Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Nyappy    18/08/2012    4 recensioni
[Seguito della prima one-shot appartenente alla serie, Sacré-Cœur. Spero comprensibile anche singolarmente]
Sollevò ancora lo sguardo e un capannello di persone poco distanti attirò la sua attenzione. Erano tutti ragazzi dai vestiti colorati e ridevano. Si fermò.
Due di loro iniziarono a scendere le scale, andandogli incontro. Non li aveva mai visti e non riusciva a distinguere bene i loro visi, nell’arsura. I due lo superarono; il più alto aveva la mano appoggiata sulla spalla dell’altro, che aveva un viso così familiare – eppure lo aveva ignorato.
Chi era? Lo aveva di sicuro già visto. Incrociò le braccia e si morse il labbro. Dove l’aveva già visto?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Butte de Montmartre'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Place du Tertre

Il sole picchiava sulla sua schiena, scottandogli il collo e mandandogli a fuoco le spalle. Le scale che portavano al Sacro Cuore sembravano infinite, saliva un gradino e ne apparivano altri tre. Invece di avvicinarsi si stava allontanando.
Sbuffò e lasciò a terra la valigetta, proseguendo la scalata. Sempre più lontano, sempre più in alto, irraggiungibile. La gente si riposava  sull’erba, incurante della folle pendenza. Una ragazza prendeva il sole sull’asciugamano e una bambina con i codini coccolava un volpino dal pelo ramato.
I muscoli delle gambe iniziavano a fargli male. Scorgeva a malapena la cupola bianca e le torrette orientali, così lontane da essere indistinte.
Una goccia di sudore gli scivolò lungo la guancia e l’asciugò con la manica della giacca. «Dannazione.»
Sollevò ancora lo sguardo e un capannello di persone poco distanti attirò la sua attenzione. Erano tutti ragazzi dai vestiti colorati e ridevano. Si fermò.
Due di loro iniziarono a scendere le scale, andandogli incontro. Non li aveva mai visti e non riusciva a distinguere bene i loro visi, nell’arsura. I due lo superarono; il più alto aveva la mano appoggiata sulla spalla dell’altro, che aveva un viso così familiare – eppure lo aveva ignorato.
Chi era? Lo aveva di sicuro già visto. Incrociò le braccia e si morse il labbro. Dove l’aveva già visto?
«Martin!»
Si svegliò di soprassalto, in un bagno di sudore. Era al buio nella sua stanza d’albergo, in attesa che il suo appartamento venisse ridipinto e che il linoleum fosse ripulito dal vomito di qualche studente poco impegnato.
Era a Parigi, la sua nuova casa.
Calciò le coperte ai piedi e si mise a sedere sul materasso. Aveva tenuto le finestre chiuse e l’aria era così calda che non gli sembrava nemmeno di respirare. Si alzò di malavoglia e raggiunse le finestre andando a memoria; scostò le tende e le aprì, inspirando l’aria fresca e acre di Pigalle.
Era tornato in quel quartiere solo per lui, solo per rivederlo. I lampioni illuminavano la strada deserta, c’era solo un gruppo di persone raccolte attorno ad una panchina, a spacciare probabilmente. Sotto al Sacro Cuore.
«Che ore sono?» mormorò. Si voltò e raggiunse il letto, colpendo con il piede il comodino. «Cazzo!» Strinse i denti e un toc poco piacevole lo spinse a riaprire gli occhi: gli era caduto il cellulare.
Lo raccolse e premette un pulsante: erano le quattro di mattina ed aveva due messaggi non letti.


Ricordati i macarons :-)
 
Quello era di Giulio, il solito scroccone. Alla fine erano rimasti più che amici; lui, che si aspettava di vederlo almeno alle feste tra colleghi, se l’era ritrovato in casa minimo una volta alla settimana, sbronzo, a “recuperare dalla rottura”. Vivere vicino a dei locali aveva i suoi pro e, in caso di amici ex-amanti come lui, dei contro.

Chiama appena arrivi, tua madre è in pensiero per te. Mi raccomando, se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiamare. Siamo fieri di te :-)
 
Suo padre aveva scoperto la tecnologia. E lo aveva scambiato per uno studente universitario, non un trentenne affermato e con gli studi alle spalle. Rimanere sempre un bambino per i propri genitori era sempre una sensazione strana.
Appoggiò il telefono sul comodino – ormai il piede non gli faceva più male – e la luce di cortesia gli illuminò la mano ed il biglietto da visita vicino.
“Simone Girardi” era stampato vicino al logo dell’azienda; sotto, in piccolo, i contatti telefonici e le due caselle di posta elettronica che usava per il lavoro.
«Meglio tornare a dormire» sbuffò. Il giorno dopo avrebbe dovuto fare un sacco di cose: trasferire i primi mobili già comprati, disfare le valige, salire le infinite scale di Montmartre per cercare Martin.
Per cercare lui.

* * *

Chiuse la porta e si slacciò la camicia. Davanti ai suoi occhi, l’appartamento sapeva già più di umano. L’aveva arredato in modo essenziale, dato che preferiva dividere la spesa nei mesi, comprando secondo le necessità.
Dei tappeti rossi davano colore al salotto, con la TV a schermo piatto nuova fiammante sul mobiletto laccato. Aveva cercato di imitare il suo vecchio appartamento, nero, bianco e rosso. Bianchi erano pavimento e pareti, neri i divani imbottiti e la cucina che aveva montato con le sue mani, rossi i quadri che si era fatto spedire in anticipo e i fiori che gli aveva regalato la dirimpettaia.
«Je ne parle pas français» le aveva detto, conscio della sua pronuncia orribile, e la risposta era stata una risata allegra e qualcosa che suonava come: “Lo imparerai.” O almeno credeva.
Gettò la camicia a terra e s’infilò nella porta nera del bagno, una stanzetta minuscola con l’essenziale e gli scaffali già colmi di dopobarba e bagnoschiuma vari.
Si liberò dei pantaloni, prima di fissare le piastrelle bianche davanti a sé. «La tenda da doccia» mormorò. Se n’era completamente dimenticato. «Merda.»
 
Eppure era a casa. Il frigo era vuoto, in dispensa aveva delle zuppe pronte – bastava solo versare dell’acqua calda – ed era dovuto uscire a comprare una tenda, o avrebbe allagato tutto, eppure era a casa.
Aveva riconosciuto subito quel luogo come suo. Aveva deciso, per la prima volta nella sua vita, i mobili, la loro qualità, la loro sistemazione. Nella camera ci stava a malapena il letto matrimoniale che aveva portato personalmente al primo piano, masticando insulti rivolti alle scale troppo strette e all’architetto incapace che le aveva progettate.
Era a casa. Anche se non parlava la lingua, era stato promosso e trasferito, gli era stata data la libertà.
Aveva comprato un letto a due piazze perché sperava di non stare solo a lungo. Anche se erano passati mesi dal chiarimento con Giulio, non si era ancora abituato, in Italia, ad aprire la porta usando la chiave, a cucinarsi qualcosa in fretta per poi guardare la TV, da solo.
 
Ruotò il pomello dell’acqua calda e le gocce gelate lo fecero annaspare. Stupidi francesi e stupide tubature problematiche. L’acqua si scaldò in una manciata di istanti e lui infilò una mano fuori dalla tenda per recuperare il docciaschiuma. Anche quello sapeva di casa.
Lo versò sulla mano e chiuse gli occhi, lasciando che il getto gli massaggiasse il viso.
Si sentiva un adescatore. Si stava mettendo tutto in tiro per cercare Martin, un ragazzetto che probabilmente si era già dimenticato di lui.
Iniziò a passarsi sulle braccia il docciaschiuma.
Chissà quanti, disperati come lui, si avvicinavano a Martin per parlargli. Aveva un’aria così remissiva, gli occhi così grandi e quelle labbra così rosse, curve in un sorriso serafico che poteva voler dire tutto e niente. I mesi gli avevano fatto dimenticare il suo viso, eppure era sicuro di riconoscerlo.
Acqua troppo calda, ruotò il pomello segnato di blu e questa tornò tiepida.
Lo aveva incontrato per poche ore, gli aveva parlato solo alcuni per minuti, eppure aveva continuato a pensare a lui. Quattro mesi erano più che passati – quindi era amore? Era troppo vecchio per credere di essersi innamorato di un ragazzo incontrato una volta sola.
Eppure le parole scambiate con lui lo avevano messo davanti ad un bivio, lo avevano fatto scegliere. Aveva chiarito con Giulio, poche ore dopo aver amato Martin, e da lì tutto aveva preso un’altra piega. Tutto era andato progressivamente migliorando, forse perché aveva solo bisogno di essere sincero con se stesso.
Strizzò il flacone di docciaschiuma sul petto e iniziò a spalmarlo, sotto il getto leggero dell’acqua.
Lo aveva incontrato solo una volta ed era disposto ad uscire dopo una giornata massacrante solo per cercarlo ancora. Il sogno che aveva fatto non era stato del tutto negativo.
Era ovvio che Martin avesse trovato qualcuno con cui passare le proprie giornate. Bastava solo che trascorresse ancora i propri pomeriggi a intrecciare braccialetti sotto al Sacro Cuore, o nella zona, lui era pronto a cercarlo, ad accettare di non essere importante per lui, ma solo uno dei tanti.
Doveva solo dirgli grazie.
 
Gli ultimi gradini tinti di rosso. Il sole stava calando, ma la gente non accennava a diminuire. Gli ultimi gradini e si sarebbe trovato nel piazzale sotto alla basilica.
Aveva i jeans nuovi e la camicia migliore, blu notte. Si era persino messo del gel – vezzo che riservava solo alle uscite speciali, oltre che al lavoro.
Stava diventando troppo romantico per i suoi gusti, poteva sentire la tensione montargli in gola. Aveva bisogno di deglutire.
“Everything will be just fine” pensò. Aveva già cambiato la lingua del suo cervello, o almeno, ci aveva provato. La tensione continuava a farlo tornare all’italiano.
Cinque gradini. Il brulicare di gente colorata ed urlante non gli faceva vedere bene.
Quattro. Riconosceva il ragazzo biondo con i rasta seduto vicino alle scale, con la chitarra sulle ginocchia. C’era anche lui il giorno che aveva incontrato Martin.
Tre. Ma lui non c’era.
Con un’unica falcata raggiunse il piazzale. Il biondo era sempre lì, Martin no. Forse aveva cambiato zona, pur rimanendo nelle vicinanze. Deglutì, ma il groppo in gola non sparì.
I ricordi avevano reso molto più romantica la sua figura. Sì, il tempo aveva migliorato il tutto. Probabilmente Martin era un figlio di papà che aveva deciso di ribellarsi, per passare una primavera alternativa lontano dagli studi. Ma un ragazzino viziato avrebbe mai potuto guardarlo così dolcemente quando gli accarezzava la guancia e basta, quando gli sussurrava in francese parole dal suono dolce e dal significato nascosto? No.
«Fanculo» sbottò lui, rimboccandosi le maniche della camicia. Quei pensieri da ragazzina non gli piacevano, lo rallentavano e basta. Aveva Montmartre da setacciare.
 
La pioggia aveva lavato via tutti i turisti. Le pietre del Sacro Cuore erano davvero più bianche con l’acqua, eppure c’era pochissima gente ad ammirare il miracolo; gli ombrelli enormi con le punte che riflettevano i lampioni erano davvero pochi.
Lui si avvicinò alle scale, con un groppo allo stomaco. Non l’aveva trovato. Magari aveva cambiato zona o città, era tornato a casa, aveva messo la testa a posto ed aveva iniziato a studiare.
«Mon frère, que faites-vous sous la pluie?» La voce sconosciuta lo fece girare. Era il biondo con i rasta di prima, che si riparava dalla pioggia con la custodia della chitarra sulla testa.
«English» replicò lui, asciutto. Non che non avesse capito la domanda originaria, masticava abbastanza lingue romanze da comprendere, ma voleva una comunicazione decente. Ed era stato fortunato, per quanto lo sciovinismo fosse dilagante, bene o male era sempre riuscito a cavarsela con l’inglese.
«All right, che fai lì tutto solo sotto la pioggia?» gli domandò il ragazzo.
«Nulla. Io ti ho già visto» rispose lui.
«Probabile. Le ragazze sanno di trovarmi sempre qui, tutto il giorno, a cantare per loro.» Il biondo gli si avvicinò e gli sorrise, ebete. Aveva gli occhi arrossati – notevole, però, anche se si era fumato erba, il suo inglese non ne risentiva.
…ehi, aveva detto tutto il giorno?
«Non è che per caso conosci un certo Martin? Girava qua attorno a fine marzo, inizio aprile.» Gli era venuta un’idea. «Era sotto le scale, lì» allungò un braccio per indicare alla sua destra «e intrecciava del filo di ferro. I suoi braccialetti erano una trappola mortale
«Oh, c’est–» il biondo strinse gli occhi. Stava cercando di metterlo a fuoco? Aveva un’aria perplessa. «Sì, lo conoscevo. Piacere, Philippe.»
Il gocciolare si era fatto più intenso e lui era zuppo. Gli sembrava di essere sotto la doccia da tanto pioveva.
«Simone» si presentò lui a sua volta, pronunciando il proprio nome all’italiana  come l’altro aveva fatto alla francese. «Posso chiamarti Phil
L’altro scrollò le spalle. «Quella di Martin è una storia lunga e io ho freddo. Potremmo bere qualcosa in un bar…?» propose l’altro. Dalla custodia della chitarra scendevano dei rivoli d’acqua che sembravano zampilli. Stupidi francesi e stupide previsioni del tempo false.
«Spero tu non mi stia abbordando. Ho almeno cinque anni in più di te» rispose lui, inarcando un sopracciglio.
«Mon Dieu, je… no, fratello, guarda, a me piacciono le ragazze e basta» chiarì Phil con vigore, annuendo.
«Bene, perché a me no. Giusto per mettere le cose in chiaro
Sorrise quando l’altro fece una smorfia ebete ma non ritirò l’offerta-richiesta.
 
«Tu mi vuoi dire che ti aspettavi ancora di trovarlo dopo mesi?» Phil spalancò gli occhi da sopra la sua tazza di cioccolato bollente. Aveva ordinato un alcolico dal nome strano, ma Simone non aveva voglia di pagare per renderlo ancora più fatto di quanto già non fosse. Due cioccolate erano più che sufficienti.
«Beh, sì» ribatté lui, incrociando le braccia.
Erano finiti all’interno di un costosissimo bar quasi deserto, con i camerieri annoiati che chiacchieravano al bancone e lasciavano che le tovaglie, fuori, s’inzuppassero.
Phil bevve un sorso e storse la bocca. Era troppo caldo, così si sarebbe distrutto la lingua. «Fratello, la prima volta che l’ho visto ho pensato: “Questo è morto.”»
«Perché avresti dovuto pensare una cosa simile?» Simone prese la propria tazza in mano e soffiò sopra la superficie tesa della cioccolata.
«Non l’hai visto?» Phil aveva i baffi. Si scostò un lungo rasta dal viso e riprese a parlare, velocemente. «Sapeva di morte. Lo avvolgeva, tipo aura. Tu credi nell’aura?»
«No, non ci credo. Ma quando l’ho visto non ho pensato certo che fosse già morto. Sono sano di mente, io» aggiunse lui in italiano.
«Beh, morto in senso positivo, intendo.» Phil annuì e si sistemò sulla sedia. La luce soffusa del locale rendeva la sua testa bionda simile a quella di un angelo, con le perline che scomparivano, affogate nei rasta. «Nel senso, era come se avesse già passato tutto e nessuna brutta cosa lo toccasse. Come se avesse raggiunto il culmine e avesse la pace negli occhi. Quella pace la vedi solo nei cadaveri o nelle statue dei santi.»
«Hai un’ottima padronanza della lingua anche se ti sei fumato… cosa?»
«Due canne, roba leggera» fu la risposta. Ottimo tentativo di minimizzare, purtroppo fallito. Aveva già visto cosa poteva fare una canna su un ragazzetto – nello specifico suo nipote.
«Non hai risposto alla mia domanda, comunque
Martin non poteva essere avvolto da qualcosa che non fosse la vita, era immortale. Simone riusciva ad immaginarselo ancora giovane, vicino alla propria proiezione curva, con i capelli bianchi ed il viso straziato dalle rughe. Come una statua, Martin sembrava una creatura eterna.
«Ok. Diretto e brutale: l’hanno seppellito due mesi fa
 
Ehi, Simo, com’è quando il mondo ti crolla addosso e quella sensazione che ti porti dentro nello stomaco esce ad unghiate dalle tue viscere?
Gli artigli della realtà sono belli, lo sai, affilati e lo sai.
Non speravi davvero di trovarlo dopo mesi, vero?
Sì, invece.
Cresci.
 
«Dove. Where. Tell me where.»La sua voce era rimasta ferma. Si era solo frantumato un po’ dentro, anche se non conosceva davvero Martin; era rimasto con lui solo una manciata di ore ed una notte. Non aveva il diritto di sentirsi male per la morte di uno sconosciuto.
«Yeah, e secondo te lo so.» Phil bevve un altro sorso di cioccolata e sbatté gli occhi. «So solo che l’ho trovato assieme ad un mio amico, eravamo fatti e pensavamo stesse dormendo, aveva l’abitudine di addormentarsi ovunque e farsi fregare i soldi
Lui non distolse lo sguardo. Stava fissando il centrotavola all’uncinetto, fatto a mano, simile a quelli che la madre si ostinava a regalargli per le feste. Era bianco, intrecciato in modo abbastanza complesso. Era interessante da guardare. «L’hai lasciato morire?» Sollevò lo sguardo giusto per intercettare l’occhiata cupa di Phil.
«Ehy, bro, ovvio che no. Era già morto. Credo che avesse battuto la testa, era tutto scomposto, pioveva come stasera.» Lanciarono assieme un’occhiata fuori dalla vetrina, ricoperta di gocce di pioggia. «Pensa che Raymond ci ha fatto pure i soldi, ha venduto le foto ad un giornaletto e non ha scroccato ai ragazzi per settimane
«Gli avete fatto delle foto?» Lui strinse le labbra, reprimendo l’impulso di mostrare i denti, come un animale.
«Le vuoi vedere?»
Serrò la mascella alla proposta. Quello era spregio di tutto quello che Martin aveva cercato di essere. Non poteva vedere quelle foto, rispettava i morti. Eppure, eppure, una vocina nella sua testa, tanto dolce e suadente, gli diceva che non c’era nulla di male nel volerlo vedere.
Avrebbe potuto setacciare tutti i cimiteri di Parigi in cerca della sua lapide, con le poche informazioni che aveva – i senzatetto venivano seppelliti? – o guardarlo lì, nei suoi ultimi istanti di cadavere.
«E’ una cosa macabra» cercò di opporsi, ma Phil lo fissò con gli occhi a mezz’asta, chiedendo una traduzione con lo sguardo. «Non fare l’idiota, questo lo capisci anche tu» gli disse Simone, secco.
«Hai un cellulare?» domandò l’altro.
Lui annuì.
«Con internet?»
Se lo sfilò dalla tasca e rimosse la custodia protettiva che lo aveva fatto sopravvivere alla pioggia. Toccò lo schermo e cambiò la lingua, impostandola in inglese, per poi passarlo a Phil.
«Oh, merci» lo ringraziò questo, iniziando a trafficarci. «Raymond, questo mio amico, ha un sito che usa come portfolio per i suoi lavori» gli spiegò.
Gli aveva evitato di rispondere.
«Ecco qua.» Phil gli passò il telefono e lui lo girò lentamente in mano.
Martin era sdraiato in modo scomposto sulle pietre della strada, con la testa riversa e le braccia nude spalancate. Le collane erano ingarbugliate sul suo petto, sulla casacca a righe che indossava, ed i pantaloni erano zuppi, appiccicati alle sue gambe raccolte.
Il telefono gli sfuggì di mano e cadde a terra, ma quell’immagine si era impressa a fuoco sulla sua retina. I capelli erano un groviglio scuro sopra la testa, le sue labbra erano schiuse e pallide.
Un cadavere lavato dalla pioggia.
«Ehy, are you alright? Well, of course not, but… bro, cheer up, I bet he’s happy now. Don’t make me feel so insensitive.»
Le parole di Phil scorrevano, estranee.
Era in lui, era cosciente, era troppo vecchio per piangere e troppo stanco per farlo, ma sentiva un peso trascinarlo giù. Era costretto a chinare il capo e curvare le spalle.
«I mean, he always had this very sad look that made you feel so great when you made him smile, but–»
«Shut up, please.»
No, forse non era troppo vecchio per sperare che tutto gli scivolasse addosso in poco tempo.
«Alright, but can I ask you something?»
«Dimmi.» Il cervello tornò a ragionare in inglese e la concentrazione che serviva alla lingua scacciò una piccola parte di dolore.
«Cos’era lui per te?»
Quella era una bella domanda. Un punto a Phil. Le parole uscirono fluide, da sole, veloci. «Un punto di svolta. Il primo che mi ha fatto riflettere su me stesso e mi ha fatto vedere tutte le bugie di cui mi circondavo.»
Un pilastro immortale che alla fine era solo un ragazzo. L’aveva idolatrato per tutti quei mesi nella sua memoria, mitizzandolo, allontanandolo, ma Martin era carne come lui.
Ed era morto perché nessuno lo aveva aiutato come lui aveva fatto con gli altri.
«Oh.» Phil si nascose dietro i resti della sua cioccolata. «Non sapevo che andasse anche con gli uomini
«Ti importa
L’altro sembrò ponderare la domanda per un po’. «In realtà no» rispose.
«Bravo ragazzo. Chiedi il conto ai pinguini, e non fare quella faccia. Ho già detto che pago io.»
 
Quella sera Simone tornò a casa zuppo. Gettò i vestiti a terra e indossò il pigiama sulla pelle umida, non aveva la forza di farsi nemmeno una doccia. Il cellulare squillò, ma era nell’altra stanza, dentro i pantaloni, troppo lontano per essere raggiunto.
S’infilò sotto le coperte e appoggiò una mano sul secondo cuscino.
Era da solo in un letto per due, ma non lo sarebbe stato ancora per molto.
Si era riscoperto attaccato alla vita solo quando aveva visto il cadavere del suo primo amore, aveva lasciato respirare il proprio cuore giusto in tempo per farlo crescere ancora. Per ricostruire bisogna abbattere.
Non era troppo vecchio per innamorarsi di nuovo.

La foto usata come base del banner è di Emilie Wood. Questa storia è il seguito di un’altra, Sacrè-Cœur, e credo sia indispensabile leggere la prima per capire questa. Simo è tornato ed è cambiato. Non l’ho scritto nelle note dell’altra, quindi recupero in questa: il personaggio di Martin è basato su un ragazzo che ho davvero incontrato sotto la basilica. Le descrizioni lo ricalcano alla perfezione, ma la maggior parte delle interiezioni è ovviamente di fantasia, così come il nome che gli ho dato. Quando l’ho visto la prima volta, ho pensato: “E’ bellissimo ed è morto.” Ho quest’abitudine di appuntare su un taccuino tutte le cose importanti che mi succedono e, beh, lui ha preso sei facciate.
 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Nyappy