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Autore: Marghe    31/05/2004    0 recensioni
[ "Credetti veramente in quello che mi disse. Credetti davvero che Dio mi avesse punita. E allora io… io abbandonai Dio. E vendetti la mia anima..." ]
Genere: Avventura, Dark, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Chapter 13

Chapter 13

Diavoli e Pifferi

 

 

 

Jack cercò di ostentare impassibilità mentre osservava le acque infernali della Gola del Drago divenire placide e favorevoli alla navigazione, come serpenti di mare incantati dalle note cristalline del flauto d’argento di Rowena. La ciurma non si sprecò a tenere a bada le vele. Non ci fu bisogno di stringere corde, tenere il timone, alleggerire il carico: sembrava che il mare obbedisse ciecamente aglio ordini del Capitano della Coleridge. Come valeva per il resto della ciurma, per Jack fu impossibile rendersi imperturbabile; non aveva mai assistito ad un incantesimo di tale potenza.

- Stregoneria! - esclamò Gibbs in piena meraviglia. Rowena, appollaiata vicino alla polena, finse di ignorarlo.

- Chi… chi ha creato quello strumento? Com’è possibile che il mare gli ubbidisca? - fece eco la voce meravigliata di Anamaria, quasi un sospiro.

Rowena cessò di suonare soltanto quando furono molto lontani dalla Gola del Drago, ormai in viaggio nel vento favorevole, diretti a Tortuga, che avrebbero raggiunto in meno di due giorni.

- E’ il simbolo di un patto, - rispose distrattamente, guardando il cielo. La ciurma osservò meravigliata l’enorme ombre di un albatro che prendeva a volteggiare in larghi cerchi nel cielo sovrastante la Perla Nera. Il simbolo della mia esistenza, pensò. A differenza di quel che Sonia diceva.

Lei esisteva.

Non dipendeva da nessuno. Era lei la creatura primaria, non quella mocciosa!

- E con chi avreste formulato questo patto, madame? - disse sarcasticamente Jack, avvicinandosele. Rowena scrollò le spalle.

- Con un amico… - rispose con voce sognante. Fissava il cielo. Le nuvole che si rincorrevano. Il fluttuare di un candido albatro, dominatore del vento con le sue immense ali venate di piume nerastre. - Sì… Proprio un vecchio amico. -

Si voltò verso Jack, guardandolo intensamente. Jack fissò la curva delle sue labbra rosee mentre esse si stiravano in un sorriso amaro.

 

 

*

 

 

I calcoli si erano rivelati esatti e la Perla Nera era giunta a Tortuga senza intoppi e senza ritardi rispetto alle previsioni di Sonia. Adesso Jack aveva qualcosa da raccontare, ebbro di rum alla locanda, e la ciurma poteva vantarsi di aver superato la Gola del Drago e di aver recuperato il suo tesoro dalle stive della Coleridge. O almeno, questo era quello che avrebbero narrato a coloro che si fossero dimostrati disposti a crederci.

Rowena aveva preso una stanza alla locanda e da lì non si muoveva mai se non a notte inoltrata, fin quando il cielo non s’avvicinava al risorgere dell’alba. Lontano dalle luci. Lontano da tutti quegli sguardi, che penetravano la sua anima fino a polverizzarle le ossa.

Ma forse avrebbe fatto meglio ad uscire altre volte, ogni tanto: se non altro per rendersi conto che Sonia Livingstone si aggirava per Tortuga esattamente come si aggirava lei.

 

Sonia sapeva della presenza di Rowena. L’aveva sentita. E, come sempre succedeva, aveva sentito con la stessa intensità dei propositi celati dietro al patto che aveva stretto con Jack Sparrow una settimana prima. La Perla Nera era quasi pronta per tornare in mare, e quindi per dirigersi verso la Coleridge: erano necessari al massimo altri cinque giorni.

Prima di allora, Sonia doveva assolutamente convincere Jack a spezzare il patto che aveva suggellato, in un modo o nell’altro.

Come aveva previsto, per pagare il debito con l’oste era stata assunta a tempo indeterminato come cameriera, il che era sì meno schifoso ma decisamente più rischioso che lavare i piatti. Se non altro, Sonia aveva la possibilità di individuare facilmente Jack Sparrow - presenza fissa da quelle parti - e aspettare il momento propizio per parlargli.

Finalmente il momento venne. Non era ancora completamente brillo e se ne stava da solo al tavolo. Gli altri pirati della locanda erano troppo impegnati in una rissa collettiva per rendersi conto di movimenti sospetti.

- Devo parlarti! - disse Sonia, tutto d’un fiato, dopo essersi fatta alle spalle di Jack. Quest’ultimo sobbalzò e quasi cadde dalla sedia. Era mezzo addormentato. Quando si volse gli fu impossibile non riconoscere quel viso da adolescente, quelle labbra rosee, quegli occhi grigi.

- Che ci fai qui vestita da cameriera, madame? - disse nel suo solito tono sarcastico, per prendere in giro l’altezzosità di Rowena. Ovviamente non immaginava che la donna della quale si stava facendo beffe si trovava molto lontano da lì. Sonia non intuì il malinteso, ma tirò ugualmente via il Capitano della Perla Nera, che annaspò e incespicò fin quando non furono sul retro della locanda, un luogo riservato ai dipendenti, dove per tanto non andava mai nessuno, visto che di dipendenti ce n’erano veramente pochi.

Dopo qualche minuto Jack sembrò rinsavire. Scosse la testa e si girò lentamente verso Sonia, con un movimento fluido e ondeggiante. Sembrò rendersi conto che era praticamente impossibile che quella dinanzi a lui fosse Rowena. Aveva gestualità e modi di fare del tutto differenti.

- Tu sei… -

- Sì, mi avete buttata in mare due settimane fa, - rispose Sonia con un tocco di acidità nella voce. Ma non era da lei portare rancore.

- Oh… - fece Jack, stupito che si fosse salvata, - Vuoi schiaffeggiarmi, bastonarmi o qualcosa di questo genere? -

- Adesso l’importante è che tu lasci a terra Rowena, - rispose di scatto Sonia, senza por tempo in mezzo facendo troppe introduzioni, - Non deve arrivare alla Coleridge! Spezza il patto, fai qualcosa! Se tornasse Capitano sarebbe la fine! -

Jack, stupito da quell’improvvisa veemenza, alzò le mani come a dirle silenziosamente di calmarsi.

Si guardarono per un po’. Jack non poteva fare a meno di notare il bagliore argenteo degli occhi grigiastri, il medesimo barlume, la stessa scaglia di luna: l’aveva visto negli occhi di Rowena, e l’aveva visto troppe volte per non ricordarsene.

- Non posso rompere il patto, - rispose tranquillamente Jack, - E comunque perché dovrei? - Sonia sospirò, tenendo a bada la propria impazienza.

- Non posso spiegartelo, - disse Sonia. Le sue braccia divennero flosce, ciondolarono sui fianchi magri. Sembrava amareggiata, stremata, al cospetto della storia incredibile che avrebbe dovuto raccontare a Jack, - In ogni caso non mi crederesti mai. -

- Parli di altre storie di spettri e mostri terrificanti? - disse Jack protendendo il viso in avanti per cogliere l’espressione ora indecifrabile della ragazza che aveva dinanzi.

- No. - replicò Sonia. - Sto parlando di Satana. -

 

Jack vacillò, ma non lo dette a vedere. Tuttavia la sua espressione era un viso aperto. Capitava spesso, specie a Tortuga, che si parlasse del Diavolo così, tanto per fare un paragone esagerato o per metter paura alla gente. Il Diavolo, Satana, lo spauracchio e l’emblema delle peggiori caratteristiche che un umano potesse avere. Ma Sonia non l’aveva detto senz’altro con l’intenzione di utilizzarlo come icona: Jack aveva udito il suo tono di voce. Lo stesso che Rowena aveva usato giorni prima, seduta vicino alla polena della sua nave. La stessa amarezza e la stessa vaga disperazione. Non poteva esserci niente di poco serio in quanto Sonia stava dicendo, a meno che non si trattasse di uno scherzo ben costruito. Ma Jack aveva bisogno di una sola occhiata per rendersi conto che Sonia non sapeva mentire né tanto meno preparare un bello scherzo perfido.

Ora Sonia stava ansando. Pareva che ogni sua parola le stesse recando un dolore psicologico ad effetto ritardato.

- Spiegati, dunque, - le disse, cercando di dare alla sua voce un’intonazione affabile.

Sonia sospirò; Jack aveva intenzione di crederle?

Sarebbe stata una cosa insolita. Nessuno avrebbe mai creduto ad una storia come quella. Ma dopotutto, quello era il capitano della Perla Nera: forse c’era una speranza.

- Chi sei tu? - chiese Jack. Quella per Sonia fu la conferma che Jack voleva veramente ascoltare e prestare attenzione alla sua storia.

- Io sono nessuno, - rispose cupamente Sonia, - Sono nessuno come nessuno fu mio padre. Sono nata nella totale mancanza di identità e di importanza. -

- Sei nata prigioniera di una nave? -

- Sì. - rispose Sonia, - Mio padre fu catturato mentre viaggiava dall’Inghilterra alla Spagna come marinaio su una nave militare. Erano corsari Francesi. A loro volta furono assaliti dai pirati sull’Atlantico. Mio padre fu costretto a fare il mozzo. Non so chi fosse mia madre, era un caso, sicuramente, uno sbaglio. Nacqui io e mia madre morì una settimana dopo della stessa malattia che prese mio padre. Lentamente anche lui divenne pazzo. -

- Nessuno tentò di curarlo, immagino… -

- Nessuno. -

Jack si rese conto che la voce di Sonia si stava incrinando. Sembrava che stesse per piangere. Forse non riusciva ad esprimere a parole la fase successiva del suo racconto.

- C’entra qualcosa la Coleridge con tutto questo? - chiese Jack per facilitarle l’impresa e, soprattutto, per confermare i suoi sospetti.

- Aggredirono la nave dove ci trovavamo. Mio padre morì quella notte. -

- La malattia… -

- No… non… non era affatto la sua malattia. -

La testa di Sonia si rovesciò in basso e i ciuffi corti di capelli di quel biondo fuligginoso s’incresparono come onde marine. Aveva iniziato a piangere. Ma doveva parlare: in qualche modo avrebbe dovuto fare, comunque.

- M… me… me lo uccisero davanti… - soffiò Sonia, col respiro troncato dai singhiozzi mal repressi - Lo amputarono… gli tolsero la lingua… gli tolsero le mani… e mi obbligarono a guardare… sempre… Allora io dissi… dissi che lo uccidessero, piuttosto, che avessero pietà… è che non volevo vederlo soffrire così, perché lui era pazzo, e non poteva dire niente, non si muoveva più… -

Jack ascoltava disgustato. Sapeva che torturare era un’abitudine molto in voga fra i pirati, ma in qualche modo aveva sempre ignorato la questione. Non aveva mai udito di quell’abitudine vista dagli occhi di chi doveva subirla.

- Non volevo farlo… non volevo condannarlo… ma non avevo scelta, capisci? Che altro potevo fare? Stavo male, stavo per svenire… e mio padre mi chiamava, e mi guardava con gli occhi bianchi… - prese fiato, - Allora mi dissero che… e-ero una figlia degenere… Lo tranciarono in due. Lasciarono che sanguinasse addosso a me. Il busto mi cadde addosso. E credo che… non svenni, m… ma avrei voluto farlo. Restai sveglia… Mi presero a frustate… dissero che Dio doveva punirmi per la mia disumanità… -

Jack inclinò leggermente la schiena e si rese conto che, dietro la scollatura posteriore del vestito da cameriera, trasparivano i segni delle frustate probabilmente ricevute nel corso degli anni: la più evidente era un profondo solco verticale scavato di poco alla sinistra della colonna vertebrale, che dalle spalle probabilmente raggiungeva la parte bassa della schiena. Jack non si stupì che Sonia non potesse più vedere una sola goccia di sangue senza svenire. Doveva aver sviluppato una sorta di fobia, un’ossessione costante. Ma anche Rowena aveva la stessa paura…

- Che altro avresti potuto fare per quel poveraccio? - disse Jack cercando di calmarla, se non altro perché parlasse in tono di voce più basso. Non era esattamente un’ottima cosa che tutti sentissero quei discorsi, soprattutto l’oste, se avesse beccato Sonia sul retro quando avrebbe dovuto lavorare per pagare il suo debito.

Sonia si asciugò le lacrime e cercò di calmarsi, comprendendo il suo timore.

- E che cosa c’entrano Satana e la donna con la maschera con questa storia? - chiese implacabile Jack, quando fu sicuro che Sonia sarebbe riuscita a parlare senza piangere.

- Io non potevo vivere senza mio padre, - rispose Sonia. La voce era così bassa che Jack dovette avvicinarsi per distinguere le parole, - Era l’unico… l’unico che mi avesse mai amata, l’unico sul quale avessi sempre potuto contare. Credetti veramente in quello che mi disse il Capitano della Coleridge. Credetti davvero che Dio mi avesse punita. E allora io… io abbandonai Dio. - si fermò. Non era sicura che fosse il caso di andare avanti, eppure ormai non era capace di interrompersi. Era la prima volta che parlava a qualcuno della sua storia. - So che è disgustoso, ma… io mi sentivo veramente traditrice. Priva di fede. E allora… vendetti la mia anima… al Diavolo. -

Jack indietreggiò di un passo. Nel credere o non credere in Dio non aveva mai posto una grande importanza. Ma non aveva mai creduto che una persona potesse vendersi a Satana.

- Feci un patto. Ero disperata. Non sapevo che cosa fare, e allora diedi retta all’istinto, alla tentazione… era sbagliato. Ma che potevo fare? -

- E qual era questo patto? - incalzò Jack.

- Avrei riavuto mio padre. Vivo, sano… ma ad una condizione. - Sonia deglutì e strinse i pugni, vergognandosi di sé stessa e di ciò che aveva fatto. - Satana voleva il sangue di cento bambini che avessero al massimo la stessa età che avevo io quando mio padre fu torturato e ucciso. Allora lo avrei evocato. Al suono di uno strumento forgiato nell’inferno, capace di plasmare le correnti marine, Satana sarebbe emerso dagli abissi e avrebbe raccolto i prodotti del sacrificio. -

Jack inspirò profondamente. Cominciava a capire molte cose, nonostante i punti oscuri fossero rimasti molteplici. Sapeva che la storia non era ancora terminata. Tuttavia, d’un tratto, gli era passata la voglia di ascoltarne il resto.

Sonia però parlava. E avrebbe continuato a parlare fino alla fine.

- Avevo regalato la mia anima al Diavolo e il Diavolo me la restituì priva di ogni lato umano… un demone dall’aspetto umano. La mia copia, il mio spirito gemello. L’esatto riflesso di me, ma con i miei vizi nascosti e con la mia malvagità altrettanto nascosta, emerse in superficie. Satana creò Rowena. Come aveva creato il flauto. -

Sonia stava ricominciando a piangere, ma tentò di evitarlo. Doveva farcela. Mancava poco. E sembrava che Jack stesse credendo alle sue parole… forse poteva ancora evitare che si verificasse il peggio.

- Perché… perché creò Rowena? Che bisogno c’era? -

- Vuoi domandarglielo? - sul volto di Sonia si delineò un sorriso amaro. - Satana sapeva che da sola non sarei mai riuscita a completare la missione. Sia Rowena sia il flauto sarebbero stati strumenti per portarla a compimento. Rowena restò dentro di me… poi un giorno… la Marina Britannica assalì la Coleridge. Mi trovarono… e… e… fui presa da un uomo di nome Bartholomew, che mi portò a Port Royal… non ho più rivisto Rowena fino a qualche settimana fa. Ho cominciato a dipingere… cercando di respingere il demone che avevo creato e che parlava dentro di me… cercando di imprigionarlo nella tela. Ho bruciato le navi del Commodoro quando ho saputo che voleva distruggere la Coleridge. Ho sempre favorito Rowena. Ho sempre fatto in modo che non le accadesse niente… rivolevo davvero mio padre! Non consideravo le vite che in quel modo stavo distruggendo… e mi odiavo… sempre di più… fin quando non ho deciso di smetterla. Sono salita sulla Coleridge… speravo di salvare quei bambini, di smascherare Rowena… non sapevo come avrei fatto… -

… E dopo era successo quel che anche Jack aveva visto coi propri occhi. Ora non aveva difficoltà a collegare il racconto alla realtà, nonostante il racconto di Sonia fosse piuttosto nebuloso. Che cosa poteva aspettarsi da una che aveva venduto la propria anima al Diavolo dopo aver visto il padre tagliato in due di fronte ai propri occhi?

Rowena era uscita dal corpo di Sonia quando aveva compreso che quest’ultima non sarebbe mai riuscita ad ottenere una volontà tanto malvagia da dissanguare cento bambini di otto anni per regalarli al demone sotterraneo.

- Perché Rowena divenne capitano della Coleridge? - domandò, aggrottando la fronte.

Sonia chiuse gli occhi, e li riaprì molto tempo dopo, sospirando intensamente.

- Si mise una maschera… una maschera italiana che trovò fra i tesori della Coleridge. Il giorno dopo che fui salvata, e la Coleridge si era ritirata dall’arrembaggio… sparò al Capitano… lo gettò subito in mare… per non vederne il sangue… allora divenne Capitano. Non potevano accusarla di ammutinamento. Tutti sapevano che ero io… o meglio… credevano che fossi io perché avevamo lo stesso aspetto… Ma ufficialmente con quella maschera avrebbe potuto essere chiunque…

- Parlò alla ciurma del patto col Diavolo. Si dette il nome di Rowena… e nessuno si ammutinò per due anni perché avevano tutti paura della vendetta di Satana… -

- … fino a due settimane fa, - concluse Jack con tono ironico e amareggiato insieme.

- La ciurma era stanca di lei… - spiegò Sonia, - Aveva sottratto il ruolo che tutti sapevano sarebbe spettato ad un certo Gabriel… e li ridicolizzava, e non voleva mai vedere spargimenti di sangue… inibiva tutti i loro istinti e negava loro il minimo desiderio. Tutti la temevano e insieme la disprezzavano… e quando sono giunti al culmine, l’hanno abbandonata coi simboli del suo legame con Satana, lasciando che fosse il mare innocente ad ucciderla al loro posto. -

Se fosse stato un libro, ci sarebbe stata la parola “Fine”. Sonia aveva il tono di voce di chi non avrebbe più detto altro. Adesso non riusciva veramente più a parlare, nonostante lo sfogo le fosse inequivocabilmente servito. Fissò il mare davanti a sé, oltre la staccionata. Osservò per molti minuti interminabili il volo dei gabbiani, le sagome nere delle navi dondolanti sulla superficie scintillante dell’acqua nera, che rifletteva il cielo notturno. In alto, nella volta celeste, spiccava come uno straccio di seta più chiara, tempestata di stelle luminose e, poco distante, la luna, uno spicchio minuscolo che ogni tanto usciva dalle nuvole, illuminando di una luce spettrale le strade umide del molo.

- C’è solo una cosa che non è chiara… - Sonia sentì la voce di Jack e avrebbe preferito potersi tappare le orecchie. Non le andava di spiegare ancora qualcos’altro. Si voltò il Capitano, annuendo, come esortandolo a parlare. - Come puoi sapere cosa è successo a… Rowena, - gli sembrava strano chiamarla per nome, specialmente adesso che sapeva quel che era in realtà, - … mentre eri a Port Royal? -

Sonia chiuse di nuovo gli occhi. Sembrava stanca.

- Rowena è il mio spirito, - rispose Sonia con occhi sognanti, - E anche se lei non lo sa, io so sempre quello che succede al suo corpo, quello che sente… Se io dovessi morire, anche lei morirebbe. Ma non viceversa. Non finché il patto non viene spezzato. - Jack rimase pensieroso: a quest’ultima parte della storia era ancora più difficile credere. Sonia decise che non c’era nient’altro da spiegare, che le avesse creduto oppure no. Avrebbe voluto poter avere delle prove consistenti.

Inaspettatamente, Jack le si parò davanti, le afferrò il braccio sinistro e tirò su la manica lunga bianca e blu scura, quasi nera: almeno in parte, Sonia non aveva mentito. Poco sopra il polso, inciso rudemente sulla pelle, c’era un tatuaggio raffigurante un mostro marino di forma serpentina del quale si vedevano solo tre spire che affioravano simmetricamente dalle acque marine, raffigurate da due linee curve, anch’esse simmetriche. Al centro, sopra la seconda spira del serpente marino, era incisa una bella “C” in caratteri corsivi. Il vecchio simbolo della Coleridge. A confermare la storia raccontata da Sonia, il nuovo simbolo, quello deciso da Rowena, mancava. C’era poi la tipica “P”, incisa con la lama, che testimoniava la sua appartenenza a una nave pirata.

Sonia lasciò che Jack esaminasse quei simboli: se non altro sarebbero serviti come prova, e magari l’avrebbero indotto a darle ascolto quando avrebbe udito ciò che ancora Sonia aveva da dire.

- Rowena non deve diventare Capitano della Coleridge, non ora che ha il sangue dei cento bambini che le occorrevano, - disse, col tono un po’ profetico adatto per una conclusione di quel genere, - Se evocherà Satana… -

- … Gli darà il sangue, il paparino tornerà a casa vivo e vegeto e il Diavolo sprofonderà nuovamente nell’inferno, - concluse Jack con tono irriverente, necessario per nascondere lo sgomento che si era impossessato di lui da quando avevano iniziato a fare quei discorsi su demoni, anime vendute, e bambini dissanguati.

- Non credo che sarà così semplice, Jack… - replicò Sonia, - Oh, ok… Capitano Jack Sparrow, - fece in tempo a correggersi, - Rowena non è regolare. Rowena non sarebbe mai dovuta esistere. -

- E quindi? - Da quella domanda Sonia capì: se Jack le aveva creduto, non aveva intenzione di muovere un dito per spezzare il patto ed evitare così di guadagnare una percentuale del tesoro della Coleridge. E se invece non le aveva creduto, com’era ancor più presumibile, si era comportato in modo serio soltanto perché era mezzo ubriaco, e la mattina dopo si sarebbe dimenticato di tutto, e avrebbe condotto Rowena fra le braccia di Satana. Sonia non gli disse a quale prezzo tutto questo si sarebbe verificato.

Jack le sferrò un’amichevole pacca sulla spalla. Sonia sentì più dolore del voluto all’altezza della scapola, come il pungere di una piccola lama, ma non disse niente. Strinse i denti: probabilmente era solo il freddo, anche se come ipotesi era veramente poco attendibile. Restò ancora per qualche minuto ad osservare il Capitano che si allontanava, nella sua forse irreversibile inconsapevolezza di quale fosse la verità, poi, riluttante, tornò a lavoro nella locanda.

 

  
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