Germania.
1940, Giovedì.
Ci furono troppe persone coinvolte
nel massacro di
qualche giorno precedente. L’America era a completo vantaggio
rispetto alla
Germania e ben presto il Paese, sarebbe stato ridotto in un cumulo di
macerie.
Gli ordini del Sergente tedesco erano stati ben precisi: fare fuori
qualsiasi
cosa che si fosse mossa e tenere a bada il ragazzo.
C’era un inquietante silenzio in quella camera, ma
continuò a durare a lungo,
dato che nessuno dei due soldati, osò interromperlo.
Baker invece, al contrario di Fisher, era un uomo sulla trentina, alto
e con un
fascino davvero provocatorio. Entrambi avevano un qualcosa di adulto,
con l’unica
differenza, che uno era molto più giovane
dell’altro. Il sangue di Baker,
scorreva lungo la divisa militare verde, scurendosi e mischiandosi con
la
stoffa, diventando di un colore marrone sporco. Anche il pavimento
contribuiva
ad assaggiare quel suo sangue, ma ancora, nessuno dei due si decise a
rompere
il ghiaccio.
Fisher si alzò, avanzando verso di lui, prendendolo per il
braccio e
stringendoglielo con molta violenza, sbattendolo al muro. La mano che
prima
afferrò il braccio dell’uomo, andò a
posarsi sul suo collo, stringendo
anch’esso con violenza. O parli, o muori,
lurida testa di cazzo. Si
decise, con un tono che lasciava intendere le sue parole reali. Non era
un tipo
che si faceva scrupoli di qualcuno, quando poteva, uccideva senza un
minimo di
ripensamento, divertito nel vedere le sue vittime cadere dal dolore e
morire
lentamente. Era una scena raccapricciante, ma anche molto bella alla
vista del
soldato tedesco. L'Americano rimase momentaneamente in silenzio,
fissandolo con
il suo solito disprezzo e odio, per poi sputargli in faccia, come per
dire che
mai avrebbe parlato.
Il Tedesco fece una smorfia di disgusto, sbattendolo di più
contro al muro e
lasciandolo qualche secondo dopo. Era da giorni che parlava senza alcun
risultato, da giorni che lo minacciava e lo feriva, ma quest'ultimo non
rispondeva mai a tutte quelle provocazioni. Era innervosito, il suo
orgoglio
stava perdendo di successo per ciò che stava succedendo.
Bestemmiò sotto
voce, maledicendolo per l'ennesima volta e togliendosi la maglietta
grigia,
impregnata di sudore. Avrebbe fatto volentieri anche a meno di
interrogare un
idiota come quello, o così lo considerava. Avrebbe, invece,
preferito andarsene
in guerra contro gli Americani e vendicarsi di tutto quello che gli
avevano
fatto.
Aprì l'anta dell'armadio, guardando le cicatrici e le ferite
ancora aperte che
aveva sia sulle braccia, che sul busto. Tutti gli anni che
passò lì dentro,
furono Inferno e Paradiso allo stesso tempo. Malinconia, tristezza, era
quello
che provava quando rivedeva il suo corpo. Come se non gli appartenesse,
come se
non lo conoscesse. Avrebbe veramente voluto che fosse stato
così, ma invece, il
suo Destino era segnato da un enorme libro, cui non poteva cancellare
le
pagine. Perchè fai la guerra? Il
silenzio fu nuovamente interrotto, ma
questa volta non era stato il soldato tedesco a parlare, ma Baker. In
tre
giorni non aveva ancora sentito la sua voce. Aveva solamente comunicato
con
gesti muti. Fisher rimase in silenzio per qualche secondo, mettendosi
una camicia
pulita dal colore nero, come i suoi capelli, e girandosi verso l'uomo.
Nessun prigioniero aveva mai osato fargli quella domanda e in
realtà, non
sapeva nemmeno come rispondere. Abbassò un momento dopo lo
sguardo, come se ci
stesse realmente riflettendo, ma ancora, la sua mente non
osò rispondere. Non
sono cazzi che ti riguardano. La sua risposta fu fredda e
incisiva, tanto
che fece ammutolire tutto ad un tratto Baker, che a fatica,
tentò di avanzare
verso il tedesco.
Quell'uomo era particolarmente strano agli occhi di Fisher, e dire che
aveva
avuto molti prigionieri a cui "badare", per così dire, ma
nessuno di
questi fu così sfacciato da comportarsi in quel modo. Rimase
in allerta,
stringendo il pugnale che aveva nella fodera in pelle, stretta nella
vita, ma
non dovette usarla, dato che l'americano, si fermò a
pochissimi passi dal
letto, al quale si appoggiò, non riuscendo più a
reggersi in piedi. Doveva
ammettere che un po' gli faceva pena. In fondo era pur sempre un essere
umano
ma... Scosse il capo lentamente, tra se e se. Non doveva nemmeno
pensare a
quelle cose. Il Sergente ribatteva ogni volta che L'America
è il nemico, noi
dobbiamo abbattere il nemico. Un insegnamento duro e senza
alcuna legge o
pena. Un insegnamento che doveva rimanere impresso nelle fondamenta del
cervello e non dimenticarselo mai. Ma Fisher, non poteva
dimenticarsi di
quella tarda notte. Era bastata solo una carezza da parte
dell'americano e un
debole sorriso, che nemmeno ferendosi da solo, riusciva ad eliminare.
L'immagine
di quella notte insieme a Baker, era visibile come il sole nei suoi
occhi,
nonostante si comportasse come se nulla fosse, come se tutto quello
fosse stato
un sogno.
"Non
ti avvicinare a me! Urlo, non
sapendo come
staccarmelo di dosso. Odio quel tipo di vicinanza, non lascio nemmeno
avvicinare un cane in questo modo, figuriamoci uno stupido americano!
Ma
niente, lui continua a venirmi incontro, con quel mezzo sorriso che
potevo
intravedere la sofferenza e la tristezza. Anche io mi sento spesso
così: mi
pento di aver fatto scelte così dure, mi pento di aver
ucciso persone
innocenti, nonostante fossimo nemici. Mi pento di essere quello che
sono, odio
me stesso, odio gli altri, odio chi mi ha ferito e soprattutto odio chi
mi ha
creato. Ma questo odio... perchè non può essere
ricambiato? Molti sono stati
miei prigionieri, molti mi hanno capito, molti hanno percepito
ciò che
sentivo... Ma per mano mia sono morti, e questo ragazzo di cui non
ricordo il
nome, sarà il prossimo. Mi lascio andare. Ho deciso, questa
notte sarò un
essere umano normale, voglio provare che cosa significa esserlo. Sembro
quasi
un bambino, questi pensieri non sono da me, ma capita spesso... Quando
sono in
compagnia di una persona, riesco a lasciarmi andare e non comprendo il
motivo
di questa mia pazzia. L'americano non parla, si limita a dare segni
muti, come
se lo fosse veramente. Ma quei suoi gesti, per quanto possano essere
pericolosi
per la mia mente, per il mio corpo sono troppo piacevoli. Non ho mai
ricevuto
in tutta la mia vita un trattamento del genere, e ora... come se nulla
fosse...
Sospiro. Non so che cosa fare, come reagire. Riesco solamente a stare
fermo,
intento a fissare i suoi occhi color azzurro cielo. Non sono un debole,
non mi
faccio nemmeno sottomettere. Nessuno deve osare toccarmi, ma lui... Il
suo
tocco mi faceva ricordare tanto quello di una persona. Chiudo gli
occhi,
rispondendo, anche se rimango immobile. Ho paura di sbagliare.
Così mi limito
ad accontentarlo e rispondo a quel suo lento bacio. Non mi piacciono le
cose
sdolcinate, anzi, le odio con tutto il mio cuore, ma ripeto: per una
sola
notte... Il mio cuore prende un acceleramento impressionante. Le mani
dell'americano, vanno a toccare la mia pelle, il mio stomaco. Con un
susseguirsi di baci, che lentamente sono sempre più
violenti. Bene, questo era
un punto a mio favore. Amo la violenza. Le dita del moro vanno a
posarsi sui
miei capezzoli, stringendoli e torturandoli, facendomi stringere i
denti per il
nervoso. Non volevo essere sottomesso, non un'altra volta, ma purtroppo
così
sta succedendo. Il mio respiro diventa affannato, e senza rendermene
conto,
dalle mie labbra escono gemiti di... piacere. Mi tolse la maglia,
buttandola a
terra, incurante se accettassi o meno quella sua tortura. Un altro
sospiro di
piacere. Le sue labbra toccarono il mio petto, scendendo di nuovo,
prendendo
posto delle sue dita. La sua lingua calda, torturò ancora
una volta i miei
capezzoli, mentre le mani, andarono con lentezza a togliere la cintura
dei miei
pantaloni, anch'essa buttandola a terra. Mi chiedo che cosa mi sia
saltato in
mente. Sono realmente così stupido? Sono un soldato tedesco
e me la sto facendo
con uno dell'America? Niente, quei pensieri tornarono nel cestino
personale del
mio cervello, e da solo mi diedi dell'idiota, perchè
sì, quello ero. Il suo
tatto caldo, andò immediatamente a penetrare all'interno dei
boxer, stuzzicando
la mia intimità. Trattengo a stento il respiro e mordendomi
le labbra, cerco di
non gemere. Non voglio dar nessuna soddisfazione a quello stronzo,
nemmeno se
mi avesse pagato. Inarco leggermente la schiena. Le mie mani stringono
le
lenzuola verdi militare del letto e le mie labbra questa volta, si
serrarono,
non lasciando passare alcun suono. Voglio che si fermi, ma non riesco a
dirlo.
Perchè non ce la faccio? No, basta. Non voglio
più chiedermi niente. Oggi
voglio essere diverso, nessuno mi vede, nessuno mi ascolta... Sono
quasi tutti
in missione e voglio sentire solamente ciò che il mio cuore
dice. Stringo gli
occhi ancora una volta, sentendo la sua mano stuzzicare il mio membro,
ogni
secondo sempre con più velocità. Nutro un altro
senso senso di colpa. Non ce la
facevo a vedermi con un uomo, né tanto meno, vedermi fare da
un uomo. Ma
niente, ancora mi sottometto a quei tocchi, gemendo leggermente e
trattenendomi. Quella sua tortura durò svariati minuti. Gli
mordo le labbra con
violenza, sentendo il sapore del sangue invadere le mie papille
gustative. Un
attimo dopo, senza rendermene nemmeno conto, vengo nella sua mano. Lui
sorride,
quasi in modo divertito. Io invece faccio una smorfia di disgusto. Vedo
che si
leccò le dita e sento un caldo terribile sulle gote. Non mi
sono mai sentito in
questo modo, come può fare cose talmente imbarazzanti?
Rimane in silenzio, non
ho ancora sentito la sua voce e devo ammettere che sono davvero
curioso. Di
nuovo scende con le labbra, sentendo la sua calda lingua ancora una
volta sui
capezzoli, ma quel piacere -se così può
chiamarsi- durò poco, nemmeno il tempo
di assaporarlo totalmente, che scende fino al basso ventre. Con l'aiuto
della
mano sempre sulla mia intimità, inizia a stuzzicare il mio
membro, leccandone
la punta quasi con avidità. Gemo più forte.
Dannazione, devo stare zitto, se mi
avessero sentito sarei morto all'istante! Così, ancora,
trattengo i gemiti,
portandomi una mano dinnanzi alle labbra e tappandola, inarcando sempre
di più
la schiena, per quel lavoro di bocca che stava facendo. Vedo che
sorrise,
divertito. Io invece sono piuttosto nervoso. Non capisco che cosa ci
sia di
divertente in una cosa del genere! Automaticamente gli porto una mano
sul capo,
stringendo tra le dita i suoi capelli e facendo una pressione sulla sua
testa
verso il mio membro, ormai voglioso di più attenzioni. Lui
mi accontenta, senza
fare obiezzioni. Schiude di più le labbra e spinge la sua
testa verso il mio
membro, sentendo la sua lingua che faceva lo stesso gioco di prima.
Troppo piacevole
e troppo peccato insieme. Quei minuti passarono velocemente e ancora
non ne
avevo abbastanza. Sto
per
venir... Non
faccio in tempo
a finire la frase, che subito mi precedette. Vengo dentro la sua bocca
e nella
mente urlo una bestemmia, come il mio solito. L'americano alza la
testa,
guardandomi quasi con compassione. Odio quel tipo di sguardi, non sono
un tipo
da elemosina. Si lecca le labbra, soddisfatto per quel suo lavoro e di
nuovo
ritorna sul mio corpo. La mia mano fa tutto in automatico.
Andò a stuzzicare il
membro di lui, con velocità, ma non me lo permise. Mi blocca
i polsi sul letto,
stringendoli con violenza e premendo le sue labbra con le mie allo
stesso modo.
Cerco di divincolarmi, ma la sua forza è decisamente
più grande della mia.Lurido
stronzo lasciami andare! Dico
ad alta voce, ma senza alcun risultato, come sempre. Purtroppo non
riesco
nemmeno a muovermi sotto il suo peso e lascio che tutta la sua violenza
mi
penetrasse. Stringo i denti; nella mente altre bestemmie, mentre cerco
invano
di liberarmi. I miei gemiti sono coperti da quel suo bacio, e le sue
spinte
sono sempre più violente, facendomi un male cane. Pensavo
che uno come lui
fosse delicato nei modi, e invece era un bastardo senza un minimo di
grazia. La
paga, oh sì se la paga. Inizia a spingere sempre
più in fondo, facendomi
sussultare sia per il dolore che per il leggerissimo piacere che
provavo. Le
lacrime escono da sole, senza nemmeno che io le abbia chiamate. E'
tutta colpa
di quell'imbecille, ma in fondo... è così
dannatamente piacevole. Non riesco a
parlare, né a dirgli di smetterla. Lo lascio fare, godendomi
le sue spinte
violente e quella prigionia che mi sono costruito da solo."