Crack, fanon o
canon? Slash, het o threesome?
GOD SAVE THE SHIP!
I
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L'imprevisto
sbeffeggia lo stratega
di
slice
Se
ci avesse pensato con calma e fosse riuscito a unire tutti i famosi
puntini, quel giorno sarebbe rimasto a letto. Invece Shikamaru Nara
alle otto di mattina, come volevano le regole di Yoshino, era in giro
a fare commissioni. Decifrava codici e andava a comprare il sale,
servivano tutti e due, ma avrebbe volentieri fatto a meno di entrambi
per dormire un paio d'ore in più.
Quando arrivò
davanti al negozio degli Yamanaka, tappa obbligatoria se voleva
vivere, si accorse di non essere passato dalla Godaime come avrebbe
dovuto fare.
Oh be', pensò, però ho il
sale!
In realtà aveva accuratamente evitato l'Hokage
per ben due settimane, conscio che l'unico argomento trattato sarebbe
stata Suna e un suo ipotetico trasferimento per un periodo come
ambasciatore. Lo riteneva il miglior candidato.
Ai Nara, per lo
meno i maschi della famiglia, non era mai piaciuto dover decidere,
non piacevano i cambiamenti radicali e neanche la sabbia che si
insinuava ovunque.
Questo non c'entrava col fatto che la Godaime
stesse disperatamente cercando di convincerlo a non andare;
quella donna si era convinta di poter usare la psicologia inversa,
col solo risultato di essersi beccata trecentosettantanove sbuffi e
quindici “ha ragione lei, non andrò”. Questo
perché il chuunin non sprecava il suo fiato inutilmente,
aspettava che la donna finisse e poi concordava pacato e, col passare
dei giorni, anche infastidito.
Comunque. Tsunade era dentro il
negozio di Ino proprio in quel momento e, nonostante gli agguati sul
suo quotidiano cammino, Shikamaru cercava sempre di scacciare il
pensiero che se la sarebbe trovata a dormicchiare sul prato con lui,
un giorno di quelli. Pensiero alquanto fastidioso.
Ovviamente non
poteva non entrare, ed era decisamente troppo pigro per inventarsi
una scusa Kakashiana.
Quando
entrò l'unico a salutarlo fu il campanellino.
Anche se, in
effetti, essere ignorato fosse un'ottima cosa, nella sua situazione,
non riusciva a sentirsi adeguatamente rilassato; la sua dolcissima
compagna di team infatti stava parlando, neanche fossero stati
segreti segretissimi della Nazione del Fuoco, fitto fitto con la
Godaime, e la cosa che più lo infastidiva erano le continue
occhiate che gli lanciavano entrambe alternativamente.
Quando
piombò il silenzio fu abbastanza chiaro che la successiva
frase sarebbe stata rivolta a lui, quindi prestò particolare
attenzione.
“Caro Shikamaru, ho delle buone notizie da
darti,” disse la donna, tornando eretta dopo essere stata
sdraiata sul bancone come una ragazzina di sedici anni.
“Immagino...”
borbottò Nara, sempre più irrequieto.
“Sai,
Shika, dovresti ringraziare la Godaime che cerca sempre il modo di
andare incontro alle tue esigenze,” squittì Ino
melliflua, facendo sudare freddo il chuunin.
“Dal momento
che non vuoi giustamente andare a Suna, per non creare
incidenti diplomatici ti affiderò una missione qui, così
avrai un ottimo pretesto per rifiutare la mia offerta,” sorrise
l'Hokage, infida.
Shikamaru si guardò intorno come a
controllare di non avere davvero vie di fuga, poi si grattò la
testa irritato e condannato.
“E quale sarebbe questa
missione?” chiese, incerto se volerlo sapere sul
serio.
“Semplice, dovrai nuovamente occuparti dell'ufficio
di decriptazione.”
Era
una cosa semplice, dopotutto, continuava a ripetersi da quando se ne
era andato. Insomma, non c'erano ninja che volevano il suo scalpo e
nemmeno c'era da procurarsi quello dei nemici, non c'erano Daimyo
grassi con la paura della propria ombra da dover proteggere o gatti
ancora più obesi da ritrovare.
Doveva mettere in moto il
cervello, certo, ma considerato che anche con tutta la buona volontà
raramente lo teneva spento, non era poi un grande sacrificio.
A
parte Shiho.
Non che lo infastidisse. Shiho vantava
un'intelligenza fuori dalla media, non ingombrante come quella dei
Nara, ma questo era solo un punto a suo favore. Una persona metodica
e precisa come lei avrebbe dovuto essere anche puntigliosa e spacca
ghiande come Ino, invece l'aveva scoperta il contrario: tutta
l'intelligenza di quella ragazza sembrava votata a farlo sentire a
proprio agio. Ed era qui che la sua fronte si aggrottava.
Aveva
visto Hinata arrossire fino a svenire tante di quelle volte da
spingerlo a chiedersi se ci potessero essere ripercussioni sullo
stato mentale della ragazza, ma la prima volta che Shiho era
arrossita davanti a lui non aveva provato le stesse cose. Affatto.
Era
un quieto pomeriggio di sole e brezza, uno di quelli subito dopo la
ricostruzione, subito dopo Pein, e probabilmente sarebbe sembrata una
bella giornata anche se avesse piovuto; comunque il sole era alto, il
cielo era privo di nubi di una certa rilevanza, gli uccellini
cantavano eccetera eccetera.
Sul retro del palazzo dell'Hokage
c'era ancora, ricostruito, il famoso ufficio decriptazione e lì,
che ci sia il sole, la pioggia, la neve, Pein o un'epidemia, si
decripta. Sempre, senza sosta.
Il fatto che non si sia sempre in
guerra non vuol dire niente e, anzi, significa magari il
contrario.
In guerra raramente ci sono messaggi da decodificare
perché gli alleati preferiscono mandare un ANBU, o un
sottoposto qualsiasi, di persona, piuttosto che farsi fregare il
messaggio a metà strada, e quindi non si necessita di metterlo
in codice. In guerra si ha meno tempo per queste cose. Oppure si può
anche non avere alleati da cui ricevere alcun tipo di
messaggio.
Invece in tempi di pace i villaggi che hanno stretto
alleanze sono guardinghi ma fiduciosi abbastanza da affidare un
codice, che per quanto macchinoso può essere decriptato da
chiunque con la giusta chiave, ad un fragile anche se addestrato
falco viaggiatore. E, Shikamaru sospirava tutte le volte che ci
pensava, sembra incredibile ma hanno sempre qualcosa da dirsi questi
Paesi.
Quindi, morale della favola, c'era più lavoro in
quei tempi calmi che non quando tutto sembrava scivolare in una
fangosa e tetra guerra.
Quella
mattina Shikamaru era contento, anche relativamente incline a
muoversi più del dovuto, dal momento che la gamba era guarita
e gli avevano finalmente tolto il gesso. Era stato felice fino a
quando la Godaime lo aveva assegnato ancora a un servizio sedentario
adducendo come giustificazione la sua condizione di convalescente.
Lui, soldatino stanco, si era dunque recato all'ufficio decriptazione
per dare una mano.
Aveva aperto la porta sbuffando, si era seduto
sbuffando, aveva salutato tutti sbuffando, e si era messo davanti ad
un codice con la testa tra le mani, sbuffando.
Quando però,
dopo un paio d'ore circa di intenso scervellamento, nel suo campo
visivo era apparso un caffè, si era astenuto da quella vaga
forma di sprezzo e aveva alzato gli occhi sulla ragazza che glielo
stava porgendo.
Forse con il fatto di essere stato per così
tanto tempo in silenzio, e con la gola conseguentemente secca, la sua
mente aveva ovviato per una scelta consona, era quindi stato un caso:
lui aveva semplicemente sorriso invece di ringraziare. E Shiho era
arrossita.
Ino
sembra sempre una di quelle persone che sanno quello che dicono, ma
solo perché ostenta una sicurezza che il Nara e l'Akimichi, e
probabilmente Sakura, sanno non essere sua. Mentre Konoha si rialzava
in piedi sostenuta dal legno del Capitano Yamato, quando la pettegola
kunoichi aveva alluso ad un interessamento nei suoi confronti da
parte della tipa strana e occhialuta, come la chiamava lei,
Shikamaru infatti aveva lasciato che quella importantissima
informazione entrasse da un orecchio, passasse per tutte le sue
sonnacchiose sinapsi, e uscisse dall'altro.
Lui, comunque, non
l'aveva mai vista fare niente di particolare che lo spingesse a
credere alle parole dell'amica d'infanzia. Fino a quel
pomeriggio.
Rimase quindi sorpreso da quel rossore, ma si portò
il caffè alle labbra e abbassò lo sguardo, aspettando
che lei si distraesse per osservarla di sottecchi.
La guardò
toccarsi il vestito e il camice, nervosa, la vide voltarsi e
sospirare, gonfiando il petto, in ansia, poi le mani sudate si
torturarono tra di loro; seguì i suoi passi verso la scrivania
vicina e i movimenti delle sue mani, non del tutto ferme. La osservò
bloccarsi e osservare fuori dalla finestra, togliersi gli occhiali e
stropicciarsi gli occhi.
Tutte le volte che Hinata arrossiva, lui
avvertiva una strana sensazione di fastidio. Non era lo stesso
fastidio che lui conosceva bene, era una seccatura diversa.
Naruto
era suo amico, ma Shikamaru gli occhi ce li aveva ed aveva anche un
Signor cervello e non poteva, con tutto il bene che voleva al
jinchuuriki, spiegarsi fino in fondo perché una ragazza come
Hinata non trovasse il coraggio di dichiararsi apertamente ad uno
come lui.
Be', a pensarci bene lo sapeva il perché, c'era
arrivato, nonostante non fosse una donna,
come dice sempre Ino per chiudere una discussione del genere e avere
ragione a priori, però era seccante.
Aveva sempre pensato
che lui si sarebbe accorto di una cosa così evidente. Una
ragazza molto carina e posata e graziosa che arrossisce per te, fa
sempre indubbiamente piacere. Vedere una ragazza come Hinata
arrossire, piccola, da stringere, ma che sapeva uccidere un uomo con
il palmo gentile in pochi secondi, era qualcosa che lo avrebbe
esaltato, pensava. E quindi avrebbe notato subito una cosa del
genere.
Certo, Naruto non aveva avuto i genitori, non era
esattamente un diplomato in linee comportamentali e convenzioni
sociali; era più, anche se ad un livello superiore, alla
portata di Sai, ecco. Però gli risultava tutto così
palese da disturbarlo nel profondo, e non erano nemmeno affari suoi.
Forse, era da lì che veniva quello strano fastidio.
Comunque,
la prima volta che Shiho arrossì, lui si sentì
indubbiamente confuso, ma aveva anche avvertito un misto di
sensazioni piacevoli in cui c'entrava anche l'euforia. Si era chiesto
se, in un qualche modo meno chiaro, Naruto si sentisse così
tutte le volte che Hinata arrossiva o sveniva davanti a lui. Si era
sentito lusingato e parte di qualcosa in cui inconsciamente già
sguazzava da molto tempo: l'adolescenza.
Lui non era esattamente
un tipo gettonato - non si sentiva tale, almeno - e scoprirsi
apprezzato tanto da istillare del nervosismo era come trovarsi nella
posizione di Sasuke e per un attimo gli si era acceso qualcosa nel
petto. Shikamaru non l'aveva mai trovato motivo d'orgoglio,
dall'esterno, e non la considerava tale neanche in quell'istante,
anzi: pareva qualcosa di molto stancante da non attirarlo
minimamente. C'era però da ammettere che, pure se non la farai
mai, avere una scelta tra le tue opzioni fa sempre piacere.
Dopo
quell'episodio ce n'erano stati altri, alcuni provocati da lui per
avere quella determinata reazione, altri casuali e altri ancora
causati dalla sfortuna e dalla sbadataggine della ragazza; in ogni
caso, non se ne spiegava bene il motivo, ma avevano sortito comunque,
tutti, lo stesso effetto.
A lui piaceva il sorriso di Shiho, gli
piacevano i suoi capelli biondo cenere, arruffati. Non faceva
differenza che avesse degli occhiali enormi perché ormai lo
sapeva che sotto c'era un cielo più chiaro di quello di Ino e
più luminoso di quello di Naruto.
Quel
giorno Shiho gli portò il caffè come tutte le altre
volte e lui, più per indole pigra che per un preciso rituale,
le sorrise.
Nonostante all'inizio avesse pensato di metterla in
soggezione per una serie di motivi legati al fatto di essere un ninja
e di avere un'importante quoziente intellettivo, in un secondo
momento aveva anche pensato che Hinata non aveva queste stesse cose
per cui arrossire. Naruto era ancora genin, non brillava per
intelligenza e aveva anche una pesante dose di sfortuna.
Aveva
però una caparbietà smisurata; lui si sarebbe rialzato
sempre e Konoha viveva nella serenità grazie a questa
consapevolezza, aveva un cuore così grande da farci entrare un
paio di Villaggi e avere ancora spazio. Naruto era il ninja più
imprevedibile e scaltro che conoscesse in battaglia e un tontolone di
prima categoria nella vita, ma la sua sbadataggine era genuina,
faceva sorridere di tenerezza e quel suo sorriso lo scagionava ormai
anche dai pugni di Sakura. I suoi valori erano qualcosa di solido e
sano che facevano riflettere tutti. Nara ne era sicuro, gli avrebbe
affidato la sua vita e quella di tutti i suoi cari; tranne forse
quella di Kurenai sensei, dal momento che Naruto non sapeva cosa
fosse una donna incinta.
Alla luce di questi fatti probabilmente
non erano solo certe doti che scatenavano quel tipo di
interessamento, era più l'insieme, tutto ciò che
rappresentava una persona. E la questione era ancora più
esaltante dopo averlo realizzato.
Conseguentemente a questa
rivelazione era anche giunto al perché il disagio non fosse
scomparso con il tempo, perché Shiho non si fosse abituata ad
averlo intorno e non si fosse rassegnata a non arrossire tutte le
volte. Quello che provava Shiho non era una cotta. Poteva essere
amore o diventarlo, ma non era una cosa passeggera.
Hinata non era
Ino, ognuno ha il suo carattere, ma anche Ino, lui lo sapeva, era
molto timida e non aveva mai avuto atteggiamenti del genere con
Sasuke o Kiba. L'unico con cui aveva avuto questo tipo di reazioni -
proporzionate al suo carattere, ovviamente, nonostante anche lei in
un paio di occasioni fosse arrossita - era Sai; e non aveva mai
sentito parlare di quel ragazzo in modo frivolo dalla sua compagna di
team.
Persino Naruto aveva preso a balbettare e le sue guance si
tingevano leggermente di rosso quando c'era Hinata in giro, adesso
che aveva spinto il suo sguardo al di là delle spalle di
Sasuke e Sakura. Quindi ecco la differenza.
Per quanto si possa
essere timidi, introversi, o completamente estroversi, non si è
intimoriti da una cotta, non c'è niente che dobbiamo aver
paura realmente di perdere, siamo audaci perché vogliamo
qualcosa, ma non c'è paura di un rifiuto, non c'è
abbastanza paura del giudizio dell'altro come invece avviene nel caso
in cui c'entri un interessamento più profondo.
Quando
il foglio davanti a sé cominciò ad assumere forme
buffe, Shikamaru si accorse di essere chiuso dentro quella stanza da
ormai tutto il pomeriggio e, da quello che gli suggeriva la luna
fuori dalla finestra, anche la serata. Pochi metri lontano da lui
Shiho e un altro ragazzo addetto a quella sezione stavano parlottando
a bassa voce.
Per un fugace momento qualcosa di strano si insinuò
dentro lo stratega. Shiho muoveva le mani in modo deciso, non aveva
tremori o dubbi, quel ragazzo non la metteva a disagio.
Nel
momento in cui la sua dotata mente gli suggerì la parola
“gelosia” lui sorrise, abbassando lo sguardo mentre lei
si voltava leggermente nella sua direzione: Shiho non si sentiva a
disagio con lui, ne era invaghita, attratta, innamorata, quel ragazzo
invece non aveva questo privilegio e se lei avesse avuto nei suoi
confronti gli stessi atteggiamenti, Shikamaru si sarebbe sentito
deluso, in un modo o in un altro.
La ragazza si alzò, fece
qualche passo nella sua direzione e si fermò, aspettando che
lui alzasse lo sguardo.
“Shikamaru-kun, l'ultimo messaggio
della Sabbia?” chiese Shiho, mentre guardava ovunque tranne che
nei suoi occhi.
Nara storse il naso.
Erano mesi che le diceva
che non aveva bisogno di un suffisso e gli ci erano voluti dei mesi
per farla passare dal san al kun. Un traguardo, anche se non riusciva
a farsi guardare negli occhi per più di mezzo secondo,
nonostante lei fosse dietro spessi fondi di bottiglia.
Non era
sicuro di voler stare con lei, qualunque cosa comportasse quello
“stare”, ma sapeva di volere più confidenza tra
loro. Il pensiero della settimana precedente, dove il dubbio che
forse se avesse potuto vedere quegli occhi chiari più spesso
avrebbe dormito meglio, la faceva da padrone. Certo, questo non aveva
riscosso molto successo dalla sua parte razionale, tuttavia confidava
nel momento rivelatore di cui parlavano tanto Ino, Sakura, Tenten e,
se ci fosse stato così tanto silenzio da udirne il borbottio,
persino Hinata.
Stava pensando al tanto chiacchierato bacio
proprio mentre si alzava, ma tra la foga e l'essere stato seduto
delle ore, si ritrovò a barcollare in avanti preda di un
capogiro. Si appoggiò alla scrivania e rispose alla domanda
postagli mentre si massaggiava gli occhi.
“Ho fatto il
grosso del lavoro,” disse, rialzando la testa per guardare la
sua interlocutrice, “finirò domani... E anche tu
dovresti andare a casa,” concluse, giacché avendo
inclinato la testa di lato aveva potuto intravedere le occhiaie della
ragazza.
“No, be'...”
Anche senza la sua
proverbiale pigrizia non avrebbe mai potuto competere con l'abilità
innata di stacanovista di Shiho, così aveva imparato ad
arrendersi in fretta senza per questo essere contento della sua
dedizione in sfavore della propria persona, del proprio riposo e del
proprio tempo libero.
Si mise il giubbotto da chuunin e si
allontanò dalla sua scrivania senza aggiungere altro e prima
di sparire oltre la porta l'aveva già salutata.
Con
un po' di pazienza e mente fredda si capiva subito che dietro
all'animo instancabile di Shiho non c'era altro che insicurezza: lei
compensava il suo stupido pensiero di essere poco utile, rispetto ad
un ninja, con maratone forzate di migliaia d'ore di lavoro alla
settimana. Compensava in lunghezza quello che non credeva di avere in
altezza.
Questo era sbagliato per un sacco di motivi ad a pensarci
veniva solo un gran mal di testa. La cosa che invece lo fece tornare
sui suoi passi fu il pensiero di non essere diverso da chi non le
diceva di pensare più a se stessa e di prendere quel lavoro
più con la consapevolezza che fosse anche solo un
lavoro.
Rientrò quindi nella sala di decriptazione con un
certo impeto, che fece cadere un volume piuttosto pesante dalle mani
di lei, e facendole il giro intorno la obbligò a
indietreggiare fino alla porta.
“Senti,” cominciò,
mentre lei indietreggiava, “non mi va che tu lavori sempre fino
a tardi e prenda il mio stesso stipendio.”
“Ma- ma...
Io...”
Ecco l'Hinata nel panico che rossa in viso
indietreggia perché lo vede avanzare verso di lei e non perché
sta mettendo in discussione il suo approccio al lavoro, alla vita.
Ma
Shiho non è Hinata, è maldestra e nonostante si
nasconda dietro gli occhiali le sue nevrosi sorpassano la sua
timidezza. Shiho ha sempre avuto, da che lui abbia ricordo, il vizio
di spingersi gli occhiali sul naso con un dito, invece di lasciarli a
debita distanza in modo da creare l'effetto specchio che potrebbe
proteggerla di più.
È un gesto istintivo e in
quell'occasione lo fece pur avvertendo la consistenza dura della
porta alle sue spalle.
“Ma... dovresti iniziare a venire via
con me, la sera.”
Shikamaru era decisamente stanco e, per
una buona manciata di secondi, fu convinto di averle detto di fare un
orario da pigrona e di non affogare nel lavoro, mentre poco dopo, nel
tempo in cui la sua mano raggiunse la maniglia, ebbe la netta
sensazione che lei lo avesse percepito come un invito. Il malinteso
tuttavia non fece scaturire alcun fastidio e, anzi, fu proprio quel
leggero e piacevole formicolio nello stomaco a distrarlo.
Fece
pressione sulla maniglia ma, dimentico del suo aprirsi verso
l'interno, spinse a vuoto, finendo esattamente addosso a lei.
In
un primo momento poté constatare che la ragazza fosse davvero
morbida rispetto a come se l'era immaginata; avendo avuto per molto
tempo la sua minuta figura davanti agli occhi, si era convinto che
avesse dovuto essere quasi spigolosa da abbracciare. In secondo luogo
si accorse forse per la prima volta che le loro altezze erano simili
e solo dopo una lunga serie di inutili constatazioni, come il fatto
che lei non stesse respirando, prese atto del bacio che
effettivamente si stavano scambiando.
Era in realtà un
semplice sfiorarsi di labbra all'inizio, ma dopo le prime due
considerazioni gli era parso logico, a lui ed al congresso di
luminari in pensione che aveva in testa, approfondire quel contatto
così piacevole. Aveva appena finito di pensare che non sapeva
se voleva stare con lei ed eccolo lì, che approfondiva
contatti a caso. Un genio, sì.
A ben vedere lui non era
nessuno per contraddire il connubio tra il suo istinto e il suo
cervello e, anche se la coerenza gli era sempre piaciuta, dal momento
che quello era l'unico problema esistente, nonostante gli eventi
fossero di una quasi epica importanza, non capiva bene cosa ci fosse
ancora da discutere.
Shiho gli piaceva. Punto. Non c'era da
ricamarci sopra futili pare, bionde o rosa che fossero.
Un'altra
cosa lampante era il fatto che non ci fosse fretta. Lui di certo non
si sarebbe allontanato da lei, non per primo, se solo non avesse
avuto abbastanza chiaro che senza un addestramento ninja era
difficile riuscire a trattenere il fiato molto a lungo.
Lei
abbassò la testa, una volta libera, e, con una velocità
che non ricordava certo i civili, si voltò, aprì la
porta quel tanto che bastava per passarvi oltre e la richiuse.
Dopo
Shikamaru poté udire abbastanza chiaramente le sue spalle
scorrere dall'altra parte della porta, fino ad immaginarsela
accasciata a terra.
“Shiho?” la chiamò, anche
per interrompere il conto alla rovescia per il lancio dell'ennesimo
sbuffo della giornata. Non sarebbe stato carino, insomma.
La
risposta fu tanto flebile che per un attimo Shikamaru si chiese se
non fosse entrato un gatto e avesse miagolato, tre stanze più
là.
A sapere cosa dire, o anche solo ad avere
l'enciclopedia Ino - “Tutto quello che volevate sapere ma non
avete mai osato chiedere sull'amore” - a portata di mano,
sarebbe stato facile gestire la situazione. E sarebbe stato anche
utile visto che senza riuscire a comunicare con il linguaggio del
corpo, tutto quello che rimaneva erano le parole.
Invece non aveva
alcuna esperienza, quindi poteva soltanto andare per logica ed
incrociare le dita.
Prima però mimò “che
seccatura...” con le labbra, guardando il soffitto come se
fosse stata tutta colpa sua.
“Tutto bene?”
chiese.
Poteva sembrare una domanda stupida, ma a stare in apnea
si diventa viola e poi si muore, quindi magari la sua preoccupazione
era più che legittima.
“N... sì!”
C'era
un certo margine di fraintendimento in una risposta del genere. Lei
non era a posto perché lui l'aveva baciata, ma era contenta
quindi anche se no in definitiva era sì, stava
bene. Ed era anche una spiegazione sufficientemente contorta e
intelligente da sembrare propria di Shiho.
“Allora... Posso
aprire la porta?”
Ponendo questa domanda Shikamaru storse il
naso perché l'immagine di uno Shikaku ubriaco saltò
fuori in un agguato e gli mugolò addosso che le donne ti fanno
chiedere il permesso per ogni cretinata. Ma quel ricordo puzzava
d'alcool e di sudore e successivamente di grida notturne che dicevano
che suo padre avrebbe dormito sul divano, e in niente di tutto questo
c'erano permessi, perciò non reggeva.
“No...
Aspetta!”
Aspetta.
Poteva voler dire tante cose, come ad
esempio 'aspetta, sono confusa: credo che mi piacciano le donne', o
un 'aspetta, mi sono strozzata con la mia - o era la tua? - saliva'.
Era fraintendibile, ma non era un rifiuto.
Certo, nella sua testa
il rifiuto della ragazza aveva le stesse probabilità di una
sua eventuale omosessualità, però la vita gli aveva
sempre mostrato che essere troppo sicuri di sé, specialmente
dove tutto si ergeva su un qualsiasi fattore x, non era
consigliabile.
Lo scorrere del tempo in ogni caso non giovava
neanche a quelle blande convinzioni che aveva raccolto in quel
periodo.
“Shiho?”
“Un momento...”
Questa
volta era stata una risposta rapida, almeno. Aveva dimostrato di
essere ancora lì, con la testa, e di aver almeno iniziato a
pensare alla faccenda.
Si guardò intorno, chiedendosi se ci
fosse un limite di tempo, se emettesse un suono una volta finito di
pensare, se... Oh Dei, pensò, passandosi una mano tra i
capelli, se pensava tanto quanto lui faceva bene a prendersi una
sedia e mettersi comodo.
Mise la sedia davanti alla porta e vi si
sedette sopra.
Akamaru
gli leccò una mano mentre Kiba gli infilava una spiga in un
orecchio e lui si svegliò di soprassalto, in ansia, convinto
di avere tra i piedi quel cagnaccio che lo svegliava sempre in malo
modo, invece di essere ancora nella sala di decriptazione. Il rumore
secco della serratura e il fruscio della porta, che lenta si apriva,
lo fecero alzare di scatto. La sedia cadde all'indietro, producendo
un tonfo sordo nella notte silenziosa.
“Non mi sono
addormentato,” biascicò, sulla difensiva.
Shiho rise,
coprendosi le labbra con la mano a pugno chiuso.
“Mi
dispiace,” disse, guardando per terra, “sai, panico...”
alzò le spalle, come se fosse stata una cosa da niente.
“Oh,
a me non dispiace.... Cioè, per il panico sì,”
ritrattò, confuso e assonnato.
In realtà era come un
accordo tra due Paesi. Un contratto che diceva che se lui poteva
baciarla allora avrebbe anche aspettato su una sedia. Una
scomodissima sedia, aggiunse la sua vena melodrammatica.
“Credo...
Credo sia meglio andare a casa, adesso,” disse Shiho, cercando
un orologio immaginario su una parete a caso, “è
piuttosto tardi.”
Shikamaru non poté che darle
ragione: era effettivamente molto tardi e l'orologio alle spalle di
lei lo confermava.
“Hai ragione, però voglio il bacio
della buona notte.”
In realtà le ultime sillabe
vennero dette con dell'ansia poiché Shiho aveva perso
l'equilibrio e si era addossata alla porta aperta, erano quindi
scivolate entrambe all'indietro, lei rossa e la porta
marrone.
“Scherzavo...” si crucciò, Shikamaru,
prima di appuntarsi di dover agire piuttosto che informarla prima.
Poi, evitando accuratamente di sfiorarle la mano, la accompagnò
a casa senza pretendere troppo da lei e da quella serata. La pazienza
era sempre stata un suo punto di forza, dopotutto.
Owari
Santo
cielo! Sembra la fiera delle pare... Che ansia!
Ogni volta che
tratto Shikamaru parto a diritto per ore con cose assurde. Voglio
dire, forse dovrei provare a renderlo almeno vagamente intelligente e
adeguatamente preparato, no? E invece viene fuori un ragazzo
intelligente, ma con tutto il pacchetto adolescenziale. Non lo so, è
che lo vedo così. Come dico sempre quando lo inserisco in
situazioni sentimentali: lui è solo intelligente, eh. ù.ù
I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.