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Autore: Yumeji    19/08/2012    2 recensioni
“… ma sta piangendo!?” si domandò scioccato, raramente l’ungherese si era mostrata in una simile situazione a qualcuno, troppo forte e con un orgoglio da maschio mancato per permetterselo. Ancora meno, probabilmente, avrebbe voluto mostrarsi cosi a lui, con cui aveva combattuto cosi tante battaglie.
Forse doveva solo andarsene e far finta di non aver visto nulla, si disse Gilbert deglutendo a vuoto, temeva che la ragazza potesse notarlo da un momento all’altro e, credendosi spiata, gli si scagliasse contro brandendo la solita padella, per quanto al momento sembrasse disarmata.
Ciò, fortunatamente per lui, non accadde.

Titolo un po' pretenzioso xP
p.s: Ringraziamente speciale al meraviglio Gilbird! Sei grandioso piccolino
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Sentimento eterno
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: Verde
Personaggi: Gilbert Beilschmidt/Prussia , Elizaveta Hèdervàry
Genere: Malinconico, Sentimentale
Avvertimenti: AU, OneShot, What if..?
Note: Che titolo pretenzioso xD xD ... Ringrazio il piccolo Gilbird, perché lo sfrutto sempre esageratamente quando me lo ritrovo sotto mano ^____-

Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.


Nel riaprire gli occhi un cielo terso e limpido, d'un azzurro quasi accecante, si spalancò davanti a Gilbert, disteso sotto alla verde e folta fronda di un albero di faggio. Con un pigolio Gilbird gli si posò sulla testa, picchiettandogli incessantemente sulla fronte, un suo modo per attirarne l'attenzione.

- Ho capito, ho capito. Mi alzo - rise l'albino coprendosi con una mano lo sguardo scarlatto, infastidito dalla troppa luce, ma il piccolo pulcino interpretò male il gesto, credendo che si volesse riaddormentare e, con un piyo-piyo furente, gli saltò sul dorso della mano avvicinandosi abbastanza da beccargli il naso.
- Ahi! - esclamò il ragazzo dal dolore, tirandosi di scatto su a sedere, il piccolo Gilbird ancora appeso alla punta del suo naso, - Va bene, va bene, va bene. Sono sveglio - sbuffò afferrando delicatamente l'animaletto, staccandoselo di dosso. - Ma che ti prende, oggi? - gli chiese notandone l'insistenza e, solo allora, avvertì i soffocati singhiozzi dietro di lui, dalla parte opposta del tronco dove era appoggiato. – Cos’..? – percorse quella poca distanza a carponi, bloccandosi di colpo nel vedere una familiare cascata di capelli castani e un profilo nascosto in un fazzoletto. “Elizaveta?” sussultò nel riconoscerla, rimanendo ancora occultato in parte dall’albero, “… ma sta piangendo!?” si domandò scioccato, raramente l’ungherese si era mostrata in una simile situazione a qualcuno, troppo forte e con un orgoglio da maschio mancato per permetterselo. Ancora meno, probabilmente, avrebbe voluto mostrarsi cosi a lui, con cui aveva combattuto cosi tante battaglie.
Forse doveva solo andarsene e far finta di non aver visto nulla, si disse Gilbert deglutendo a vuoto, temeva che la ragazza potesse notarlo da un momento all’altro e, credendosi spiata, gli si scagliasse contro brandendo la solita padella, per quanto al momento sembrasse disarmata.
Ciò, fortunatamente per lui, non accadde.
Ancora titubante Gilbert rimase ad osservarla in silenzio, indeciso sul da farsi. Stava quasi per allontanarsi ma, ancora una volta, il piccolo Gilbird si intromise all’improvviso cominciando a pigolare sempre più forte, ignorando l’agitazione del suo padrone, che inutilmente provò a farlo tacere, temendo di essere scoperto.
In un ultimo tentativo si gettò sull’animaletto cercando di afferrarlo, il pulcino però fu veloce a sgusciare dalla sua presa, fuggendo a zig-zag per non farsi riacciuffare. Preso dalla foga di catturarlo Gilbert non si rese conto che Gilbird era balzato al fianco dell’ungherese e, con un esagerato slanciò, si tuffò su di lui, finendo cosi proprio sul grembo della ragazza. “Oh, porc…” imprecò tra se e se, mentre il viso gli si tingeva di un intenso rosato, ancora più evidente sulla sua carnagione esageratamente chiara, “ora mi ammazza!” si disse paralizzato dalla paura. Ma, la padellata tanto attesa, non giunse mai.
- Gil…gilbert? – esclamò Elizaveta dopo un momento di confusione, quasi come se il ragazzo fosse appena piovuto dal cielo.
- E…ehi, Veta! Da quanto tempo. Sta-stavo passando di qui e… - cominciò a balbettare lui, sudando freddo, cercando una scusa per giustificare la propria presenza lì, ma si stava arrampicando sugli specchi.
- Sei davvero tu?- lo azzittì la ragazza con gli occhi ancora offuscati dalle lacrime, afferrandogli il volto tra le mani strizzandogli poi le guance sino a fargli male, accertandosi che non se lo stesse sognando.
- Coftai fiafendo..? – parlò l’albino biascicando le parole sino a storpiarle, una lacrima che si formava al lato dell’occhio da tanto era forte la stretta. Solo allora lo sguardo dell’ungherese sembrò riconoscerlo, facendosi limpido, pulito, e il sorriso le increspò le labbra prima di scoppiare in un fragorosa risata.
- Sei cosi buffo! – riuscì ad esclamare tra le risa, tenendosi lo stomaco con lamano e mollando finalmente la presa su di lui, si era goduta abbastanza quella tortura.
- Kesesese… ovviamente solo il magnifico sottoscritto poteva rallegrati dopo tutto quel pianto – si gonfiò tronfio Gil, tanto pieno di se da essere orgoglioso persino di questo,
- Si, hai ragione – ammise l’ungherese, gelandolo, da quando Elizaveta gli dava ragione (soprattutto sulla sua meravigliosa magnificenza)? Forse il motivo per cui piangeva l’aveva sconvolta più di quanto facesse vedere.
- Tu-tutto bene? – si preoccupò Gilbert, assottigliando lo sguardo per studiarla, vedendo quanto il viso le si fosse sciupato, facendosi smagrito, e delle profonde occhiaie le segnassero sotto le palpebre. Sembrava esausta.
- Cosa ci qui? – ignorò la domanda, cogliendolo di sorpresa,
- Ah, ecco… - si ritrovò spaesato lui, incrociando le braccia dietro la testa, -… in realtà non mi ricordavo neppure di essermi addormentato qui – ammise alzando le spalle, - pensavo di essermi appisolato solo da pochi minuti, ma senza accorgermene devo essere passate ore – disse sentendosi ancora molto intontito dalle troppe ore di sonno e il corpo pesante dopo averlo costretto tanto allungo all’immobilità.
Avvolte alla mattina gli capitava di svegliarsi con la pressione sotto alle scarpe.
- Oh - fece Eliza visibilmente delusa, stringendo le ginocchia al petto mentre una mano teneva ancora stretto il fazzoletto umido dalle lacrime. – Proprio non te lo ricordi? – insistette cercandone lo sguardo carminio, trovandolo senza difficoltà davanti a se.
- Uhm… No, niente – confermò Gilbert tenedosi il mento con una mano, facendosi pensieroso. Gilbird intanto aveva ripreso il suo solito posto in cima alla testa del padrone e sempre più forsennatamente ricominciò a becchettarlo, sperando a quel modo di far ripartire quel suo cervello bacato.
– Ah, si! – esclamò ad un certo punto, battendo il pugno sulla mano aperta, - … c’era una cosa che dovevo fare – rivelò tutto contento, senza però aggiungere altro, nuovamente perso a gongolare tra se e se per il proprio splendore.
- E cos’era questa cosa ? – lo incitò a continuare Elizaveta, facendosi curiosa, avvicinandosi mentre il pulcino le dava man forte incitando l’albino con il suo squillante pigolio.
- Era..- fu subito pronto a rispondere Gilbert, ma gli bastò vedere il viso dell’ungherese tanto vicino a se che si bloccò di colpo, arrossendo come un peperoncino, il respiro che si mescolava al suo, tanto vicino da poterne sentire il profumo. –Un regalo – di fece vago, scostandosi d’improvviso, girandosi dall’altra parte.
- Un regalo..? E per chi? – volle sapere la ragazza appoggiandogli la mano sinistra sulla spalla, per farlo voltare, su cui dorso si appoggio insistette Gilbird, il cui occhetti scuri parevano a Gilbert molto irritati.
- A nessuno in particolare – menti spudoratamente, girando un poco la testa verso di lei, e lo sguardo gli cadde sull’oggetto circolare che Veta teneva alla base di un dito. Ancora una volta il viso dell’albino avvampò, producendo una sottile nuvoletta di fumo. – Se l’avevi già trovato allora non farmi fare una figura cosi “magnificamente” ridicola – sbuffò pieno d’imbarazzo, allontanando lo sguardo dal suo,
- Scusa, eri cosi divertente – replicò lei sorridendo, sollevando in alto la mano per ammirare il piccolo anello argentato che indossava rilucere alla luce del sole, che penetravano attraverso le foglie splendenti. – È davvero bello – disse e anche le sue guance si tinsero di un leggero rosato a quella affermazione,
- Certo che lo è – ribatte Gilbert facendo ancora l’offeso per la brutta figura che gli aveva fatto fare. – È un mio regalo, come minimo deve essere awesome quanto me – convenne annuendo con la testa, sicuro delle proprie parole,
- Per questo in argento? – ipotizzò lei,
- Normalmente sono tutti dorati, lo splendido me doveva distinguersi dalla massa – spiegò nel suo tono arrogante e strafottente, in cuor suo felice che il regalo fosse piaciuto.
- Si, questo è proprio da te – si lasciò sfuggire Elizaveta a bassa voce, sovrappensiero, ancora incantata ad osservare l’anulare della propria mano sinistra. Quella era un fede nuziale. Lo aveva capito ancor prima di leggerne l’incisione all’interno.
- Accidenti! – sbottò Gilbert brontolando, interrompendone cosi il flusso di pensieri, - … avrei dovuto consegnartelo io quell’anello – si fece lamentoso, adagiandosi con la schiena al tronco del faggio.
- Allora perché non l’hai fatto? – lo incalzò l’ungherese freddandolo con un occhiataccia scettica, se fosse stato per lui quel regalo sarebbe rimasto ad ammuffire in fondo ad un armadio.
- Ehm… Non si è mai presentata l’occasione, comunque, mi ero ripromesso di farlo (lo giuro!). Altrimenti perché sarei qui se non per questo?- proruppe Gil agitandosi, gli bruciava davvero non essere riuscito a consegnarglielo di persona.
- Bene. Allora fallo ora – gli propose (ordinò) l’ungherese,
- Che?! Qui? Adesso!? – balbettò lui colto da un leggero panico, sudando freddo quando lei gli porse l’anello, lo sguardo di chi non ammetteva repliche. – O-okay – acconsentì infine, stringendo l’oggetto nel pugno sino a lasciarsi un leggero solco sul palmo della mano.
- Va bene allora io…- cominciò con voce tremante, alterata dall’emozione, a metà tra terrore puro e imbarazzo.
Venne però Gilbird in suo soccorso, attirandone l’attenzione nel portargli, stretto nel becco, un piccolo ma grazioso fiore di campo, dai petali gialli come le sue piume. – Grazie, amico – gli sussurrò l’albino, infinitamente grato all’animaletto.
- Veta… no, cioè Elizaveta – si schiarì la voce porgendogli quel fiore striminzito che in quel momento faceva le veci di un bouche di fiori, Veta lo accettò sorridendo divertita dalle sue movenze rigide, neanche si fosse trasformato in una statua di sale. – Vorrei che tu accettassi questo regalo – e, neanche le stesse per mollare un pugno, strizzando gli occhi come un bambino delle medie alla prima cotta, d’impulso le allungo il pugno chiuso, per aprirlo solo subito dopo. - E che rispondessi ad una certa domanda incisa all’interno – aggiunse senza avere neppure il coraggio di incrociarne lo sguardo.
“ Il super magnifico, eh?” lo sfotté mentalmente Elizaveta, divertita come non mai dal comportamento esilarante dell’albino. Per questo decise di lasciarlo ancora un po’ a crogiolarsi sui ferri bollenti.
- Oh, un anello – si finte stupita, tenendo sempre stretto a se il fiore/bouche e, con una lentezza studiata, lo raccolse guardandoci poi attraverso, quasi si trattasse di un lente d’ingrandimento. – Quale incisione? – domandò falsamente ingenua, -non vedo nulla –
- Come? – si stupì Gilbert, - Eppure dovrebbe essere qui! – disse sottraendogli con uno scatto l’anello dalle mani, socchiudendo un occhio per avvicinarlo all’altro. – Vi, eccola qui! – esultò, - C’è scritto: “Veta, vuoi sposar..mi? – troppo tardi Gilbert si rese conto di star pronunciando quelle parole ad alta voce e non fece in tempo ad interrompersi. Tornato di pietra riconsegnò l’oggetto all’ungherese, la quale sogghignava innocentemente, facendoglielo cadere sul palmo aperto della mano.
- Come? Sposarti? – esclamò recitando la parte (piuttosto malamente) della ragazza scioccata, - Un arrogante pallone gonfiato, l’egocentrismo allo stato puro?... Si –
- Cosa? – esclamò Gil incredulo,
- Secondo te avrei indossato l’anello se avevo intenzione di rifiutarti sbruffone? – gli fece notare ridendosela di gusto, - Dovevi vedere come eri teso, sembravi una corda di violino – lo derise.
- Intanto questo “sbruffone” diventerà tuo marito, vecchia arpia. Ammettilo che hai accettato solo per non morire sola – ribatte Gilbert che, per riflesso, chinò la testa convinto che gli sarebbe arrivata una padellata sta volta.
- Uhm… Forse in parte è cosi – ammise Elizaveta facendosi vaga, alzando le spalle con aria differente, restituendogli poi la fede.
- Ma che..?- fece lui guardando l’anello confuso, ma Veta lo azzittì portandogli il dorso della mano davanti al viso,
- Per farmi diventare tua moglie devi essere tu a mettermi l’anello, idiota – gli spiegò in tono saccente, come se non ci fosse nulla di più ovvio al mondo, - Gilbird ti farà da testimone – aggiunse quando il pulcino si appollaiò sulle spalle del padrone.
- Sai, forse non sono più tanto sicuro di volertela dare – la punzecchiò lui, già afferrandole delicatamente il polso, quasi temesse che fosse lei a cambiare idea,
- Troppo tardi, ormai il tuo regalo l’avevo già trovato, quindi, non puoi sottrarti ai tuoi doveri – ribatté lei.
- Piiyo!!!- gli ordinò invece Gilbird, stanco dei loro inutili battibecchi, che in realtà erano solo un modo per perdere tempo.
- Si, hai ragione – ammise Gilbert con un sorriso tirato mentre, con una concentrazione che non gli apparteneva, infilava l’anello a colei, unica al mondo, che riusciva a vedere (forse) più importante persino di se stesso.
Il silenzio calò pesante su di loro mentre il vento della sera spezzava quell’ultimo raggio di sole che, tenace, aveva resistito sino all’ultimo, concedendo un poco di tempo in più all’illusione di quei due innamorati.
- Grazie – le sussurrò Gilbert, senza però dargli un bacio sulle labbra, il quale non avrebbe avuto più alcun sapore, limitandosi, invece, a poggiargli un bacio sulla fronte, scostandole con una carezza i capelli, donandole quell’ultimo briciolo di calore che gli rimaneva.
Elizaveta chiuse gli occhi afferrandosi a quell’ultima visione, prima che le tenebre se la portassero via insieme a quell’aspetto che i ricordi di un tempo le avevano dato. Rapidamente, con lo splendere della luna in alto nel cielo, i capelli le si tinsero di bianco mentre il volto mostrava la crudeltà degli anni. In pochi secondi la giovane ragazza piena di vita divenne una vecchia avvizzita, senza più speranze per un domani che forse per lei non sarebbe mai giunto.
Del ragazzo albino che le stava vicino rimaneva solo il piccolo Gilbird, i quali occhietti neri l’osservavano con sofferenza, inclinando la testa di lato. La vecchia Elizaveta stava piangendo stringendosi al petto un fiore secco, morto e pietrificato dal tempo, allo stesso modo in cui lo era il suo cuore aggrappato a quella fede che risplendeva sul suo anulare del medesimo colore dei raggi lunari. Lo stesso anello che Gilbert non aveva potuto dargli, sottratto alla vita prima di averne la possibilità. Congelato anche lui nel medesimo modo dalla morte, bloccato in quegli anni di giovinezza in cui la vecchia era fanciulla e quel fiore era appena sbocciato. Gli anni in cui quel prato era solo una distesa calda e verdeggiante, non ancora adibito a cimitero, a causa dei troppi cadaveri che aveva portato l’ennesima guerra.
- Non essere triste Gilbird – sorrise Elizaveta accarezzando l’anello, -… anche se ci hai messo più di cinquant’anni alla fine sei riuscito a riportarmelo – volle rassicurare il pulcino, il quale si era serbato il compito di farli rincontrare, cosi che il suo padrone potesse mantenere l’ultima promessa che aveva fatto in vita.
“Ti affido Gilbird” aveva detto a Veta nel loro ultimo incontro, “e ricordati che quando torno ho una cosa da darti” la salutò cosi sulla porta di casa e ghignando la denominò “vecchia arpia” alleggerendo l’aria pesante di quel saluto che sapeva d’addio.
Due anni dopo, a guerra finita, tornò solo un cadavere.
Al funerale la bara fu sepolta sotto all’albero di faggio e Ludwig, il fratello minore di Gilbert, al tempo troppo giovane per partecipare alla battaglia, consegnò a Elizaveta quell’anello che il maggiore, in gran segreto, gli aveva rivelato essere per lei.
Gilbird seguì il suo padrone pochi mesi dopo e il suo spirito, che aveva assistito alla sofferenze dell’ungherese, incapace di allontanarsi dai sentimenti eterni di un morto, cercò l’anima di Gilbert.
E fu cosi che, 50 anni dopo averlo perso, Elizaveta ottenne di divenire la vedova di Gilbert Beilschmidt. Per sempre legata a quel sentimento d’amore che mai si sarebbe colmato, a quel futuro che sarebbe potuto essere, senza però mai giungere.
Vinta da quell’emozione divenuta ormai eterna, perché mai avrebbe potuto essere consumata.

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Grazie per aver letto la mia FF, solo una piccola nota, anche se Elizaveta è sempre rimasta legata all’amore che provava per Gilbert, nel frattempo, non ha smesso di vivere. Si è sposata con un uomo a cui voleva molto bene (un certo damerino austriaco professore di musica xD xD ) e da lui ha avuto tre figli.
Per quanto sia rimasta ancorata al passato non è rimasta bloccata totalmente in esso ^___-

p.s: Facciamo una ola per il piccolo Gilbird! W il magnifico pulcino!! <3

Un saluto a tutti: bye-bye
;-)))


  
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