Mai
Contestare Sherlock Homes!
«Questa non è casa tua, Sherlock. Un po’ di
contegno».
Il consulente investigativo non badò ai rimproveri di Lestrade, continuando a
sbirciare ogni anfratto del salotto dell’anziana signora Davies, prima scomparsa
e poi ritrovata deceduta la stessa sera inspiegabilmente nella rete fognaria, a
due miglia dalla sua abitazione a Waterloo.
Da una seggiola a capotavola dell’ampio tavolo da pranzo, John Watson si mise a
fissare l’amico nelle sue strane investigazioni. Questo frugava in ogni
cassetto con nonchalance, come se incasinare gli oggetti personali della
signora deceduta fosse d’aiuto per il risolvimento del caso. Tuttavia, non aprì
bocca per sgridarlo, al corrente che sarebbe stato inutile.
«Allora, Mr. Davies», mormorò al novello vedovo mentre questo versava il tea
nelle tazzine. «Ci racconti qualcosa».
Non dirà nulla di diverso di quanto ha
detto agli altri agenti di polizia, John, la domanda è inutile, avrebbe
voluto replicare il consulente investigativo, ma straordinariamente si
trattenne. La sua attenzione gravitò attorno ad una scatolina rosso fuoco,
apribile e dotata di due piccoli schermi.
«Mio figlio, mia nuora e mia nipote
erano venuti qui per pranzare con noi», iniziò a raccontare Davies, interrompendo
le riflessioni di Sherlock. Nella sua voce si leggeva un chiaro rammarico, una
desolazione che tardava a scomparire dal cuore del povero marito. «Angela era
uscita per comprare il giornale, poco prima che i nostri ospiti arrivassero.
Non è più tornata, ecco tutto. Fine della storia».
Sotto alla scatolina rossa Sherlock notò quattro confezioni in plastica, coperte di
scritte e con stupidi disegni sul davanti. Sembravano gli schizzi di un
bambino, con occhi simili a puntini e tratteggi semplici. Holmes non ci avrebbe
prestato molta attenzione se, su ogni scatolina, non fosse risaltata la scritta
“più di centotrenta nuovi enigmi!”.
Enigmi?, si chiese, curioso. Ogni
confezione pareva leggerissima, come se fosse vuota; in effetti, aprendone una,
non ci trovò che un inutile rettangolino di plastica.
Sconfortato, si rivolse al vecchio che sedeva con John e Lestrade. «Che cosa
sarebbe, questo?», chiese alzando l’aggeggio rosso.
Davies parve sorpreso. «Oh, è il Nintendo di Annie, mia nipote. Deve averlo
dimenticato qua l’altro giorno…».
«Una console di videogiochi», aggiunse John, notando il disappunto sul volto
del consulente investigativo. A volte gli sembrava proprio che il detective
provenisse da un pianeta alieno.
«Si inserisce la schedina nella console e poi si inizia a giocare».
Sherlock osservò di nuovo le quattro scatolette in plastica contenenti le
schedine di gioco, colto da nuova curiosità. Enigmi, mmh?
«Può prenderlo con sé, se vuole», borbottò il vecchio Davies. «Annie voleva
buttarlo per comprare una nuova versione».
Non avrebbe potuto azzardare proposta più stupida.
«Ma che razza di domande sono? E perché vorrei sapere la strada più corta per
far arrivare a casa questo idiota?».
«È solo un videogioco, Sherlock, calmati».
Sherlock Holmes spalancò i grandi occhi azzurri e, senza modificare la sua
posizione – “sdraiato” sul divano, con i piedi poggiati sullo schienale e la
testa penzoloni - lanciò un’occhiata torva al coinquilino, appena entrato nel
221B.
«JOHN! È un’ora che urlo e non mi
senti. Il numero dei produttori di questa baggianata, subito».
«Sherlock…».
«Gli enigmi numero 79, 27 e 121 sono scorretti. Non vedi? La ragazzina non può
essere sorella di questo moccioso, guarda i fermagli dei suoi capelli!».
Il medico sbuffò e, rilassando la sua postura, si lasciò scivolare sulla
poltrona di pelle davanti all’amico. «Lestrade continua a chiedermi del caso.
Non credi che dovresti finire il tuo lavoro, Sherlock?».
«Oh, al diavolo quello stupido caso. State solo perdendo tempo, non vedete? È ovvio che è stata la mocciosa ad
uccidere la nonna, ma, d’altronde, chi non desidererebbe sfogare i suoi istinti
omicidi su qualcuno dopo aver giocato a questa buffonata? Mi fa pena».
A quel punto, Watson lasciò cadere il quotidiano sulle proprie ginocchia. Aveva
invano pensato che, dato che l’amico era sempre annoiato, avrebbe potuto
allenarsi con qualcosa alla sua altezza.
Ma, in effetti, avrebbe dovuto riflettere sulle conseguenze.
Il primo giorno era stato relativamente tranquillo. La console e i videogiochi
giacquero per tutto il pomeriggio nella tracolla di John, senza che Sherlock ci
prestasse troppa attenzione e curiosità. In realtà, entrambi sembravano aver
dimenticato della concessione del signor Davies.
Il medico era andato a dormire tranquillamente, esausto per la giornata
d’investigazioni. Per tutta la giornata non aveva fatto altro che ambire il
morbido materasso che la notte prima aveva toccato solo per un paio d’ore, e
potersi finalmente riposare un po’ era stato una liberazione.
Fino a quando…
Erano le tre del mattino quando John era stato svegliato dalle imprecazioni di
Sherlock. Generalmente non si sarebbe preoccupato: non era la prima volta che
sentiva il suo coinquilino urlare a squarciagola nel pieno della notte, ma
quella volta scattò in piedi all’istante. Non aveva mai udito Sherlock usare un
simile turpiloquio, mai.
Un nuovo caso, aveva immaginato. Finalmente aveva trovato qualcosa al di
fuori delle sue capacità e si era arrabbiato per non essere riuscito ad
arrivare alla conclusione in meno di cinque minuti.
No, invece: scendendo le scale in un moto di curiosità lo aveva trovato
steso sul pavimento con la testa sotto un tavolino basso, intento a imprecare
contro un oggettino rosso fuoco che illuminava fiocamente il suo viso pallido.
Completamente assurdo.
Sei giorni erano passati ormai da quando aveva acquisito il giocattolino
e, nonostante la disapprovazione che
questo provava verso quello che chiamava uno
stupido videogioco per mocciosi non lo aveva mai visto impegnato in
qualcosa che non fosse risolvere gli enigmi che gli venivano proposti. Aveva
già concluso due dei quattro videogiochi, e si apprestava a completarne un terzo. La conclusione della curiosa situazione si verificò proprio la notte
fra il sesto e il settimo giorno, precisamente alle due e mezza del mattino.
Questa volta John era stato svegliato dagli spari di una pistola e, incuriosito
dal fatto che per la prima volta in una settimana avesse ripreso a sparare al
muro, scese di nuovo al piano superiore.
Trovò Sherlock seduto sul pavimento in una posizione stranamente composta,
mentre fissava qualcosa bruciare nel camino. La pistola giaceva a pochi metri
da lui, abbandonata sotto il divano.
«Che hai fatto?», mormorò John, allucinato, ma il coinquilino continuò a
fissare il fuoco.
Fra le fiamme si scorgevano ancora i resti bucherellati della console e delle
scatole dei videogiochi.
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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede)
Angolo
Autrice
Gionbuorno.
Questa storiella mi salta fuori da un
momento di sfaso pomeridiano in seguito al millemillesimo terribile
incontro fra me e i miei videogiochi del
caro Professor Layton - videogiochi che,
ovviamente, sono quelli che compaiono nella storia.
Era un po’ che non ci rigiocavo ed era la prima volta che lo facevo da quando
avevo visto Sherlock – ebbene si, sono fan solo da un mese della serie! – e
improvvisamente mi è balenata in mente l’idea. Premetto che l’ispirazione però
ultimamente lascia un po’ a desiderare,
e che questa storia l’ho scritta proprio male. Però non potevo tenermi dentro
l’idea, mi piaceva troppo!
Ok, non ho altro da dire. Spero che comunque la storia vi piaccia.
Baci!
WJ