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Autore: cloud    27/02/2007    1 recensioni
Il freddo tagliente del nord lo investì in pieno volto, senza pietà. Genzo aveva appena posato il piede fuori dall’auto che subito venne assalito dai ricordi. Non molti in verità, ma potenti. Era partito da Amburgo un’ora e mezza prima ed aveva guidato con calma, osservando il paesaggio nordico e cupo. Il verde scuro degli abeti era di una tonalità così carica che gli trasmetteva strane sensazioni tristi. Forse, semplicemente, era la nostalgia di altri tempi, che gli sembrava aver vissuto una vita prima. La nebbia che si impigliava tra gli alberi aveva un che di inquietante e tragico al tempo stesso. Scosse la testa, dicendosi che in fondo era solo preoccupato per il motivo che lo aveva riportato a Kiel dopo 11 anni.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Innanzitutto, vi ringrazio per essere qui. E’ particolarmente doloroso per me scrivere questa nota introduttiva, e il perché è che le cose spesso non vanno come sogni, o come speri.

7 anni fa pubblicai su uno dei primi -forse il primo in assoluto- siti di fanfic una storia alla quale tenevo molto, alla quale avevo dedicato parecchio tempo. Internet non era ancora vasto come adesso, e trovare notizie e informazioni per rendere coerenti luoghi e personaggi non era facile. Insomma, alla fine ci riuscii, e scrissi una decina di capitoli di quella fic, ambientata nella RFT nel 1982, anno in cui “presumevo” che Wakabayashi si fosse traferito lì. E nel quale lui aveva più o meno la mia età di quando la scrissi: 13 anni (io ne avevo forse 14 allora). Non era per niente conclusa. Ma, per vari motivi, la abbandonai. Poi si sa come vanno queste cose: si cresce, gli impegni si intensificano, il tempo libero lo dedichi di più agli amici, insomma si va alla scoperta del mondo. Qualche giorno fa sono incappata nella cartella di Detusche Match (era questo il nome della storia) e in uno spleen di nostalgia andante me la sono riletta. Per fortuna che l’ultimo capitolo scritto aveva una specie di termine coerente, del tipo “fine prima parte”. Nonostante tutta la storia, tutte le vicende, i personaggi e gli amori che avevo in mente in seguito. Mi piange il cuore al solo pensiero che quelle storie non vedranno mai la luce, semplicemente perché io non ho più 14 anni e quelle storie non mi appartengono più, non sarei più capace di scriverle. Però ho pensato che D.M. meritasse una fine degna, sorvolando, in effetti, sull’essenza stessa della sua storia.

 

E’ il 1993, sono passati 11 anni e molte cose sono cambiate. Genzo ha 24 anni, il Muro è caduto, l’URSS è sciolta e, soprattutto, la Germania è stata riunificata.

 

Se vi interessa leggere quello che è successo prima, potete andare qui, ma vi avviso: il risultato è molto, molto scadente. Non tanto dal punto di vista sintattico, ma è davvero l’espressione di una quattordicenne che ha letto troppi shojo e che della vita vera non sa niente (eh, ai miei tempi mica a 14 anni le ragazze erano già così smaliziate come quelle di oggi…^^). Preferirei che non la leggiate, in più Gen è completamente OOC.

Se preferite un breve riassunto:

Genzo Wakabayashi si trasferisce nella Germania Ovest, precisamente a Kiel. Qui conosce Kirk Dietrich, il capitano della squadra locale di calcio, con il quale instaura un ottimo rapporto, e Derek Andersson, un altro giocatore della stessa squadra, la Kiel Mannschaft. Ma è qui che conosce anche Terry Hurton, una ragazzina italo-tedesca straordinariamente brava a calcio. I due si innamorano, ma non hanno la possibilità di stare insieme perché entrambi partono pochi giorni dopo essersi dichiarati: Terry torna in Italia dal padre e Genzo viene comprato dalla squadra di calcio di Stoccarda, la Stuttgard Mannschaft. Qui, nonostante i problemi iniziali, alla fine stringe un buon rapporto con il capitano Alexander Audrich e soprattutto con il portiere titolare, che in seguito ad un infortunio lui sostituirà, Aubert Aiken (Bert era il mio preferito: era un vero folle).

 

Ecco, qui si interrompe la storia.

E ci ritroviamo 11 anni dopo di nuovo a Kiel.

(che adesso posso studiare con GoogleEarth: amo la tecnologia)

 

P.S. Ringrazio Maki-chan (e chiedo perdono^^), Sakura-chan, Izumi ed Akiko-chan per le recensioni, che purtroppo devo cancellare. Grazie dei complimenti, spero che anche il seguito vi piacerà!

 

 

 

 

 

 

 

 

Revolver

 

 

 

 

I

I SEGNALI SPESSO NON SIGNIFICANO MAI

Il freddo tagliente del nord lo investì in pieno volto, senza pietà. Genzo aveva appena posato il piede fuori dall’auto che subito venne assalito dai ricordi. Non molti in verità, ma potenti. Era partito da Amburgo un’ora e mezza prima ed aveva guidato con calma, osservando il paesaggio nordico e cupo. Il verde scuro degli abeti era di una tonalità così carica che gli trasmetteva strane sensazioni tristi. Forse, semplicemente, era la nostalgia di altri tempi, che gli sembrava aver vissuto una vita prima. La nebbia che si impigliava tra gli alberi aveva un che di inquietante e tragico al tempo stesso. Scosse la testa, dicendosi che in fondo era solo preoccupato per il motivo che lo aveva riportato a Kiel dopo 11 anni.

Due giorni prima aveva ricevuto una telefonata da Derek. Sulle prime non lo aveva riconosciuto;

- Sono Derek, Derek Andersson. Kiel, ricordi? La squadra, la Kiel Mannschaft. E’ successa una cosa a Kirk. Kirk Dietrich, il capito, ti ricordi di lui? –

Certo.

Come avrebbe potuto dimenticarsi?

Cosa era mai potuto succedere per ricevere quella telefonata dopo 11 anni di distanza e silenzio?

- Ha avuto un incidente, un infortunio. –

- Kirk non giocherà mai più a calcio. -

 

Non avevano più contatti da una decina d’anni, ma Genzo leggeva sempre con molto interesse gli articoli su Kirk Dietrich sui giornali sportivi. Dopo Karl Heinz Schneider era il più quotato giocatore della nazionale tedesca. Li leggeva con una specie di  moto d’orgoglio, come a dire: “Ecco, questo ragazzo io lo conoscevo, ed era un mio buon amico”.

 

Ed ora non avrebbe mai più potuto calciare un pallone. Una carriera breve come un soffio, un sogno che svanisce nel momento in cui riesci a sfiorarlo con la punta delle dita.

Quella notizia così inaspettata era stata come un pugno nello stomaco.

 

E adesso Genzo passeggiava su strade che non vedeva da secoli. Attimi di nostalgia. Osservò spaesato gli enormi cartelloni pubblicitari sulla strada del porto: lui si ricordava un posto completamente diverso. O forse, era il tempo ad essere diverso. Si diresse ai campi di allenamento della Kiel Mannschaft stretto nel cappotto, sotto un cielo plumbeo e tetro.

Ovviamente la squadra non si allenava più là: i campetti erano abbandonati, ricoperti dalla vegetazione, inglobati da platani, muschi e macchie di primule fucsia. C’era ancora la recinzione metallica, tutta sbrecciata, e le panchine ed i tavolini di legno dove il mister riuniva i ragazzi per istruirli. Ora erano scivolose, ricoperte da muschio umido. Su di una panchina, seduta sullo schienale, c’era una ragazza dai capelli neri che fumava, assorta. Il vento gelido si alzò e la luce improvvisamente diminuì. Una nuvola nera carica di pioggia si scorgeva tra le fronde degli alberi.

Genzo decise che avrebbe chiamato Derek il giorno dopo, per andare a trovare Kirk. Non si era ancora preparato nulla da dirgli.

- L’avresti mai detto? Ho giocato in squadra con Karl Heinz Schneider. –

- Lo sapevo che avevi la stoffa, Wakabayashi. – silenzio – Io non potrò mai più. –

La conversazione certo si sarebbe svolta così. Non aveva senso, nulla lo aveva.

Non era di certo un fumatore, era uno sportivo molto dedito alla cura ed alla salute del corpo. Ma ammise che in quel momento aveva bisogno di una sigaretta, gli sembrava che troppo cose gli gravassero addosso. Si sentiva oppresso dalle contigenze e non sapeva perché. Forse era semplicemente paura, o stanchezza, o rabbia, o rassegnazione. Decise che avrebbe chiesto una sigaretta alla ragazza sulla panchina, se la sarebbe fumata allo stesso modo, solitario ed assorto; e poi si sarebbe cercato un albergo dove rinchiudersi prima che scoppiasse il temporale.

Si avvicinò alla ragazza, annunciando la sua presenza con un colpetto di tosse. La ragazza si girò di scatto: era talmente assorta che non si era accorta della presenza di Genzo.

- Scusa, non è che avresti una sigaretta? – chiese, ma le parole gli morirono quasi in gola. Conosceva quegli occhi.

Lei lo riconobbe molto più in fretta.

- Genzo! –

- Terry..? –

Aveva i capelli corti e sistemati, tinti di nero, il suo look era sofisticato ed il trucco impeccabile. Anche gli occhi verdi sembravano cambiati, sembravano aver perso l’innocenza. Genzo notò ogni particolare del suo viso. Era ancora bellissima.

- Sei qui per Kirk, vero? – disse piano, passato l’iniziale attimo di sorpresa. Genzo non rispose, fece solo un piccolo cenno affermativo col capo. Lei prese due sigarette dal pacchetto, una se la mise in bocca e l’altra la porse a Genzo.

- Sei uno sportivo: non dovresti fumare. –

- Non fumo infatti. – borbottò cercando di accendersi la sigaretta nonostante le forti folate di vento. – Lo faccio raramente. – finalmente riuscì ad accendersi la sospirata sigaretta. – E tu? – disse cacciando fuori il fumo – Da quando sono arrivato ti sei fumata tre sigarette, una dietro l’altra. Di certo non corri più come una volta. –

- Non corro più e basta. – disse, a Genzo parve con voce dura. – Sai, a vent’anni non hai più tempo per il calcio, se non lo fai di mestiere. –

Era vero che qualcosa era profondamente cambiato in lei, si disse Genzo. Era stranamente tagliente, dura, cinica e, forse, disperata. Gli diede quest’impressione. Forse per Kirk, o forse per qualcos’altro.

- Perché non mi hai mai cercato? – chiese lei all’improvviso, cogliendolo di sorpresa. Pensava che avrebbero evitato l’argomento ancora per un po’, come a far finta che tra loro non ci fosse nulla lasciato in sospeso molti anni prima.

- Sai, - disse sedendosi affianco a lei – la vita cambia troppo in fretta. Ed ho avuto tempi duri a Stoccarda. Poi sono andato ad Amburgo, e… -

- E ti sei dimenticato di me. – concluse lei, senza rancore. Era una semplice constatazione.

- Come va la vita? – chiese lui, cambiando argomento.

- Non male. Ho viaggiato parecchio. Mi sono laureata da poco. Sono architetto. –

- Congratulazioni. – Lei annuì, come a dire che non era nulla di speciale in confronto a quello che faceva lui. Niente di così emozionante, almeno.

La situazione era davvero assurda.

- Vai domani da lui? – chiese lei. Non c’era bisogno di specificare chi era “lui”.

- Sì. Adesso non ho la testa. – Lei annuì di nuovo.

- Dove alloggi? –

- Da nessuna parte, sono arrivato oggi. Credo che andrò all’Astoria. –

- Hai già prenotato? –

- No. –

- Se vuoi puoi venire a stare da me. Non ho voglia di stare da sola. Questa città è molto più triste di quanto mi ricordavo. –

- Siamo noi che siamo cambiati. – disse Genzo sogghignando, capendola perfettamente.

- Allora vieni da me? – si voltò verso di lui. Genzo ebbe una strana stretta al cuore, sovrapponendo il volto di una ragazzina a quello della donna affianco a lui. Sapeva cosa sarebbe successo se avesse accettato il suo invito. Sarebbero finiti a letto –era chiaro- e sarebbe stato come fare sesso con un fantasma. Un ricordo. Forse avrebbe preferito che Terry restasse tale, un ricordo. Avrebbe preferito non incontrarla proprio quel giorno in cui era di umore così malinconico e cupo.

- Va bene. – disse invece. Semplicemente, non aveva scelta.

- Allora sbrighiamoci, sto congelando. –

 

 

Terry aveva un attico fantastico in centro, con un’immensa vetrata sull’ex Hiroshima Park, dove 11 anni prima loro due si erano innamorati. Era arredando con stile. Genzo osservò un portafoto su di un tavolino: la foto che c’era dentro confermava quello che lui aveva sospettato per anni: Terry era la figlia di un famoso calciatore.

- Sì… vabbè, si sapeva. – disse lei facendo spallucce. – Vado a farmi una doccia calda. C’è qualcosa in frigo, serviti pure. –

Fuori era appena scoppiato il temporale.

 

Terry ritornò con un ampio maglione nero a collo alto ed una cortissima gonna bianca, e l’eterna sigaretta in bocca. Era talmente silenziosa…

- Terry, ma che ti è successo in questi anni? – chiese lui, esasperato, lasciandosi cadere sul divano.

Lei si sedette sul bancone della cucina all’americana, appoggiando la schiena al muro.

- E’ la vita… Tu non lo puoi sapere, ma quando i sogni si infrangono la vita diventa così vuota… - tirava lente boccate dalla sigaretta, mentre fuori il temporale infuriava. Il tempo era una condizione irreale, in quel momento. Dopo un imprecisato periodo di tempo, che potevano essere secondi oppure minuti, Terry spense la sigaretta in una tazzina di caffè e scese dal bancone, si mise a cavalcioni su Genzo e lo baciò. Nel momento in cui lo baciò, Genzo capì che Terry era solo alla disperata di ricerca d’amore. Lui non era certo da meno, in un giorno del genere. La prese per i fianchi esili e si alzò, appoggiandola di nuovo sul bancone. Aveva previsto bene: avrebbero fatto sesso con passione, senza nessuna tenerezza.

- Terry…  - cominciò a sussurrarle mentre si sbottonava la camicia – non dovrebbe andare così… -

Non lo sapeva nemmeno lui esattamente il perché. Ma sentiva che entrambi erano due estranei che si stavano appropriando di un ricordo di altri. Era una sensazione irrazionale, lontana dal suo solito modo di pensare cinico e razionale. Ma sapeva anche che Terry era una di quelle persone che provocano quel tipo di sensazioni, a qualsiasi età.

- Gen… io non ho mai smesso di pensare a te… sono stata una stupida, forse, un’idiota… ma non sono mai riuscita a dimenticarti… Oh… - sussultò quando le mani di Genzo s’insinuarono sotto il maglione, sulla sua schiena inarcata. Avvinghiò la gembe attorno ai suoi fianchi e lo attirò a se’.

- Mi sono stancata di pensare. –

 

 

 

Genzo si svegliò di scatto al forte rumore di un tuono. Si guardò un attimo intorno, stropicciandosi gli occhi, ancora rincoglionito. L’orologio segnava le sei e fuori c’era solo una vaga luce ed una spessa nebbia indaco. Pioveva incessantemente. Accanto a lui Terry era ancora nel profondo del sonno, abbracciata al cuscino. Rimase un attimo a guardarla. Il suo corpo stupendo era certamente quello di una donna, ma il suo viso, rilassato e sereno, col trucco sfatto, in quell’attimo era proprio quello di una ragazzina. Gli venne da sorridere. Si mise a sedere sul bordo del letto e si stiracchiò. Non si sentiva così rilassato fisicamente da secoli. Si alzò, alla ricerca del caffè. Senza caffè non viveva, se non ne prendeva almeno un paio la mattina non riusciva proprio a connettere, a stento riusciva a non addormentarsi sotto la doccia. Preparò la moka e si sedette al bancone, sottraendo una sigaretta al pacchetto lasciato lì da Terry. Mentre fumava il suo sguardo vagava per la stanza: c’era un casino non indifferente. Vestiti buttati nei posti più strani, una bottiglia di rosso mezza vuota, divani sfoderati e soprammobili a terra. Scosse la testa, mentre il caffè nella moka ribolliva. Si alzò a spegnerla sospirando. Era convinto di aver fatto un grave errore a fare l’amore con Terry, ma non riusciva a trovare una spiegazione razionale a questa fastidiosa sensazione. Era stato fantastico, certo. Terry era virtualmente perfetta: di una bellezza magnetica e così diversa dalle modelle e attricette che aveva sempre frequentato lui. Lei era sempre il maschiaccio che era da ragazzina, anche adesso che era sbocciata. A letto poi era pazzesca… Certo, era diventata cupa e taciturna, ma… Genzo sapeva che non ne avrebbe trovata una su un milione come lei. Bevve il caffè e tornò in camera da letto, fermandosi sulla soglia a guardare la ragazza arrotolata fra le lenzuola. E all’improvviso capì. Capì perché il suo istinto cercava di tenerlo lontano da lei. Capì perché si sentiva così a disagio.

Terry era talmente perfetta per lui, e lei non desiderava altro che lui… e lui aveva paura. Paura dei suoi sentimenti? Paura di una storia seria? Paura d’innamorarsi? Paura di rendersi vulnerabile a qualcuno, di aprirsi? Forse aveva davvero paura di tutto questo.

Espirò, come se avesse trattenuto il fiato per tutta la vita.

 

 

 

Terry si alzò 3 ore dopo, completamente sfatta. Diede un’occhiata affianco a lei, ma sapeva già di non trovarci più Genzo. Suppose che lo avrebbe trovato a fare colazione o sotto la doccia. Provò in bagno, ma non c’era nessuno. Idem in soggiorno. Le sue cose erano sparite e nella casa regnava un ordine perfetto. Se n’era andato, e non aveva lasciato neanche un biglietto. Aveva rimesso in ordine la casa, preparato la macchinetta del caffè e una tovaglietta sul bancone, e nemmeno uno stramaledettissimo biglietto. Terry accese il fornello e dalla fiamma si accese la prima sigaretta del giorno. Si sedette, prendendosi la testa fra le mani.

- Stupida ragazzina… - sussurrò – Perché ti sei illusa… Era ovvio che non sarebbe rimasto… -

 

 

-fine prima parte-

  
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