Dietro le apparenze si nascondono sentimenti diversi da quelli che colpiscono al primo istante. E’ quello che è successo a me qualche tempo fa. Stavo leggendo “la Repubblica” sul computer e lo sguardo è andato su una foto di lato. Ci ho cliccato sopra ed è apparsa una serie di tre o quattro foto dedicate ad uno strano e misero caso: si trattava di un bambino cinese di due anni che era legato con catena e lucchetto ad un palo. La didascalia spiegava che era stato lasciato lì, incatenato, dal padre che, dopo essere arrivato in città da un povero paese, era riuscito a trovare un lavoro come facchino e anche la madre doveva lavorare per poter sopravvivere, ma erano così poveri che nessuno dei due poteva rinunciare al suo lavoro, né potevano trovare qualcuno che accudisse al figlio. Il bimbo naturalmente non poteva restare solo nella città: si sarebbe perso o qualcuno lo avrebbe rapito, come era successo a sua sorella. Infine la soluzione della catena e lucchetto forse è stata la meno traumatica. Nelle foto il bimbo non piangeva, sembrava tranquillo ed era ben vestito per ripararsi dal freddo. C’era anche la foto del padre che prendeva in braccio il bimbo ed era molto bella, perché tutt’e due sorridevano contenti di essersi ritrovati dopo una giornata passata in mezzo agli estranei. Sono stata assalita da un sentimento di rabbia per il bambino trattato come un cane o meglio come una bicicletta che si ferma ad un cartello stradale, ma in quell’atto c’era un amore profondo e tanta voglia di vivere nonostante le avversità.
E’ tanto difficile dire dove sta l’amore: a volte in un semplice gesto, altre in un atto eroico, altre ancora in una vicenda quasi orribile, ma è facile riconoscerlo, basta guardare bene.