Prologo
Ho 7 anni .
Quella mattina mi alzo,
e come sempre, controllo che tutto sia
a posto: mobili al loro posto, piatti integri, muri puliti. Tiro un
sospiro di
sollievo vedendo che tutto e’ alla normalità, e
m’incammino verso la cucina.
Mia madre si alza. Soffoco un urlo.
“OK,
bravissima. Ora dimmi cos’è che ti ha spaventato
tanto di tua mamma.”
Tagli. Ha la
faccia piena di tagli e
graffi. “Maddy,
buon giorno angioletto
mio”. Si avvicina per baciarmi, ma io mi scosto per tutto
quel sangue che ha
sulla bocca. “Che
cos’hai fatto?”,
biascico con voce tremante. Per un secondo mi sembra di vedere un lampo di comprensione e
sgomento negli
occhi della mamma, ma dura solo un attimo. Il suo sguardo ritorna
subito a
fissare il vuoto, assente.
Capitolo 1
Non
so perché ho deciso di rinvangare questa
storia. Anzi, sarebbe più corretto dire una parte della mia
vita: la mia
infanzia. I ricordi portano solo
dolore, ma la verità è che ne avevo bisogno,
bisogno di ricordare, di
condividere con qualcuno la bambina con il cuore che sanguinava e gli
occhi che
piangevano.
La stanza
d’attesa è
confortevole: delle
poltroncine nere sono disposte vicino alle pareti, su dei tavolini
moderni sono
poggiate delle riviste, nell’aria c’è un
vago odore dolciastro. La luce è
confortevole e bassa. Insomma, tutto è disposto per farmi
rilassare, ma non
riesco a calmarmi. Una graziosa ragazza che avrà la
metà dei miei anni mi dice
sorridendomi che il dottore mi sta aspettando. Mi alzo, e per un attimo
tutto
gira, e il cuore perde un battito.
Sei anni . Solo
sei. Mi resi conto
di come era realmente mia madre
a quest’età.
Sono a casa che
gioco con i miei
fratelli; la mamma è andata a fare compere, almeno
così ci ha detto. Mio padre
mi ha chiesto di portare giù la spazzatura. Sto scendendo i
gradini di marmo
grigio, quando mi accorgo che alla porta di uno dei miei vicini
c’è una donna
accovacciata, come se si fosse abbassata per
osservare meglio qualcosa. ”Mamma che fai? ”. Si
gira di scatto: ha uno sguardo
impaurito, gli occhi sgranati, come se avesse visto un fantasma.
“Mamma va
tutto bene sono io, Maddy ”. Si alza di scatto, e mentre lo
fa mi accorgo che
si sta tirando su le mutande. Se ne va di corsa su per le scale. Sto
per
andarmene quando mi accorgo di una macchia scura sul tappeto dei
vicini, puzza.
Un’idea mi si affaccia nella mente, ma la respingo subito. Ho
paura, paura di
ammettere quello che gli occhi hanno visto. Corro, corro,
giù per le scale,
fuori dalla strada, per la città. Tornerò quando
è buio e ogni luce è scomparsa,
quando i miei occhi non
saranno più in
grado di vedere.
Lo studio
è
accogliente: mobili in mogano, libri in ogni angolo, oggetti bizzarri
sparsi un
po’ ovunque. Ma la mia attenzione si sofferma solo per
instante
sull’arredamento, poichè viene immediatamente
catturata dall’uomo che siede per
terra, nel grande tappeto rosso disteso sul pavimento. Mi da le spalle,
e credo
sia in una sorta di meditazione: non
mi
ha sentito entrare. Cerco di attirare la sua attenzione tossicchiando,
ma lui sembra
non sentire nulla. Mi avvicino, e con un dito gli batto la spalla:
“Dottor
Hooking, ehm.. sono Madeline Giste.. ”Appena percepisce il
mio tocco,
trasalisce e si gira di scatto con gli occhi sgranati. “Ah si
mi scusi.. lei
deve essere la mia nuova paziente. Prego, si sieda pure.. ”. Mi ci
vogliono alcuni secondi per riuscire
a formulare qualcosa di sensato: lo psichiatra che mi trovo davanti,
che avevo
dipinto nella mia mente come un vecchio barbuto e con gli occhiali,
è un
giovane di all’incirca 25 anni, con bellissimi occhi azzurri
e capelli corvini.
Mi rendo conto che il mio sguardo si sta
fermando un po’ troppo a lungo sul suo viso,
quindi cerco di darmi un
contegno. “Si.. grazie… ho cercato di avvisarla,
ma sembrava non sentire..”
biascico. “Ah, mi scusi di nuovo, ma è come se
fossi in un’altra dimensione,
quando penso..”. Ha una voce calda e sicura, che non si
addice al suo aspetto
appena maturo: sembra raccogliere l’esperienza e la saggezza
di un anziano. Aspetto
che si alzi per iniziare questa seduta, o qualunque cosa stia per
andarmi a
cacciare, ma non si muove. Dopo
alcuni
minuti in cui io faccio di tutto per non mostrarmi imbarazzata e il mio
sguardo
saetta da lui alle mie scarpe, ai miei interessantissimi braccialetti e
ai
quadri antichi; si
accorge che sto
aspettando che si sieda almeno su qualcosa sollevato da terra.
“Io rimango
seduto qui, non si preoccupi.” E mi mostra un sorriso
rassicurante, di quelli
che gli adulti fanno ai bambini per convincerli che non
c’e’ nessun pericolo,
che si possono fidare. E stranamente, quel caldo sorrido giovane e al
contempo
saggio riesce a calmare quel nervosismo che mi attraversa il corpo come
una
scarica.
Cerco goffa
qualcosa su cui sedermi, e opto per una comoda poltrona in pelle nera,
dai
braccioli lunghi e dall’aria consumata. “Ho letto
nella cartella che mi hanno
dato che ha avuto un’infanzia un po’ difficile..le
andrebbe di parlarmene?”.
“Ecco,
vede.. non riesco a raccontare quello che ho vissuto..
E’che.. e’ come se ogni
volta che cercassi di rinvangare quella storia qualcosa mi bloccasse la
mente,come se un muro difendesse i miei ricordi.. ” e dietro questo ci fosse solo buio e dolore,
vorrei aggiungere.
“Sa’,
anche
io ho avuto un’infanzia difficile. Mio papa’ era un
uomo violento, e ogni
tanto, quando c’era qualcosa
che non gli
andava, predeva in mano il bastone da passeggio e iniziava a picchiare
tutto
quello che incontrava in casa. Mia madre, invece..’
E
cosi’,
paradossalmente, mi racconto’ tutta la sua vita. Da quando
era un bimbo magro, stravante,
che giocava a fare l’esploratore; a quando si
laureo’ in psichiatria. Seppi che
era stato adottato all’eta’ di dodici anni,
poiche’ il padre lo maltrattava.
Nonstante questo pero’, era riuscito a costruirsi una vita
con la nuova
famiglia che l’aveva preso in custodia.
Anche
se alcune notti, disse mentre un
improvvisa ombra calava sui suoi occhi limpidi, incubi terribili
tornavano
ancora a fargli visita, non permettendogli di dimenticare.
15 anni
Sto cercando di
evadere. Cerco di
allungare le ore di scuola, di
passare interminabili pomeriggi a giocare a pallone, o a correre tra
l’erba
alta fino a sera; tutto pur di arriva a casa il piu’ tardi
possibile. Questo
pomeriggio pero’, non me la sento di
stare fuori a giocare: dei grossi nuvoloni neri si stanno addensando
nel cielo,
e inoltre ho una grossa macchia di fango sul mio vestito nuovo causata
da mio
fratello Aaron. Percio’ mi dirigo a passo spedito verso casa,
ovvero quell’
lugubre e vecchio palazzo a sei piani in cui temporaneamente dormo.
Apro il
portone di casa, mi
fermo e faccio un
profondo respiro, cercando di prepararmi a quello che
dovro’ affrontare una volta entrata.
Perche’
le sento gia’ ora, le
urla. Trattengo
l’impulso di fare dietro front e di tornare fuori: qualcuno
deve mettere a
posto la situazione; e non mi va che sia
di nuovo Aaron, che l’ultima volta si
e’ preso tutti gli insulti e i
pugni da solo. “Sono a casaaa” dico a voce alta,
cercando di dare un’
intonazione allegra alla mia voce. Mia
madre sta urlando qualcosa, a proposito dei vicini. Mi avvicino piano
alla
cucina per cercare di capire la conversazione. “ Noah perche’ non
mi vuoi credere!! I vicini,
quei bastardi, mi hanno buttato tutta la biancheria a terra; e mi hanno
preso
pure il mio vestito preferito!! Basta, devi fare qualcosa... o
finiranno per
entrarci in casa e rubarci tutto ” urla, disperata.
“Amore
ascoltami..i vicini non hanno
rubato niente. Quel vestito l’hai perso l’estate
scorsa, non ricordi? E la
biancheria sara’ sicuramente caduta a causa del
vento..” Mio
padre le si avvicina
per cercare di
calmarla, di toglierle di mano quel piatto che sta
per lanciare. Lentamente ma con decisione le
prende il polso per bloccarla, ma lei si libera dalla presa con forza.
“No!!
Non capisci..”. Con
rabbia lancia lontano
il piatto di porcellana, che si rompe in alcuni pezzi facendo un
fracasso
incredibile. “Vado a chiamare la polizia. Questa storia deve
finire una volta
per tutte”. Era stata mia madre a parlare. “ Nooo
!! Mamma!!” Le vado incontro
correndo, cercando
di sbarrarle la
strada per arrivare al telefono. “Maddy, per favore, lasciami
stare.” Dice
trattenendo a stento la rabbia. Ma io non mollo, non le
permettero’ di fare
venire la polizia qui, di fargli controllare la casa.. Potrebbero
accorgersi
che c’e’ qualcosa che non va, e a quel punto ci
separerebbero.. No, non posso
permetterlo. “Non li senti??? Stanno sempre dietro la nostra
porta. Complottano
qualcosa contro di noi, contro di me.” Avvicina la bocca al
mio orecchio e
bisbiglia : ”Vogliono uccidermi, Maddy. Li ho sentiti.
”. MI guarda con occhi
pieni di decisione e rabbia.”Vuoi permettere questo? Vuoi
questo per tua
madre?”.
“No..
Ma mamma prima devi cercare di
calmarti..Ai vicini ci penso io ok? Tu ora calmati e.. cucina la cena
va
bene? ”
La guardo dritto negli occhi, cercando
di trasmetterle sicurezza.
La cosa
funziona, e dopo alcuni secondi in cui mi fissa indecisa, decide di
lasciare
perdere. Si dirige verso i fornelli, preparandosi a cucinare
l’ennesima pasta
al pomodoro di tutte le sere. Cammina
pestando i piedi, imbronciata
come una bambina. Ma almeno, tralasciando i cocci sul pavimento,
nessuno si e’
fatto male questa volta.
E’ in
questi momenti che ho imparato
che bisogna invertire i ruoli, se si vuole sopravvivere. Che dovevo
crescere in
fretta, e diventare la mamma della donna che mi aveva dato alla luce.
Me ne andai
da quello studio stravagante quando
ormai il sole era tramontato, e una leggera brezza fredda soffiava tra
le
fronde degli alberi. Avevo tolto un peso che prima mi impediva di
respirare
completamente : nonostante non avessi parlato di me, non avessi cercato
di raccontare
qualcosa della mia infanzia, sentivo di aver condiviso una parte di me,
una
delle parti piu’ oscure, con una persona che poteva capirmi.