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Autore: AthenaSkorpion    15/08/2012    1 recensioni
Apollo e Artemide, riaffermando la loro divina origine, salvano la madre dal rapimento di Tizio.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Madre, portami a Delphi. Il mio posto è lì.
 
Leto rimase interdetta. Era certa che i figli di Zeus potessero detenere dei poteri soprannaturali, ma quella richiesta, detta da un infante di pochi anni, era semplicemente sconcertante.
Artemide la guardò come fosse conscia di ciò che il fratello le avesse chiesto e stesse solo attendendo una risposta.
- Dunque, madre, mi ci porterai?-chiese Apollo. Leto si sedette in mezzo ai due bambini, uno più bello dell'altra. Li abbracciò, chiuse gli occhi e inspirò un attimo.
 
- Figlio mio-disse riaprendo gli occhi-cosa ti attenderà a Delphi? Potrà tua madre risiedervi con te o il tuo sentiero è solitario?
Apollo si strinse a lei e sussurrò:- Madre, mai ti chiederei di abbandonarmi. Lì mi attendono un tempio in mio onore e il riconoscimento del mio titolo divino. Lo lessi in un oracolo quando un'aquila giunse ai miei piedi e si inchinò. E la mia cara sorella cavalcò un cervo, dunque sarà custode delle selve e regina della caccia, al mio fianco punirà con le frecce di peste coloro che erreranno, vigilando dalla Luna. E tu potrai dirti nostra fiera madre.
Leto rise e disse:- Miei cari figli, onore della mia vita, son già fiera di voi! Se solo aveste un padre... Colui che vi diede l'alito di vita disprezza i mortali, ma infine cede sempre alle loro debolezze, quasi fosse più incontenibile. E anch'io, nelle vesti della sua sacra moglie, avrei purificato il talamo cacciando chi Zeus volle invitarvi. Ma non abbiamo diritto di criticare ciò che è il volere di nostri superiori. Tentiamo di vivere questa nostra vita sempiterna nella serenità, nonostante gli ostacoli posti sulla nostra strada.
Statemi a fianco, anche per noi divini ci son pericoli a viaggiare da soli.
 
Le acque cristalline si svolgevano lungo lo sguardo ampio di Leto, che si chinò per riempire le otri vuote che portava con sé. Raccolse l'orlo della veste per non bagnarsi e, poiché non c'era nessuno, lasciò scoperte le ginocchia e si immerse nella refrigerante corrente, che riverberava sotto il sorridente Sole. Apollo e Artemide erano a caccia, quindi presto avrebbero pranzato. Riempite le otri, uscì dall'acqua e si sedette sulla sponda, lasciando che i piedi si rinfrescassero seguendo il corso del fiume.
 
All'improvviso si sentì tirata su di peso e, prima che potesse gridare, un'enorme mano le tappò la bocca.
La divinità prese a scalciare, tentando di mordere ciò che le impediva di proferir parola.
Si voltò quel tanto che bastava per vedere un gigante trascinarla via con sé. Il terrore si impossessò di lei. Sapeva quello che stava per accadere e non aveva alcuna intenzione di esserne la protagonista. Iniziò a tremare fin nelle viscere. Sapeva fin troppo bene che lui non si sarebbe fermato e che lei non avrebbe avuto le forze per contrastarlo.
Con un calcio la dea ruppe un'otre e cercò tastoni una scheggia, prima che fosse troppo lontana.
Appena l'ebbe trovata il gigante tentò di strappargliela di mano, ma lei gliela conficcò in una mano. Il gigante gridò e per un attimo la dea gli sfuggì.
Leto si ritrasse, sperando che lui andasse via. Il colosso si infuriò, la prese per una gamba e la gettò nel fiume, tentando di ammansirla.
Leto si sentì persa, era immortale, ciò era vero, ma non le sarebbe stata risparmiata un'ulteriore sofferenza. Non voleva permettere che i figli la vedessero in quelle condizioni, né che rischiassero la vita per lei. Ma oramai non c'era scampo.
Appena le fu permesso di prendere il respiro, gridò con il poco fiato che aveva:- Apollo, Artemide! Vi prego!
 
Fu rigettata in acqua per i capelli e Leto sopportò con una disperazione disumana i polmoni contorcersi nella vana ricerca d'aria. Tentò coi piedi di allontanare l'assalitore, ma non servì a nulla.
 
All'improvviso il gigante la riprese in spalla e si fermò. Due bambini dall'aria minacciosa quanto quella di barbari guerrieri si piazzarono di fronte al prepotente, tendendo l'arco.
Artemide, vedendo la madre trattata così male, era stata la prima a tirar fuori le frecce, indignata come non si era mai vista.
- Mettila giù!- gridò in un coro di mille voci di arpia. In alcune sfumature del suo tono di voce si era a metà tra un ruggito di leone e lo stridore dell'aquila. Il gigante parve per la prima volta intimorito. Apollo, il più turbolento dei fratelli, non attese reazione e colpì con la prima rapida freccia. Il punto in cui giunse il dardo iniziò a fumare e, come fosse acido, il braccio fu corroso, tanto che Leto cadde a terra. Mentre il bambino andava a proteggerla, Artemide incoccò un'altra freccia e colpì alla gamba, costringendolo ad inginocchiarsi.
- Il tuo nome! Dimmi qual è il tuo nome!-intimò la bimba.
- Tizio, figlia di Zeus, il mio nome è Tizio!-gemette all'ennesima freccia scagliatagli. La gamba si disperse in un mucchio di cenere al soffiare del vento.
Leto si rialzò, la mano di fronte a sé in un gesto di infinito orrore. Il gigante, a terra, si ritrovò circondato.
- Tizio, violento, che dopo la tua dolorosa morte le aquile e gli avvoltoi possano divorarti il fegato fino a Luna nuova, quando il tuo organo malato si ricreerà in compenso al male che compisti contro nostra madre!
Detto ciò, Apollo tirò in fronte a Tizio una freccia velenosa e carica di odio. Il gigante scese nell'Ade per compiere quanto ordinato e maledetto.
 
In quel preciso momento, Apollo divenne un giovane di barba nuova, gagliardo nella sua armatura. Artemide, al suo fianco, vestita di un lungo peplo di splendida fattura, diventò giovane vergine di raggiante bellezza e grazia. Con la loro impresa, il loro diritto a vivere nell'Olimpo divenne legge e Leto poté dirsi la madre più felice e orgogliosa del mondo. Da allora nessuno la importunò oltre. Neppure Hera. 
   
 
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