretta e corse verso di me, che me ne stavo ancora inginocchiata sul pavimento del salotto. Si trascinava dietro la sagoma di Trilli, che era il doppio più grande di lei.
- Nonnaaaaaaaaa! – urlò, mentre mi si buttava addosso.
- Tesoro, la nonna è qui, non buttarti sopra a tua madre! – la ammonì mia madre, ridendo.
- Sì, ma voglio abbracciarti e tu non sei qui con noi, così abbraccio mamma. – la sua logica non faceva una piega.
- Verrò a trovarvi il prima possibile, promesso.
- Vieni per il compleanno di mamma? – chiese Allie, guardando fisso lo schermo del computer.
- Certo, se riesco a ottenere qualche giorno di ferie…
- Mamma, sai che non è necessario, eh? – in quel momento mi sentii parecchio a disagio; avevo sempre odiato il mio compleanno, invece a mia figlia piaceva molto festeggiare “la mamma che diventava tanto grande”.
- E invece ci vengo, se ce la faccio! Anche per darti un piccolo aiuto, Bella… quand’è che cominci a lavorare?
- Lunedì prossimo… - il mio primo giorno di lavoro come infermiera al Good Samaritan Hospital si avvicinava, e quello era stato il motivo per cui avevo voluto trasferirmi a Los Angeles alla prima occasione giusta. La casa l’avevo già presa, tanto, e non appena avevo visto che avevano accettato il mio trasferimento/ammissione all’ospedale non ci avevo pensato due volte a fare i biglietti e a preparare le valige.
- Ecco, visto? Chissà quanto dovrai lavorare, e la bambina da sola non ci può proprio stare, è troppo piccola… avrai bisogno di una mano.
- Domani io e Allie andiamo a cercare una scuola per lei, non è vero amore? – abbracciai mia figlia, baciandole i capelli. – Vero che non vedi l’ora di andare a conoscere gli altri bambini?
- No, io non ci vado a scuola! – quella solfa andava avanti già da un po’, ma sarei riuscita a convincerla presto... o almeno, ci speravo.
In quel momento, il citofono cominciò a suonare.
- Ah, questo è il fattorino della pizza! Amore di mamma, stai qui a parlare con la nonna mentre vado a pagare, va bene?
Mi alzai dal pavimento non appena Allie mi disse di sì, e volai all’ingresso per aprire al fattorino; due minuti dopo, con i cartoni contenenti la nostra cena tra le mani e con tredici dollari in meno, andai in salotto per richiamare la bambina e per salutare mia madre.
- Mamma, ti dobbiamo lasciare altrimenti le pizze si raffreddano! – le dissi, mentre prendevo di nuovo posto sul pavimento e posavo i cartoni sul basso tavolino di legno.
- Allora vi lascio mangiare in pace, care! Ci sentiamo domani, va bene? E faccio restare anche il nonno, così parlate anche con lui.
- Nonno Charlie! Gli dai un bacio da parte mia? – mia figlia era davvero affezionata a suo nonno materno, anzi, a dire tutta la verità era letteralmente innamorata di lui.
- Ma certo amore mio! Vai a mangiare adesso… noi ci sentiamo domani.
- Ciao mamma.
- Ciao nonnaaaaa!
Chiusi Skype non appena mia madre chiuse la video chiamata, e subito dopo spensi il pc; poi, acchiappai mia figlia tra le braccia.
- Adesso tu mangi la pizza, poi io mangio te! – cominciai a mordicchiarle piano il collo e le guance, mentre lei rideva a crepapelle e si dimenava tra le mie braccia.
- Lasciami! Lasssciami! Aaaaaah! Basta!
Dio, quanto amavo mia figlia!
 
 
 
 
 

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Ehm… buon pomeriggio, innanzitutto.
Quello che avete appena letto è una piccola idea che mi è sbucata in testa qualche giorno fa; ho cominciato subito a scrivere il primo capitolo, visto che lo avevo tutto sviluppato per benino, e… e niente, non so che altro dire XD
No, ecco… molto probabilmente con questa idea verrà fuori una nuova longfic, ma non penso di svilupparla tutta adesso. Ho comunque un’altra storia all’attivo e una sospesa, quindi molto probabilmente gli aggiornamenti saranno un po’ sporadici. Però la aggiornerò, state sicure :)
Per il momento è tutto… vi saluto, vi abbraccio e vi aspetto alla prossima! Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate di questo prologo/primo capitolo, ci tengo davvero molto nel sapere le vostre considerazioni ;)
Un bacio!

KrisC
   
 
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