Fanfic su artisti musicali > Avril Lavigne
Ricorda la storia  |      
Autore: GiuUnderground    14/08/2012    4 recensioni
Questa OS prende spunto dal live di Tomorrow a Dublino nel 2003. Credo che tutti abbiate capito di cosa sto parlando, giusto?
"Mi sentii come se un grandissimo tubo avesse prosciugato tutto l’ossigeno del mondo. Come se una tarlo mi stesse divorando lentamente, togliendomi tutte le forze fisiche e la lucidità mentale. Mi sentii come se la felicità fosse stata asportata via da me e mi si fossero iniettate insicurezza, tristezza e angoscia."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

         Water

«Lui vive in te»

Re Leone.

 

 

Nel tour-bus nessun letto era rifatto. Le lenzuola candide come la neve erano attorcigliate su se stesse, mentre le coperte più pesanti erano riverse per terra. Era impossibile camminare sulla moquette bordeaux senza calpestare qualcosa. Maglie, pantaloncini, indumenti intimi –principalmente erano i mutandoni dei maschi- tazze da latte e fazzoletti. Se non trovavi uno di questi oggetti, era inutile che cercassi con più attenzione nell’armadio, nella valigia, nella borsa o nella dispensa. La moquette era la risposta ai tuoi problemi.
Inutili erano le strigliate di Terry McBride, il mio manager, che ogni santo giorno ci rimproverava di questo caos, che lui amorevolmente definiva ‘porcilaia’. Era solo fiato sprecato.
All’istante gli davamo anche retta, all’inizio per paura e poi solo per compiacerlo. Tiravamo su le coperte e piegavamo i vestiti che riponevamo dentro le valigie e negli armadietti.
Tuttavia non imparavamo mai. Nell’arco di mezz’ora già era tutto sotto sopra, come prima. Come se Terry McBride non ci avesse mai redarguito.
Era facile buttare tutto a soqquadro. Mark Spicoluk e Jesse Colburn sostenevano di non riuscire a gustarsi un piatto se non lo mangiavano sdraiati sul letto. Così le coperte si sgualcivano in un attimo. Evan Taubenfeld prima di uno show aveva delle crisi adolescenziali: non riusciva mai a decidersi che cosa mettersi. Dico io, hai forse 14 anni? Io ne ho 19 e questi problemi non me li sono mai fatta. E sono pure una ragazza. Comunque ritornando al discorso, dato che il mio miglior amico Evan si faceva dei complessi mentali così grandi da indurre al suicidio una persona instabile e debole, tirava fuori disponendoli con cura sul letto tutti i suoi vestiti. Poi ne prendeva uno alla volta e li esaminava: se non gli andavano a genio, invece che ripiegarli con cura e riporli all’interno della valigia, li buttava all’indietro. Per far prima, diceva. Dato che prima di un concerto eravamo tutti su di giri, chi provava incessantemente i pezzi da portare in scena, chi si spruzzava quintali di lacca per apparire perfetto davanti agli occhi dei fan urlanti, chi rideva o piangeva istericamente per l’ansia, Evan per così dire si esentava da quel manicomio e se ne stava da solo –o quasi- a rigirarsi convulsamente tra le mani i capi, non riuscendo a decidere quale mettersi. Poteva rimanere lì anche ore prima di emettere una sentenza. Ma il tempo come si sa, non basta mai.
Così arrivavo io, con tutta la mia baldanza e fierezza che 19 anni e un disco al primo posto possono conferire e facendo finta che me fregasse qualcosa, gli indicavo quali vestiti avrebbe dovuto mettere.
«Sei sicura?» Era la sua consueta domanda.
«Certo.»Rispondevo io impassibile.
«Perché io..»
«Quegl’altri li metti al prossimo concerto ok?» Cercavo sempre di tagliar corto, dato che di vestiti non me ne sono mai intesa e interessata.
Andava sempre così. Ovviamente Evan non avrebbe lasciato quei vestiti già preparati per il prossimo show e così la storia si ripeteva ad ogni singola tappa.

Che noia.
Infine si entrava in scena prima che Evan potesse raccogliere tutti gli indumenti. Facile mettere in disordine, non trovi?
Quel giorno avevo un cappellino beige squadrato in testa e masticavo freneticamente una gomma al gusto di fragola.
Mi ero alzata con una gran voglia di scrivere canzoni. Questo fatto mi sorprese. Di solito accade dopo eventi che mi hanno segnata emotivamente e che hanno lasciato qualcosa dentro di me. Per esempio il fidanzato che mi ha lasciato, la solitudine e l’insicurezza che mi hanno pervaso dopo questo evento. Oppure la forte infatuazione per un ragazzo che però non corrisponde i miei sentimenti…
Questa volta era diverso. Solamente un grande impulso a scrivere, non sapevo nemmeno su cosa o chi scrivere.
Presi così intanto a girovagare per il tour-bus in cerca di penna e block notes per buttare giù qualche frase.
Frugai nel cassetto sotto il mio letto, ma non trovai nulla. Così chiesi a Mark e a Jesse se avevano penna e carta da prestarmi, ma niente.
«Se ti inabissi fino a toccare la moquette potrai trovare molte cose andate perdute. Puoi tenare!» disse Mark scherzosamente mentre Jesse esplodeva in una fragorosa risata. Ma non ero dell’umore giusto per ridere.
Non ero arrabbiata né triste. Anche perché non avrei avuto motivo di esserlo.
Tuttavia sentivo come un chiodo sul petto che mi puntava con forza.
Decisi di ignorarlo e di proseguire nella mia ricerca al block notes e alla penna. Appena vidi Terry corsi da lui e gli chiesi se poteva procurarmi il materiale che mi serviva.
«Basta cercare. Se qua dentro tutto fosse ordinato le cose si troverebbero in men che non si dica!»  
Me ne andai con un certo risentimento, non avevo voglia di discutere.
Presi a rovistare per terra quando scorsi una penna blu. Per il block notes impiegai più tempo, ma lo trovai accanto alla porta del bagno.
Mi assicurai che la penna funzionasse e mi stravaccai sul letto.
Impugnai la penna decisa a scrivere fiumi di parole. Ma di tutta quell’acqua che mi sentivo di sprigionare, non ne arrivò nemmeno una goccia. Fissai imperturbabile il foglio bianco, mentre le lancette si muovevano e il tempo scorreva. Avevo l’impulso di scrivere, volevo scrivere. Ma non mi usciva nulla.

Che odio.
Dopo mezz’ora abbassai il block notes e presi a guardare il tetto del tour-bus. Era verde, con delle stelline gialle ocra.
Che schifo.
Poi mi attorcigliai le coperte, fino a coprirmi completamente, cercando di estraniarmi e di entrare in un mondo tutto mio.
Che puzza.
Da quant’è che le coperte non venivano più cambiate? Due settimane? Tre?
Potrei scrivere di questo, pensai. Di come non mi va bene niente di questo fottutissimo mondo e di come un chiodo invisibile mi sta perforando il petto senza alcun motivo!
Mi buttai giù dal letto e mi diressi nel cucinotto.
Presi una mela vicino al lavandino e l’addentai, non mi interessava se non era lavata. Non è l’unica cosa sporca qui dentro. Una in più o una in meno non cambia niente. Non mi presi nemmeno la briga di sbucciarla, tanto la mia pigrizia stava avendo la meglio su di me.
Appena buttai via ciò che restava di una mela rossa come i capelli di Jessica Rabbit, percepii qualcosa di strano.
Una macchia si diffuse dentro di me, impregnando torace, fegato, stomaco, milza, tutto quanto. Non era più un chiodo. Ma una sostanza, una sorta di catrame che aveva preso in una morsa il mio bacino e sembrava non avere intenzione di dissolversi.
La testa cominciò a vorticare e un senso di nausea mi salì fino alle narici. Presi una bottiglia d’acqua e mi attaccai al becco, noncurante delle buone maniere e me ne scolai metà. Più bevevo e più ero assetata. Non mi era mai capitata una cosa del genere.
Lasciai il cucinotto e arrancai fino al mio letto, mentre la mela mi ballonzolava nello stomaco. Mi distesi completamente e mi infilai le cuffie dell’MP3 nelle orecchie. Appena la musica partì, sollevai i piedi e cominciai a volare mentre lasciavo il tour-bus, l’America e questo pianeta.
Non ero più Avril Lavigne. Non vivevo più negli Usa. Ero distaccata da tutto e da tutti, in un mondo impenetrabile, dove solo io conoscevo la chiave e dove io ero il capo indiscusso e onnisciente..
Poi il sole si oscurò e un uomo di mezza età con un cipiglio pronunciato si materializzò davanti a me. Abbozzai un’ espressione di stupore, riposi i piedi per terra e accantonai le ali e la mia vena dittatoria. Tolsi le cuffie e mi misi a sedere sul letto. Era incredibile, la nausea e il mal di testa se ne erano andati.
«Avril, ti devo parlare» Terry aveva abbandonato per un secondo quell’aria burbera e si fece più…. Umano.
Scacciò Mark e Jesse che tentavano di origliare la conversazione, pregando loro di lasciarci soli.
Di solito Terry esponeva le prossime mosse a tutta la band e non solo a me. Magari a loro lo avrebbe rivelato più tardi. O magari non si trattava di musica.
E infatti indovinai.
«Ho ricevuto una chiamata» proferì in tono serio.
«Wow! E chi è Britney? Si è arrabbiata perché la ragazza finta punk ha più successo delle sue mise succinte e volgari?»
«No Avril.. De.»
«O magari Justin Timberlake? O Christina Aguilera o Anastacia?»
Sebbene leggessi sul volo di Terry l’esasperazione, non potei farei a meno di continuare con la mia lista dei cantanti più In del momento.
Mi sarebbe piaciuta una collaborazione. Con qualsiasi artista.
«Lasciami parlare!»tuonò, così mi tappai la bocca e finsi interesse per ciò che avrebbe dovuto dirmi.
Intanto la mia mente vagava altrove. Magari era Deryck.. Voleva un appuntamento con me..
«Genitori.» Fu quella parola che mi risvegliò e mi portò alla realtà. Che c’entravano i miei?
«Eh, non ho capito.»
Terry mi guardò torbida e sebbene avesse intuito che ero stata distratta tutto il tempo disse: «Hanno chiamato i tuoi genitori.»

Ah, preferivo Deryck.
Abbozzai un’espressione disinteressata. Avranno chiamato per farmi gli auguri per il concerto, no?
Poi vidi Terry incupirsi e abbassare gli occhi. La voce gli suonò in un modo così dolce e dispiaciuto, che mai più l’ho sentita dacché lo conosco.
«Mi dispiace tanto, Av»
Inarcai le sopracciglia e sgranai gli occhi.
Il catrame dentro il mio petto era ritornato più forte che mai, minacciando di aggredire gli arti, mentre il sapore di vomito riaffiorò alla bocca, più intenso e disgustoso di prima.
Poi senza altri giri di parole, la frase arrivò secca e tagliante, come una frustata.
«Tuo nonno è deceduto ieri notte. Credimi, mi dispiace tanto.»
 

**

 
Mi sentii come se un grandissimo tubo avesse prosciugato tutto l’ossigeno del mondo. Come se una tarlo mi stesse divorando lentamente, togliendomi tutte le forze fisiche e la lucidità mentale. Mi sentii come se la felicità fosse stata asportata via da me e mi si fossero iniettate insicurezza, tristezza e angoscia.
Evitai lo sguardo di Terry. Prima abbassai il capo, scrutai le mie converse nere un po’ strappate ai lati, poi girai la testa a destra verso il finestrino e la luce del sole mi sembrò più fioca rispetto a prima.
Tentai di dire qualcosa, ma il catrame era giunto fino alla gola, impedendomi di proferire parola, mentre un busto in gesso invisibile stringeva in una morsa il mio petto. Poi la testa vorticò come non mai, il sapore di vomito si fece più intenso e la mela prese a rimbalzare come una palla da basket dentro il mio stomaco.
Non sapevo che cosa dire. Non sapevo che cosa fare. Tutto ciò che volevo era sotterrarmi sotto un mare di coperte, da sola, rinchiusa nel mio piccolo mondo dove la paura, la tristezza e la morte non esistevano senza che qualcuno cercasse di consolarmi. Anzi, più che farmi sentire meglio, mi avrebbe fatto innervosire ancora di più.
«Condoglianze»

Ancora sei qui? Terry vattene, cazzo. Ho bisogno del mio spazio e di pensare a ciò che è successo. Non sapevo bene cosa provavo, era un misto tra dolore lancinante e una rabbia assurda.
Fui in grado solo di sbiascicare un «Grazie» e poi me ne andai a testa bassa mentre le lacrime cominciarono a rigare il mio viso.
Attraversai il corridoio, aprii la porta dove Jesse, Mark ed Evan ridevano e scherzavano. Odiai quella visione. Loro possono essere felici, mentre io no? Loro possono avere ancora i nonni in vita, mentre io no? Dio, perché?
Appena entrai l’atmosfera si fece più pesante. I tre si accorsero immediatamente del mio malumore e quando Evan si avvicinò non poté non notare le lacrime. Mi prese il viso tra le mani, cercando di instaurare un contatto visivo con me.
«Av, tutto bene?» Mi sussurrò dolcemente.
«Vattene!» Gli risposi sgarbatamente e con uno scatto mi liberai dalla sua presa e corsi in bagno, chiudendomi a chiave dentro.
Non avevo voglia di stare tra la gente, di sorbirmi la loro finta compassione, il loro fino rammarico e dispiacere. Volevo solamente sfogarmi, piangere quante lacrime avevo da piangere e lasciarmi tutto dietro alle spalle.
Mi accovacciai in un angolino, accanto allo sciacquone, aspettando che tutte le lacrime finissero. Ma fui interrotta da un rumore sordo alla porta.
Qualcuno aveva appena bussato.
Era Terry.
«Av, si va in scena.»
A quelle parole mi sentii raggelare il sangue. Non potevo salire su un palco in quello stato. Non sarei riuscita a dare carica al pubblico, dato che io stessa non avevo forze nel corpo e nell’anima.

Rimandiamo il concerto, ti prego!
Ma non potevo deludere tutti i miei fan che si erano sacrificati per me arrivando fino a qui, spendendo tanti soldi e soprattutto sapevo che loro aspettavano questo evento da tanto tempo. No, non volevo essere io la causa della loro infelicità. Non me lo sarei mai perdonata.
«Arrivo» dissi debolmente.
Mi guardai nello specchio e vidi una ragazza bionda scapecchiata con gli occhi gonfi di lacrime e rossi.

Puoi farcela! Vai, il nonno è qui con te. Lui non vorrebbe che tu fossi così triste.
Mi asciugai le lacrime e mi ritoccai un attimo il trucco.
Aprii la porta e Terry McBride era lì, di fronte a me.
«Ce la fai?»
«Certo.» 

**

 
Mi trovavo dietro le quinte e sentivo una mare di fan urlanti e scalpitanti che aspettavano solo me. Chissà quanta strada avevano percorso per vedermi. I soldi che avevano speso, le persone che avevano disturbato..
E io stavo per mandare all’aria ogni cosa.

«Mi dispiace ragazzi, il concerto è stato annullato!»
Quanti visi tristi, quante speranze illuse, quanto tempo perso..
Certo non stavo bene. Il catrame ancora c’era e pure il busto invisibile.

Non so bene come farò a cantare con questo groppo in gola, pensai.
Tuttavia quando le luci si accesero e mi ritrovai in mezzo al palco, il calore emanato dalle centinaia di ragazzi e ragazze venuti qui solo per me, cominciò a dissolvere quella sostanza nerastra, lasciandomi più libera.
Per quel giorno decisi di applicare una modifica alla scaletta.
Avrei iniziato con Tomorrow.
Quel brano era essenziale per me. Il testo mi rispecchiava in pieno e soprattutto andava a nozze con la mia situazione.

And I, I don’t know how to feel, tomorrow.
Imbracciai la chitarra e aggiustai il microfono.
Poi le parole mi uscirono senza che ci avessi meditato su:
«Voglio soltanto dire, che il concerto oggi è dedicato a mio nonno»

Ti prego non piangere, ti prego, ti prego, tiene a bada le lacrime!
«Che è morto proprio oggi..»
Ma non ci riuscii. In fin dei conti, non avevo esaurito tutte le lacrime dato che Terry mi aveva interrotto poco prima del concerto, quando ero rinchiusa nel bagno.
Cominciai a suonare, ma la mia voce non era fluida come le altre volte. Il groppo in gola era appena ritornato, facendomi cantare a singhiozzi.
C’erano state esibizioni migliori, certo. Eclissai sugli acuti, le lacrime non se ne andavano mai e quando me le asciugavo con la mano erano sempre pronte lì per riaffiorare. Tuttavia fu un’esibizione epica, tanto che a distanza di 9 anni  i fan se la ricordano perfettamente e per molti è anche la loro preferita.
Dicono che si è vista la mia parte umana, la mia sensibilità e sebbene al momento non riuscissi a pensare a nient’altro se non a mio nonno, al suo viso sorridente e di come mi aveva sempre supportato in qualsiasi cosa facessi, i fan sostengono che sia stata una performance davvero coinvolgente e toccante. Le lacrime soprattutto mi hanno aiutato per mostrare e chiarire tutti i dubbi a coloro che credevano che fossi una bambola nelle mani dei discografici.

Mai è stato così e mai lo sarà. 

**
 

Finito il concerto mi buttai sul letto e sprofondai sotto ben tre coperte.
Mi rannicchiai in posizione fetale, ma questa volta allontanai da me le cuffie e presi in mano il block- notes e la penna. Ora sapevo esattamente cosa scrivere e su chi scrivere. La mia mano prese a danzare sulla carta bianca mentre la bick azzurra stampava parole chiare e concise. Buttai giù il testo in 10 minuti. Lo revisionai più volte, apportando piccole e innocue modifiche, successivamente, ma il fulcro, il disegno iniziale che si era creato nella mia mente e che la mia mano aveva messo alla luce, era rimasto intaccato.
Ricordo che mentre la penna procedeva imperterrita, le lacrime affioravano di tanto in tanto e cadevano sul foglio bianco lasciando dei piccoli aloni grigiastri.
Ricordo che non riuscivo a staccare gli occhi dal block- notes e che la mia testa era una fucina di idee.
Ricordo di aver appuntato nell’angolino in basso a destra gli strumenti musicali che volevo. Ricordo che quella melodia l’avevo già in testa mentre buttavo giù il testo.
«In questa canzone, voglio il pianoforte»
Credevo che si addicesse questo strumento più degli altri, al sound che volevo dare alla mia nuova creazione.

Genere? Piano-rock assolutamente. Non voglio niente di allegro, ma qualcosa che faccia venire la pelle d’oca ai miei fan, che faccia capire loro il dolore della perdita di una persona cara.
Poi arrivò il momento di apporre un titolo alla canzone. Senza pensarci troppo mi avvicinai al foglio e in alto a destra scrissi:

Slipped Away.

 

 

Angolo Autrice: Un grazie di cuore e un forte abbraccio (virtuale LOL) per aver letto tutta la mia storia (do per scontato che se leggi questa nota tu abbia letto tutto il racconto). Spero che tu recensisca, ma se sei proprio pigro/a mi accontento anche di un mi piace J, certo se non ti è piaciuta la mia one-shot allora invece che snobbarmi puoi commentare dicendomi che faccio schifo come scrittrice e che ho delle idee insipide.  Comunque ci ho messo di più a buttare giù queste 6 righe che l’intera storia xD
Follow me on Twitter: @GiuUnderground

 

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Avril Lavigne / Vai alla pagina dell'autore: GiuUnderground