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Autore: Zomi    17/08/2012    8 recensioni
Batté con forza il boccale sul bancone, pulendosi le labbra dalla schiuma della birra con un moto di rabbia della mano.
-Un’altra…- mi ordinò con occhi carichi di odio e vogliosi di piangere.
-Uhm…- mugugnai voltandomi verso di lei, pulendo un piccolo bicchiere di gin con uno straccio a quadretti rossi e bianchi -… a parte che non credo affatto che tu abbia l’età per bere, suppongo che tu abbia bevuto abbastanza per stasera…-
Alzò lo sguardo su di me, assottigliandolo e incenerendomi con le sue pupille color nocciola.
-Come hai detto?-
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Nuovo personaggio, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Gender Bender
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ANGOLO DELL’AUTORE:
A 4 persone speciali:
A Yuki 38, compagna pomeridiana di ferragosto, nonostante i chilometri che ci dividano…
A Fior di Loto, sempre presente, con le sue dolci e dettagliate recensioni, nei miei deliri one piecosi…
A MiticaRosa_pessima94, che riesce a farmi ride nonostante la crudeltà degli eventi…
A Nico Robin92, che ancora aspetta, con infinita pazienza, la sua RuRobin a rating rosso (tranquilla sorella: la sto scrivendo…)

Zomi

 
 
  

MOCCIOSA 

 

 
 
Batté con forza il boccale sul bancone, pulendosi le labbra dalla schiuma della birra con un moto di rabbia della mano.
-Un’altra…- mi ordinò con occhi carichi di odio e vogliosi di piangere.
-Uhm…- mugugnai voltandomi verso di lei, pulendo un piccolo bicchiere di gin con uno straccio a quadretti rossi e bianchi -… a parte che non credo affatto che tu abbia l’età per bere, suppongo che tu abbia bevuto abbastanza per stasera…-
Alzò lo sguardo su di me, assottigliandolo e incenerendomi con le sue pupille color nocciola.
-Come hai detto?- sibilò furiosa, stringendo sopra al bancone del mio Bar, i suoi pungi chiusi con forza e rabbia.
-Ehm… suvvia, ti servo l’ultima birra, ma poi è meglio se smetti…- cercai di raffreddare i suoi bollenti demoni rabbiosi.
Non volevo guai.
Già era difficile gestire un Bar da solo, su quest’isola in cui attraccano pirati e militari di tutti i generi, sempre mezzi ubriachi e spesso e volentieri a corto di Berry, non volevo rischiare altri problemi di zuffe o sfuriate da parte dei miei clienti.
Avevo appena sistemato il locale dopo una rissa tra corsari, spendendo un sacco di soldi per arredare e sistemare i danni da essi causati, e non volevo di certo dover ripetere la spiacevole esperienza facendo infuriare ancor di più questa visitatrice dallo sguardo carico di odio e vogliosa di picchiare qualcuno, per scaricare la sua furia.
Le versai ancora da bere, guardandola attentamente.
Era molto bella.
Giovane, occhi grandi e scuri, capelli rosso fuoco lunghi fino a metà schiena, pelle bianca e lattea, un bel tatuaggio blu profondo, una specie di girandola intrecciata a un ramo di mandarini, che s’intravedeva sotto la corta manica della maglia che indossava.
Le riempii il boccale di birra, notando il suo bel davanzale che potevo scorgerle dalla scollatura, e le sue lunghe e bianche gambe piegate sullo sgabello che occupava, coperte da solo un semplice paio di short in jeans.
Di certo non era un pirata, delicata e bella com’era.
Tirai un sospiro di sollievo, riprendendo a pulire i miei bicchieri sul retro del bancone.
I pirati non badano molto a dove si trovano per azzuffarsi e darsele di santa ragione, e quasi sempre, se non era tra di loro che si accapigliavano, era con la Marina, e quella, alla faccia della giustizia mondiale, non paga i danni che causa, lasciando sempre nei debiti e nei guai i baristi come me, cosrtetti a cavarsela da soli per mandare avanti una propria attività.
“Bhè…” pensai ingenuo, spingendo verso la cliente il boccale scintillante di birra dorata “Almeno lei non mi distruggerà il locale se anche dovesse dare di matto per la sua ira…”
Sorrisi, guardandola ancora, perso nell’ammirare la sua bellezza, alzando lo sguardo sul suo viso.
Era un bel visino dolce e delicato, dal perfetto ovale morbido e vellutato.
I grandi occhi risplendevano sulla pelle chiara, e sarei arrossito di’imbarazzo incrociando le iridi caramello, se la ragazza non le avesse puntate, accesa di rabbia e collera, su di me, facendomi tremare.
-Ripeti…-  ringhiò, digrignando i denti.
Sudai freddo, mentre le mani mi tremavano impaurite, reggendo a mala pena il bicchiere e lo straccio che stavo asciugando.
-Ehm…- tossicchia, rimangiandomi i miei precedenti pensieri -... insomma, hai bevuto un bel po’… forse dovresti smettere prima di esagerare…-
-Non intendevo quello…- sbottò acida, fulminandomi con lo sguardo.
Tremai ripensando a ciò che le avevo detto, sperando vivamente che non fosse una dal grilletto facile e che, soprattutto, non avesse con se il su detto grilletto con tutta la famiglia Pistola al seguito.
-Ehm… intendi… intendi quando ho detto che non so se tu abbia l’età per bere?!?- tentai.
Mi prese per il colletto della maglia con forza, strattonandomi al suo livello sul bancone, fissandomi negli occhi con sguardo omicida e furioso.
I suoi occhi, così chiari e apparentemente tranquilli, s’incendiarono di rabbia, mutando il loro naturale color nocciola, in uno di più chiaro e rosato, dilatando al massimo l’iride scura e trapassandomi l’anima.
Deglutii a vuoto, sbiancando per il suo sguardo offeso, pregando ogni tipo di Dio che mi salvasse. Speravo che qualche mia cameriera, intenta a servire gli altri clienti in giro per la taverna, arrivasse in mio aiuto, ma purtroppo quella sera il locale era stra pieno, e ogni mio dipendente era impegnato a volare tra i tavoli per soddisfare le ordinazioni.
Neppure gli altri uomini, seduti ai lati della ragazza lungo il bancone, notarono la sua presa salda e minacciosa su di me, continuando a bere e a sganasciare ridacchianti e mezzi ubriachi tra di loro, nell’afa della sera, che s’oscurava diventando notte.
Tornai a fissare negli occhi la ragazza, che non aveva smesso un solo attimo di fissarmi.
-Secondo te…- parlò a denti stretti, soffiandomi sul viso -... quanti anni ho?-
Mollò la presa e incrociò le braccia al petto, aspettando la mia risposta.
Mi rialzai dalla posa semi sdraiata sul bancone, massaggiandomi la gola segnata dal colletto, stretto al mio collo dalla presa possente della rossa, ponderando bene la mia risposta.
-Ehm… su per giù… 16? 17 anni?!?- buttai lì, tanto per non sgarrare.
In fin dei conti, tutte le donne al mondo si sciolgono compiaciute quando gli viene data un’età adolescenziale, e, sebbene lei ne dimostrasse all’incirca venti, forse dirle che ne dimostrava qualcuno in meno le avrebbe fatto piacere, calmandola. Quanto mi sbagliavo…
Alle mie parole, le sue gote s’imporporarono di furia, e i suoi occhi si dilatarono maggiormente, diventando grandi e scuri come il mare.
-16?!?- strillò contro di me, che indietreggiai fino ad addossarmi alle mensole degli alcolici che avevo dietro alla schiena, terrorizzato dal suo urlo.
-17?!? Ma mi hai visto bene?!?- continuò imperterrita, alzandosi dal suo sgabello nel caos della gente che parlottava, non badando ai suoi schiamazzi.
-Secondo te, questo corpo da favola, sarebbe di una ragazzina di 16, 17 anni?!? Ma sei cieco!!!! Queste tette sode e questo sedere meraviglioso, sarebbero di una ragazzina?!? Ma sei scemo, brutto idiota rincretinito!!!-
Sudai freddo, mentre lei apriva nell’aria le braccia, mettendosi in mostra. La maglietta celeste, fine e scollata che indossava, si arrotondò perfettamente sui suoi seni, gli short in jeans bianchi si ritrassero verso il suo busto, mentre le onde di fuoco che bruciavano tra i suoi capelli, ballonzolarono sulle sue spalle scosse dalla rabbia, rendendola una visione paradisiaca di un inferno infuocato di rabbia.
-Allora?!?- tuonò ancora verso di me.
Deglutii imbarazzato, non riuscendo a spicciar parola.
Un’umida scia di bava mi colava dalle labbra a quella visione e i miei occhi, tondi e fuori dalle orbite, scintillavano ringraziando il creatore di quella visione divina.
-Io ho vent’anni, imbecille …- sbottò, risedendosi sullo sgabello e accerchiando con le mani il boccale di birra, che si stava scaldando sul ripiano in legno lucido. I suoi occhi s’inumidirono infelici, e le sue dolci labbra s’incurvarono in un sorriso triste.
Mi dispiaceva vederla così, triste e sola in mezzo alla cagnara degli altri commensali, che non si accorgevano della sua infelicità. Era un fiore prezioso che gridava in mazzo a un rovo, sperando che qualcuno lo cogliesse e lo ascoltasse.
Presi un profondo respiro e mi avvicinai al bancone, addossandomi con i gomiti al ripiano, guardandola in viso.
Lei fissava la birra chiara dentro al bicchiere, sperando forse che i suoi dolori potessero annegarvi dentro, cancellandosi per sempre. Sospirai e presi coraggio.
-Senti…- esordii attirando la sua attenzione -… non so chi tu sia, ne che problemi tu abbia, ma credo che ti sentirai meglio se ne parlassi con qualcuno…-
Alzò un sopracciglio scettica, abbozzando un sorrisetto ironico.
-E dovrei parlare degli affari miei, con te? Un barista che non conosco e che mi crede una ragazzina?!?- mi prese in giro.
-Io devo starmene qui comunque…- allargai le braccia mostrandole la taverna piena di gente -… e parlare con qualcuno mi farebbe pesare meno il lavoro… e tu, forse, ti sentiresti meglio…-
-Sapevo che i baristi erano impiccioni, ma non così tanto…- sorrise, posando il capo sui palmi delle mani, puntano le braccia sul bancone.
Alzai le spalle ricambiano il sorriso, afferrando lo straccio per asciugare i bicchieri ancora umidi.
-Allora…- presi un bicchierino da liquore dal lavandino dietro di me, iniziano a passare al suo interno un lembo della pezza -… qual è il problema?-
Lei sorrise debolmente, facendo scorrere la punta del suo dito indice sul bordo del boccale che aveva dinanzi, disegnando l’apertura ovale del bicchiere.
-Davvero sembro una ragazzina?- chiese triste.
-No… credevo solo che, darti un po’ di anni in meno, ti avrebbe fatto piacere…  calmandoti un po’…- ammisi, posandomi sul bancone.
-Beata sincerità…- bevve un sorso di birra.
La guardai perdere lo sguardo nel liquido ambrato, mentre mille pensieri le rimbombavano nella mente.
-Sei a bordo di una nave mercantile?- chiesi.
Lei alzò lo sguardo su di me, soppesando le mie parole.
-Perché me lo chiedi?-
-Non ti ho mai visto sull’isola… insomma, non passi inosservata… se fossi di queste parti, ti ricorderei bene…- ridacchiai, facendola sorridere per il complimento.
-Grazie… comunque si, sono la navigatrice di una nave… non è proprio una nave di commercianti, ma di più un manicomio a vele…- ridacchiò.
-Un ospedale navale…?- chiesi, ricordando di altri medici, che con i loro assistenti, solcavano i mari sperimentando cure particolari per i loro pazienti.
-Una specie…- sorrise.
-Capisco… e quindi, tu e i tuoi compagni viaggiate per i mari…- annuì, portando il piccolo bicchiere che stavo pulendo sotto il riflesso della lampada del locale, cercandovi qualche alone -… e uno di questi tuoi compagni, ti ha fatto arrabbiare oggi… giusto?-
Mi squadrò studiosa.
-Sensitivo?-
-No… solo barista…- le sorrisi, incurvandomi verso di lei -… dopo un po’ che fai questo lavoro, inizi a capire le persone con poco…-
La rossa distolse lo sguardo, puntandolo su alcuni rumorosi clienti che bevevano in fondo alla sala, brindando e ridendo sguaiatamente.
-È un idiota...- soffiò riportando gli occhi sulla sua birra -… con lui o si litiga o si litiga…-
Sorrisi, capendo che si stava riferendo al compagno con cui aveva discusso.
-Che ti ha fatto?- chiesi, riponendo il bicchierino e prendendone un altro.
-È uno stupido imbecille… un buzzurro, squattrinato, cretino, scemo, deficiente, imbranato, testa vuota, ominide, gorilla, scimunito e idiota… uno stupido arrota coltelli semi cieco, che non sa far altro che dormire e poltrire… se non dorme si allena, e se non si allena mangia… oh, e se non fa nessuna di queste tra cosa, che fa? Litiga con me, logicamente… si diverte lui, il cretino, a punzecchiarmi, a farmi perdere le staffe… stupido spadaccino dal cranio verde… la muffa ha dentro la testa… è uno stupido Marimo, proprio come dice Sanji…-
-Lo ami, non è così?-
Sbuffò, imbronciandosi, incurvano le labbra in una smorfia seccata.
-Si…- annuì scocciata, bevendo avidamente un altro sorso di birra.
-L’ho capito dalle dolci parole con cui lo descrivevi…- ridacchiai -… e lui? Ti ricambia…?-
Si rabbuiò, accerchiando con le mani il suo boccale, mordendosi un labbro.
-No…- sussurrò.
Alzai un sopracciglio incuriosito.
-Perché? Cosa ti fa credere che lui non ti ami?-
-Per lui sono solo una mocciosa…- mormorò triste, mentre i suoi occhi si bagnavano di lacrime -… e per questo che oggi abbiamo litigato… o meglio, all’inizio era perché lui non voleva accompagnarmi a fare compere sull’isola, ma poi ha iniziato come suo solito a chiamarmi con quel nomignolo stupido e idiota… “Mocciosa non ti faccio da baby sitter…”…- si mosse sullo sgabello tentando di imitare il suo compare, facendomi sorridere -… “Sono uno spadaccino io, non la guardia del corpo di un mocciosa come te…”… ha continuato a chiamarmi mocciosa per  tutto il pomeriggio, finché non ci ho visto più dalla rabbia, e l’ho schiaffeggiato sul ponte della nave, davanti a tutti i nostri compagni, scappando poi via per la collera…-
Si asciugò una lacrima, passandosi il dorso della mano sugli occhi.
-Per lui sono solo questo: una mocciosa… una ragazzina, non una donna quale sono… non vede il mio corpo adulto, il mio sguardo femminile o la mia maturità… lui in me vede solo una bambina…-
Le porsi un panno per asciugarsi gli occhi, che lei afferrò annuendo come ringraziamento.
-Lui non mi ama…- continuò, con la voce più salda ora, guardandomi fisso negli occhi, ancora lucidi, ma orgogliosi nel non voler più mostrarsi fragili e piangenti -… per lui non sono una donna da amare, ma solo una mocciosa…-
Annuii, capendo la sua rabbia e la sua furia per la mia frase di poc’anzi, detta con tanta leggerezza. Le riempii ancora il boccale di birra, per consolarla un po’, mentre cercavo le parole giuste da dirle per rincuorarla.
Smossi un po’ la bocca, fissando quella bella ragazza e le sue pene d’amore, mentre tornava a disegnare, con la punta delle dita, il bordo del bicchiere, reggendosi il capo su un palmo della mano.
-Sai…- mi grattai il mento ispido di barba -… al mondo esistono due tipi di uomini…-
Lei alzò gli occhi su di me, ascoltandomi nonostante la cagnara del locale.
-Quelli che sanno parlare alle donne, e che non hanno paura di dirgli quanto per loro siano affascinanti e belle, e quelli che invece non sanno proprio da che parte iniziare… di quest’ultima categoria, il mare ne è stracolmo…- sorrise annuendo -… ma tuttavia, anche questi uomini, incapaci di parlare col gentil sesso, s’innamorano lo stesso delle donne… e per conquistarle, invece che imparare dai più bravi a parlare, le punzecchiano, ci litigano e gli danno soprannomi impossibili, che invece che farle capitolare ai loro piedi, le fanno solo che arrabbiare…-
Rise, chiudendo gli occhi a mezza luna e allargando le labbra in uno splendido sorriso.
-… quindi, credo che il tuo compagno non ti ritenga solo una mocciosa, ma che più probabilmente appartenga a questa categoria di uomini analfabeti…-
Le strappai un altro sorriso, facendole muovere il capo ramato, che scintillò sotto la luce chiara delle lampade.
-Ti suggerisco di perdonarlo… sia lui che la sua ignoranza… forse, col tempo e una buona dose di pazienza, scoprirai che dietro a quel “Mocciosa”, il tuo compare nasconde mille altri soprannomi intimi e speciali, che solo a te rivolge… e di certo, non a caso… ma che non riesce a dire ad alta voce per vergogna o orgoglio… perdonalo, perdonalo di continuo, e vedrai che ne varrà sempre la pena… in fin dei conti, l’amore insegna ad accettare i difetti più impossibili dell’amato… e se hai accettato la sua… ehm, com’è che l’hai chiamata?!? Testa vuota, zucca ammuffita?!?... bhè, se lo ami nonostante quella cosa lì, amalo anche perchè ti chiama mocciosa… un buon motivo ci sarà di certo, se lo fa…-
Arrossì dolcemente, abbassando lo sguardo sul bancone, mordendosi un labbro tentando di nascondere un sorriso.
-Grazie…- sussurrò, inclinando il capo.
-E di che…- alzai le spalle, allontanandomi verso un nuovo cliente, che avevo appena visto mettere piede nella taverna, facendosi spazio tra la folla -… scusa, ma il lavoro mi chiama… tu continua pure a bere, ma non esagerare…-
Annuì, portandosi alle labbra il boccale.
Sorrisi, camminando verso il nuovo commensale che si era addossato al bancone, pochi metri più avanti dallo sgabello della rossa, spintonando altri ubriaconi seduti al tavolo.
Mi sentivo bene nel aver ridonato il sorriso a quella bella ragazza, e speravo volesse parlare ancora un po’ con me prima di tornare sulla sua nave, in modo da poter godere ancora della sua bella presenza e del suo incantevole sorriso.
Posai lo straccio su una spalla, salutando con un cenno del capo il nuovo arrivato.
-Che ti servo, amico…?- chiesi, prendendo un boccale dal ripiano dei bicchieri dietro le mie spalle.
-Non voglio da bere…- mi fermò alzando la mano -… cerco una ragazza…-
Lo guardai in viso. Era cieco di un occhio, il sinistro, e portava al fianco tre katane.
Indossava un paio di pantaloni neri e una camicia aperta che copriva una pancera verde stretta ai fianchi. Smossi le labbra, soppesando il suo capo verde, sospirando in fine abbassando lo sguardo.
-I bordelli sono in fondo alla via…- gli indicai la strada con il pollice verso, non sorpreso che di nuovo qualcuno avesse scambiato il mio bar per una casa di malaffare. Forse era per via delle bellissime cameriere che assumevo…
-Io non cerco una puttana…- s'infiammò offeso, battendo un pugno sul bancone -… sto cercando una mia compagna di viaggio… è alta più o meno così…- si portò una mano al petto -… capelli rossi, occhi color cioccolato, pelle bianca… ah, è incazzata nera…- aggiunse l’ultimo dettaglio, con un ghigno misto tra il divertimento e il senso di colpa.
Aggrottai le sopracciglia, riconoscendo all’istante la bella arrabbiata nella descrizione del verde. Che fosse lui, l’insensibile ragazzo che la faceva tanto soffrire?
Incurvai la schiena all’indietro, buttano un’occhiata alla ramata, che beveva tranquilla a pochi metri da me, sorridendo sollevata. Lo spadaccino che avevo di fronte, vedendo il mio sguardo indirizzarsi poco più avanti di lui, mi seguì nel mio osservare, notando subito la sua compagna.
-Eccoti mocciosa!!!- ghignò, avanzando di un passo verso di lei. Lo presi per un lembo della camicia a righe che indossava, sporgendomi dal bancone, fermandolo.
-Ti avverto…- gli dissi serio -… sono appena riuscito a calmarla… se la provochi, ti ammazza…-
Mi guardò riflessivo, per poi divincolarsi dalla mia presa e avvicinarsi alla rossa. Non persi tempo, e lo seguii da dietro al bancone, tornando davanti alla ramata, fingendo di tornare a lucidare i miei bicchieri.
Lei, da subito, mi squadrò stupita, ma non appena sentì il pesante tonfo con cui lo spadaccino si sedette alla sua sinistra, indirizzò tutta il suo interesse su di lui. Lo fulminò con lo sguardo, soffiando rabbiosa, per poi voltargli le spalle e non degnarlo di attenzione. Puntai lo sguardo al cielo, pregando che il ragazzo fosse abbastanza saggio da non chiamare la compagna con quel nomignolo che tanto la infastidiva.
-Ehi mocciosa, non è un po’ tardi per te? Dovresti già essere a letto a fare le nanne come le brave mocciose…- ghignò sadico.
Oddio, uno scemo, di fronte a me avevo l’uomo più scemo dei mari. Scossi il capo, capendo bene cosa intendesse la rossa, dicendo che il ragazzo avesse la muffa nel cervello.
La ragazza, comunque, non gli rispose, ignorandolo del tutto. Il verde si grattò il capo fissando la schiena ricoperta di crini rossi di lei, non capendo il suo atteggiamento.
-Non dirmi che sei ancora arrabbiata…- sbuffò infine, posandosi con la schiena e le braccia larghe sul bancone, dandomi la schiena.
Lei non mosse un muscolo, rimanendo voltata a fissare alcuni pirati dall’altra parte del locale. Orgogliosa, era tremendamente orgogliosa, e sebbene avesse capito che il suo compagno la chiamasse a quel modo senza alcun inimicizia, ma anzi celando un sentimento molto profondo per lei con quell’appellativo, lei gli avrebbe tenuto il muso finché non si fosse scusato come dovuto.
Osservai il verde grattarsi il capo sbuffando. Con l’occhio sano mi guardò, e io, senza tante cerimonie, con un cenno del capo, gli indicai la ragazza, spronandolo a parlare con lei. Lui mi guardò stranito, alzando un sopracciglio, per poi indirizzare lo sguardo sulla rossa e notare il suo sguardo triste puntato sul bancone. Si mise seduto composto sullo sgabello che occupava, posando le braccia sul ripiano per sporgersi e vederla meglio in viso.
Notò all’istante le sue labbra incurvate tristemente e i suoi occhi umidi di lacrime rabbiose. Il ragazzo smosse un po’ le labbra, soppesando la situazione, posando le braccia incrociate sul bancone e puntando il suo unico occhio sano sulla rossa.
Sbuffò, mentre io lo seguivo nei suoi movimenti, avvicinandosi maggiormente a lei, forse tentando di parlarle senza farsi sentire da me.
-Senti…- le soffiò brusco, aprendo le mani sul ripiano -… non ho la più pallida idea del perché tu sia tanto arrabbiata con me…-
Il verde le si avvicinò di più, posandole una mano sulla spalla tatuata, cercando di farla voltare verso di lui, ma la rossa si divincolò dalla presa scrollandoselo di dosso.
Il giovane digrignò i denti scontroso, iniziando a parlarle con tono rabbioso e alterato, non rivolgendosi più a lei con tono calmo e basso di voce.
-E dai, mocciosa!!!- aprì le braccia nell’aria, sbottando stanco della situazione -Oggi stavamo litigando come sempre, niente di nuovo… fino a quando non te ne salti fuori con quel ceffone stacca teste senza che io ne capisca il motivo… accidenti, te ne sei andata incazzata nera, ringhiando di rabbia, lasciandomi lì sul ponte come un idiota davanti a tutti i nostri Nakama… capisco che tu sia arrabbiata, che io abbia sbagliato qualcosa, ma almeno, se vuoi che ti chieda scusa, dimmi dove ho sbagliato…-
La ramata, ormai così l’avevo soprannominata per il rosso fuoco dei suoi capelli, non lo degnò di uno sguardo, rimanendosene voltata di spalle a fissare la gente del locale bere e urlare ubriaca. Il ragazzo soffiò iracondo con il naso, ringhiando per il suo temperamento di ghiaccio verso di lui.
La guardava con sguardo corrucciato, sicuro del suo sbaglio, ma non certo della sua natura. La osservava pensieroso, studiando le sue spalle tese e dritte, obbligate ad ignorarlo, il respiro forzato, le mani strette al petto per impedirsi di strozzarlo. Lui vedeva, vedeva la sua tristezza, la sua malinconia, e se ne sentiva colpevole.
Chiuse le mani a pugno, puntando lo sguardo verso la ragazza, digrignando i denti, pronto a battersi con lei pur di chiarirsi. Lo capii subito che anche lui provava un sentimento forte e testardo per lei, ben oltre il semplice cameratismo dei compagni di viaggio, ma qualcosa di più profondo e saldo, simile all’amore che la ragazza curava segreto e nascosto per lui.
Con rabbia, lo vidi sbattere un pugno sul bancone, facendomi tremare, e guadagnandosi un’occhiataccia di rimprovero da lei, che con le braccia incrociate al petto, lo fulminò per il gesto di rabbia.
-OK, ALLORA!!!- gridò scontroso il verde –SCUSA, SCUSA, SCUSA!!!! NON HO LA PIU’ PALLIDA IDEA DEL PERCHÈ TU SIA COSI’ TANTO ARRABBIATA, MA SCUSA!!!! CONTENTA?!?-
La rossa si voltò di scatto verso di lui, battendo entrambi i pugni sul bancone, carbonizzandolo con lo sguardo, facendomi sperar bene che non volesse ucciderlo proprio lì davanti a me.
-Chiede scusa, senza nemmeno rendersi conto del proprio sbaglio, è come pulirsi il culo con i coriandoli…- sibilò acida, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime aspre come limoni -… vattene Zoro, torna sulla Sunny, e lasciami sbollire la rabbia da sola…-
Si rigirò sullo sgabello, posando i gomiti sul ripiano di legno, accerchiando il suo boccale di birra, fissandolo mentre piccole lacrime traballavano sulla cornice delle sue ciglia. La guardai trattenerle con orgoglio, testarda a non voler piangere davanti a lui. Mi avvicinai al bancone e le riempii il bicchiere, guardando di striscio il suo compagno mordersi un labbro.
-Nami…- la chiamò lui, accarezzandole un braccio -… non ti lascio qui… è tardi, è buio pesto e già una quindicina di brutti ceffi ti ha adocchiato in questa taverna…-
Subito alzai lo sguardo dalla rossa, perlustrando i miei ospiti, notando una trentina di occhi fissi su di lei e sul suo corpo formoso, mentre labbra secche e sorridenti con perversione, erano inumidite da lingue lerce e impastate di alcol.
-… e poi, non posso tornare sulla Sunny senza di te… primo, perchè non ho la più pallida idea di come arrivare al porto, e secondo, perché quello stupido del cuoco ha detto che mi avrebbe lasciato a digiuno finché non ti avessi ritrovata… accidenti, per colpa tua stasera non ho cenato…- continuò  il ragazzo, beccandosi una gomitata tra le costole da lei, ringhiante per quella sua ultima frase.
-Quindi, non sei venuto a cerarmi per chiedermi scusa, ma per assicurarti di aver il piatto pieno domani…- sbottò lei, voltandosi a fissarlo negli occhi -… sei un idiota, buzzurro… uno scemo… sai che ti dico?!? Che starò qui finché avrò voglia, gioendo all’idea del tuo digiuno…-
-Nami, sei la solita mocciosa!!!!- sbatté un pugno sul bancone, facendo tremare tutti i boccali che vi erano posati su tutta la sua lunghezza.
-Smettila di fare i capricci, e vieni via con me…- la prese per il polso sinistro, alzandola di peso dal suo sgabello, facendole rovesciare, per il brusco movimento, la sua birra.
-Io non vado proprio da nessuna parte… men che meno con te…- soffiò lei, dibattendosi contro la sua presa.
-Si invece, mocciosa…- strinse maggiormente le dita attorno al polso diafano della ragazza lui. Quella sua presa così ferrea e violenta mi dava fastidio. Nessuno poteva permettersi di essere tanto maleducato e aggressivo con una creatura tanto dolce quanto leggiadra come lei, sebbene la situazione fosse rovente e delicata come quella tra loro due, e che fosse evidente che la fretta di portarla fuori dal mio locale del giovane, fosse solo per paura che qualche losco individuo che l’aveva adocchiata la importunasse.
Presi d’istinto la mia rivoltella da sotto il bancone, scarica certo, ma era lo stesso un ottimo deterrente contro ogni malintenzionato, che avrebbe potuto alzarsi e intromettersi tra i due, aggravando ancora di più la situazione.
-Io non mi muovo, se prima non ti scusi come si deve…- continuava a divincolarsi la rossa, afferrando furiosa le dita arpionate del verde su di lei, tentando di aprirle per liberarsi.
-Ma scusarmi di che?!?- sbottò quello, digrignando i denti.
-DI CHIAMARMI MOCCIOSA!!!!-
All’urlo, il verde mollò la presa sul polso della ragazza, che indietreggiò di alcuni passi, massaggiandosi il braccio informicolito, mentre le piccole lacrime di tristezza, che per tutta la sera aveva controllato, scivolavano lente lungo il suo profilo, bagnandole la pelle diafana, graffiandola crudelmente con cattiveria.
Il ragazzo si sedette con un tonfo sul suo sgabello, fissandola stranito e scioccato.
Infossai le sopracciglia scure, fulminandolo, mentre intorno a loro la cagnara non diminuiva, insensibile alle lacrime della bella navigatrice, lasciandola singhiozzare nel suo silenzio avvolto dal caos.
-Sei un imbecille…- rimproverai lo spadaccino, incurvandomi verso di lui e asciugando con un panno la birra riversa sul bancone, mentre la ramata restava in piedi a piangere con lo sguardo basso -… di un po’: ma sei scemo così di natura, o ci sei diventato crescendo?!?-
Lui boccheggiava disorientato, guardando ad alternanza le lacrime di lei e me, non sapendo bene che fare.
-Idiota!!!- lo scrollai smuovendolo per una spalla –Terra chiama stupido dal cranio verde: ci sei?!? Lei è lì…- gliela indicai piangente e con le mani ad asciugarsi gli occhi umidi -… e sta piangendo per causa tua… ora, se la ami anche solo la metà di quello che ho intuito io, da come la guardi e dal continuo chiamarla “Mocciosa” come appellativo affettuoso, ti conviene consolarla e guadagnare il suo perdono, prima che decida di odiarti per il resto dei tuoi giorni… che, a dirla tutta, mi sembrano in rapida diminuzione, a vedere il carattere suscettibile e colerico della tua bella, pronta a picchiarti senza tante scuse…-
Mi fissò muto e serio, soppesando ogni mia parola, prima di annuire e avvicinarsi alla ramata, ritornando in piedi grattandosi la nuca.
-Nami… e dai… e da… da quando ci conosciamo che ti chiamo mocciosa… insomma io…-
-IO NON SONO UNA MOCCIOSA!!!- sibilò lei, spiegando le braccia lungo i fianchi e incenerendolo con il suo sguardo bagnato –Io sono una donna!!!! Una bellissima, meravigliosa, incantevole donna!!! Non un’insignificante mocciosa!!! Lo vuoi capire o no, una buona volta?!?-
-Nami, io ti chiamo mocciosa, solo perché…- tentò di spiegarsi lui, il che gli fece guadagnare qualche punto a suo favore da parte mia, che ero pronto a interventre per calmare nuovamente la bella ramata e far intascare la verde qualche altro attimo di vita, ma un ubriacone, che barcollando da fondo taverna, si era avvicinato a loro due, lo interruppe, fischiando in direzione della ragazza.
-FIUUUUUUUU!!!!!- si fermò a metà di un passo proprio davanti a lei –Dolcezza, sei meravigliosa!!!!-
Con i suoi piccoli occhietti scuri, il pirata la scandagliò da capo a piedi, leccandosi i baffi a ogni curva del suo corpo, sfregandosi le mani frementi di desiderio di posarsi su di lei, mentre altri tre uomini, suoi compari, si fermavano ad ammirarla dietro di lui, sgranando gli occhi allupati. Il verde ringhiò astioso contro i 4, ma la ragazza non gli badò nemmeno, concentrandosi nel fissare il compagno, in attesa di una sua risposta, asciugandosi gli occhi e irrigidendo le labbra in una espressione seria e scura.
-Buzzurro…- lo richiamò, incrociando le braccia al petto -… finisci di parlar…-
-Ehi, bellezza… molla questa mezza sega e vieni via con me…- le passò una mano attorno alla vita il pirata, attirandosela vicino -… vedrai che ti diverti…-
-Mollami idiota…- soffiò lei, allontanandosi da lui e liberandosi dalla sua debole presa alticcia -… ho altro da fare…-
-Su, su, piccina…- s’intromise un sotto posto del pirata mani lunghe -… lascia perdere certe mezze cartuccia e vai con il mio capitano… altrimenti…- da sotto il soprabito, estrasse una pistola, alzandola verso la gola della rossa.
-Non t’azzardare!!!!- tuonò il verde, che con un colpo della sua spada, sfoderata con agilità incredibile, tagliò a metà l’arma, facendola cadere al suolo con un tintinnio raggelante, che zittì l’interva taverna.
-Come osi, maledetto…- s’armarono gli altri componenti della ciurma di pirati, brandendo fucili e sciabole.
Il loro capitano, ancora intendo ad importunare la rossa, non degnò di uno sguardo il verde e i suoi compari, iniziando a strusciarsi ed ad allungare le mani verso la giovane.
-Su bella… ti insegno un bel giochino: il pirata e la sirena… ti va? Vedrai, che se ti lascia andare, dopo un po’ piacerà anche a te…- provò a sfiorarle il sedere, e io a saltargli alla gola per ammazzarlo, ma lei lo fece volare a qualche metro di distanza colpendolo sul mento con un lungo bastone di metallo blu, estratto dal nulla, anticipandomi. Con espressione scontrosa e seccata, fece roteare in aria la sua arma, fulminando il pirata maniaco.
-A certe schifezze giocaci con i tuoi compari, Okama che non sei altro…- soffiò, facendo ridere il verde, che ghignò compiaciuto. Io deglutii a fatica, ben capendo che una semplice navigatrice, di una nave ospedale per di più, non va in giro per i mari arma, e che di certo quella, nonostante fosse bella come un raggio di sole, era una piratessa, e che pure il so compagno non era di certo un gentil uomo.
Mi acquattai dietro il bancone, mentre altri pirati si alzavano dai loro tavoli armandosi, vogliosi di partecipare all’imminente zuffa per appropriarsi un pezzetto della rossa, accerchiando i due che restavano vicini al ripiano, mentre le mie cameriere scappano terrorizzate in cucina o a rifugiarsi nel retro bottega. Affacciai solo gli occhi oltre il bordo del ripiano, tremante e pauroso.
-Maledetta…- sentì inveire contro di lei il pirata atterrato, mentre si ripuliva la bocca da un po’ di sangue del labbro rotto -… ora ti insegno io a comportarsi come le brave bambine…-
-Io non sono una bambina…- ringhiò lei, battendo la punta del suo bastone a terra, facendolo risuonare metallico e minaccioso.
-La pagherai, troia, per l’affronto al mio capitano…- tuonò un taglia gole enorme, contro di lei, brandendo una sciabola affilata e luccicante.
Il ragazzo dalla zazzera verde si frappose tra lei e l’omone, ghignando alzando la spada contro di lui.
-Ritira quello che hai detto contro la mia compagna… o te ne pentirai amaramente…- soffiò secco e duro.
-Oh ma sentitelo, il ragazzino… mi minaccia!!!!- lo derise con i compagni, ridendo sguaiatamente –E con che vorresti colpirmi, con quel coltellino di spada che hai?!? Oh, che paura!!!! Whahahahaha!!!!!-
Il verde ghignò sadico, e, con solo un gesto con cui rifoderò la katana, alzò un fendente di vento, che si abbatté contro il pirata, che cadde a terra privo di sensi, mentre sulla sua maglia chiara si apriva un taglio di sangue. I suoi commilitoni strabuzzarono gli occhi senza parole, mentre il loro capitano sbiancava impaurito.
-Il solito esibizionista…- soffiò la rossa, scuotendo il capo vicino al compare, che ghignò divertito estraendo due katane su tre che portava al fianco.
-Voi… voi due… voi due la pagherete!!! Te per prima, donnaccia…- urlò il capitano, partendo all’attacco contro la rossa, che fermò il suo fendente con il dorso del suo bastone.
-Tu… spregevole donna…- biascicò spingendo l’arma contro la ramata il lesto fante, faticando un sacco contro la resistenza di lei.
-Visto, buzzurro? Lui lo vede che sono una donna…- tirò la linguaccia al suo compare, che stava affrontando tre sottoposti del capitano.
-Umpf… lo vedo anch’io…- sbuffò, stendendo al suolo tre marinai –Solo che ho i miei modi per dirtelo…-
-Che intendi dire?!?- chiese stupita lei, respingendo tre canaglie con un fulmine apparso dalla punta del suo bastone.
Mi rannicchia dietro al bancone, piangente per i danni che il mio locale stava, ancora una volta, subendo a causa di rabbiosi pirati collerici. Il capitano dalle mani lunghe e dall’occhio lesso, volò oltre il ripiano, atterrando ai miei piedi. Balbettò non so cosa, e io, per la rabbia, lo feci star zitto colpendolo sul cranio con una bottiglia di sherry, che risuonò fragorosa contro la sua zucca vuota. Maledizione, se solo se ne fosse stato zitto, al suo tavolo, ad ubriacarsi da bravo lupo di mare alcolizzato, senza importunare quella bella figliola, nessuno si sarebbe fatto male, me e il mio portafogli compresi…
Molte urla, colpi, fendenti e botte varie dopo, gli unici a restare in piedi nel locale furono la bella ramata e il suo spadaccino dall’occhio cieco, che con disinvoltura e senza tanti problemi, si risedettero al bancone, rifoderando le armi, come se non fossero mai stati interrotti nel loro discutere.
-Allora che volevi dire prima?- si sbrigò a parlare lei, mentre io riemergevo da dietro al ripiano, pallido e confuso.
-Prima quando?- aggrottò le ciglia lui, alzando in aria un boccale di birra rotto, facendo gocciare sulla punta della sua lingua qualche piccola goccia rimanente di birra.
-Prima… quanto stavi per dirmi perché mi chiami mocciosa, e anche quando hai detto che hai i tuoi modi per dirmi che sono una donna…- smosse le labbra lei, porgendogli una bottiglia di liquore, che gocciava dal perimetro del tavolo.
Lui l’accettò ghignando, portandosela alle labbra con avidità e bevendo con gusto.
Io ero paralizzato dall’apocalittica visione del mio bar distrutto che mi appariva d’innanzi: tavoli rovesciati, sedie divelte a metà, cocci ovunque, i lampadari che pendevano scintillando di scariche elettriche dal soffitto, uomini svenuti e sanguinanti sparsi in ogni dove, su sedie, pavimento e tavoli, qualcuno anche a cavallo delle lampade, una finestra rotta per la tentata uscita di testa di uno degli avventori dei due, il capo di un pirata impiantato in un muro e le gambe di un altro che apparivano dal nulla dal pavimento aperto in un buco…
Boccheggiavo senza aria ne parole, e presentivo mille spiritelli fatui alle mie spalle che danzavano al ritmo della mia disperazione.
-Ah…- smise di bere dissetato lo spadaccino, posando sul bancone una bottiglia e afferrandone, ruttando, subito un’altra -… ci voleva proprio una bella bevuta…-
-Ufff!!!! Mi rispondi si o no…- lo tintonò  per un braccio la rossa, aggrappandosi ad esso con entrambe le mani e posando il capo sulla spalla destra di lui. La ragazza dilatò al massimo i suoi dolci occhini da cerbiatta, sbattendo innocente le sue lunghe ciglia, pur di far parlare il compagno. Restai ammaliato per un paio di secondi dal suo sguardo puro e angelico, dimenticandomi del caos demoniaco che aveva appena provocato.
-Uhm…- rimuginò lui, ghignando, avvicinando il viso a quello di lei, posando la fronte contro la sua -… io ti chiamo mocciosa perché per me sarai sempre bella e giovane come una ragazzina di soli 18 anni, come quando t’incontrai la prima volta… ed è il solo modo che conosco di dirti quanto per me tu sia bella e donna, senza usare quelle scemenze insulse e smielose, in stile damerino impomatato di Sanji… e senza scalfire il mio orgoglio di uomo…-
La rossa arrossì dolcemente, strusciando la fronte contro al sua, mentre sorrideva compiaciuta.
-Quindi, per te, io sono una donna, giusto?-
-Si…- annuì lui.
-Una bella donna…-
-Non solo…- abbassò le braccia torno alla sua vita, abbracciandola, mentre lei gli circondava il collo con le braccia morbide e calde.
-E il tuo chiamarmi mocciosa continuamente, sarebbe un insistente dirmi quanto io sia bella e importante per te…- soffiò civettuola contro le sue labbra, sorridendo maliziosa.
-Non approfittarne ora…- la richiamò lui con un ghigno suadente.
-Oh, ma se non lo faccio ora, non avrò mai un’altra occasione per farlo… -e senza altri indugi, lo baciò passionale, sporgendosi dal suo gabello, aggrappandosi a lui e lasciandosi abbracciare dalle grandi e muscolose braccia dello spadaccino, che ricambiò il bacio con passione e ardore, approfondendolo sempre di più.
-Ti amo…- biascicò con la lingua della ramata tra le labbra.
-Ti amo anch’io…- gemette lei, sedendosi cavalcioni sul suo bacino, mentre le mani di lui le accerchiavano il sedere e quelle di lei, invece, lo accarezzavano sul petto nudo, che sporgeva dalla camicia.
Arrossì indecentemente a quel bacio, che minacciava di diventare ben altro, e sul mio bancone per di più, unico arredo rimasto integro dopo il loro passaggio.
-Ehi, ehi, ehi!!!- gli fermai, gridando e muovendo in aria la mia fidata pezzuola –Stop, time out, mettete la sicura alle lingue e anche al resto…- diedi un’occhiataccia allo spadaccino e la suo cavallo di certo in ebollizione -… sono felice per voi due, che vi siate chiariti e che vi siate anche dichiarati, ma avete fatto fin troppi danni per questa sera al mio locale…- roteai un dito nell’aria, facendogli notare il casino in cui si trovavano -…e  vi pregherei, quindi, di andare altrove a sbollire i vostri caldi spiriti…-
Gli esortai ad andarsene muovendo rapidamente le mani, e lo spadaccino, ghignate e divertito, prese in braccio la rossa senza tanti complimenti, scattò veloce verso la porta, scavalcando qualche pirata svenuto, pronto ad andarsene, se non che la ragazza lo fermò, sul ciglio della porta, con una leggera carezza. Alzò il viso verso di me, e con un caldo sorriso mi salutò.
-Grazie di tutto…- sussurrò, prima di scomparire nel buio della strada con il suo amato.
Rimasi sorpreso e senza parole per la sua gentilezza, così inusuale tra i pirati, come la sua delicata bellezza e il suo dolce sorriso. Abbozzai un sorriso, prendendo  in mano scopa e paletta per sistemare il locale, iniziando a ramazzare i cocci di bottiglie e bicchieri dal pavimento.
Pian piano, i miei inservienti riemersero dai loro nascondigli, aiutandomi a sistemare. Buttammo fuori nella strada polverosa i clienti svenuti, dopo aver preso dalle loro tasche il dovuto compenso per la mia ospitalità e accoglienza, più un piccolo extra per i danni.
Fu solo a quel punto che mi ricordai di tutte le birre bevute dalla rossa, e che non mi aveva affatto pagato…
Oddio, staranno state più di una ventina, per non parlare delle bottiglie di Rhum che si era sgragarozzato in pochi attimi il suo compagno dopo aver lottato: una decina abbondante pure quelle. Scossi la testa e presi in mano il lumacofonao, componendo a memoria il numero dell’arredatore, per ordinare gli arredi nuovi per l’interno del bar.
Dannati, pirati ubriaconi… bella coppia che erano… bhè, speriamo che non tornino più… o che almeno, la prossima volta, si comportino meno da mocciosi… 

 

   
 
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