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Autore: proudofbieber    22/08/2012    2 recensioni
«Sono al parco.» disse. Bugia. «Sto leggendo il nuovo libro che mi ha portato la zia.» Bugia. «No, sono scesa da poco.» Bugia, ancora. «Sono da sola.» Ah, altra bugia.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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As long as you love me.

Justin

Le lasciai un lieve bacio sulle labbra, cercando di farmi perdonare per aver ''guardato'' un'altra ragazza, sorridendo. Mi guardò con la faccia da cucciolo, ma sapevo che non era veramente incazzata, e quando fui per spicciare qualcosa, le vibrò il telefono. Aveva un telefono di quelli che puoi trovare nei supermercati a dieci dollari, ho sempre proposto di regalargliene uno nuovo, ma lei ha sempre rifiutando dicendo che quello andava benissimo, per lei. Era perfetto, proprio come lei. Capelli lunghi e biondi e occhi scuri, ma penetranti. Mi guardava con quello sguardo da cerbiatto e mi faceva dimenticare ogni problema che Scooter mi rinfacciava ogni giorno. 
«Papà?» disse con la sua voce angelica a telefono. Era suo padre, lei non ha mai voluto parlarmi di lui, mi ha sempre detto che era un tipo molto severo, e che se la chiamava, dovevo starmene zitto in silenzio e reggerle il gioco, qualunque cosa inventava. Era sempre preoccupata quando rispondeva alle sue chiamate, e io pensavo costantemente che lo era perchè non voleva andarsene via da me.
«Sono al parco.» disse. Bugia. «Sto leggendo il nuovo libro che mi ha portato la zia.» Bugia. «No, sono scesa da poco.» Bugia, ancora. «Sono da sola.» Ah, altra bugia. «Torno subito, no, non ti preoccupare, vengo a piedi.» stessa cosa che ripeteva ogni giorno. Stavamo insieme per quella mezzora e poi scappava a casa, di corsa, senza che io potessi riaccompagnarla, una volta solo in vita mia ho visto la sua casa, da fuori, perchè ci passai quando neanche la conoscevo.
Non era una casa, era un monolocale in affitto in un paesino della città, erano quindici minuti a piedi, niente di che, ma comunque era stancante. Da fuori non sembrava proprio una di quelle meraviglie di appartamento, avrei voluto chiederle di venire a vivere con me, con Scooter e gli altri, ma se non poteva neanche trattenersi da me la notte figuriamoci viverci.
«Sicura che non devo accompagnarti?» le chiesi sfiorandole la mano. 
«No, vado a piedi, devo tenermi in forma!» solita scusa.
Mi rassegnai, era inutile insistere, così cambiai rotta dopo averle stampato un bacio, dirigendomi alla mia auto.
 
Sophie.
Mi girai per guardare Justin un'ultima volta, incrociando il suo sguardo e sorridendogli, e appena entrò nella sua auto e svoltò, senza farmi vedere iniziai a correre verso casa, come ormai facevo ogni giorno, e ci arrivai nella metà del tempo che avrei dovuto impiegarci. 
Presi le chiavi che erano sotto il tappetino e entrai, lui era, come sempre, steso sul divano che ormai aveva preso la forma del suo corpo, ma appena entrai, si alzò.
«Cos'è questo?» mi chiese mostrandomi un foglietto, dapprima non lo riconobbi, ma dopo avvicinandomi sospirai forte. Era quello di Justin, quello di stamattina dove mi diceva, come ogni giorno, dove vederci. Avevo sempre preferito che non mi mandasse messaggi sul telefono, perchè mio padre avrbebbe potuto leggerli e dio solo sa che cosa avrebbe fatto, ma riuscì a scoprirmi anche con i biglietti. 
«E' il mio compagno di studio, Rob.» dissi. Lo chiamavo Rob quando era incazzato, cioè sempre, non amava farsi chiamare papà, soprattutto da me.
«Si, come se ci credessi. Mi sono presentato anche io all'appuntamento, sai? E ho visto tutto. Sei una sporca puttanella, proprio come tua madre!» odiavo quando insultava me, figuriamoci mia madre. Stetti zitta, trattenevo le lacrime, ma continuai a tacere, non sarebbe servito a niente parlare, poi con un tipo come lui.
«E sai cosa c'è? Mentre eri fuori ne è arrivato un altro, un appuntamento di domani mattina, vicino al parco, e sai chi ci andrà, vero? Lo sai?» iniziò a urlare con le ultime parole e mi sbattè al muro, con forza, e non riuscì a liberarmi.
«Sicuramente non tu, cazzo! Sei una puttana!» urlò e segnò sull'ultima parola, e mi fece male, mi tirò uno schiaffo proprio sulla guancia, che subito mi toccai, e corsi via, in camera mia, e poi piansi, liberando tutto quello che mi ero tenuta dentro.
 
 
Justin.
Erano le dieci, e alle dieci Sophie sarebbe dovuta essere vicino al parco, ma non c'era. Sarà solo un piccolo ritardo, pensai. Poi vidi avvicinarsi un uomo in una macchina vecchia rozza, che si fermò proprio davanti a me. Uscì fuori con aria da mafioso, ecco, e mi guardò male. 
«Tu sei Justin?» mi chiese con un soffio di voce togliendosi gli occhiali da sole e puntandomi quegli occhi di ferro contro.
Pensai fosse qualche padre di una mia fan, così annuii deglutendo.
«Devi imparare delle cose dalla vita figliolo...» iniziò a parlare, appoggiandosi al parabrezza della sua auto.
Abbassò per un attimo lo sguardo, poi lo rialzò di scatto pugnalandomi l'anima, in senso negativo, però.
Iniziava a farmi paura.
Chi era? E cosa voleva da me?
«Prima cosa, non dovresti intrometterti nella vita degli altri, perchè sei un bambino.» A cosa voleva arrivare? Il sangue nelle mie vene scorreva veloce. «Tipo, non dovresti intrometterti nella vita mia e di Sophie.» Ecco a cosa voleva arrivare, ecco di cosa parlava. Lui era il padre di Sophie.
«Senta, io la amo.» dissi con un filo di voce, guardandolo negli occhi cercando di superare la paura che incombeva in me in quel momento.
«Non mi interessa, e non venirmi a dire queste stronzate. Se la ami, la proteggeresti, come faccio io. E stando con lei non la proteggi, sai benissimo che non sei la cosa giusta per lei. E poi sei un ragazzino.» Io l'amavo, non mi importava delle parole di suo padre, non potevo lasciarla andare così.
«Mi dia solo una possibilità...» guardai in basso, stavolta non ce la feci a sostenere il suo sguardo pesante sul mio corpo.
«Non farti più vedere, o ti spacco quel bel faccino che ti ritrovi, chiaro?» si accese una sigaretta, e si avvicinò puntandomi il dito contro.
«Non voglio più vederti. Che sia chiaro.» si girò e se ne andò via, lasciandomi accasciare al terreno, in silenzio. In silenzio, ecco come stetti nei giorni seguenti. Provai a chiamarla, ma attaccava la segreteria, e non avevo il coraggio di avvicinarmi alla porta della sua casa, perchè ecco quello che sono, un codardo.
 
Sophie.
Vivevo in attesa, in attesa di qualcosa che non arrivava. O meglio di qualcuno.
Mi sentivo terribilmente sola, mio padre dopo quell'accaduto mi faceva uscire solo con lui, per andare a fare la spesa, o altro. Mai da sola. Mai con i miei amici. Mai con lui.
Non avevo più neanche il telefono, vivevo con il terrore e l'odio per mio padre.
Erano le tre di notte e non riuscivo a dormire, come sempre del resto. Poi sentii qualcuno aprire la porta e mi nascosi sotto le coperte. Non volevo vedere quell'uomo in faccia. Uomo, sì. Perchè quello non era mio padre, era un mostro. 
«Hey» un sussurro. Era la sua voce. Mi tolsi di scatto le coperte e nonostante fossi in pigiama e con i capelli arruffati, a mo di zingara, mi buttai tra le sue braccia.
«Cosa-Cosa ci fai qua? Sai che se ti trova...» dopo essermi ripresa dallo stupore e dopo aver verifacto che quello non era un sogno parlai. «Se mi trova, saranno cose che capitano. Almeno ti ho rivista. E poi lo denunceranno, e tu potrai fare tutto quello che vuoi.» sorrise, ma io ero seria. Avevo paura.
«Mi sei mancato.» sussurrai, poi mi lasciai trascinare fuori casa ed entrai nella sua auto, che sfrecciò veloce.
Guardai la sua mano, aveva ancora la scritta che gli feci due giorni fa, un po' cancellata ma si leggeva abbastanza bene 'don't leave me' era come un promessa, una promessa che lui ha mantenuto. Ci addormentammo in auto, e ci svegliammo solo quando sentimmo una luce abbagliare i nostri occhi e un'auto che conoscevo fin troppo bene avvicinarsi, ci aveva trovati. Justin uscì di corsa dall'auto, io rimasi dentro a guardare la scena.
 
 
Justin
Riuscì a trovarci. 
«Cosa ti avevo detto?» mi chiese scendendo dall'auto. «Mi è sembrato di essere stato abbastanza chiaro con le parole, ora vediamo se capisci con i fatti.» Si avvicino a me e mi sferrò un pugno in piena faccia, iniziai a sanguinare, ma poco mi importava.
«Lei non ha il diritto di fare tutto questo.» dissi alzandomi da terra, siccome mi ci aveva appena fatto cadere.
«Io ho il diritto di fare tutto quello che cazzo mi pare.» disse poi avvicinandosi di più.
«Non può tenere una ragazza chiusa in casa! Io la amo cazzo, io la amo e farei qualsiasi cosa!» urlai poi, pieno di energia.
«E allora sparisci!» mi urlò contro, dopo avermi sferrato un altro pungno sempre nello stesso punto, mi faceva male, ma non importava.
«Sophie scendi dalla macchina!» le ordinò. Lei fece per scendere ma io fermai lo sportello.
«Levati dai coglioni, ragazzino!» mi tirò altri tre pugni e stavolta finì sul parabrezza e poi caddi per terra, non riuscivo più ad alzarmi, e così mi lasciò. Poi, in silenzio, svenni.

















AS LONG AS YOU LOLOLOLOLOLOLOVE ME
allora, è una one-shot scritta così, giusto perchè non avevo nulla da fare sul video di as long as you love me. potrei continuarla, però c: uhm, ci penserò! un bacio.
@xohstyles
  
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