Chapter
13
Diavoli e Pifferi
Jack
cercò di ostentare impassibilità mentre osservava le acque infernali della Gola
del Drago divenire placide e favorevoli alla navigazione, come serpenti di mare
incantati dalle note cristalline del flauto d’argento di Rowena. La ciurma non
si sprecò a tenere a bada le vele. Non ci fu bisogno di stringere corde, tenere
il timone, alleggerire il carico: sembrava che il mare obbedisse ciecamente aglio
ordini del Capitano della Coleridge. Come valeva per il resto della ciurma, per
Jack fu impossibile rendersi imperturbabile; non aveva mai assistito ad un
incantesimo di tale potenza.
-
Stregoneria! - esclamò Gibbs in piena meraviglia. Rowena, appollaiata vicino
alla polena, finse di ignorarlo.
- Chi…
chi ha creato quello strumento? Com’è possibile che il mare gli ubbidisca? -
fece eco la voce meravigliata di Anamaria, quasi un
sospiro.
Rowena
cessò di suonare soltanto quando furono molto lontani dalla Gola del Drago,
ormai in viaggio nel vento favorevole, diretti a Tortuga, che avrebbero
raggiunto in meno di due giorni.
- E’ il
simbolo di un patto, - rispose distrattamente, guardando il cielo. La ciurma
osservò meravigliata l’enorme ombre di un albatro che
prendeva a volteggiare in larghi cerchi nel cielo sovrastante la Perla Nera. Il simbolo della mia esistenza, pensò. A differenza di quel che Sonia diceva.
Lei
esisteva.
Non
dipendeva da nessuno. Era lei la creatura primaria, non quella mocciosa!
- E con chi avreste formulato questo patto, madame? - disse
sarcasticamente Jack, avvicinandosele. Rowena scrollò le spalle.
- Con un
amico… - rispose con voce sognante. Fissava il cielo. Le
nuvole che si rincorrevano. Il fluttuare di un candido
albatro, dominatore del vento con le sue immense ali venate di piume nerastre.
- Sì… Proprio un vecchio amico. -
Si voltò
verso Jack, guardandolo intensamente. Jack fissò la curva delle sue labbra
rosee mentre esse si stiravano in un sorriso amaro.
*
I calcoli
si erano rivelati esatti e la Perla Nera era giunta a Tortuga senza intoppi e
senza ritardi rispetto alle previsioni di Sonia. Adesso Jack aveva qualcosa da
raccontare, ebbro di rum alla locanda, e la ciurma poteva vantarsi di aver
superato la Gola del Drago e di aver recuperato il suo tesoro dalle stive della
Coleridge. O almeno, questo era quello che avrebbero
narrato a coloro che si fossero dimostrati disposti a crederci.
Rowena
aveva preso una stanza alla locanda e da lì non si muoveva mai se non a notte
inoltrata, fin quando il cielo non s’avvicinava al risorgere dell’alba. Lontano
dalle luci. Lontano da tutti quegli sguardi, che penetravano
la sua anima fino a polverizzarle le ossa.
Ma
forse avrebbe fatto meglio ad uscire altre volte, ogni tanto: se non altro per
rendersi conto che Sonia Livingstone si aggirava per Tortuga esattamente come
si aggirava lei.
Sonia
sapeva della presenza di Rowena. L’aveva sentita. E,
come sempre succedeva, aveva sentito
con la stessa intensità dei propositi celati dietro al patto che aveva stretto
con Jack Sparrow una settimana prima. La Perla Nera era quasi pronta per
tornare in mare, e quindi per dirigersi verso la Coleridge: erano necessari al massimo altri cinque giorni.
Prima di
allora, Sonia doveva assolutamente convincere Jack a spezzare il patto che
aveva suggellato, in un modo o nell’altro.
Come
aveva previsto, per pagare il debito con l’oste era stata assunta a tempo
indeterminato come cameriera, il che era sì meno schifoso ma decisamente
più rischioso che lavare i piatti. Se non altro, Sonia
aveva la possibilità di individuare facilmente Jack Sparrow - presenza fissa da
quelle parti - e aspettare il momento propizio per parlargli.
Finalmente
il momento venne. Non era ancora completamente brillo e se ne stava da solo al
tavolo. Gli altri pirati della locanda erano troppo impegnati in una rissa
collettiva per rendersi conto di movimenti sospetti.
- Devo
parlarti! - disse Sonia, tutto d’un fiato, dopo
essersi fatta alle spalle di Jack. Quest’ultimo sobbalzò e quasi cadde dalla
sedia. Era mezzo addormentato. Quando si volse gli fu
impossibile non riconoscere quel viso da adolescente, quelle labbra rosee,
quegli occhi grigi.
- Che ci fai qui vestita da cameriera, madame? - disse nel suo
solito tono sarcastico, per prendere in giro l’altezzosità di Rowena.
Ovviamente non immaginava che la donna della quale si stava facendo beffe si
trovava molto lontano da lì. Sonia non intuì il malinteso, ma tirò ugualmente
via il Capitano della Perla Nera, che annaspò e incespicò fin quando non furono
sul retro della locanda, un luogo riservato ai dipendenti, dove per tanto non
andava mai nessuno, visto che di dipendenti ce n’erano
veramente pochi.
Dopo
qualche minuto Jack sembrò rinsavire. Scosse la testa e si girò lentamente
verso Sonia, con un movimento fluido e ondeggiante. Sembrò rendersi conto che
era praticamente impossibile che quella dinanzi a lui
fosse Rowena. Aveva gestualità e modi di fare del tutto
differenti.
- Tu sei…
-
- Sì, mi
avete buttata in mare due settimane fa, - rispose Sonia con un tocco di acidità nella voce. Ma non era
da lei portare rancore.
- Oh… -
fece Jack, stupito che si fosse salvata, - Vuoi schiaffeggiarmi, bastonarmi o
qualcosa di questo genere? -
- Adesso
l’importante è che tu lasci a terra Rowena, - rispose di scatto Sonia, senza
por tempo in mezzo facendo troppe introduzioni, - Non deve arrivare alla
Coleridge! Spezza il patto, fai qualcosa! Se tornasse Capitano sarebbe la fine! -
Jack,
stupito da quell’improvvisa veemenza, alzò le mani come a dirle silenziosamente
di calmarsi.
Si
guardarono per un po’. Jack non poteva fare a meno di notare il bagliore
argenteo degli occhi grigiastri, il medesimo barlume, la stessa scaglia di
luna: l’aveva visto negli occhi di Rowena, e l’aveva visto troppe volte per non
ricordarsene.
- Non
posso rompere il patto, - rispose tranquillamente Jack, - E comunque
perché dovrei? - Sonia sospirò, tenendo a bada la propria impazienza.
- Non
posso spiegartelo, - disse Sonia. Le sue braccia divennero
flosce, ciondolarono sui fianchi magri. Sembrava amareggiata, stremata,
al cospetto della storia incredibile che avrebbe dovuto raccontare a Jack, - In
ogni caso non mi crederesti mai. -
- Parli di altre storie di spettri e mostri terrificanti? - disse
Jack protendendo il viso in avanti per cogliere l’espressione ora indecifrabile
della ragazza che aveva dinanzi.
- No. -
replicò Sonia. - Sto parlando di Satana. -
Jack
vacillò, ma non lo dette a vedere. Tuttavia la sua
espressione era un viso aperto. Capitava spesso, specie a Tortuga, che
si parlasse del Diavolo così, tanto per fare un
paragone esagerato o per metter paura alla gente. Il Diavolo,
Satana, lo spauracchio e l’emblema delle peggiori caratteristiche che un umano
potesse avere. Ma Sonia non l’aveva detto
senz’altro con l’intenzione di utilizzarlo come icona: Jack aveva udito il suo
tono di voce. Lo stesso che Rowena aveva usato giorni prima,
seduta vicino alla polena della sua nave. La stessa amarezza e la stessa
vaga disperazione. Non poteva esserci niente di poco serio in
quanto Sonia stava dicendo, a meno che non si trattasse di uno scherzo
ben costruito. Ma Jack aveva bisogno di una sola
occhiata per rendersi conto che Sonia non sapeva mentire né tanto meno
preparare un bello scherzo perfido.
Ora Sonia
stava ansando. Pareva che ogni sua parola le stesse recando un dolore
psicologico ad effetto ritardato.
-
Spiegati, dunque, - le disse, cercando di dare alla sua voce un’intonazione
affabile.
Sonia
sospirò; Jack aveva intenzione di crederle?
Sarebbe
stata una cosa insolita. Nessuno avrebbe mai creduto ad una storia come quella.
Ma dopotutto, quello era il capitano della Perla Nera:
forse c’era una speranza.
- Chi sei
tu? - chiese Jack. Quella per Sonia fu la conferma che Jack voleva veramente
ascoltare e prestare attenzione alla sua storia.
- Io sono nessuno, - rispose cupamente Sonia, - Sono nessuno come
nessuno fu mio padre. Sono nata nella totale mancanza di identità
e di importanza. -
- Sei
nata prigioniera di una nave? -
- Sì. -
rispose Sonia, - Mio padre fu catturato mentre viaggiava dall’Inghilterra alla
Spagna come marinaio su una nave militare. Erano corsari Francesi. A loro volta
furono assaliti dai pirati sull’Atlantico. Mio padre fu costretto a fare il mozzo.
Non so chi fosse mia madre, era un caso, sicuramente,
uno sbaglio. Nacqui io e mia madre morì una settimana dopo della stessa
malattia che prese mio padre. Lentamente anche lui divenne pazzo. -
- Nessuno
tentò di curarlo, immagino… -
-
Nessuno. -
Jack si
rese conto che la voce di Sonia si stava incrinando. Sembrava che stesse per
piangere. Forse non riusciva ad esprimere a parole la fase successiva del suo
racconto.
- C’entra
qualcosa la Coleridge con tutto questo? - chiese Jack per facilitarle l’impresa
e, soprattutto, per confermare i suoi sospetti.
-
Aggredirono la nave dove ci trovavamo. Mio padre morì quella notte. -
- La
malattia… -
- No…
non… non era affatto la sua malattia. -
La testa
di Sonia si rovesciò in basso e i ciuffi corti di capelli di quel biondo
fuligginoso s’incresparono come onde marine. Aveva iniziato a piangere. Ma
doveva parlare: in qualche modo avrebbe dovuto fare, comunque.
- M… me…
me lo uccisero davanti… - soffiò Sonia, col respiro troncato dai singhiozzi mal
repressi - Lo amputarono… gli tolsero la lingua… gli tolsero le mani… e mi
obbligarono a guardare… sempre… Allora io dissi… dissi
che lo uccidessero, piuttosto, che avessero pietà… è che non volevo vederlo
soffrire così, perché lui era pazzo, e non poteva dire niente, non si muoveva
più… -
Jack
ascoltava disgustato. Sapeva che torturare era un’abitudine molto in voga fra i
pirati, ma in qualche modo aveva sempre ignorato la questione. Non aveva mai
udito di quell’abitudine vista dagli occhi di chi doveva subirla.
- Non
volevo farlo… non volevo condannarlo… ma non avevo scelta, capisci?
Che altro potevo fare? Stavo male, stavo per svenire…
e mio padre mi chiamava, e mi guardava con gli occhi bianchi… - prese fiato, - Allora mi dissero che… e-ero una figlia
degenere… Lo tranciarono in due. Lasciarono che sanguinasse addosso a me. Il
busto mi cadde addosso. E credo che… non svenni, m… ma
avrei voluto farlo. Restai sveglia… Mi presero a frustate… dissero che Dio
doveva punirmi per la mia disumanità… -
Jack
inclinò leggermente la schiena e si rese conto che, dietro la scollatura
posteriore del vestito da cameriera, trasparivano i segni delle frustate
probabilmente ricevute nel corso degli anni: la più evidente era un profondo
solco verticale scavato di poco alla sinistra della colonna vertebrale, che
dalle spalle probabilmente raggiungeva la parte bassa della schiena. Jack non
si stupì che Sonia non potesse più vedere una sola goccia di sangue senza
svenire. Doveva aver sviluppato una sorta di fobia, un’ossessione costante. Ma anche Rowena aveva la stessa paura…
- Che
altro avresti potuto fare per quel poveraccio? - disse
Jack cercando di calmarla, se non altro perché parlasse in tono di voce più
basso. Non era esattamente un’ottima cosa che tutti sentissero
quei discorsi, soprattutto l’oste, se avesse beccato Sonia sul retro quando
avrebbe dovuto lavorare per pagare il suo debito.
Sonia si
asciugò le lacrime e cercò di calmarsi, comprendendo il suo timore.
- E che cosa c’entrano Satana e la donna con la maschera con
questa storia? - chiese implacabile Jack, quando fu sicuro che Sonia sarebbe
riuscita a parlare senza piangere.
- Io non
potevo vivere senza mio padre, - rispose Sonia. La voce era così bassa che Jack
dovette avvicinarsi per distinguere le parole, - Era l’unico… l’unico che mi avesse mai amata, l’unico sul quale avessi sempre potuto
contare. Credetti veramente in quello che mi disse il
Capitano della Coleridge. Credetti davvero che Dio mi avesse punita. E allora io… io abbandonai
Dio. - si fermò. Non era sicura che fosse il caso di andare avanti, eppure
ormai non era capace di interrompersi. Era la prima volta che parlava a
qualcuno della sua storia. - So che è disgustoso, ma…
io mi sentivo veramente traditrice. Priva di fede. E allora… vendetti la mia anima… al Diavolo. -
Jack
indietreggiò di un passo. Nel credere o non credere in Dio non aveva mai posto
una grande importanza. Ma non aveva mai creduto che
una persona potesse vendersi a Satana.
- Feci un
patto. Ero disperata. Non sapevo che cosa fare, e allora diedi retta
all’istinto, alla tentazione… era sbagliato. Ma che
potevo fare? -
- E qual era questo patto? - incalzò Jack.
- Avrei
riavuto mio padre. Vivo, sano… ma ad una condizione. - Sonia deglutì e strinse
i pugni, vergognandosi di sé stessa e di ciò che aveva fatto. - Satana voleva
il sangue di cento bambini che avessero al massimo la
stessa età che avevo io quando mio padre fu torturato e ucciso. Allora lo avrei
evocato. Al suono di uno strumento forgiato nell’inferno, capace di plasmare le
correnti marine, Satana sarebbe emerso dagli abissi e avrebbe raccolto i
prodotti del sacrificio. -
Jack
inspirò profondamente. Cominciava a capire molte cose, nonostante i punti
oscuri fossero rimasti molteplici. Sapeva che la storia non era ancora
terminata. Tuttavia, d’un tratto, gli era passata la voglia
di ascoltarne il resto.
Sonia
però parlava. E avrebbe continuato a parlare fino alla
fine.
- Avevo
regalato la mia anima al Diavolo e il Diavolo me la restituì priva di ogni lato umano… un demone dall’aspetto umano. La mia
copia, il mio spirito gemello. L’esatto riflesso di me, ma
con i miei vizi nascosti e con la mia malvagità altrettanto nascosta, emerse in
superficie. Satana creò Rowena. Come aveva creato il flauto. -
Sonia
stava ricominciando a piangere, ma tentò di evitarlo. Doveva farcela. Mancava
poco. E sembrava che Jack stesse credendo alle sue
parole… forse poteva ancora evitare che si verificasse il peggio.
- Perché… perché creò Rowena? Che
bisogno c’era? -
- Vuoi
domandarglielo? - sul volto di Sonia si delineò un
sorriso amaro. - Satana sapeva che da sola non sarei mai riuscita a completare
la missione. Sia Rowena sia il flauto sarebbero stati
strumenti per portarla a compimento. Rowena restò dentro di
me… poi un giorno… la Marina Britannica assalì la Coleridge. Mi
trovarono… e… e… fui presa da un uomo di nome Bartholomew, che mi portò a Port
Royal… non ho più rivisto Rowena fino a qualche settimana fa. Ho cominciato a
dipingere… cercando di respingere il demone che avevo creato e che parlava
dentro di me… cercando di imprigionarlo nella tela. Ho bruciato le navi del
Commodoro quando ho saputo che voleva distruggere la Coleridge. Ho sempre
favorito Rowena. Ho sempre fatto in modo che non le accadesse niente… rivolevo davvero mio padre! Non consideravo le vite che in
quel modo stavo distruggendo… e mi odiavo… sempre di
più… fin quando non ho deciso di smetterla. Sono salita sulla Coleridge… speravo di salvare quei bambini, di smascherare Rowena… non
sapevo come avrei fatto… -
… E dopo
era successo quel che anche Jack aveva visto coi
propri occhi. Ora non aveva difficoltà a collegare il racconto alla realtà,
nonostante il racconto di Sonia fosse piuttosto nebuloso. Che
cosa poteva aspettarsi da una che aveva venduto la propria anima al Diavolo
dopo aver visto il padre tagliato in due di fronte ai propri occhi?
Rowena
era uscita dal corpo di Sonia quando aveva compreso che quest’ultima non
sarebbe mai riuscita ad ottenere una volontà tanto malvagia da dissanguare cento
bambini di otto anni per regalarli al demone
sotterraneo.
- Perché Rowena divenne capitano della Coleridge? - domandò,
aggrottando la fronte.
Sonia
chiuse gli occhi, e li riaprì molto tempo dopo, sospirando intensamente.
- Si mise
una maschera… una maschera italiana che trovò fra i tesori della Coleridge. Il
giorno dopo che fui salvata, e la Coleridge si era ritirata dall’arrembaggio… sparò al Capitano… lo gettò subito in mare… per non vederne
il sangue… allora divenne Capitano. Non potevano accusarla di
ammutinamento. Tutti sapevano che ero io… o meglio… credevano che fossi
io perché avevamo lo stesso aspetto… Ma ufficialmente con quella maschera avrebbe potuto essere chiunque…
- Parlò
alla ciurma del patto col Diavolo. Si dette il nome di Rowena… e nessuno si
ammutinò per due anni perché avevano tutti paura della
vendetta di Satana… -
- … fino a due settimane fa, - concluse Jack con tono ironico e
amareggiato insieme.
- La
ciurma era stanca di lei… - spiegò Sonia, - Aveva sottratto il ruolo che tutti
sapevano sarebbe spettato ad un certo Gabriel… e li
ridicolizzava, e non voleva mai vedere spargimenti di sangue… inibiva tutti i
loro istinti e negava loro il minimo desiderio. Tutti la temevano e insieme la
disprezzavano… e quando sono giunti al culmine, l’hanno abbandonata coi simboli del suo legame con Satana, lasciando che fosse
il mare innocente ad ucciderla al loro posto. -
Se
fosse stato un libro, ci sarebbe stata la parola “Fine”. Sonia aveva il tono di
voce di chi non avrebbe più detto altro. Adesso non riusciva
veramente più a parlare, nonostante lo sfogo le fosse inequivocabilmente
servito. Fissò il mare davanti a sé, oltre la staccionata. Osservò per
molti minuti interminabili il volo dei gabbiani, le sagome nere delle navi
dondolanti sulla superficie scintillante dell’acqua nera, che rifletteva il
cielo notturno. In alto, nella volta celeste, spiccava come uno straccio di
seta più chiara, tempestata di stelle luminose e, poco distante, la luna, uno
spicchio minuscolo che ogni tanto usciva dalle nuvole, illuminando di una luce
spettrale le strade umide del molo.
- C’è
solo una cosa che non è chiara… - Sonia sentì la voce di Jack e avrebbe
preferito potersi tappare le orecchie. Non le andava di spiegare ancora
qualcos’altro. Si voltò il Capitano, annuendo, come esortandolo
a parlare. - Come puoi sapere cosa è successo a… Rowena, - gli sembrava strano
chiamarla per nome, specialmente adesso che sapeva quel che era in realtà, - …
mentre eri a Port Royal? -
Sonia
chiuse di nuovo gli occhi. Sembrava stanca.
- Rowena
è il mio spirito, - rispose Sonia con occhi sognanti, - E anche se lei non lo
sa, io so sempre quello che succede al suo corpo, quello che sente… Se io
dovessi morire, anche lei morirebbe. Ma non viceversa. Non finché il patto non viene
spezzato. - Jack rimase pensieroso: a quest’ultima parte della storia era
ancora più difficile credere. Sonia decise che non
c’era nient’altro da spiegare, che le avesse creduto oppure no. Avrebbe voluto
poter avere delle prove consistenti.
Inaspettatamente,
Jack le si parò davanti, le afferrò il braccio
sinistro e tirò su la manica lunga bianca e blu scura, quasi nera: almeno in
parte, Sonia non aveva mentito. Poco sopra il polso, inciso rudemente sulla
pelle, c’era un tatuaggio raffigurante un mostro marino di forma serpentina del
quale si vedevano solo tre spire che affioravano simmetricamente dalle acque
marine, raffigurate da due linee curve, anch’esse simmetriche. Al centro, sopra
la seconda spira del serpente marino, era incisa una bella “C” in caratteri
corsivi. Il vecchio simbolo della Coleridge. A confermare la storia raccontata
da Sonia, il nuovo simbolo, quello deciso da Rowena, mancava. C’era poi la
tipica “P”, incisa con la lama, che testimoniava la sua appartenenza a una nave pirata.
Sonia
lasciò che Jack esaminasse quei simboli: se non altro sarebbero
serviti come prova, e magari l’avrebbero indotto a darle ascolto quando avrebbe
udito ciò che ancora Sonia aveva da dire.
- Rowena
non deve diventare Capitano della Coleridge, non ora che ha il sangue dei cento
bambini che le occorrevano, - disse, col tono un po’ profetico adatto per una
conclusione di quel genere, - Se evocherà Satana… -
- … Gli
darà il sangue, il paparino tornerà a casa vivo e vegeto
e il Diavolo sprofonderà nuovamente nell’inferno, - concluse Jack con tono
irriverente, necessario per nascondere lo sgomento che si era impossessato di
lui da quando avevano iniziato a fare quei discorsi su demoni, anime vendute, e
bambini dissanguati.
- Non
credo che sarà così semplice, Jack… - replicò Sonia, - Oh, ok… Capitano Jack Sparrow, - fece in tempo a
correggersi, - Rowena non è regolare. Rowena non sarebbe mai dovuta esistere. -
- E quindi? - Da quella domanda Sonia capì:
se Jack le aveva creduto, non aveva intenzione di muovere un dito per spezzare
il patto ed evitare così di guadagnare una percentuale del tesoro della
Coleridge. E se invece non le aveva creduto, com’era
ancor più presumibile, si era comportato in modo serio soltanto perché era
mezzo ubriaco, e la mattina dopo si sarebbe dimenticato di tutto, e avrebbe
condotto Rowena fra le braccia di Satana. Sonia non gli disse a quale prezzo
tutto questo si sarebbe verificato.
Jack le
sferrò un’amichevole pacca sulla spalla. Sonia sentì più dolore del voluto
all’altezza della scapola, come il pungere di una piccola lama, ma non disse
niente. Strinse i denti: probabilmente era solo il freddo, anche se come
ipotesi era veramente poco attendibile. Restò ancora per qualche minuto ad
osservare il Capitano che si allontanava, nella sua forse irreversibile
inconsapevolezza di quale fosse la verità, poi, riluttante, tornò a lavoro
nella locanda.