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Autore: NuvolettaRosa    20/08/2012    0 recensioni
Mari e Janet, sono due giovani ragazzine, che presto, verranno coinvolte in una strana storia, in una casa andata a fuoco da tempo, con uno spettro imprigionato sulla terra per uno strano scherzo della natura, e che non desidera altro che andare nell'aldilà.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero a scuola quando, fra noiosissime espressioni e radici quadrate, scatta la campanella: ora di andare a casa! E ma finalmente! Non vedevo l’ora. Quel dolce suono che ti sveglia dai tutti pensieri, trillando insistentemente per alcuni secondi, e finalmente, tutti gli studenti chiudono di botto i libri, davanti ai prof, seccati dal loro comportamento. E’ questa, la mia vita, la vita di Janet Bucarelli, giovane 13enne nel pieno della vita. -DAI!! JANET MUOVITI!- Mi urlò Mery, la mia migliore amica. Io mi “svegliai” di soprassalto. –Si ecco! Metto in spalla lo zaino.- Dissi. Cosi mi alzai, presi lo zaino, e insieme ci avviammo fuori la scuola. I corridoi erano affollatissimi, ragazzini che spingevano qua e la, e ragazzine che chiamavano altre ragazzine a gran voce. Mery ed io ci facemmo strada fra la folla, e finalmente, vedemmo la porta d’uscita. La imboccammo freneticamente, e ci ritrovammo alla luce del sole. Aria fresca, sole, alberi, erba, cemento, niente lavagne, banchi o cartine. Ci fermammo su una panchina del giardino. –Allora oggi dovevi venire a casa mia, Mery!- Dissi frettolosamente. –AH! Già è vero! Dai allora, tua madre che ha preparato di buono?- Mi domandò curiosa Mary. –Mi pare gli spaghetti col ragù.- Dissi con un sorriso. –O bene! LA MIA PREFERITA! Cosa aspettiamo? Muoviamoci!- Disse Mery in tono allegro. Mi prese una mano e mi trascinò nel vialetto. –EHI! Molla la presa, so camminare, non sono mica senza gambe!- Urlai a Mery che mi stava trascinando come un orsacchiotto nel vialetto della scuola, e faticavo a starle dietro. –Ma non è colpa mia se sei lenta! Dai muoviti!!- Disse Lei. E cosi, insieme, ci avviammo verso casa mia. Una deliziosa villetta rosa, con un prato all’inglese, si stagliava su una strada urbana: CASA MIA! Io e Mari accelerammo il passo e ci scaraventammo in casa! –Mmmm… che profumo, divino!- Commentò Mari. Aveva proprio ragione. Era un profumo “divino” quello della pasta al ragù di mà. –Mà!!! Siamo a casa!!! Che buon profumooo!- dissi io annusando l’aria. Mà comparve dalla porta della cucina. –Oh Care mie!! Come è andata a scuola?- disse raggiante, soffocandoci in un abbraccio. –Salve, Signora Bucarelli, è un piacere vederla!!- Disse sorridente Mari. –Ohoh, cara, chiamami pure Elen.- Disse Mà con fare risoluto. –Ok, Elen!- Disse Mari, facendo l’occhiolino a mia madre che ricambiò. –Posate gli zaini, carissime, la pasta sta scolando!!!- Disse Mà scomparendo in cucina. –Tua madre è proprio simpatica!- Disse Mari. –Eh si lo so, anche lei si modernizza..- Dissi io posando la cartella all’ingresso. “modernizza” ok, avevo parlato a caso, lo ammetto, Mari lo sa quando parla a caso, e quando parlo a caso non fiata. La cosa mi diverte, è che io non lo faccio apposta, lo faccio spontaneamente quando non so che rispondere. Anche Mari posò lo zaino all’ingresso, e ci fiondammo tutte e due in cucina. Dei piatti fumanti di pasta al ragù ci aspettavano sulla tavola imbandita. Mmmm, che delizia!! Cominciammo a gustare lentamente il piatto fumante. In pieno autunno era la miglior cosa. –Mà, dov’è pà?- dissi incuriosita. –Oh Cara, farà tardi per lavoro, tornerà verso le tre, e io non volevo mica farvi mangiare cosi tardi, per aspettarlo. Già uscite affamate alle due, ci mancava solo che vi facevo aspettare le tre!!- Disse mà con un tono di perseveranza. –Per carità! E’ un brav’uomo, altrimenti non l’avrei sposato, ma a volte si preoccupa solo del lavoro.- Mà alzò gli occhi al cielo. Gli davo pienamente ragione. Continuammo a gustare la pasta fumante. Era piu buona del solito, ed io, spazzolai tutto il piatto, mentre Mari, fece la scarpetta con il pane e il sugo. –Ok, se volete, andate su, vi porto il gelato- Disse mà, gentilissima, come sempre. –com’è gentile tua madre.- Disse Mari mentre ci avviavamo su per le scale. –Si, è proprio una donna di buon cuore.- Dissi con un filo d’orgoglio nella voce. Ero fortunata. A differenza di Mari, che aveva il padre in america, con la nuova compagna, e la madre, faceva la dottoressa, quindi, il piu delle volte, Mari dormiva da me. Andammo in camera e chiudemmo la porta. –Ok, che facciamo??- Disse Mari, felicissima come al solito. –Non so… i compiti non ce li hanno dati, quindi non abbiamo davvero niente da fare.- Dissi, mentre mi buttavo sul letto. –Usciamo??- Disse Mari. Lei, come al solito, trovava sempre la soluzione a tutto, è per questo che gli ero amica. Il mio volto s’illuminò. –SI!! Dai, usciamo!! Dove andiamo??- Dissi felice. –Bhò, a fare un giretto.- Disse lei divertita. –Va bene.- La assecondai. Ci fiondammo fuori di casa e cominciammo a passeggiare nel vialetto della strada. Bei cedri, belle case, belle nuvole, un sole raggiante, bei prati, pareva tutto perfetto. -Attente ad uscire e tornate entro le sette!!!- Disse mia madre urlando dalla finestra. –OK!!!- Rispondemmo noi in coro. E lei chiuse la finestra e si rimise a trafficare qualche strano intruglio o aggeggio. -JANET!! Perché non la visitiamo, ho proprio bisogno di uno shock…- Disse adrenalinica Mari, indicando con un braccio una casa diroccata e cadente. –Q….quella??- Dissi io, guardando l’orrenda casa e sbarrando gli occhi. Era in fondo ad un vicolo, aveva un grandissimo cancello, e delle mura altissime. –Va bene, è solo una casa, che sarà mai.- Dissi io. (lo ammetto, avevo una fifa e già mi aspettavo i sorci verdi) Io e Mari, cautamente, scavalcammo il grande cancello. E una volta “dentro” ci guardammo intorno. Una grande villa si stagliava sull’enorme spazio. Bhè, villa, non ci si poteva definire villa, non era appropriato, era tutta diroccata, una parte del tetto sfondata e, insomma, non si poteva vedere. C’erano alberi secchi e ramoscelli, si senti in lontananza lo squittio di un topo. –ENTRIAMO!!!- Disse adrenalinica Mari. Cavolo, quella ragazza non aveva paura di niente e di nessuno. Insieme, spingemmo l’enorme portone che cadde al primo colpo. Entrammo in quel lugubre posto. Un brivido mi scese lungo la schiena. Era la solita lugubre casa… più o meno. I pavimenti erano un immensa scacchiera. Le mura, avevano una carta da parati cadente, con lembi strappati e mancanti. Crepe si stagliavano in ogni dove. C’era un divano all’angolo, o almeno, quel che ne restava di un divano. Un grande divano che un tempo, potrebbe esser stato di pelle pregiata, ora, sembrava uno di quei divani cadenti e brutti, che nessuno vorrebbe mai avere. C’era uno specchio con una grande crepa che si allargava da su al centro. Era tutto impolverato. E davanti al divano, c’era un tavolino da caffè, a cui si era sgretolata una gamba per colpa delle termiti, e cadeva da un lato. Un antico arazzo il cui non si definiva bene l’immagine, era appeso ad una parete, accanto al divano c’era una vetrina, piena di bicchieri rotti, piatti crepati, statuine di grande valore, il tutto, ridotto in mille pezzi. –Mari, tu hai paura..?- Dissi io con un filo di tremolio nella voce. –Paura?? Ma che stai scherzando??- E’ fantastico!!- Disse adrenalinica Mari. Io stavo morendo dalla fifa, e lei, quel lugubre posto, lo trovava “interessante” come faceva… Alzai lo sguardo al soffitto. Un grande lampadario di altri tempi, ormai sul punto di cadere, penzolava. Il soffitto aveva uno stucco che si stava man mano sgretolando. Era tutto cosi polveroso, tutto cosi pauroso. Io e Mari ci guardammo per un po’ intorno. Io, non mi scollavo da lei, che, evidentemente, aveva mooolto più coraggio di me. Guardai lo scalone enorme. Accipicchia, aveva un red carpet tutto corroso dal tempo, e il manico si stava sgretolando. In fondo al salone c’era una grande porta scorrevole. Mari corse e l’apri. –MARI!!! Non lasciarmi!!!- Dissi io terrorizzata e corsi incontro a lei. I nostri passi risuonavano nell’immenso vuoto della casa. –Ehi! Buona fifona.- Disse Lei. Entrammo nell’altra stanza, sempre lugubre, a mio parere, era una cucina un po’… (molto) rovinata. Antichi pensili penzolavano dal ferro che li sosteneva. Pentoloni poggiati su un fuoco spento. Carta da parati cadente e sfregiata. Insomma, tutto pauroso, e quella stanza era la più lugubre di tutte, almeno credo… C’erano enormi coltelli che sembravano quelli di un serial killer esperto. –Mari, per favore, andiamocene da questa stanza torniamo in salone!!!- Dissi io, e dopo, scese una piccola lacrima tremolante sul mio volto. Mi abbracciai a Mari. Avevo una grandissima paura. –Ok, ok. Saliamo le scale però e vediamo che c’è! Intesi?- Disse lei. Uscimmo da quella lugubre stanza e salimmo gli scaloni scricchiolanti. C’era un soppalco enorme, che poi, sembrava un attico al coperto. Aveva un alto soffitto, e se ti affacciavi da un lato, c’era in basso, il grande salone. Come ho potuto non accorgermene prima?! C’era una grandissima tavola, con tantissime sedie. La tavola, aveva una tovaglia oramai non più intatta, tutta strappata e incenerita per uno strano scherzo della natura. Le posate erano arrugginite, e i piatti erano tutti spaccati. Alcune sedie erano mezze mangiucchiate dalle termiti. C’era un grande quadro che credo raffigurasse tutta la famiglia che possedeva quella casa. Il padre sembrava un uomo pelato ed aristocratico. La madre, una bellissima donna bionda e dagli occhi azzurri. Teneva in braccio un neonato. E il padre, abbracciava la presunta figlia. Una ragazzina magnifica. –Che quadro…- Dissi come imbambolata indicando il ritratto. –Già.- Rispose Mari assecondandomi. –AAAH!! Peerché a me??? Oh, voglio andare via!!- Una voce piangente ci interruppe. Vidi gli occhi di Mari, per la prima volta, sbarrati ed impauriti. Ci abbracciammo. –Cos’era q… q, quella voce?- Dissi piangendo. –Non lo so, non lo so Janet!! Scusami è tutta colpa mia scusami…- Mari stava singhiozzando piu di me. Tutto d’un tratto, nel tempo di un battito di ciglia, le porte, tutte le porte che portavano all’uscita di chiusero di scatto, sigillandosi, con un tonfo sordo. Mari lanciò un urlo, mentre il mio urlò, si soffocò in gola. Rimanemmo impietrite. –Chi siete voi??? Bruciate all’inferno!! Stolte!!! Come osate profanare la mia abitazione??- La porta davanti a noi si aprì. Ci shockammo. Era un umano trasparente? O un trasparente umano? Cos’era quella cosa??? Assomigliava moltissimo alla ragazzina del quadro. –Noi… non avevamo intenzione di, profanare la sua abitazione…- Mari riuscì a pronunciare parola. –Oh bene, scusate, mi calmo un attimo…- Ammonì lo spettro. Lo guardai incredula. Stavamo davvero parlando ad uno spettro?? Davvero?? Ok, stavo per svenire, lo ammetto, per un attimo mi convinsi che il cuore saltò un battito. –Ok… chi siete, perché siete qui?- Lo spettro riprese fiato. Io mi aggrappai a Mari. Feci per iniziare un discorso ma Mari mi bloccò. –Scusi, è tutta colpa mia se siamo qui, ho costretto la mia amica a venire in questo luogo e… ma lei, chi è?- Disse stupefatta Mari, assumendosi anche tutte le colpe se ci trovavamo in quel posto lugubre e schifoso. Lo spettro ci fissò intensamente. Mi sentivo morire come sotto la morsa dei suoi occhi. Ci fissò ancora e per qualche minuto scese un silenzio tombale, rotto solo dal mio respiro e quello di Mari, un respiro pesante e dall’aria preoccupata. Avevo i battiti a mille. –Giovanna, mi chiamo Giovanna, la mia famiglia viveva qui… 2 secoli fa, un incendio spiazzò tutto quanto, e non rimase più nulla, la mia famiglia, riuscì ad arrivare all’aldilà, ma purtroppo, io non feci in tempo, e sono rimasta qui, intrappolata. Sono molto triste e mi sento sola. Non ho nessuno. Ci servirebbe l’intervento di un umano… servirebbe rimettere in scena l’accaduto, per far si che io vada dove è giusto che vada.- Io e Mari ascoltavamo attentamente. Una lacrima scese lentamente dagli occhi del fantasma, rossi dal pianto. Continuò: -Oppure, invece di rimettere in atto l’accaduto, serve che io tocchi un oggetto di un mio caro, lo so, è in un armadietto, l’oggetto, ma purtroppo… non trovo più la chiave, non può essere andata persa nell’incendio… io voglio andare dai miei cari.- Una seconda lacrima e cosi via, Giovanna, tormentata dal dolore del ricordo, cominciò a piangere. –Ho cercato e ho ricercato, ma non trovo niente di mia utilità, e non posso prendere in mano niente, quindi, anche se avrei trovato la chiave, non sarebbe successo nulla… Per favore, aiutatemi voi!!!- Disse Giovanna scoppiando in un pianto disperato. Noi, che capimmo subito, ci commovemmo. E cosi, fu un piagnisteo senza sosta, finché non aprì bocca. –Ti aiutiamo noi. Mostraci l’armadietto.- Dissi. Gli occhi di Giovanna si illuminarono, e Mari rimaste stupefatta. –Grazie, seguitemi!!!- Il fantasma volo al piano inferiore. Noi scendemmo frettolosamente le scale, e seguimmo Giovanna in cucina. Andammo in fondo alla grande stanza. Giovanna si mise accanto all’armadietto. –E’ l’unica cosa non corrosa dal fuoco, apritelo, per favore.- Disse lei con le lacrime agli occhi. Noi, altrettanto commosse, prendemmo la rincorsa, e, assecondando Giovanna, sfondammo l’armadietto, riducendo il legno in mille pezzi. –Grazie!!! Grazie!!!- Disse lei, che si fiondò su un paio di stivaloni… e scomparse. –Presto, andiamo via!!!- Dissi io, che oramai ero in preda alla pazzia, ero shockata, senza parole. Io e Mari corremmo shocckate fuori dalla casa. Eravamo spaventate, e allo stesso tempo, meravigliate, eravamo un mix di emozioni. –Mari. Non dobbiamo dire niente di questo a nessuno. Scordiamocelo. Ok?- Dissi io. Sentendomi salva da ciò che potrebbe essere stato un potente pericolo. –Niente di niente, Janet. Giuro.- Promise lei stringendomi le mani. Guardai l’orologio: si erano fatte le sei. –Muoviamoci!!!- Dissi. E insieme ci mettemmo a correre verso casa mia. Diedi uno sguardo indietro: la casa non c’era più. Ma non fiatai per non riaprire il discorso. Tornammo a casa. Avevamo ripreso un po’ di fiato. Mà ci accolse energicamente. E c’era anche pà!! –Ciao Care!!! Dove siete state??- Disse Mà felice. –Al parco, Elen.- Disse Mari. A, santa Mari, trova una scusa giusta sempre al momento giusto. –a ma che bello, dai, è quasi pronta la cena.- Disse mà allegramente. Salutammo pà e ci fiondammo in camera. Dopo un oretta cenammo tutti felicemente e senza pensieri, e verso mezzanotte, io e Mari ci addormentammo. “Ero li… in una stanza vuota, con Mari. C’era anche Giovanna. –Grazie di tutto, ora sono felice con la mia famiglia e i miei avi.- Disse il fantasma. Dietro di lei vennero altri fantasmi come quelli del quadro. E poi, non ricordai più nulla.” Sognai Giovanna, ci ringraziava. Ora, spero davvero che stia bene, e che sia felice. Chissà se l’aveva sognata anche Mari, chissà se una volta morta mi sarei rincontrata con Giovanna. Ma non riaprii il discorso per tranquillità.
  
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