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Autore: Something Rotten    14/08/2012    1 recensioni
Sorrise, pensando a quanto il suo ragazzo amasse la routine a tal punto, da ricreare fedelmente ogni mattina la stessa macchia scura di caffè nello stesso punto del giorno precedente. Ed era forse quella propensione innata per la routine che l'aveva fatto innamorare di lui; era come se nel caos di quella vita frenetica, quelle piccole cose creassero un qualcosa di stabile e di duraturo nel quale credere e sperare. Tanto il giorno dopo sarebbe andata nello stesso modo, perché angosciarsi?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Inizialmente doveva essere una Wolfstar, ma è un pairing che non riesco ancora gestire propriamente, quindi ho deciso di fiondarmi a capofitto nella Frerard, che a quanto possiate capire è la mia Ship numero uno. Finirò tutto, non preoccupatevi, però lasciate almeno un piccolo segno del vostro passaggio; è frustrante vedere quel numeretto tondo vicino al riquadro delle recensioni _.-"
Il titolo appartiene agli As I Lay Dyng.
So che thousand significa ' mille', ma ho scelto questo titolo per la musicalità, non rendeva allo stesso modo inserendo cento; cento però saranno i 'passi' che Frank dovra compiere. Per fare cosa?
Lo scoprirete al decimo, ed ultimo, capitolo.

I climbed a thousand steps without a single imprint.


Ten steps;

Coffe Mug.

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Frank saltò l'ultimo gradino, molleggiando dolcemente sulle gambe per evitare di franare al suolo; spesso si dimenticava di non essere più un giovincello, e faceva movimenti che le sue giunture non sapevano reggere propriamente. Si guardò intorno, cercando la zazzera color amaranto del ragazzo, trovando invece quella marrone di Mikey; gli rivolse un ampio sorriso, ed ebbe come risposta un ghigno stirato, uno di quei sorrisi a mezza bocca, che, lungi dal contribuire alla felicità di un gesto tanto semplice quanto ben accetto, lasciava un retrogusto amaro.

“ Buongiorno, ” provò nuovamente, suggellando quella parola con l'ennesimo sorriso raggiante. Ma tutto ciò che ottenne fu quel sorriso amaro ad occhi spenti. Si chiese il perché di tutta quell'amarezza, e di quel cattivo umore, e l'unica risposta che seppe darsi fu che non tutti si svegliavano di buon umore come lui. Decise quindi di lasciar cadere lì quella sorta di scarna conversazione, e di compiere quei dieci passi che lo dividevano dalla cucina: a stomaco pieno sono tutti più felici, pensò, parafrasando le parole che Gerard era solito dire prima di far colazione.

Entrò nella piccola cucina, osservando con un cipiglio la stanza; era vuota. L'altro non era nemmeno lì. Odiava avere degli orari così diversi, che non combaciavano neanche per un secondo; Gerard era un fumettista, e come tale passava la gran parte della sera a disegnare, ed il mattino alla sede centrale della sua casa editrice, cercando di far passare per ' buoni ' i suoi lavori. Lui, invece, era un semplice impiegato, che lavorava dal mattino al tardo pomeriggio, e le possibilità di incontrarsi si riducevano al week-end, ed in casi del tutto eccezionali a pranzo. Non era facile vivere così la loro vita di coppia, ma senza quei soldi potevano dire addio al loro appartamento, e soprattutto al loro sogno di andarsene da quel paese sperduto nel New Jersey, che non offriva nulla, se non un lavoro a tempo pieno ed un salario, che sconfinava nel minimo concesso dalla legge.

Prese la macchinetta del caffè, ancora poggiata sui fornelli, e la scoprì vuota; al suo interno era rimasto solo l'odore e qualche macchia di quel nettare marrone. La rimise al suo posto con un gemito di delusione, dovuta più che altro al suo continuo cadere nel tranello del suo ragazzo. Gerard, infatti, era solito lasciare la macchinetta sui fornelli, facendo credere a lui, e al resto dei loro coinquilini, di poter bere quell'ambrosia senza dover preparare nuovamente la macchinetta, ed ogni mattina, come in una sorta di routine perversa, sorridevano estasiati di fronte a quel pezzo di ferraglia, credendo fermamente nella bontà del ragazzo. Ed ogni mattina, poi, gemevano di insoddisfazione scoprendola vuota, e per giunta sporca; oltre il danno anche la beffa, pensò.

Optò per un succo di frutta, ritenendo uno spreco di energie preparare nuovamente la macchinetta quando poteva comodamente bere dell'ottimo caffè seduto alla sua scrivania, una volta arrivato a lavoro, preparato per giunta in maniera eccelsa dalla sua segretaria. Prese i suoi cereali, e si sedette al suo posto; quello a capotavola era di Mikey, essendo il fratello minore di Gerard, nonché il nipote preferito di Elena, voleva avere un posto di tutto rispetto anche lì. Quello al suo fianco era di Bob, entrambi infatti venivano considerati pericolosi, soprattutto di prima mattina quando le loro facoltà mentali non erano ancora del tutto 'ricettive', così preferivano vederli seduti vicini, rispetto ad averli accanto. Di fronte a lui sedeva Gerard, e lui, le poche volte che riuscivano a far colazione insieme, passava l'intera durata del pasto a fissarlo, e a godere appieno delle sue millemila sfaccettature. Infine, il posto di fronte a Mikey era di Ray, ma almeno per lui non c'era una motivazione precisa, sedeva lì e basta.

Nonostante fosse seduto da solo in una stanza vuota, poteva vedere i comportamenti dei suoi coinquilini, quasi che fossero dei fantasmi, che infestavano la piccola e squallida cucina. Vedeva Gerard stropicciarsi gli occhi, e conversare amabilmente con Ray sull'ultimo numero di Batman uscito in edicola; vedeva Mikey giocare con i cereali nella sua tazza, rispondendo con un ringhio basso e minaccioso alle continue prese in giro di Bob, - Mikey era la sua vittima preferita, dopo di Ray, naturalmente-; ed infine vedeva sé stesso fissare con sguardo trasognato l'oggetto dei suoi desideri, che ogni tanto gli rifilava un sorriso dolce, cercando di non farsi accorgere dal resto dei ragazzi. La loro era una storia clandestina, o almeno così credevano; in fin dei conti tutti sapevano, ma preferivano tacere, lasciando ai due amanti il piacere della proibito.

Bevve il suo succo di frutta tutto d'un fiato, masticando, poi, con poca grazia quel povero cornetto, maciullato e ridotto in poltiglia dai suoi denti affilati. Reclinò leggermente la testa di lato, ed osservò con curiosità la macchia di caffè, che in una circolarità perfetta, ricreava fedelmente il fondo della tazza di Gerard; era surreale come quella chiazza si trovasse sempre nello stesso punto, sembrava quasi che nessuno l'avesse ripulita da tempo immemore.

Sorrise, pensando a quanto il suo ragazzo amasse la routine a tal punto, da ricreare fedelmente ogni mattina la stessa macchia scura di caffè nello stesso punto del giorno precedente. Ed era forse quella propensione innata per la routine che l'aveva fatto innamorare di lui; era come se nel caos di quella vita frenetica, quelle piccole cose creassero un qualcosa di stabile e di duraturo nel quale credere e sperare. Tanto il giorno dopo sarebbe andata nello stesso modo, perché angosciarsi?

Si voltò, cercando la tazza blu scuro sul lavello della cucina. La trovò lì, capovolta, e pronta ad essere nuovamente utilizzata. Era un certezza quella tazza capovolta, quasi quanto quella macchia densa di caffè sulla tovaglia variopinta del tavolo. Una certezza alla quale non avrebbe mai rinunciato, una certezza che lo faceva sentire vivo, come forse non era stato mai.

Un ghignò si dipinse sul suo volto al solo pensiero della sera; era giovedì, e come tutti i giovedì lui avrebbe preparato del caffè intorno alle due della notte con la scusa banale di portarlo a Gerard, che sicuramente doveva lavorare fino a tardi per consegnare uno schizzo il lunedì successivo, per non rischiare di dover lavorare l'intero week-end. Avrebbe bussato alla porta della sua camera, e poi sarebbe entrato, cercando di tenere sveglio il ragazzo. E certamente il caffè sarebbe rimasto intatto nella tazza color blu, che tanto sapeva di quotidianità.

Finì di fare colazione, sparecchiò, e poi percorse a ritroso quei dieci passi che lo dividevano dalle scale, che conducevano al piano superiore, pronto per l'ennesima giornata di duro lavoro.





   
 
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