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Autore: Abudinbudan    17/08/2012    1 recensioni
Nei libri di storia di Equestria molte pagine sono dedicate alla fondazione del Regno e ad i protagonisti dell'epica impresa: la Principessa Platinum, il Comandante Hurricane e la Cancelliera Puddinghead. Ma cosa successe durante la loro assenza non viene riportato in nessun testo scolastico, perché? Che cosa si celebra veramente durante l'Hearth's Warming Eve e chi erano i Tre Conquistatori prima di passare alla storia? Forsi oggi abbiamo una risposta.
Genere: Dark, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La bufera all’esterno riusciva a rendere confortevole addirittura quel letto che Escher aveva maledetto ogni notte della sua vita negli ultimi dieci anni. Appena era iniziata la crisi pensò subito di essere molto fortunato, visto che la spedizione non sarebbe tornata prima di un mese e lui aveva a disposizione un intero letto da bruciare per scaldarsi, cosa che la maggior parte dei pony del villaggio non avrebbe potuto in alcun modo permettersi. Col senno di poi, invece, fu un bene patire il freddo per qualche giorno in più e non averlo bruciato subito, visto che ora come ora era l’unica cosa che potesse tenerlo in vita, assieme al calore sviluppato dai corpi dei pochi altri pony sopravvissuti all’ultimo attacco ed ora nascosti in casa sua.

Vicino al camino, nel quale l’ultimo ceppo stava bruciando, emanando una luce fioca ma costante, uno stallone, in evidente stato di denutrizione,  cercava di alzarsi sulle gambe striminzite in modo da poter aggiungere una tacca su una lapide fuligginosa appesa proprio sulla cappa del camino. Escher si mise a contare le tacche per non pensare alla sua situazione, ogni oggetto era un possibile detentore di speranza al quale attaccarsi. La scarsità di luce gli fece perdere il conto quand’era arrivato a circa settantadue tacche. Iniziò freneticamente a cercare qualche nuovo passatempo che desse un senso alla sua situazione.
     Fortunatamente, era sempre stato povero, ciò gli permetteva di non aver molte suppellettili a disposizione sulle quali focalizzarsi. Coltello, NO! Falce, NO! Bende, NO! Porta, NO! Ossa, NO! Quadro … sì, ecco tornare la dolce illusorietà della pace, iniettata lentamente dai ricordi. Aveva dovuto lottare strenuamente perché gli altri pony non bruciassero quel quadro e sapeva bene che presto sarebbe successo comunque. Il quadro riuscì a distogliere per un po’ la sua attenzione dalla realtà, tanto che non notò neppure il pony che qualche minuto prima cercava di adempiere al suo compito di “Contatore di Giorni della Spedizione” accasciarsi a terra e venir lasciato morire nella più totale indifferenza del resto del branco, che ormai aveva rinunciato a provare un qualsiasi sentimento diverso dalla paura e dalla fame.

Il quadro rappresentava una veduta dell’orizzonte dall’alto di una montagna, la quale si ergeva da una distesa di nebbia - o forse erano nuvole? - densa e misteriosa. Null’altro, solo un infinito cielo piatto e limpido che procedeva verso il nulla, congiungendosi in lontananza con l’imperfetta distesa brumosa che con la magnificenza del cielo aveva da spartire solo la fine della sua corsa. Il nulla. Il pensiero del nulla lo fece rabbrividire. Sin da piccolo, visto che i suoi genitori lo portavano ogni Giorno del Sole alla Casa di Celestia ad ascoltare il Portatore della Voce, gli era stato insegnato che non doveva temere il nulla, che Celestia avrebbe sempre vegliato su tutti i pony e che quello che veniva chiamato nulla altro non era che un passaggio ad una vita migliore della quale solo i meritevoli di lode avrebbero potuto godere. Ebbene, dov’era Celestia, ora? Perché non vedeva il suo popolo in difficoltà? Tra quanto avrebbe portato quel tanto agognato nulla? Domande inutili, banali e diventate così insignificanti che lo riportarono alla realtà, dalla quale, presto o tardi, avrebbe comunque ottenuto le risposte che cercava.

Riprese a contare le tacche sulla lapide.

Un maledetto pony crollò esanime davanti al camino, rischiando di fargli perdere il conto.

La tormenta continuava imperterrita a schiantarsi a più riprese sulla casupola, come se volesse abbatterla e salvare tutti i pony dalla prigionia. Che male ci sarebbe a lasciarla entrare? Un bagliore di volontà si accese nel petto di Escher per spegnersi, fortunatamente, appena qualche secondo dopo, al ricordo della vista che l’avrebbe aspettato fuori dalla sua abitazione.

Ottantatre tacche, perciò … cinquanta giorni circa dall’inizio della guerra.

Neppure due mesi di ritardo per la spedizione, c’era ancora speranza. Se fossero stati due mesi di ritardo sarebbe stata certamente la fine, ma cinquanta giorni sono un tempo plausibilissimo. Presto sarebbero tornati gli emissari con buone nuove e, magari, abbondanti scorte di cibo. Dopo tutto quello che il villaggio aveva passato, qualche giorno d’attesa cosa poteva mai essere? Qualche morto, ancora un po’ di panico, un paio di tacche in più, ma …
E’ quando si fa attenzione solo ai dettagli che si rischia di perdere la visione d’insieme. Fortunatamente, ogni situazione estrema, se protratta a lungo, porta con se anche la necessità di essere il più lucidi possibile, ciò permette di analizzare ogni modo per fuggire dalla realtà e scegliere la fuga che più di tutte faccia sembrare la disperazione un qualcosa di passeggero, permettendo di sopravvivere almeno sino a sera.

“Vediamo di mettere assieme gli …” la sua voce risuonò roca nel vuoto della casupola, rimbalzando sulle grezze rocce del muro ed attenuandosi contro l’umido soffitto in paglia. Non sentiva la sua voce da settimane, anzi nessuno lì sentiva una voce da settimane, fu sicuramente questo il motivo che spinse tutta la massa deperita di pony ad uscire dalla loro isolata disperazione ed a voltarsi verso Escher e fissarlo, in attesa che finisse la frase e nella nuova speranza che il contenuto della frase fosse la soluzione a tutti i loro problemi.
Distolse lo sguardo, non poteva far sapere ciò che aveva scoperto, sarebbe stato il panico, doveva pensare ad una soluzione prima di parlare nuovamente. Non che prima volesse parlare, gli era sfuggita qualche parola, certo, ma nulla che potesse far capire la gravità della situazione. Un dubbio, atroce come solo un dubbio vitale può essere, gli balenò nella mente: e se tutti lo sapessero già? Se avessero notato anche loro tutti i segni e stessero semplicemente attendendo l’arrivo della salvezza finale? In fondo gli indizi erano evidenti, si chiese come fosse stato possibile non accorgersene sino ad ora.

Tutto combaciava alla perfezione. Come faceva ad esserci della fuliggine sulla lapide, se era posizionata sopra alla cappa? E perché, nonostante il fuoco e la sporadica illuminazione delle varie candele, non riusciva a vedere nitidamente neppure dall’altro lato della stanza? Per non parlare dei pony morti proprio nei pressi del camino e del catastrofico aumento del senso d’impotenza e stanchezza che pervadeva Escher negli ultimi giorni, nonostante dormisse circa sedici ore al giorno e, grazie alle scorte  nello scomparto segreto al lato del letto, riuscisse a tener a bada la fame quanto bastava per pensare e non morire.
       Era ovvio, evidente, inequivocabile, logico … ineludibile. Il camino si stava otturando. Forse a causa della neve, o del ghiaccio, non era importante, l’unica cosa importante al momento era che presto tutti gli abitanti del villaggio di [----]  avrebbero finalmente trovato pace, un finale felice per la più tragica delle storie. Ma questi non erano i piani di Escher. Perciò, prima di dare quella che ora nella sua testa era diventata una buona notizia per gli altri pony, doveva escogitare il modo di scappare da quella casa ed affrontare la bufera, o morire nel tentativo di farlo.

----

 

Cocci di vetrate istoriate giacevano pesantemente sul prezioso pavimento e sopra, dentro o attraverso le lussuose opere d’arte appese alle pareti od appoggiate per terra. Erano immobili. Immobili e con quella calma tipica degli oggetti inanimati, che in qualunque luogo o situazione sembra che siano stati posizionati nel punto in cui si trovano in tempi remotissimi e da lì non si siano mai mossi. Fuori dal tempo e dallo spazio, eterni osservatori dello scorrere del tempo ma mai vittime della caducità connaturata all’esistenza. Migliaia di pezzi, tutti isolati in una loro dimensione, tutti ad attendere che accada qualcosa di nuovo da ignorare. Magari aspettano che un nuovo raggio di luce torni a specchiarsi su di loro, perché loro, forse, la rivedranno, la luce, o che qualche altro pony li nutra nuovamente con quel nettare rosso che tanto elegantemente faceva risaltare i loro magnifici colori e sembrava ridar vita ai frammenti di tante battaglie epiche.
Intanto, attendevano. Osservavano. Immobili, continuando imperterriti a credersi ancora un’unica vetrata e ostentando ancora quella calma tipica degli oggetti inanimati, così indifferenti alla situazione che neppure si chiedevano come fosse possibile che qualche istante prima fossero ritti ed uniti tra una colonna di porfido rosso e l’altra, separati solo da pareti ornate dai migliori quadri e da un corridoio di prezioso marmo verde dalle venature d’un verde più chiaro, ogni tanto calpestato da imponenti statue dallo sguardo fiero, granitico, e maestosi vasi decorati d’ogni periodo e forma, mentre ora rimanevano sdraiati placidamente su qualsiasi oggetto o pony che si fosse trovato nella loro traiettoria, dopo essere stati sbalzati lontano dai loro fratelli a causa di una forza tanto misteriosa quanto poco interessante, per loro.

I pezzi di vetro mancano proprio di sensibilità, ma Etica quello stato di perfetta atarassia doveva ancora guadagnarselo, pur essendo già da settimane sulla buona strada.

I frammenti erano disseminati ovunque, con un breve moto di sguardo controllò nuovamente la zona attorno a lei. Sin tanto che la luce del crepuscolo, già offuscata in buona parte dalla tormenta, glielo avesse permesso, preferiva memorizzare la posizione dei taglienti pezzi di vetro. Sapeva bene che anche una semplice ferita causata da un passo di troppo, magari un’accidentale quanto fatale distrazione nel buio della notte, se non curata in breve tempo poteva portare ad un’infezione e, di lì a poco, in una situazione come quella, alla morte.
Nessuno stava spostando i cocci o aiutando i feriti, tipico dei pony in quel lato del castello. Se solo fosse rimasta dall’altro lato del Gran Salone prima della glaciazione adesso non dovrebbe memorizzare i suoi potenziali nemici, ma starebbe al caldo di un falò di libri, mentre il resto dei superstiti si starebbe riprendendo dopo aver respinto l’attacco. Non sapeva neppure se l’attacco fosse proseguito sino all’altro lato del castello o se il gelo avesse avuto la meglio sui pegasi d’assalto, che comunque sapevano bene, già da prima di partire dalla loro base più vicina, di non avere energie sufficienti per il ritorno.

La sala non aveva perso quasi per nulla l’eleganza che aveva prima della partenza della spedizione. Anzi, ora che si faceva sempre più fitta l’oscurità e l’aria torbida di luce andava a schiarire solo piccole zone isolate dell’enorme corridoio, quel posto iniziava ad avere un aspetto completamente nuovo, brillava di una nuova bellezza oscura. Non sarebbe mai stata in grado di descrivere le emozioni che quella vista suscitava in lei, nonostante di spettacoli cruenti ne avesse visti molti in vita sua, sia prima che dopo l’inizio della guerra.
Eppure quel giorno era diverso. La morte le aveva fatto compagnia per tutta la vita, ma era sempre stata una morte attesa. Come giudice della Corte Suprema del Regno di Celestia, erano state tante le sentenze di morte da lei emesse e non aveva mai evitato di andare a vedere di persona il boia compiere l’atto finale. Non sazia della giustizia pubblica, accoglieva di buon grado ogni invito a partecipare alle dimostrazioni di giustizia privata offerte dai vari nobili; i quali approfittavano spesso e volentieri della possibilità, offerta dalle Leggi Solari, di farsi giustizia da soli in caso di mancanze ed offese gravi, come il tradimento coniugale o la trasgressione di qualche regola del bon-ton a tavola, durante qualcuno delle decine di banchetti  ai quali ogni nobile era liberamente obbligato a partecipare per mantenere la propria condizione di privilegiato.

Ad un tratto un suono molto familiare attirò la sua attenzione, era il rumore di un corpo che cade a terra perché le zampe non hanno più motivo di sostenerlo. In una zona in penombra, una decina di metri alla sua sinistra, esattamente dal lato opposto del corridoio, in corrispondenza della fine del leggero fascio di luce che era riuscito a far breccia da una vetrata distrutta, dopo aver oltrepassato impervi rami d’abete rinsecchiti ma non così indeboliti da non riuscire a sorreggere densi cumoli di neve, era disteso sul fianco destro un pony. Vivo.
Etica non lasciò trasparire il suo stupore per aver visto che qualche nobile smidollato aveva deciso di andare a controllare la situazione, ma a sua insaputa gli occhi sgranati e la mascella penzolante dichiaravano apertamente il suo stato d’animo. Poteva benissimo cavarsela da sola, come aveva sempre fatto, ma la vista di un possibile compagno in quell’ambiente di morte per lei così misterioso e disorientante fece nascere dentro di lei uno strano torpore che, anche mettendoci tutta se stessa, non riusciva a placare in alcun modo. Allora decise di chiamare la speranza panico e lottò per ricacciarla negli oscuri meandri della sua psiche dai quali era venuta. La situazione stava diventando ingestibile per lei, che per tutta la vita aveva avuto a che fare solo con l’ordine e la chiarezza della burocrazia e della morte – una morte falsa, artificiale – ed ora si ritrovava straniata dall’ambiente esterno e preda di dissidi interiori a lei sconosciuti. 

A salvarla dalla speranza arrivò presto la realtà, che si adoperò in ogni modo per far risaltare i rivoli di sangue che defluivano lentamente dal corpo stramazzato, seguendo le linee dei pezzi di vetrata tutto intorno al misterioso compagno che sempre più acquistava nella mentre di Etica la posizione di derrata alimentare d’emergenza, come tutti gli altri cadaveri in quella situazione di stallo indefinito.

Il pony disteso a terra, però, sembrava non voler cedere alla realtà dei fatti, aggrappandosi ostinatamente alla vita e continuando a respirare affannosamente, quasi come se non fosse cosciente delle decine di pezzi frantumati di vetro che le ricoprivano il corpo, penetrandone la carne sotto la sottile pelliccia grigia, inzuppandole di un intenso rosso la criniera che del bianco originale non preserva che il ricordo ed alcune chiazze che sarebbero anch’esse presto state sommerse dal fiume cremisi della vita. Nonostante questo, l'eco del suo respiro dolorante non cessava, risuonando sempre più forte nella sala vuota, sovrastando il rumore della tormenta.
 

Etica aveva trovato il suo passatempo per la notte.

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