Ashes to Dust.
A c t 1 A s h e s to A s h e
s
“After the
rain arise the sunshine
And all the same I feel weak.”
La piccola Moegi era stata la prima a morire in quella missione.
Le avevano tagliato la testa con un colpo secco e pulito,
e la testa era rotolata sull’erba secca che ricopriva la radura.
L’avevano trafitta con la katana sporca di sangue alla base del collo reciso, e
l’avevano sollevata quasi fosse uno stendardo. Uno
stendardo dagli occhi vitrei.
Qualcuno aveva gridato.
La testa
della Genin era stata gettata da parte, la lunga coda di capelli color carota
sporca di sangue.
L’ennesima
battaglia era cominciata.
.:*~°~*:.
Erano due giorni
che Ino non faceva che ridere di Chouji e del suo stomaco vuoto, ed ogni volta
che Sakura sentiva quella risata, una morsa le stringeva il cuore.
Sapeva che Ino metteva sempre su quella maschera di trucco e bugie, di risate
tanto forzate quanto odiose.
Sapeva anche che il vero problema era che, da poco più di un anno, Ino aveva
cominciato ad adorare letteralmente la piccola Moegi.
Più precisamente, da quando la ragazzina l’aveva presa come modello da imitare.
Le aveva sentite chiacchierare, qualche volta, al negozio di fiori.
“Una
kunoichi deve essere principalmente bella, bella da mozzare
il fiato. Elegante, posata e letale” diceva spesso Moegi, con quella vocina
eccitata “Io voglio diventare come te, sorellona!”
Ino rideva, in quei momenti, con una risata sincera e cristallina.
Contenta di avere – per la seconda volta
– una piccola copia di sé. Quella che Sakura, per tanto
tempo, era stata.
La pettinava come lei, le sceglieva i vestiti, le consigliava ripetutamente di
farsi crescere i capelli, perché i ragazzi ne andavano
matti. Moegi arrossiva, pensando a Konohamaru, e si lasciava acconciare le
ciocche color carota in quella alta coda di cavallo.
“Ah,
Chouji, smettila di lamentarti! Magari puoi mangiare l’erba, no? Riempie lo
stomaco anche quella!”
La risata – quella falsa – le stuzzicò ancora una volta le orecchie
mentre si espandeva per tutto il campo.
Parecchie persone alzarono lo sguardo sul ragazzo robusto e sulla bionda.
Sakura, invece, seduta vicino alla tenda dove riposavano i feriti, chinò il
capo e sospirò mestamente.
Decise che Ino doveva essere davvero distrutta, dopo aver
perso la sua bambola preferita per la seconda volta.
Ma, dopotutto, erano in guerra. In un villaggio
pacifico come Konoha, si tendeva a dimenticare lo scopo originario dei ninja: esperti
nell’arte della guerra, dello spionaggio e dell’uccidere.
Sakura, piuttosto che averlo dimenticato, non ci aveva mai pensato.
La sua vocazione era stata quella di curare, non di uccidere. C’era una grande differenza.
Era stata troppo presa nella sua smania di salvaresalvaresalvare
più gente possibile per notare un particolare piccolo come quello. Era convinta
che anche Naruto non ci avesse mai pensato, dato che il suo chiodo fisso era
sempre e soltanto stato diventare Hokage.
Il ricordo del ragazzo le fece sfuggire un’ulteriore sospiro,
e pensò che sarebbe stata decisamente più tranquilla nel saperlo vicino.
Ma il gruppo, con quella battaglia, si era diviso. Naruto non era rimasto
bloccato dalla loro parte del sentiero.
Perché coloro che non erano stati bloccati
dall’imboscata - e che avevano il gruppo nemico alle spalle - avevano ricevuto
l’ordine di proseguire verso l’obiettivo.
Naruto era andato avanti, così come l’ero-sennin,
Shizune, Sai e troppe altre persone che Sakura non aveva
ancora avuto la briga di controllare.
Era stanca, Sakura, molto stanca: dopo aver curato
tutte quelle persone, non aveva neanche più un goccio di chakra. Sperava solo
di riuscire a riposare quel tanto che bastava per riacquistare le energie.
Tsunade, d’altro canto, era ancora nella tenda e stava medicando il fianco di
Hinata, sotto lo sguardo bianco e passivo di Hanabi Hyuuga. La kunoichi dai
capelli color zucchero filato si sentì vagamente invidiosa, senza alcun motivo
apparente.
La risata beffarda di Ino tornò ancora una volta a
riecheggiare nel campo, distogliendola dai suoi pensieri. Stavolta Sakura non
fu l’unica a sospirare: Shikamaru la seguì a ruota, accompagnando lo sbuffo ad
un borbottio appena comprensibile.
Cercando di distrarsi, lasciò scorrere lo sguardo sulla radura d’erba secca,
nascosta fra gli alberi, per un veloce bilancio della situazione.
Kakashi-sensei, che sembrava solamente molto, molto stanco, era seduto
all’ombra di un albero, assorto nella lettura: aspettava l’ordine per
proseguire. Più in là, Rock Lee si stava allenando con Gai-sensei, sotto lo
sguardo attento quanto curioso di Ebisu-sensei: il
ragazzo faceva tanto di quel rumore che era impossibile non notarlo.
Sakura sorrise, inconsciamente.
Da qualche parte alle sue spalle, sentiva anche l’abbaiare di
Akamaru; ma non si curò di voltarsi per vedere da dove provenisse.
Sapeva che Kiba stava bene, dato la ferita al braccio gliel’aveva curata lei: anche Hana, sua sorella, stava benone. Di lei si
era occupata Tsunade-hime in persona.
All’appello mancava solamente Anko, ma la donna aveva reso nota la sua intenzione
di andar a cercare del cibo commestibile.
Così aveva specificato. Forse per pietà nei confronti del povero membro del
clan Akimichi. Forse perché era affamata lei – non le
interessava.
L’idea di mettere qualcosa sotto i denti aveva un che di paradisiaco.
Insomma, sorvolando Moegi ed una delle kunoichi della squadra medica, il
bilancio era piuttosto favorevole.
Erano sopravissuti ad un’altra giornata: lo prese in atto, sospirò di sollievo
e ringraziò qualunque dio avesse deciso di vegliare su di lei in quel momento.
Poi, a parte – quasi non facesse affatto parte del
bilancio di Konoha - cominciò a cercare distrattamente con lo sguardo l’Uchiha.
Avendo perso gran parte della sua vita immersa in quest’attività, non faticò
molto a trovarlo, abbarbicato su un ramo dell’albero sotto cui
era seduto Kakashi-sensei. Nell’ombra, vedeva un rivolo di sangue colargli dal
taglio sulla fronte - è
risaputo che le ferite sulla fronte, anche se poco profonde, perdono moltissimo
sangue.
Ma Sakura sapeva anche che era troppo orgoglioso per andare
da Tsunade e farsela medicare: e non sarebbe stata certo lei ad insistere.
Lo guardò passare la mano sulla fronte per scacciar via un po’ di sangue. In
quel gesto, quegli occhi color pece incontrarono i
suoi. Per qualche attimo, sostenne il suo sguardo: poi, vagamente irritata, lo
scostò altrove.
Lui fece altrettanto, senza dire una parola.
Non era una persona molto loquace, non lo era mai stata.
Sì, decise: si sarebbe sentita molto più al sicuro e
tranquilla, se Naruto fosse stato lì con lei.
Perché la presenza di Naruto aveva il potere di rendere normale e
addirittura naturale anche la
presenza di Sasuke.
La rendeva sostenibile, vivibile, meno irritante e meno forzata.
Anche perchè Sasuke, da quando era a Konoha, si era
rifiutato di rivolgerle la parola.
.:*~°~*:.
Naruto
aveva finito le imprecazioni per la giornata, ed aveva deciso di limitarsi ad
un più eloquente broncio infantile. Deliberatamente, aveva rallentato il ritmo,
distanziandosi appena dal gruppo più avanti.
Non che fosse preoccupato, per carità. Se avesse cominciato a preoccuparsi, si sarebbe fatto così
tante fisime mentali che la situazione sarebbe sicuramente degenerata.
Era stato molto felice di distanziarsi da Sai e Shino, entrambi in prima fila,
dato che in quel momento non sapeva quanto avrebbe potuto resistere accanto ad
entrambi in quelle condizioni.
O quanto loro – soprattutto Shino – avrebbero potuto essere pazienti in quella
situazione.
Dipendeva dai punti di vista.
Di sicuro lui non si sentiva molto paziente, in quel momento. Per niente.
La tensione era troppa, troppa da sopportare. Sapeva che un’altra imboscata
come quella di prima avrebbe potuto dividere ulteriormente il gruppo. Rimanere
invischiati in un’imboscata, essere vittima di un’imboscata
significava essere in svantaggio.
Essere in svantaggio significava rischiare di non farcela. Fortunatamente, l’ero-sennin era con loro; e lo era
anche Shizune, che avrebbe potuto curare gli eventuali
feriti.
Nonostante tutto, il pensiero tornava sempre a Sakura
e a Sasuke-teme, dispersi nei meandri della vegetazione, da qualche parte, a
lottare strenuamente per salvarsi la vita. Aveva detto a Sakura che l’avrebbe
sicuramente protetta – e aveva accennato qualcosa del genere anche a Moegi, a
dire il vero. E ad Hinata, perché l’aveva vista
talmente depressa che gli aveva fatto un po’ di pena (per qualche arcano motivo, Hinata aveva rifiutato di farsi vedere in
volto per i dieci minuti che avevano seguito quell’affermazione). Forse,
preso dalla foga del momento, aveva detto qualcosa del genere anche al
bastardo, ma non poteva esserne sicuro. Sperava ardentemente
di no.
Poi, da così lontano, non poteva fare un granché.
Si, era decisamente preoccupato per Sakura.
Perché analizzando razionalmente il comportamento dell’Uchiha negli ultimi mesi
– o almeno provandoci, perché di
razionale non aveva proprio nulla - dubitava che il moro avrebbe fatto
molto per salvarla, se fosse stata in pericolo.
E come se non bastasse –
quando non c’è limite al
peggio - Konohamaru non aveva detto una parola da quando i gruppi si erano
separati. Procedeva a passo sostenuto quando erano in
movimento, si fermava a respirare quando si fermavano per riprendere il fiato.
Rimaneva lì, con lo sguardo preoccupato disperso da qualche parte più in là,
dove la vegetazione inghiottiva il sentiero nel buio.
Udon non faceva altro che tirare su col naso, o asciugarselo sulla manica della
casacca.
“Che razza di mocciosi che siete!” li aveva ripresi, poco
prima, forzando una risata. “Moegi starà benone, e quando sentirà quanto vi
siete preoccupati, vedrete come vi riderà in faccia!”
Era riuscito a strappare un borbottio da Udon e una linguaccia da Konohamaru,
che aveva cominciato ad affermare di essere sicuramente più virile di lui –
cosa su cui Naruto dissentiva ardentemente. Avevano bisticciato virilmente per un po’, fino a quando non avevano incrociato lo sguardo di Neji.
Dopodichè,
avevano saggiamente preferito continuare a spostarsi in silenzio.
Naruto concluse di essere stato un grande ipocrita nel prendere in
giro Konohamaru a quel modo.
Ad alta
voce, però, non lo avrebbe mai ammesso.
A/N: E
Stranamente, riprende dalla fine del capitolo 343. Da lì in poi, è totalmente
AU. Ignorerò ogni capitolo che segue è_é” E’ un What
if, se vi pare. Il What if compare nel prossimo capitolo, comunque,
nel quale spiegherò più a fondo ciò che ho trattato più sommariamente qui. Tipo la questione di Sasuke, o la situazione di guerra.
Ah, mi son cercata un plot più impegnativo questa
volta. E mi ha già presa sta fic. Ce l’ho in cassetto da un
mese, il prologo. Risale ai tempi del trasloco. Ora, con le adeguate
informazioni, son riuscita a finirlo.
Ah, non abbiatela a male. Odio Moegi. Anche
Udon e Konohamaru. Ma mi serviva una vittima
sacrificale. Capitemi u_u