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Autore: Beatriz Aldaya    13/08/2012    3 recensioni
Personaggi: Frank e Alice Paciok.
Calò micidiale verso la testa di una delle figure d'ombra, determinato. Prima che quella potesse difendersi, aveva afferrato con gli artigli un lembo della cappa, ed era già lontano, oltre la finestra e oltre il giardino, nella notte.Tra le urla che ricominciavano, gli parve di sentire ancora il flebile ticchettare del ghiaccio che si scioglieva inesorabile, battendo il tempo.
Terza classificata al contest 'Choose a God, a Muse and write your story'
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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                Altrove

Dalla finestra aperta entrava una brezza primaverile, accompagnata dal cinguettio degli uccellini che sembravano essersi dati convegno nel suo giardino.
Lui guardava altero oltre la finestra e oltre il cortile, aspettando che calasse il buio: e allora sarebbe stato il suo momento, la notte si sarebbe piegata al suo volere, favorendolo nella caccia.
Chiuse gli occhi, godendosi la serata.
Tic.
Tic.
Tic.
Contrariato, sbirciò attraverso una palpebra per individuare la fonte del rumore, ma non ci riuscì.
Tic, tic.
Questa volta aprì entrambi gli occhi e, seccato, girò la testa per scrutare la cucina.
Tic.
L'aveva trovato: il blocco di ghiaccio che ora giaceva dimenticato sul tavolo, creato poco prima da un bicchier d'acqua, si stava sciogliendo lentamente, creando un minuscolo rigagnolo d'acqua che gocciolava fin sul pavimento, nell'ingrato destino che toccava all'unico rimedio che era riuscito a bloccare gli strilli dell'odioso marmocchietto urlante, dopo un colpo alla testa durante un tragico tentativo di camminata.
Arruffò le penne, facendo schioccare il becco.
La perfetta quiete, rara da quando quel coso infagottato era disgraziatamente apparso in casa sua dieci mesi prima, era rovinata da uno sciocco... un boato. E poi urla a non finire, schianti, ceramiche rotte, grida di dolore e altre piene di rabbia.
Cominciò a volare impaurito per la cucina, emettendo versi striduli che si persero nella confusione.
Poi tutto si calmò, e una risata folle risuonò nella casa, echeggiando nella tromba delle scale e rimbombando nelle tubature.
Agile, volò in soggiorno: quattro ombre nere troneggiavano in mezzo alla sala, la padrona era bloccata sul divano, il padrone a carponi sul pavimento.
Una delle ombre tese una mano verso il padrone, che urlò e urlò.
Non l'aveva mai sentito alzare la voce, e stridette insieme a lui, mentre le urla della padrona lo mettevano ancora più in confusione.
Poi, il padrone si accasciò a terra, immobile.
La padrona prese a piangere come le aveva visto fare tante volte: le mani tremanti, il petto scosso dai singulti, gli occhi che faticavano a stare aperti fra le lacrime.
E allora seppe cosa fare.
Calò micidiale verso la testa di una delle figure d'ombra, determinato. Prima che quella potesse difendersi, aveva afferrato con gli artigli un lembo della cappa, ed era già lontano, oltre la finestra e oltre il giardino, nella notte.
Tra le urla che ricominciavano, gli parve di sentire ancora il flebile ticchettare del ghiaccio che si scioglieva inesorabile, battendo il tempo.

Torturarono Frank ancora, e ancora, e ancora.
Non lo lasciarono respirare più, divenne livido, gridava senza emettere suono perché non aveva più un briciolo d'aria nei polmoni: Alice urlò piangendo, si dimenò, assestò un calcio al Mangiamorte che la bloccava, ma subito gli altri due le furono addosso, facendole assaggiare per lunghissimi secondi la Maledizione Senza Perdono.
Frank riprese a respirare soltanto perché anche a Bellatrix Lestrange mancava l'aria dal troppo ridere, quasi soffocata dalla sua risata macabra e sguaiata. Respirò avidamente, ma subito un altro Mangiamorte gli fu addosso e lui riprese a contorcersi come una larva e ad urlare ancora, e ancora, e ancora, finché i polmoni e la carne non gli furono in fiamme.
Solo allora Bellatrix decise di lasciare l'uomo agli altri tre, per dedicarsi ad Alice.
Con ancora la guancia sporca di sangue secco, scia scarlatta lasciata dagli artigli di Isaac, si avventò sulla donna. Anche Alice strillò e pianse, si contorse tanto da cadere dal divano, al fianco di Frank.
La tortura non finiva mai, sentiva ogni muscolo contrarsi in spasmi sempre più crudeli, la voce non sembrava nemmeno più la sua. Proveniva da un altro corpo, da cui lei ormai era lontana.
Lei era Altrove.
Come in un sogno, rivide il sangue colare dalla ferita di Bellatrix, il viso deformato in una smorfia di piacere.
Isaac. Il taglio gliel'aveva fatto Isaac. La loro ultima possibilità.
Con uno sforzo, costrinse la propria mente a tornare lucida, la voce tornò ad essere la sua.
Sopportando il dolore per pochi secondi, smise persino di urlare, e guardò solamente il marito negli occhi, cercando di trasmettergli la speranza che l'aveva fatta tornare in se stessa.
Ma lui aveva lo sguardo vacuo, urlava passivamente.
Era già lontano. Altrove.

Volava, volava nella notte, schizzando veloce, gli artigli convulsamente stretti sulla pesante stoffa nera.
Si schiantò stremato contro la finestra dell'abitazione conosciuta più vicina, emettendo deboli versi.
Non controllò chi venne a raccoglierlo, chi gli strappò dagli artigli il suo carico.
Sapeva che i padroni si fidavano della gente in quella casa, e tanto bastava.
Aveva un ciuffo strinato da un lampo di luce che l'aveva raggiunto proprio quando pensava di essere ormai salvo, il cuoricino che batteva velocissimo, frusciando e perdendo battiti.
«Non è il gufo dei Paciock, Isaac?»
«Senti come trema. Innerva.»
Un'ondata di calore gli arrivò al cuore, irradiandolo poi fino all'ultima piuma.
«Cosa doveva consegnare così di fretta?»
«Aveva questo pezzo di stoffa.»
«Ma che diavolo...?»
Ma entrambi si bloccarono, spalancando gli occhi esterrefatti ed orripilati, mentre comprendevano la natura del tessuto strappato.
«Manda un Patrono a Silente!»
Immediatamente, un topolino argentato prese corpo sotto i suoi occhi, ma prima che avesse tempo di reagire in qualunque modo, venne brutalmente ficcato nella tasca di una tunica e si sentì risucchiare.

Due maghi apparvero nel giardino dei Paciock, bacchette alla mano, schiena a schiena.
Uno illuminò i cespugli, ma l'altro abbassò il braccio, lasciandolo dondolare al proprio fianco.
«È finita. C'è il Marchio.»
Anche l'altro abbassò la bacchetta, levando gli occhi al cielo.
Proprio sopra la casa, aleggiavano incrociati il teschio e il serpente, latori beffardi di notizie di morte.
Uno dei due cadde in ginocchio, schiacciato dalla Morte che camminava fra loro, volava sopra le loro teste, giaceva nella casa buia.
«Aspettiamo Silente, ormai sono già scappati.»
I Mangiamorte non lasciavano mai il loro Marchio per poi trattenersi ancora sul luogo.
E, soprattutto, non lo evocavano mai invano.

Quando Silente ed i due maghi entrarono nella casa, trovarono due figure madide abbracciate sul tappeto.
Si bloccarono tutti e tre, percorsi da un fremito. Solo Silente disse, a mezza voce: «Vi prego. Al piano superiore, dovrebbe esserci Neville.»
Uno dei due maghi sparì, a pesanti passi, su per le scale.
«Un incantesimo insonorizzante... nessuno si sarebbe potuto accorgere di lui» mormorò Silente, quasi a se stesso, avvicinandosi ai due corpi ed inginocchiandosi con estrema dolcezza.
L'altro mago si allontanò dalla sala lentamente, cercando di trattenere le lacrime amare, e si appoggiò al tavolo della cucina, distrutto, senza accorgersi di star pestando una piccola pozzanghera.
Quando sentì qualcosa muoversi nella sua tasca, quasi urlò dallo spavento.
Ma a fare capolino fu solo un'ala del gufetto, che si era dimenticato di aver cacciato in tasca di malo modo poco prima. Dolcemente, lo estrasse e lo poggiò sulla lastra di marmo.
«Sono morti» si trovò a sussurrargli.
Poi si asciugò il naso e tornò nella sala ad aiutare Silente.
Al piano superiore, un bambino borbottava ed emetteva gridolini, sbavando con l'intero pugnetto in bocca e chiamando la mamma.

Volse la testa, ancora debole per la pazza volata che aveva fatto per salvare i padroni.
Il ghiaccio sul tavolo non c'era più, l'acqua aveva persino smesso di gocciolare a terra.
Ci aveva messo troppo tempo.
Il ghiaccio si era sciolto, la morte aveva colpito.
Chiuse gli occhi, stremato: morì così, sul freddo piano di marmo, vicino all'acqua gelata che gli ricordava la sua sconfitta.
Nell'altra stanza, nello stesso istante, Silente toccava i petti di Frank e Alice Paciock, incredulo, e si apriva in un triste sorriso.





   
 
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