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Autore: nals    21/08/2012    2 recensioni
Veronica a volte ci pensa, a chi abbia deciso che sorridere significhi stare bene, a chi abbia deciso la vita, insomma. E tutto, tutto quanto, per davvero, la spinge a credere che quel “chi” non abbia avuto poi così cervello. La vita non è da decidere. La vita bisogna tirarla fuori, così come viene...
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiodi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Veronica a volte ci pensa, a chi abbia deciso che sorridere significhi stare bene, a chi abbia deciso la vita, insomma. E tutto, tutto quanto, per davvero, la spinge a credere che quel “chi” non abbia avuto poi così cervello. La vita non è da decidere. La vita bisogna tirarla fuori, così come viene.   
Perché la vita pilotata sta stretta a tutti. Come era da piccoli camminare mano nella mano della mamma.
Somiglia troppo ai baci di Pietro, quella vita: non sa di niente.
E poi ci sono gli occhi di Carlo che invece sanno troppo. Troppo tutto.
Come quando hai la febbre e non lo sai se senti caldo o freddo, se è la testa a bruciare o la gola. È un non capirci niente, un rimbambimento cardiaco, un gran peso tra le costole, fisso come un chiodo arruginito all’ombra dello sterno.
Poi, però, tornano le braccia di Pietro sulle spalle e quel gran peso – che in fondo sa di vuoto – sprofonda di un altro poco.
Carlo le è entrato dentro –  giù, giù, giù – come una carrozza della metro in galleria, e non si sposta. Non si sposta.
Ma forse è Veronica che di traslocare ne hai abbastanza. Le case con giardino sono troppo grandi per una ragazza sola, e poi c’è la roba da gettare, quella stretta, che Veronica non riesce a cestinare mai.
Sarebbe come infilare il passato in una busta e spingerlo via, mischiadolo ad altri passati e ad altre buste, un poco troppo vuote, bianche e senza scritte.
Perché il passato torna, torna sempre. Come le missive senza destinatario. Il presente invece si nasconde e non vuol contare mai: si perde.
Perché c’è quel paio di occhi che non lascia in pace. O un chiodo. Che non fa respirare proprio. E sprofonda giù, giù, giù come la carrozza della metro in galleria e poi si ferma e poi riparte. Ma non scompare mai.
Le è successo di poter credere che nell’azzuro delle iridi di Pietro sbucasse un po’ di fango caldo, o che le sue braccia fossero quelle braccia.  
E allora le dita – quelle sue – scendevano gentili a disegnarne le vene sporgenti, per poi mettersi a sonnecchiare lì, in pace, tra altre dita.
Ma non ci son dita, non ci son mai state, di nessun tipo, e non c’è Pietro. Perché purtroppo, delle volte, la vita esce fuori storta. Come i piedini di un neonato ad affacciarsi dall’utero, anzicchè la testa.
Ma la si abbraccia comunque, quella vita, perché non si sa mai. Il chiodo affonda , pian piano, eppure Veronica li vede ancora, quegli occhi, mischiarsi al correre delle luci artificiali in galleria.
Lub-dub. Ferraglia che stride sui binari. Lub-dub. Ferraglia che stride, e luci, e fango, e vuoto.
Lub-dub.*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*battito cardiaco
 
 

 
   
 
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