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Autore: SayuriShinee    19/08/2012    0 recensioni
Taemin, in seguito a un tentativo fallito di togliersi la vita, si trasferisce a casa di Jinki, un suo lontano parente. Qui conosce Minho, che da subito mostra un forte interesse nei suoi confronti.
Ma Taemin nasconde un segreto. Un evento della sua infanzia che lo ha portato a desiderare la morte.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minho, Quasi tutti, Taemin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Our colors

 

Colonna sonora:http://www.youtube.com/watch?v=ZDBzl4M_B5A

 


 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

“Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo.

Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero.

Ma su un punto non c'è dubbio.

Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.”

(Kafka sulla spiaggia - Haruki Murakami)

 
Prologo 

 

C’era un’ombra sul suo cuore. Un vuoto palpabile, reale, terribilmente crudele. Quella consapevolezza di essere incompleto, di non riconoscersi, di aver perso se stesso insieme a tutto ciò che aveva.

Lee Taemin, diciannove vissuti con fin troppa tristezza e ferite mai richiuse sul cuore. Aveva occhi scuri e impenetrabili, celati sempre dai lunghi capelli chiari che gli ricadevano di fronte al viso ogni volta che teneva lo sguardo chino. Nessun amico, nessuna ragazza, nessun conoscente. Lee Taemin era solo, lo era sempre stato e credeva che sempre lo sarebbe rimasto. Un ragazzo troppo pallido e troppo fragile perso in un mondo che non riconosceva come suo, come casa. Un ragazzo di diciannove anni che non sapeva cosa vuol dire divertirsi, confidarsi con un amico, sapere di poter contare su qualcuno.

Questo era Lee Taemin.

Il taxi procedeva lento lungo una strada, non sapeva neanche quale e in realtà non gliene importava granché. Da mesi, ormai, non gli importava più di niente. Era come se il tempo si fosse fermato, come se la sua vita si fosse fermata. Con inesorabile lentezza la sua esistenza aveva pian piano perso tutti i colori e, senza che se ne accorgesse, si era ritrovato in un mondo in bianco e nero, privo di sfumature. E, a dir la verità, nella sua vita il bianco e il nero c’erano sempre stati, solo che se ne stavano nascosti in un angolino del suo cuore pronti ad uscire al momento più opportuno.

“Siamo quasi arrivati” lo informò il tassista. Lui non rispose. Non sapeva neanche perché alla fine avesse accettato. Certo, non gli avevano lasciato molte alternative. Non poteva più continuare a vivere da solo e aveva dovuto trovare qualcuno da cui trasferirsi, cosa che lo aveva irritato parecchio. Non voleva essere un peso per nessuno. In fondo, neanche lo conosceva, lui, questo Lee Jinki, perciò era rimasto tremendamente sorpreso nel sapere che aveva accettato di ospitarlo in casa sua. Era il figlio di una sua lontanissima prozia e, tra le altre cose, da quanto ne sapeva, era stato adottato dato che la donna non poteva concepire figli. Perciò non erano neanche parenti. Cosa lo aveva spinto ad accettare? Sbuffò. No, non gliene importava assolutamente nulla, perché se ne sarebbe andato dopo una settimana o due. Non voleva che qualcuno provasse pietà per lui. Nessuno si era mai neanche degnato di rivolgergli la parola ed ora questo Lee Jinki di cui non aveva mai sentito parlare accettava addirittura di ospitarlo in casa sua, pur sapendo ciò che aveva cercato di fare.

Sbadigliò annoiato.

Certo che era strana come cosa.

***

 

Stavano facendo colazione tutti insieme, come ogni mattina. Era una sorta di tradizione, un rito per iniziare al meglio la giornata, nonostante fossero già le dieci passate. Stavano parlando del più e del meno, tra risate e scherzi ormai familiari, quando qualcuno suonò al campanello. Lee Jinki lanciò un’occhiata sorpresa al piccolo orologio affisso sulla parete della cucina.

“Che sia già qui?” mormorò tra sé e sé, poi si rivolse agli amici e gli fece un sorriso di raccomandazione.

“Cercate di essere gentili con lui”.

Non che non lo fossero, ma data la situazione bisognava dirle certe cose. Si pulì i lati delle labbra cesellate con un tovagliolo e si alzò dal tavolo, poi raggiunse la porta di casa e l’aprì. Ciò che vide non fu nient’altro che un ragazzino esile, pallido, forse troppo, tremante sulla soglia della porta con una valigia in mano. Teneva lo sguardo fisso sul pavimento. Inizialmente Jinki trovò la causa di tale visione in una certa timidezza, ma presto dovette rendersi conto che, più che timidezza, si trattava di indifferenza. Quel tipo di indifferenza che, forse, sarebbe meglio definire perdita di qualsivoglia interesse per la vita.  Perché era questo il perenne, immutabile e inevitabile stato d’animo di Taemin.

Il tempo si era fermato.

La sua vita si era fermata.

I colori erano scomparsi.

“Ciao, tu devi essere Lee Taemin” esordì Jinki con voce calda e dolce, sorridendo affettuosamente.

Si limitò ad annuire.

“Ti aspettavo per le quattro di oggi pomeriggio”.

Alzò le spalle.

“I medici mi hanno dimesso stamattina e si sono raccomandati di venire subito qui. Ma non preoccuparti, toglierò presto il disturbo”.

Jinki sgranò gli occhi con preoccupazione. Non poteva permettere che se andasse. Anche se lo conosceva da soli tre minuti, sentiva nel profondo del cuore che era suo compito proteggerlo.

“No, no, quale disturbo! Noi siamo molto felici di averti qui”.

Taemin gli rivolse un’occhiata confusa.

“Io… credevo che vivessi da solo”.

Non voleva avere a che fare con le persone. Già vivere in compagnia di un altro ragazzo era per lui fonte di irritazione, non era ammissibile che dovesse dividere l’appartamento con altra gente.

“E invece siamo in quattro. Ma entra, così te li presento” rispose con gentilezza Jinki, poi gli prese la valigia e lo invitò ad entrare in casa.

Taemin rimase da subito colpito nell’osservare i colori vivaci delle pareti e dell’arredamento del soggiorno. Sembrava che l’appartamento fosse stato vittima delle pennellate di un pittore disattento. Sul piccolo tavolino proprio di fronte al divano si trovavano delle cornici che racchiudevano allegre fotografie di quattro ragazzi sorridenti e, in un paio, di due di loro che si baciavano dolcemente. Taemin si sentì spaesato e anche un po’ infastidito. Non voleva far parte di tutta quell’allegria, di quella spensieratezza, di quell’amore. Voleva solo restare da solo.

“Ragazzi, vi presento Lee Taemin. Come sapete da oggi vivrà con noi” esclamò Jinki, quando arrivarono in cucina. I tre ragazzi sorrisero e si alzarono per presentarsi.

“Ciao, io sono Kim Jonghyun, piacere di conoscerti” disse con entusiasmo un ragazzo dai ribelli capelli castani. Il suo sorriso era così sincero che Taemin rimase nuovamente stupito.

“Io invece sono Kim Kibum, la sua dolce metà” rise un altro ragazzo. Aveva lisci capelli dorati e occhi fin troppo profondi, secondo l’opinione di Taemin. Come si potevano avere occhi così profondi? Così vivi?

“E io sono Choi Minho. Vedrai che ti troverai bene qui” si presentò infine il terzo ragazzo. Aveva folte sopracciglia scure e delle dolcissime fossette ai lati delle labbra piene e rosee. Taemin gli rivolse un’occhiata curiosa. Minho sembrava essere un tipo molto particolare, speciale avrebbe osato dire. Era la prima volta che qualcuno suscitasse in lui un briciolo di interesse e ciò lo sorprese.

Forse, in fondo, c’era ancora speranza.

“Bene, ora che vi siete presentati, dobbiamo trovare una sistemazione a Taemin” disse Jinki battendo le mani in segno di allegria, poi rifletté qualche secondo e riprese: “Potresti dormire in camera mia, che ne dici?”.

Taemin si limitò ad annuire.

“Può dormire in camera mia, così avrà una stanza tutta sua. Tanto io mi sono trasferito in quella di Jonghyun” intervenne Kibum, stringendo il braccio di Jonghyun con fare affettuoso.

Il volto di Jinki si rabbuiò.

“Ma no… è… c’è poca luce! Non va affatto bene!” farfugliò con fare nervoso, sforzandosi invano di sembrare naturale. Kibum gli lanciò un’occhiata interrogativa.

“In questo caso credo sia meglio che dorma da me. Tu fai sempre tardi a causa del tuo lavoro, Jinki, e rischieresti di svegliarlo nel cuore della notte” disse Minho con un grande sorriso a dipingergli il volto solare. Jinki annuì sollevato. Era di vitale importanza che Taemin non restasse mai solo.

“Hai perfettamente ragione. Bene, allora se per Taemin non ci sono problemi, direi che è deciso” esclamò soddisfatto, poi posò con affetto una mano sulla spalla del nuovo arrivato e riprese: “Perché non dai un’occhiata alla casa, mentre noi sparecchiamo la tavola?”.

Taemin annuì e lasciò la cucina.

“Jinki, cosa ha che non va quel ragazzo? Ci hai detto che ti hanno chiamato da un ospedale, ma a me non sembra affatto malato” domandò Minho con fare pensieroso.

Jinki sospirò e rivolse lo sguardo a terra.

“Ragazzi, non vi ho ancora parlato del motivo per cui Taemin si trova qui. Lui…  lui ha tentato il suicidio per la seconda volta quest’anno. Per questo si trovava in ospedale. Si è tagliato le vene. I suoi genitori sono morti sei mesi fa in un incedenti d’auto. I medici si sono raccomandati di non lasciarlo solo, per questo prima ho inventato la scusa che in camera di Kibum c’è poca luce”.

I volti dei tre ragazzi si velarono di tristezza.

“Deve soffrire molto” sussurrò Kibum e cercò le braccia di Jonghyun, che subito lo strinse a sé in un caldo abbraccio.

“Sei davvero troppo sensibile” sorrise affettuosamente.

Minho sembrò riflettere a lungo, poi i suoi occhi neri brillarono di determinazione e il suo volto tornò solare come sempre.

“Mi prenderò io cura di lui. Vedrete, lo renderò di nuovo felice” esclamò con entusiasmo. Non sapeva spiegarsi il motivo di quella decisione, ma qualcosa, qualcosa che forse non era altro che il suo cuore, gli diceva che quel ragazzo aveva bisogno di lui.

 

***

 

Autrice: Salve gente :) Forse alcuni di voi ricordano la prima versione di questa storia, dal titolo "Don't cry boy". Ho deciso di ripostare i primi due capitoli in quanto voglio dare alla storia un'impronta diversa, spero possa piacervi :) Fatemi sapere con una recensione ^^

 

 

  
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