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Autore: Love_in_idleness    03/03/2007    2 recensioni
Due storie diverse intrecciate tra loro per una strana, irresistibile Legge delle Ambivalenze.
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Credo siano passati due anni dall

NOTA DELL'AUTRICE: *Eh-ehm* Credo siano passati due anni dall'ultima long story shonen-ai che scrissi su questo sito. In realtà ho molta vergogna e molti dubbi su questa storia: a- perché ha poche paranoie rispetto alle precedenti; b- perché è molto romantica, e io non so scrivere cose romantiche; c- perché le mie storie mi sembrano sempre noiose Y____Y...

Devo dirvi un paio di cose. I capitoli sono ventidue, mi sembra, e sono già stati scritti tutti. Non so ogni quanto posterò, ma posterò, perché io odio quando non riesco a finire di leggere una storia. La vicenda si snoda su due coppie molto diverse tra loro, introdotte in due momenti diversi. Volevo inserire diverse visioni dell'amore, una più equilibrata, l'altra un po', come dire, angst... ma mi sa che ho caricato troppo sul melenso u____u. Ditemi voi.

Very Important Thing: Nel testo troverete ripetuta ossessivamente questa frase: Without Contrary is no Progression, ovvero Senza Contrasti non esiste Progresso, di un certo William Blake, e, come dice il titolo, è la chiave di lettura. Mi sembrava giusto puntualizzarlo. Per il resto, non fate caso a certi sproloqui sull'Arte. Ho molte idee mie. Saltatele, sono noiose. Non so nemmeno come ci sono finite nella testa di Lelio.

Buona Lettura ^_^

Giovedì sette Dicembre,

Una nevicata; un bigliettino; troppi caffè; una riflessione disarmonica e l’Equilibrio Cosmico spezzato in molte parti.

I.

La strada era immacolata ai suoi occhi. Un velo di neve copriva magicamente ogni dettaglio del parco sottostante la finestra contro cui Lelio era stancamente appoggiato, stendendo una sorta di letargo onirico sopra la terra. Lelio amava molto l’inverno – freddo, puro, distaccato, gelido. In molti versi si riconosceva nella sua intima solitudine e nella maniera in cui creava distanze tra le cose, sommergendole di contrasti tra la luce ed il buio delle notti precoci. Quella mattina stava per sorgere il sole. Di lontano, presumeva, sulla linea dell’orizzonte, l’alone lattiginoso delle mattine di Dicembre incendiava il paesaggio dei colori dell’aurora. Lui non li poteva vedere – scorgeva solo le sagome dei palazzi stagliati contro il cielo di una Metropoli che cominciava a svegliarsi dal lungo oblio notturno, e i riflessi di quei raggi fantasmagorici proiettati sul manto di neve compatta. Avrebbe desiderato uscire e stare al freddo il più presto possibile. Sospirò, scivolando ancora di più contro il vetro che si appannò del suo fiato formando una traccia di circonduzioni fantasiose e di disegni astratti particolarissimi.

“Cea. Siamo di nuovo in ritardo. Ti prego.” Sembrava distrutto.

“Cosa? Cosa, ti prego –“ Mircea rispose dal bagno.

Lelio sentì qualcosa di pesante cadere sul pavimento, o qualcuno, presumibilmente qualcuno, cioè Mircea, e pensò che quel sottilissimo filo che lo sospendeva ancora sopra un mare di pace e contemplazione della bellezza scintillante dell’inverno si fosse spezzato, e l'avesse fatto precipitare di nuovo nella sua piccola tragedia quotidiana. Erano le sette e mezza del mattino. Lui era stanco. Avrebbe solo voluto dormire, o per lo meno vagheggiare con la mente in quello stato che è simile al sonno, e che appanna la realtà di una certa quantità di incoscienza, di obnubilamento e di fantasia.

“Sono pronto, sono pronto, sono pronto, prontissimo e non siamo in ritardo e dov’è il mio caffè?” Cea entrò in cucina correndo. Davvero Lelio non si spiegava come anche di mattina, prestissimo, trovasse le forze per essere così disordinato.

“Il tuo caffè. È freddo.” Era sempre più rannicchiato contro il vetro.

“Oh, ti sei svegliato male?”

Ora Lelio si voltò. Pesantemente. Lo squadrò coi suoi occhi verdi e chiarissimi per l’albore della mattina e sibilò che doveva parlare piano. “Sveglierai la belva feroce.”

Mircea impiegava sorprendentemente venti minuti per alzarsi dal letto ma solo cinque per prepararsi. In realtà trascinò Lelio in ascensore e finì di rivestirsi mentre scendevano. Sul vialetto, di nuovo immerso nella sua beatitudine e nel silenzio delle desolazioni antelucane, a Lelio sembrò di riguadagnare calma e serenità. Il parco era spoglio e deserto, tranne per loro due, che camminando tracciavano una scia caotica sopra la coltre bianca uniforme.

“Ha nevicato questa notte. Che bello.”

“Cea, non lo devi necessariamente dire tutte le volte che nevica.”

“Sai cosa farò ora?” Lo guardò. “Ti ignorerò per tutta questa fantastica, meravigliosa, incredibile, entusiasmante giornata, e non permetterò al tuo pessimismo abissale di rovinare l’Equilibrio Cosmico della mia vita brillante.”

“Perfetto.” Lelio alzò le spalle. Si accese una sigaretta perdendosi con la mente nel nitore della camminata, mentre il vento gelido batteva sulla sua pelle scuotendolo di brividi e di strane sensazioni di libertà e leggerezza.

II.

Quando Mircea tornò in classe, trovò un bigliettino sopra la Linea-di-Demarcazione che aveva tracciato sul banco per ricordare a Lelio con precisione dove finisse il suo territorio, e fino a dove si potesse azzardare a guardare per non spezzare la precarietà dell’Equilibrio Cosmico. “Ha violato la Legge dell’Equilibrio Cosmico!” Esclamò guardando il foglietto ordinato invadere il suo spazio.

Il bigliettino diceva:

Data la tua insofferenza e le tue escatologiche previsioni di cedimento di qualche assurda membrana cosmica, poterò il mio potere altamente distruttivo altrove, e precisamente in qualche posto ombreggiato giù nel cortile, con qualche persona dolce e gentile dai capelli neri e dagli occhi verdi di sesso femminile e decisamente innamorata di me che non passi tutto il tempo a ricordarmi quanto instabile sia l’universo se io sono di cattivo umore.

Perdona il disagio, Cea, sacerdote della Suprema Armonia Universale.

Mircea ripiegò con cura il biglietto prima di cestinarlo, annotandosi mentalmente: e chi se ne frega. Due minuti dopo era in cortile. Scese di corsa tre rampe di scale e si guardò intorno cercando disperatamente con lo sguardo lei, la seduttrice, l’ammaliatrice, la strega dalle lunghe ciglia svolazzanti. “Giulia!” La fermò sorridendo – perché Mircea sorrideva sempre a chiunque dalle altezze vertiginose del suo buonumore perenne –.

Lei si voltò sbattendo vagamente le ciglia. “Sì, Cea?”

Cea si impose di chiarire a Lelio, quando l’avesse visto e quando il pericolo di collasso dell’universo fosse cessato, che Giulia non era affatto innamorata di lui, ma di qualsiasi ragazzo che fosse minimamente bello. “Hai visto Lelio?”

Lei sembrò un po’ delusa. “Non devi sempre rincorrerlo, sai.”

“E’ lui che semina le bricioline.”

Lei ci pensò un attimo. “E’ andato a prendersi un caffè.”

Era prevedibile, considerata la dipendenza di Lelio da nicotina e caffeina. La salutò gentilmente e ripercorse al contrario le solite tre rampe di scale fino alle macchinette di erogazione automatica. Cea lo poteva scorgere anche tra una folla di gente ammassata e rumorosa – alto, slanciato, i lunghi capelli neri raccolti ordinatamente dietro la schiena in una coda perfetta, bellissimo anche visto da quella posizione. Il suo fascino dark spandeva un’aura magnetica attorno alla sua persona. Arrivando fugacemente, Mircea si accorse che molti lo stavano guardando.

“Lelio!” Gridò dal pianerottolo. “Fine delle ostilità!” Dichiarò.

Lelio si voltò, - eccoli i suoi occhi verdi tanto penetranti! – Pensava lanciandosi su di lui. “Scusa-scusa-scusa!”

“Cea non c’è bisogno di saltarmi addosso in mezzo a tutte queste persone!”

“Non sei arrabbiato con me, vero?” Cea sbatté gli occhioni azzurri irresistibili.

Lelio lo abbracciò teneramente. Era una sensazione che non si spiegava, ma di cui non riusciva a vergognarsi. Lui era sempre grave e scostante, piuttosto di cattivo umore, riflessivo, distaccato, immerso in contemplazioni intelligibili e, genericamente serio. Serio con qualunque altra persona che non fosse lui. “No,” Gli sorrise.

III.

C’erano due persone che Lelio amava sopra ogni altro nella sua vita, ed erano Mircea e sua sorella Ottavia. Mircea, perché si conoscevano fin dal giorno in cui erano nati; Ottavia perché nonostante abitassero in due case differenti, in due quartieri differenti, e si dividessero i genitori in maniera equa, erano riusciti a mantenere un contatto strettissimo e affettuoso. In realtà Lelio si considerava molto vicino alla misantropia, e sicuramente un misogino. Se erano pochi i ragazzi che stimava, praticamente nulle erano le ragazze con cui aveva un dialogo che andasse oltre la provocazione.

Mircea era il suo esatto contrario, a volte pensava, la sua compenetrazione, la sua controparte, il bilanciamento del suo microcosmo. Gli sembrava impossibile che dopo tutto il tempo trascorso assieme, dopo diciotto anni di quasi-convivenza, avessero potuto sviluppare idee radicalmente opposte nei confronti del mondo. Se Cea era caotico, Lelio era ordinato fino a livelli maniacali. Se Cea era costantemente allegro e spensierato, lui si rabbuiava per cose da nulla e pensava tanto, troppo. Se Cea sorrideva sempre bonariamente e voleva bene a tutti senza farsi influenzare, lui non sopportava più della metà delle persone che conosceva e con cui doveva interagire. Se Cea era un equilibrio perfetto e solare, lui era gli estremi della passione portati allo sfinimento. Nonostante queste differenze abissali ed incolmabili, gli voleva bene con tutto il cuore. A volte pensava di amarlo come un secondo fratello. Non stava particolarmente bene. Non era felice perché non era soddisfatto. Questo Mircea lo vedeva, sentiva il suo movimento continuo, la sua spinta ed il suo slancio verso una situazione migliore, la tensione che scorgeva la Felicità, senza mai afferrarla, senza mai capirla. Proiettava timidamente i suoi limpidi raggi di sole.

“Sapevo che si sarebbe ingelosito. Sono andato da lei solo per dirle dove trovarmi. Ho lasciato una scia per essere seguito. È morboso, secondo te?”

“Dipende.” Lei guardò fuori dalla finestra con una certa preoccupazione.

“Lo adoro e basta, Ottavia.”

Un’altra pausa caffè. Lelio si nascondeva dietro l’armadio del corridoio per non essere trovato fuori classe dal suo professore di filosofia che continuava misteriosamente ad andare avanti e indietro.

“Sì! Lo sai come la penso. Siete fatti l’uno per l’altro e vi volete bene e vi amate e starete insieme tutta la vita felici e contenti, no?”

Lelio la trafisse con lo sguardo di ghiaccio. “No.” Ammise. Chinò il capo.

“O, come si dice, – without contrary is no progression. Voi siete la legge dell’ambivalenza. Tout court.”

Lelio sembrò assorbire per un secondo quelle parole. “Tu sei ossessionata.” Scosse la testa, appoggiandosi contro il muro del corridoio. Guardò il cielo che era rimasto bianco e che gli trasmetteva nell’animo solo una profonda sensazione di vuoto, un bisogno inconfessabile di qualche riempimento superiore. Si sentiva malinconico e triste. Non capiva nemmeno perché. L’ansia, quello strano senso di soffocamento interiore, lo colpiva di tanto in tanto quando, pensieroso e sconvolto, si perdeva nella sconfinata immensità dei suoi pensieri come in un naufragio dell’intelletto.

“E’ strano sai,” Gli disse lei. “Tu sei bello, intelligente e fortunato. Dovresti essere felice.”

“Dovrei.” Scosse la testa. “Ma c’è un’inquietudine che mi lacera dentro. Una paura di non so quale cambiamento.”

“Mm.” Lei scosse la testa. “Capisco.”

Veramente Ottavia capiva sempre tutto.

___

Martedì ho passato l'esame della patente! Ok, era solo teoria, ma ero gasatissima e ho deciso di postare questa cosa che giaceva ignorata da mesi tra i miei documenti.

Presentazioni: Io amo il nome Mircea. E' un nome sconosciutissimo, ne ho contati due in tutta la Storia, il fratello di Dracula (sì, si chiamava così) e un certo Mircea Eliade, uno studioso rumeno di religioni ed esoterismo. Infatti è un nome slavo, deriva da 'mir', che in russo vuol dire 'pace'. Mircea è qualcosa di biondo, chiaro, buono, scintillante, un po' tonto a volte, lento e incasinato in tutto ma tanto tanto dolce e carino, insomma, è il polo positivo. Lelio è più complesso e non ve lo sto a raccontare. E' un esteta, ed è quello che incarna di più il mio pensiero. Per quanto riguarda Ottavia... oddio, spero di non aver creato una Mary Sue! Lei sa tutte le poesie a memoria, e a volte bisogna interpretarla perché parla per citazioni. Come me conosce un sacco di ragazzi bellissimi a cui piacciono i ragazzi bellissimi, per questo è ossessionata dallo slash e cerca con tutte le sue forze di fare innamorare Mircea e Lelio. Ne è proprio convinta. Il Cerbiatto, detta Giulia, per quanto vi sembri strano è un personaggio vero, una mia compagna di classe che noi chiamiamo Piccolo Cervo perché sbatte le ciglia che sembra Bambi. E' una ragazza simpatica, ma a volte sbatte le ciglia un po' troppo... E la Belva... Beh, la Belva la incontrerete. E' il dio del tuono...

Commentate, grazie ^___^ Al prossimo capitolo.

   
 
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