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Autore: Iryael    16/08/2012    5 recensioni
Ratchet racconta in prima persona l’esperienza della DreadZone: l'arrivo, la finta libertà dei gladiatori, le giornate scandite dai combattimenti, la fuga.
«All'inizio mi rifiutai di capire che quel che pensavo dei gladiatori, in realtà, era l'immagine che i mass-media vendevano agli spettatori. Ma il mio rifiuto non durò a lungo: bastarono pochi giorni a farmi aprire gli occhi.
Non esisteva paragone migliore del circo: noi gladiatori eravamo le fiere; mentre gli Sterminatori, le brillanti stelle dello spettacolo, erano domatori che si alternavano sulla pista dell'Arena.
Poi c'era lui, Gleeman Vox. Lui che aveva l'abito rosso del presentatore e coordinava la baracca, guadagnando sulla nostra pelle.
Fama, soldi e belle ragazze erano la nostra gabbia dorata. Quella vera, esplosiva, ce l'avevamo chiusa al collo.
Aprire gli occhi mi fece incazzare di brutto.
Nessun circo poteva permettersi di tenere un drago in gabbia. E loro - Vox e compagnia - l'avrebbero capito presto.»

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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Big Al, Clank, Gleeman Vox, Nuovo Personaggio (Takami Kinomiya), Ratchet] [Probabile OOC]
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ Prologo ]
Il giornalista di Canale 64
 
Febbraio 5408-PF
Metropolis, 93esimo settore, attico del Khelith Building
 
Il campanello gracchiò e le orecchie di Ratchet fremettero. Passava così poco tempo in quella casa che aveva scordato quanto fosse sgraziato quel rumore.
Poggiò la tazza sul tavolino e sgusciò tra i mobili del salone. Aveva atteso quell’incontro con impazienza e in quel breve tragitto sentì montare un misto di ansia ed eccitazione.
Nell’ingresso aveva un grande specchio: prima di aprire si fermò a controllare di essere convincente. Il riflesso gli rese l’immagine di una persona sicura e lo tranquillizzò.
Nell’aria si sparse un secondo gracidio e, di nuovo, le lunghe orecchie di lombax sussultarono.
Oh, per la miseria!
Aprì il portone e la persona in corridoio gli ricordò Big Al: viso tondo, ventre a fiasco, gambe corte. Non guardava né lui né l’abitazione, ma rimirava i teli di plastica che, simili a gigantesche ragnatele, infestavano il corridoio.
«Bruttini, eh? Stiamo ristrutturando.»
Il kerwaniano sobbalzò. Le guance sbiancarono e in automatico balbettò una scusa.
«Sono Jay Kroo...» disse. «Divisione editoria di Canale 64.»
Il lombax si fece da parte e accennò un sorriso. «Entri pure; la stavo aspettando.»
Dieci minuti dopo due tazze fumavano sul tavolino del salone, disperdendo l’aroma forte della kryl. I due sedevano ai lati del basso mobile, su poltrone di pelle scura. A dispetto di ciò che s’era aspettato Ratchet, era il giornalista ad essere palesemente a disagio. Parlava a scatti, come un file audio corrotto. Il lombax pensò che si fosse preparato un discorso, ma che non riuscisse a ricordarlo.
«...e per questo la ringrazio. È un onore, davvero.»
Ratchet sventolò una mano con noncuranza, nel tentativo di metterlo a suo agio. «Non è il caso di parlare di onore. Vuole ascoltare una storia...» tentennò un attimo «...direi incredibile, nel vero senso del termine.»
Il kerwaniano fece spallucce e allargò le braccia. «Beh, il processo stesso è incredibile.» replicò.
Il processo.
Erano mesi che si dibatteva sul motivo per cui gli equipaggi della USS Phoenix e della USS Ferox si fossero massacrati. Ratchet rivide il momento in cui la corte andava nel panico e si passò una mano sugli occhi, stanco del polverone che vorticava loro intorno.
Dimenticò il tentativo di mettere l’ospite a suo agio; dimenticò di ostentare compostezza e tranquillità. Mostrò esattamente quel che provava con un sorriso carico di amarezza.
«Le do pienamente ragione. » disse semplicemente. Ma il suo tono non era carico come prima; era privo di nervo combattivo. Ridacchiò. «Siamo stati attaccati, imprigionati, torturati e alcuni barbaramente uccisi, e la corte sospetta di noi. Ho visto i miei soldati combattere fino all’ultimo respiro, eppure i giudici guardano le carte, non i fatti. È incredibile, sì.»
No – considerò Jay Kroo – non era solo stanco. Era anche arrabbiato.
Intravide nella rabbia una possibilità da sfruttare e decise di giocarsela. «Con le sue dichiarazioni ha spaccato in due l’opinione pubblica.» asserì.
«Se ancora non lo sapesse: hanno richiesto una perizia psichiatrica dopo le mie dichiarazioni.»
Il giornalista annuì. «Ero in tribunale.» ammise.
«E nonostante tutto vuole sapere la mia versione dei fatti?»
«Certo! Io raccolgo le opinioni della gente per lavoro; so quanto il pubblico sia impressionabile e so, soprattutto, quanto l’opinione pubblica può contare durante un processo di questa portata.» rispose, infervorato. «E ho visto come gli avvocati sfruttano questo fattore, sa? Pregiudizi, ignoranza, scandali, rivelazioni...tutto tira l’opinione pubblica dalla propria parte.»
«E quindi cosa vorrebbe fare, sobillare la popolazione?»
Nel momento in cui pronunciò quelle parole, ne valutò l’idea insita. Si costrinse a nascondere quanto l’allettasse e domandò ancora, acido: «Per quale guadagno, poi?»
L’altro si strinse nelle spalle. «Un anonimo ha fatto una donazione esorbitante perché pubblicassimo questa storia. Se lei, poi, dovesse accettare di concederci l’esclusiva, i vantaggi economici ci sarebbero per entrambi. Senza contare l’impatto mediatico, che gioverebbe alla vostra causa.»
Ratchet sorrise e prese la sua tazza. Si diede dell’ingenuo: avrebbe dovuto ricordare che, prima di tutto, era sempre una questione di soldi.
«...Che male non farebbe.» mormorò. «Ennò, proprio no.» aggiunse a voce ancora più bassa, specchiandosi sulla superficie della kryl.
Ripensò all’ultimo interrogatorio. Era rimasto diciotto ore nello studio del Pubblico Ministero, in compagnia del magistrato e di due testimoni, a mettere in chiaro il ruolo del suo Consigliere, la legittimità della nomina e il suo peso nella faccenda.
Per un istante credette che il giornalista avrebbe potuto davvero aiutarlo. Il suo sguardo brillò, poi si riempì nuovamente di scetticismo. Kroo se ne accorse.
«Almeno dia ai cittadini l’opportunità di sapere. Se non sanno, gli avvocati avranno gioco facile nello sfruttare i pregiudizi. Anzi: lo stanno già facendo.» disse. «Il suo Consigliere non merita forse che le galassie guardino a lei con più rispetto che a una puttana?»
Seppe di aver colpito nel segno. Il lombax s’irrigidì e scattò sull’offensiva in una frazione di secondo.
«Non usi i suoi mezzucci.» ringhiò. «Takami non è la puttanella che tutti pensate.»
Il giornalista vide brillare un lampo verde attraverso le iridi e sentì un brivido risalirgli la schiena.
«Mai affermato che lo sia, signore.» balbettò.
«E pensato?»
Kroo si sentì inchiodare alla poltrona. Si costrinse ad affrontare quello sguardo fremente, ma prima si voltò verso il panorama esterno. Per Ratchet fu più che sufficiente.
«Infatti.» disse, duro e amaro. «Non la conoscete, la vedete giovane e vi viene detto che è il nostro Consigliere. Dunque cosa pensate? Che è lì dov’è perché me l’ha data. Ebbene: non avete capito un cazzo.»
 
“...ebbene: non avete capito un cazzo! Non dovreste decidere conoscendo i fatti?! E allora dovreste indagare sui fatti realmente accaduti, anziché darmi del puttaniere!”
 
Le parole tuonarono nella sua mente e si azzittì di colpo. Senza rendersene conto aveva usato le stesse parole che aveva detto in tribunale.
Si lasciò cadere contro lo schienale della poltrona e prese a massaggiarsi la tempia con la mano libera.
Si rese conto che, se avesse sfruttato l’opportunità, avrebbe potuto dare voce ai fatti. Quelli essenziali, quelli che nessuno voleva sentire perché l’idea di un caso di prostituzione e false dichiarazioni suonava più clamoroso della verità.
Forse non avrebbe scosso le masse, si disse, ma la verità sarebbe stata resa nota.
Alzò lo sguardo sul giornalista, che lo vide fremere di qualcos’altro. Non più solo rabbia, ma una cieca determinazione.
«Sembra che il suo anonimo caschi a fagiolo per tutti e due.» commentò. «Be’, ho deciso di sfruttare l’occasione. Ma ho due paletti da mettere all’accordo.»
Kroo deglutì. Ratchet lo ignorò e andò avanti. «Il primo: devo parlarne con Takami. Mi dia il tempo d’informarla; mi farò vivo io per accordare un nuovo appuntamento con lei. Il secondo: non firmerò l’esclusiva, ma se pubblicherete tutto quello che dirò, parola per parola, senza tagli né censure, avrete la mia parola che terrò lontani gli altri giornalisti. Tutti eccetto lei.»
Il giornalista sgranò gli occhi: quelle condizioni erano pesanti. La seconda, quanto meno. Rivide il suo superiore intimargli di non tornare a mani vuote e s’immaginò affrontarlo nel caso in cui avesse rifiutato la controfferta. L’anonimo aveva promesso una cifra a sei zeri solo se avessero pubblicato, e non c’era certezza che non l’avesse promessa anche ad altri. Perderla avrebbe comportato ritorsioni pesanti.
Guardandolo, Ratchet intuì di averlo messo in una situazione scomoda. Deciso ad arrivare in fondo alle sue condizioni, lanciò il suo ultimatum: «Unica possibilità: prendere o lasciare.»
Kroo sentì la cravatta stringere attorno al collo. Resistette all’impulso di allargarne il nodo mentre la sua mente lavorava a piena forza.
Alla fine emise un urlo ben poco virile: «Accetto!»
 
Quella sera, dopo aver discusso a lungo con Takami, Ratchet contattò la divisione editoria di Canale 64. Ottenne di parlare con Jay Kroo e si mise d’accordo per i primi due appuntamenti. Gli altri li avrebbero presi di volta in volta.
Due giorni dopo, puntuale, il giornalista si presentò di nuovo con l’attrezzatura per annotare tutto ciò che sarebbe uscito dalla bocca di Ratchet.
Non vi fu più un approccio timido: già nel camminare si vedeva che Kroo sprizzasse entusiasmo da ogni poro.
«Ha più o meno in mente cosa vuole raccontare?» domandò entrando in salotto.
Ratchet annuì. «L’inizio, la DreadZone. Le mie “motivazioni da pazzo visionario” sono tutte lì.»
Motivazioni da pazzo visionario. Così l’avvocato che aveva richiesto la perizia psichiatrica le aveva definite.
Kroo non commentò, ma si limitò ad un asciutto: «Molto bene.»
Dispose rapidamente l’attrezzatura, tra cui il lombax notò un estrattore mnemonico. Fu proprio quello che il giornalista gli porse un istante dopo.
«Non voglio una registrazione della sua memoria.» disse. «Per la verità non avrei nemmeno l’autorizzazione per portarmelo dietro, ma ho pensato che avrebbe potuto aiutarla. Lo metta regolato al minimo: la stimolerà a ricordare i dettagli.»
Ratchet guardò il congegno con aria torva. Era una specie di diadema collegato a un tablet, nulla di più. Eppure avrebbe potuto tradirlo in qualunque momento, se avesse voluto omettere qualche parte troppo bislacca della verità che aveva sconvolto la corte. Alla fine si rassegnò: infilò il diadema di elettrodi e accese il congegno, assicurandosi che lo schermo guardasse lui soltanto.
Kroo non si arrischiò a regolare l’estrattore, né a chiedergli di vedere i ricordi. Prese in mano la sua parte dell’attrezzatura – quella che gli avrebbe consentito di mettere per iscritto ogni parola di Ratchet – e si mise comodo sulla poltrona.
«Prego, adesso parta dal principio.»

Let's start!
Questa è, in assoluto, la storia starter della saga. E posso promettere che la DreadZone della Insomniac e la mia saranno differenti; come e quanto è da vedersi. Tanto meglio se avete giocato al videogioco (parlo di quello per la PS2, non quello rieditato per la PS3); ma, se non lo aveste fatto, o se alcuni particolari non vi tornassero, potete usufruire della Ratchet&Clank wiki. In alternativa, ho compilato un compendio. Metterò il link in ogni capitolo; tuttavia, se preferite, sono a disposizione!
 
Prima di chiudere, è d'obbligo che ringrazi tutti coloro che seguono le mie storie. E a coloro che seguono e commentano va anche un abbraccio. È il minimo che possa fare per dimostrare la gratitudine che provo!
Restate sintonizzati!
Iryael

 

   
 
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