The day is
past, and yet I saw no
sun,
And now I live, and now my life is
done.
(Elegy,
Chidiock Tichborne)
- Dama
Catalina!
La donna
si mise a sedere sul letto.
- Chi è?
Maria? Montserrat?
Le sue
dame non risposero; non erano ai piedi del suo letto, né
nell’anticamera.
Stringendosi
nella veste bordata d’ermellino, Catalina percorse una lunga
galleria
illuminata dalla luna, resistendo con tenacia alla pietra fredda su cui
posava
i piedi bianchicci. Li osservò per un poco.
-
Montserrat, mi avete chiamato? dove siete, dame mie?
- Non
risponderanno, milady.
La
peregrinazione incerta di Catalina si arrestò davanti ad una
vetrata azzurra.
All’improvviso,
la sua indole si scisse in due pensieri contraddittori: si avvolse le
braccia
attorno al corpo, per nascondere la carne bianca e troppo flaccida, ma
desiderava anche lasciarsi guardare, nell’infantile speranza
che a quella resa
corrispondesse uno sguardo d’amore.
- Mio
Signore… - balbettò, volgendosi indietro.
- Le
vostre dame sono già in viaggio per Dover; si imbarcheranno
per le Fiandre fra
poco.
- Mio
Signore, siete qui – ripeté Catalina, troppo
sconvolta per comprendere appieno
le sue parole.
Il re
sorrise leggermente, quasi dispiacendosi per tale dimostrazione di
debolezza.
Mosse
qualche svagato passo in avanti, le mani intrecciate dietro alla
schiena,
mentre la luna sbiancava i suoi capelli fulvi e la sua pelle rosea.
Catalina lo
vide giovane e alto e bello, come lei non era più.
- Avete…
delle richieste per me?
- In
verità sì – sorrise accattivante
– desideravo grandemente parlarvi.
L’affiancò,
pur senza sfiorarla; Catalina ricordò le carezze fugaci che
il re si concedeva
anni prima.
- Di cosa
vuol parlare il mio signore e re?
- Del
divorzio.
Catalina
respirò a fondo, fece scivolare una mano sotto la vestaglia
da notte per poter
sfiorare il piccolo crocifisso che portava al collo; senza parlare
né dar segno
di voler incoraggiare il consorte, guardò oltre il vetro
luminoso, soffocando
la propria angoscia e il proprio pianto.
-
Catalina, perché non volete concedermelo? La nostra unione
è un terribile
oltraggio alla cristianità!
- Mio
signore, le vostre parole mi feriscono più di quanto voi
possiate pensare! Se
mi chiedeste di buttarmi dalle scogliere per amor vostro, lo farei, ma
non
chiedetemi di andar contro la mia coscienza!
Il re
continuò a camminare finché non giunsero alla
cappella dedicata a Sant’Anna.
- Entriamo
– l’invitò e la precedette.
Appoggiò
la schiena contro l’altare maggiore.
Catalina
provò una dolorosa stilettata tra il petto e il ventre: - Io
vi amo – disse
semplicemente.
Il re fece
schioccare la lingua. – Se mi amaste, desiderereste vedermi
felice, e ciò non
accade.
La dama
spagnola scosse la testa, muta. Le frasi pungenti del re le piovvero
addosso
come frecce.
- La
verità è solo una, cioè questa: voi
amate di più vostra figlia Maria…
- Maria è
ancora anche vostra figlia!
- … di me.
Siete egoista e calcolatrice, godete a far sì che il popolo
mi disprezzi. Se mi
amaste davvero, come proferite con tanto ardore, mi lascereste libero e
privo
di insalubri preoccupazioni.
Catalina
fissò il crocifisso, dopo aver osservato il re con occhi
limpidi, ma
imperscrutabili.
Le lacrime
scorrevano, urticanti e silenziose, sulle sue gote carnose.
A ciò che
voleva dire si opponeva con forza la sua coscienza, la sua anima, la
sua
innocenza, eppure l’amore che provava per quel re insensibile
e allegramente
crudele che non conosceva la spinse a provarci comunque, come ultimo
affronto
autoinflitto alla propria dignità.
- Mio
signore, quello che vi dirò in questa cappella consacrata
non ve lo dirò mai
più, perché il mio animo è
guerrigliero e fiero quanto può esserlo quello di
una donna, quale sono io, nata da una madre coraggiosa, ma non
è né invincibile
né indenne, dopo i vostri dolorosi attacchi –
riprese fiato – Ma ora, aprendovi
il mio cuore con tutta l’onestà che so di
possedere, vi giuro che non ho amato
nessuno come amo voi: proprio a causa di questa debolezza femminile mi
è perciò
impossibile lasciare il vostro fianco, che ho a lungo desiderato e
riverito,
per lasciarvi unire ad un’altra donna che è lo
scandalo della cristianità. Ho
una dignità e un cuore di Regina, mio amato signore, per
quanto voi sembriate
averlo dimenticato. Ma come posso anteporre l’orgoglio di
essere Catalina
d’Aragona alla vostra persona? – stava perdendo il
filo del discorso. Così
tacque, sperando che suo marito replicasse.
Lui non
disse nulla, guardava oltre le finestre.
-
Sant’Anna, datemi la forza! Mio signore… voi mi
amavate. In che modo posso
farvi capire che io invece non ho mai cessato di provare questo
sentimento, né
rabbia né risentimento né dolore hanno avuto il
potere di affievolirlo?
- Non
trattatemi come se Anna avesse fatto di me il suo burattino,
perché non è così!
Mi sottovalutate, Catalina, questa è la vostra colpa!
– le agitò l’indice
davanti al viso, mentre lei negava, attonita.
- Non è
così, no…
L’espressione
del re raggelò, gli occhi azzurri si posarono annoiati sulla
mano che celava il
crocifisso.
- Sì,
forse la vostra fede saprà proteggervi meglio di quanto
possa fare il vostro
sentimento amoroso.
Procedette
a passi lunghi attraverso le file di panche e inginocchiatoi, dritto
come un
fuso.
Solo quando
fu sulla porta, l’urgenza di Catalina si tramutò
in parole.
- Mio
signore, attendete!
Lui si
voltò, apparentemente incuriosito: Catalina socchiuse le
labbra, ma non trovò
nulla da dire: si limitò a fissarlo, sperando di imprimersi
nella memoria quei
lineamenti forti e l’eccezionale statura, placidamente
consapevole che forse
non l’avrebbe mai più visto così.
- Allora?
volete dire qualcosa?
Catalina non
rispose.
Allora suo
marito le volse di nuovo le spalle e se ne andò, seguito dal
suono di passi
sempre più lontani.