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Autore: Sunny_Blue    20/08/2012    2 recensioni
Serena aspetta questo momento da anni. Il momento di voltare le spalle alla vita che ha avuto finora e cercarne una migliore.
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Libera di...

La storia partecipa a Il giro dell'oca
Casella 10 (canzone + immagine)


Libera di...



Cerchi riparo fraterno conforto
Tendi le braccia allo specchio
Ti muovi a stento e con sguardo severo
Biascichi un malinconico Modugno
Di quei violini suonati dal vento
L'ultimo bacio mia dolce bambina
Brucia sul viso come gocce di limone
L'eroico coraggio di un feroce addio
Ma sono lacrime mentre piove

[L'ultimo bacio, Carmen Consoli]




Cammino a passo spedito lungo la strada battuta dalla pioggia.
Stringo con forza il borsone che porto sulla spalla.
Non mi volto indietro.


Aspetto questo momento da anni.
Lo aspetto dal giorno in cui mi sono resa conto che la vita, per me, aveva in serbo un destino infelice.
L'ho capito presto. Avevo 10 o 11 anni.
Sono tornata a casa da scuola e ho trovato la mamma in lacrime. Era già successo in passato, ma allora, per la prima volta, mi sono resa conto che non erano lacrime naturali.
Non piangeva per stanchezza o per nervosismo, mia madre. Piangeva di dolore. Piangeva di impotenza.
Piangeva perché quel mostro che per anni ho chiamato papà le aveva appena spaccato un labbro. Lo aveva fatto per gelosia immotivata, lo aveva fatto seguendo il suo istinto animale.
Era già successo in passato, ma quella volta non alzai le spalle con la noncuranza dei bambini. Quella volta guardai bene il volto segnato della donna che mi aveva messo al mondo e arrivai alle mie conclusioni.
Mio padre era un mostro.
Lo sapevo già? Forse. Ma solo allora lo ammisi a me stessa.
E dopo quel giorno, non passò molto tempo prima che provassi la teoria sulla mia stessa pelle.

Avevo 13 anni, la prima volta che lui mi fece del male.
Ero stata tutto il pomeriggio fuori con le amichette della scuola. Faceva caldo, in quell'inizio di estate. Rientrai a casa accaldata e scarmigliata. Sorridente.
Lui era lì che mi aspettava. Un gigante scuro contro la luce del pomeriggio.
Non sorrideva.

* * * * * * * * * *

All'inizio non riuscivo a capire il perché della sua violenza, cosa di preciso lo facesse scattare. Mi facevo mille domande a riguardo. Volevo davvero capire cosa trasformasse quello che fino a poco tempo prima era “il mio papà” in una persona sconosciuta. Così avrei potuto cambiare atteggiamento e tutto sarebbe tornato a posto...
Il problema era che io non
facevo niente di male – lo avrei capito alcuni anni dopo.
Io ero solo una ragazzina che iniziava a sbocciare. Una ragazzina come tante, che attirava i primi sguardi dei coetanei. Che sapeva sorridere e non si vergognava di farlo.
Tutto qui. Ma questo era abbastanza per lui.

La stessa gelosia malata che nutriva nei confronti di mia madre, quella che lo aveva portato nel corso degli anni ad accusarla di cose orribili – prive di fondamento, per quanto ne so – e a punirla per i suoi “peccati”... adesso la riversava anche su di me.
Non voleva che qualcuno mi guardasse, non voleva che qualcuno mi toccasse.
Nei miei sorrisi innocenti regalati a piene mani vedeva gesti di malizia femminile.
Non dovevo diventare una poco di buono, come lei – mia madre. Non dovevo guastarmi fin da piccola.
Per questo mi sgridava, per questo mi picchiava. Era per il mio bene.

Non capivo.
Non ho capito mai come l'amore potesse assumere quella forma. Come l'amore si potesse realizzare nel suono sordo della sua mano contro la mia pelle.


* * * * * * * * * *


Ho perso il conto delle volte che mia madre ha dovuto rimettermi a posto.
Un labbro rotto, un sopracciglio che sanguina. Lividi, violacei, bluastri sulla mia pelle chiara.


Lei non ha mai fatto niente.
Si limitava a medicarmi le ferite e a guardarmi con quegli occhi stanchi e malinconici.
Qualche volta ho pensato che fosse sul punto di parlare... ma non è successo.


L'ho odiata.
Ogni giorno, l'ho odiata. Quasi allo stesso modo in cui odiavo lui.
Lui era l'orco delle favole. Quello che un attimo prima sembrava solo un uomo affettuoso e sereno, che sorrideva promettendo regali, e l'attimo dopo, invece...
Ma lei... lei ai miei occhi di ragazzina era la sua complice, la sua alleata.
Quella che vedeva, che sapeva, ma non faceva niente per fermarlo.
Soprattutto, quella che avrebbe dovuto fare qualcosa.


* * * * * * * *


Per quanto ho sperato e pregato, non è mai cambiato niente.
Gli anni si sono succeduti uno dopo l'altro.
Nessun principe sul cavallo bianco è arrivato in mio soccorso, nessuno ha sfidato a duello il mostro per la mia mano.
Ho sognato invano, e col tempo ho perso ogni tipo di fede.
Non c'era nessuna giustizia, non c'era nessun lieto fine. Molto probabilmente non c'era nemmeno nessun Dio. Almeno, non per me.

Crescendo mi sono anche resa conto che una sola persona avrebbe potuto salvarmi dall'incubo. Quella persona ero io. Inutile e stupido aspettare un intervento esterno.
Mi sarei salvata da sola.
Allora ho iniziato a contare i giorni. I giorni che mancavano al momento dell'indipendenza sancita per legge, i giorni che mancavano alla meta.
Fuggire, senza che loro potessero portarmi indietro.
Fuggire, per sempre.


* * * * * * * *

Oggi posso.
Oggi è il mio compleanno. 21 marzo, Serena compie 18 anni.

Oggi sono libera.
Ho raccolto in fretta le mie cose. Non possiedo molto e ancora meno era quello che volevo portare con me. Ho messo tutto nel borsone e sono uscita in punta di piedi.
Nessun rumore veniva dalla camera accanto alla mia.
Mi sono affacciata per controllare, forse per dire silenziosamente addio.
Li ho visti che dormivano, sereni.

Dormiranno anche adesso, mentre mi allontano a spasso svelto sotto la pioggia mattutina.
Il cappuccio della felpa calcato in testa, gli occhiali di sole. Qui mi conoscono tutti, ma spero di passare inosservata. E in ogni caso, questa è gente che sa tenere la bocca chiusa.
So che nessuno cercherà di fermarmi. So che nessuno farà la spia.
Non così presto, almeno.
E quando penseranno di farlo... sarà tardi.

Mi fermo quando arrivo all'ingresso della superstrada. Poso il borsone, ho la spalla intorpidita.
Alzo il pollice e aspetto.
Aspetto e prego. Prego che qualcuno si fermi. Prego che qualcuno mi porti via. Prego che il mio piano non si risolva con un buco nell'acqua. Non ho denaro per pagarmi un biglietto del treno. L'auto-stop è la mia unica possibilità.
Dopo qualche minuto di attesa, un furgoncino bianco accosta a pochi passi da me.
Il finestrino si abbassa.
Metto dentro la testa, per trovarmi davanti un uomo sulla trentina, mai visto prima.
"Dove sei diretta, bambolina?" sorride impercettibilmente.
"Lei dove va?" ribatto dopo un attimo.
"Milano." Risponde, senza esitazione.
Non sembra pericoloso.
Di certo non può essere peggio di quello che ho lasciato in quella stanza da letto.
"Milano va benissimo", gli dico mentre apro lo sportello e prendo posto accanto a lui.

Senza aggiungere altro, l'uomo sulla trentina riparte.
Cerco di rilassarmi e di non pensare a tutto quello che potrebbe andare storto.
Sistemo meglio il borsone tra i miei piedi.
Mi appoggio allo schienale del seggiolino.
Non mi guardo indietro.



7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'




NdA

Il personaggio di Serena è originale, così come la sua storia. Devo dire, però, che il tutto è stato ispirato, in buona parte, dalla lettura del libro della Avallone, Acciaio. Lì finisce che una delle protagoniste, Francesca, ha ancora 15/16 anni e non va da nessuna parte. Io ho voluto che la mia ragazzina maltrattata dal padre se la desse, finalmente, a gambe.

L'ambientazione è di nuovo vaga. Io ho pensato agli anni '50/60 e a una qualche cittadina di provincia del centro-sud.

   
 
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