Series: Kamen Rider Fourze (post episodio 31/finale alternativo)
Pairing: Gentarou/Kengo
Rating: Arancione
Genre: Fluffy/Angst
Notes: Non so davvero come io sia riuscita a scrivere una fanfic
del genere, io la maniaca per eccellenza degli “Happy Ending”
XD. Questa voleva essere una storia tragica dall’inizio alla fine, tuttavia
sono stata incapace di mantenere del tutto il proposito del “finale tragico”
optando per un’alternativa che fosse a mezza via tra l’angst
totale ed il puro e semplice fluff. Scritta prima della messa in onda
dell’episodio 32 (e del 47 T__T), questa fic è nata
dal primo RP tra me ed il “Maritoh” Charlie che mi ha
fatto da Gen-chan ♥.
Withering flowers dyed in red
“Basta così Utahoshi-kun… ormai lui è… lui è…”
“Non si azzardi nemmeno a pensarlo!” urlò il
ragazzo, ignorando quanto detto dall’uomo in piedi al suo fianco, rifiutando di
ammettere a sé stesso che ogni tentativo
di rianimare il corpo che giaceva inerme poco distante da lui era del tutto vano.
Per tutta risposta l’insegnate lo afferrò
gentilmente per le spalle esortandolo ancora una volta a disattivare il Medical Switch.
“E’ morto Utahoshi-kun…”
“E’ morto”
Due parole, due semplici parole furono abbastanza
per mandare in frantumi l’intero mondo di Kengo.
Cadde in ginocchio vicino all’amico inerme
afferrandogli una mano e stringendola con forza in un moto di stizza, vi appoggiò
poi il volto cercando di nascondere le lacrime che copiose gli bagnavano le
guance.
“Kisaragi… pezzo d’idiota che non sei altro…”
Passarono minuti, o forse ore, Kengo continuò a
piangere fino a restare senza lacrime, la mano di Gentarou sempre più fredda
ancora stretta tra le sue e il cuore disgregato in frammenti così piccoli che
non sarebbe bastata una vita intera per ricomporli.
“Come pensi che
possa vivere senza di te? Come? Dannato cretino…”
Un mese era ormai trascorso e bene o male ogni
membro del Bu a suo modo cercava di andare avanti,
tutti tranne uno: giorno dopo giorno lentamente la vita stava abbandonando
anche Kengo. Dopo la dipartita di Gentarou sembrava il ragazzo continuasse a
vivere perché doveva, non perché lo volesse realmente e nel profondo del loro
cuore tutti sapevano che presto avrebbe fatto una qualche sciocchezza, perdere
la persona amata in un modo così brutale era troppo perché lui potesse
sopportarlo.
Era un caldo pomeriggio di primavera quando Yuuki
decise di allungare la strada per casa e fare un salto al cimitero, era
decisamente troppo tempo che non passava a salutare Gen-chan
pensò. Avvicinandosi alla tomba scorse da lontano Kengo, inginocchiato a
pregare di fronte a quest’ultima e prima che il ragazzo si accorgesse della sua
presenza fece in tempo a sentirlo dire: “Ho cercato di andare avanti, idiota di
un Kisaragi, ma la verità è che non posso… non posso”.
“Quindi il momento è arrivato…” disse tra sé e sé
la ragazza.
Vedendola Kengo si ricompose e alzandosi in piedi
la salutò come se niente fosse per poi avviarsi verso l’uscita.
“Te ne vai già Kengo-kun?”
“Sì, devo ancora finire la relazione per domani e
non voglio doverla finire questa notte.”
“Ah, capisco… beh a domani allora!”
“A domani.”
Yuuki sapeva bene che non ci sarebbe stato nessun
domani, la calma innaturale che lo aveva contraddistinto negli ultimi giorni
lasciava presagire soltanto una cosa e le parole pronunciate poco prima non
lasciavano spazio a nessun dubbio, lo guardò attraversare il cancello con la
morte nel cuore, consapevole che non avrebbe potuto far niente per salvarlo
così come tempo prima non aveva potuto fare niente per Gentarou.
La ragazza si inginocchiò a sua volta vicino alla
lapide piangendo in silenzio, ormai non le restava altro che pregare, inutilmente,
una qualche divinità per riavere indietro la loro vecchia vita. Era ignara però
del fatto che non era sola in quel desolato cimitero di campagna, una presenza
invisibile, ma non per questo meno reale, vegliava su di lei, su tutti loro, non
potendo tuttavia far nulla per consolarli.
Una volta a casa Kengo portò a termine il compito
per il giorno seguente in un paio d’ore, non che gli importasse molto di cosa
stesse scrivendo o meno, l’unico scopo in quello che faceva era soltanto
affaticare il cervello in modo da potersi distrarre da quell’unico pensiero
fisso. Una volta riposti i fogli dentro la cartella si gettò lungo disteso sul
letto, abbracciando il cuscino, sperando di addormentarsi in fretta.
Ogni notte Gentarou era rimasto accanto al letto
di Kengo per ore, guardandolo dormire, maledicendosi per tutta la sofferenza
che gli stava causando, quello non era più il suo ragazzo, era un’ombra,
un’ombra di cui lui stesso era il creatore e se solo avesse immaginato cosa
sarebbe successo in seguito al suo gesto forse avrebbe agito con più raziocinio,
forse sarebbe stato ancora vivo…
Quella notte gli sembrò così triste persino da
addormentato che non riuscì a trattenersi dall’allungare la mano fino a sfiorargli
una guancia mandando a puttane la regola base del mondo degli spiriti: mai entrare
in contatto con gli esseri umani, loro non possono vederti, ma possono
percepirti.
“Potrai mai
perdonarmi… ?”
Sentendo quello spiffero freddo sfiorarlo
all’improvviso, Kengo si svegliò di soprassalto chiedendosi da dove arrivasse e
rimase non poco stupito quando vide che la finestra poco distante dal letto era
sigillata, dandosi poi mentalmente dello stupido quando poi pochi secondi dopo realizzò
che era esattamente come l’aveva lasciata prima di andare a letto. Fu sfregando
la guancia ghiacciata che una possibile spiegazione, per quanto assurda gli
sembrasse, iniziò a farsi strada nella sua mente con prepotenza.
“No… devo essere impazzito per pensare una cosa
del genere…” mormorò.
Per tutta risposta Gentarou gli accarezzò il volto
ancora una volta nello stesso identico punto. Kengo sussultò di sorpresa a quel
nuovo contatto.
“Ki… Kisaragi… sei tu…?”
“Sì… sono io… sono
sempre stato qui” rispose lo spirito
sorridendo malinconicamente appoggiando poi la testa nell’incavo del collo
dell’altro ragazzo. Ormai poteva soltanto immaginare quanto dovesse essere
calda quella pelle e ancora una volta realizzò quanto gli mancasse quel tipo di
calore che solo Kengo era stato capace di donargli.
In preda ad un’inspiegabile terrore che quello
strano gelo se ne andasse, Kengo si ritrovò ad abbracciare il nulla come un
disperato, cercando di catturare quella presenza tra le sue braccia. Per quanto
fino a poco prima gli fosse sembrata un’idea folle adesso era certo cosa fosse.
“Sì, sei tu… razza d’idiota!”
Gentarou si portò una mano al petto, se lì ci
fosse stato ancora un cuore avrebbe preso a battere in modo incontrollato, gli
aveva sempre fatto quell’effetto il tono con cui l’altro lo chiamava “idiota”. Quel tono misto di rimprovero e
preoccupazione che usava con lui e nessun altro.
“Sì… ma non sono
un’idiota!” rispose con finta
rabbia, sorridendo tristemente.
“Sì… ma non sono un’idiota” ripeté poco dopo
Kengo, sorridendo appena, immaginando che l’altro, se fosse stato ancora vivo,
gli avrebbe risposto esattamente con quelle parole. Quante volte in passato lo
aveva sentito pronunciare, ridendo, quelle cinque parole e mai avrebbe
immaginato gli sarebbero mancate tanto da desiderare di morire. In quel momento,
il pensiero che l’unico posto in cui avrebbe potuto ascoltare ancora una volta
la voce della persona che più aveva amato erano i suoi ricordi, gli sembrò così
doloroso da essere quasi insopportabile. Non avrebbe mai più visto sorridere
Kisaragi. Non avrebbe mai più potuto vivere per il resto della vita al suo
fianco. Si ritrovò a prendere a pugni il materasso nel bel mezzo di un pianto
incontrollato.
“Sì che lo sei, dannazione! Sei… sei il più grande
idiota mai esistito! Soltanto uno stupido poteva morire in quel modo… vorrei
tanto sapere a cosa stavi pensando mentre lasciavi che quella testa di cazzo ti
uccidesse! Credevi… credevi che saremmo stati bene anche senza di te?”
Gentarou sospirò profondamente.
“Ogni giorno
guardandovi da lontano ho pensato a cosa mi ero lasciato indietro… e rimpiango
profondamente ciò che ho fatto, ma in quel momento mi sembrava l’unica
soluzione possibile. Vorrei poter tornare indietro. Vorrei poter vivere con te
per sempre, diventare vecchi assieme. Vorrei che tu potessi sentirmi così sapresti
che neanche la morte è riuscita a
tenermi lontano da te…”
I suoi pensieri vennero interrotti da Kengo che,
calmatosi momentaneamente, riprese a parlare.
“O forse l’unico stupido qui sono io… pensavo
avessimo ancora così tanto tempo davanti… continuavo a rimandare, giorno dopo
giorno… ed alla fine non sono mai riuscito a dirti chiaramente che io… io… io ti
amavo, Kisaragi… e ti amo ancora. Quello che è successo tra noi non l’ho mai visto
come un gioco e non sai cosa darei per poter tornare indietro e dirtelo. Se
fosse possibile, vorrei essere io per una volta quello che fa felice te, e non
il contrario…” un nuovo singhiozzo, più forte dei precedenti, lo scosse
causandogli un violento colpo di tosse.
“Lo ero..” Gentarou lo abbracciò sempre più stretto “il giorno che sono morto ero felice…lo ero
davvero tanto.. eri e sei la cosa migliore che mi sia mai capitata…”.
Pensandoci adesso si rese conto che aveva iniziato
ad essere un po’ più felice del normale sin dal giorno del loro primissimo
incontro, per ritrovarsi poi completamente su di giri quando Kengo aveva
accettato la sua amicizia ed infine sorrise ricordando di come avesse rischiato
un attacco di cuore quando, poche sere prima della sua morte, si erano
scambiati il loro primo bacio.
“Sai, Kisaragi… all’inizio non potevo sopportarti… tu e tutto
il maledetto casino che ti portavi appresso ovunque andassi, qualsiasi cosa
facessi, ma poi, poco alla volta, tutto quel rumore per me è diventato così
indispensabile che spesso, camminando senza pensare, mi ritrovavo sulla porta
di casa tua… e il bello è che ci restavo delle ore, indeciso se suonare o meno
quel campanello che pareva quasi volesse sfidarmi…” sorrise amaramente
ripensando a quanto stupido era stato “ma tu questo non puoi saperlo, perché io
quel campanello non l’ho mai suonato. Se solo fossi riuscito ad essere onesto
con me stesso ammettendo subito quelli che erano i miei sentimenti, se tu
avessi saputo quanto io avessi bisogno di te realmente, forse tutto sarebbe
andato diversamente… probabilmente adesso staremmo litigando da qualche parte
per i motivi più stupidi, ma almeno saremmo ancora assieme… la mia non è più
vita, non senza di te.”
“Non ero così
rumoroso come dici!” un altro sorriso
malinconico ed un altro impercepibile abbraccio “era il mio modo per farti sapere che c’ero… che ero lì per te…” appoggiò
poi le mani sulle spalle di Kengo, fissandolo dritto negli occhi, profondamente
spaventato da quella che era stata l’ultima frase dell’altro ragazzo “io so cosa stai pensando… ma non provare
nemmeno a fare una sciocchezza simile… non per me… prima o poi passerà… ed io
non sarò altro che un ricordo, e tu sorriderai pensando a tutto quello che
abbiamo vissuto assieme…” in quel momento avrebbe tanto desiderato poter
piangere, piangere come mai aveva fatto in tutta la sua vita.
“Per me sarai sempre come una ferita aperta che
continua a sanguinare dolorosamente, non diventerai mai una ricorrenza da
calendario durante la quale tutti si riuniscono e piangono rimpiangendo ciò che
non è stato…”
“Kengo… per l’amor
del cielo… no!”
Fu una decisione più istintiva che razionale
quella di Kengo, ma sapeva che era la cosa migliore mai fatta in quel lungo
mese di agonia.
Afferrò un taglierino che giaceva abbandonato
sulla sua scrivania.
Due colpi secchi.
Due squarci verticali che andavano allargandosi
all’altezza dei polsi.
Le lenzuola iniziarono a tingersi rapidamente di
rosso mentre la vita pian piano scivolava via dal suo corpo. “Spero per te… che
tu sia… dall’altra parte ad aspettarmi… Kisaragi…”
Con l’ultimo briciolo di forze che gli restavano
Kengo si sporse per afferrare la foto che teneva sul comodino sin dal giorno in
cui era stata scattata, ritraeva lui, con la sua tipica espressione
imbronciata, e Gentarou che invece sorrideva beato. La strinse con tutta la
forza che gli concedevano le ferite appena aperte mentre si accasciava
nuovamente sul letto.
In quei minuti che gli parvero eterni gli sembrò
quasi di rivedere ogni attimo della sua vita che gli scorreva davanti ad una
velocità folle, diede un’ultima occhiata alla foto, poi, con quel sorriso che
tanto aveva amato impresso nella mente, si spense.
In quel momento Gentarou capì cosa doveva aver
provato Kengo vedendolo morire e pensò che al suo posto, un simile dolore, lo
avrebbe ucciso all’istante. Abbracciò un ultima volta quel corpo senza vita,
poi prese a svanire lentamente.
“Vado ad aspettarti…
“dannato cretino”…”
La prima cosa che Kengo vide aprendo gli occhi fu
una luce talmente forte che lo accecò rendendogli impossibile capire dove si
trovasse o cosa fosse successo, i fatti delle ultime ore gli apparivano troppo lontani
e troppo sfocati per poter essere ricordati così su due piedi. Stava cercando di
distinguere qualcosa di familiare nella moltitudine di ombre che lo circondava
quando una voce lo colse di sorpresa.
“Ti sei svegliato finalmente!”
Ancora prima di realizzare a chi apparteneva percepì
una lacrima rigargli la guancia.
“E’ davvero lui… o
sto ancora sognando?” pensò più confuso
che mai.
Sentì poi una mano asciugare delicatamente la
goccia che continuava la sua discesa, ma fu soltanto quando due braccia lo circondarono stringendolo con
forza che non ebbe più nessun dubbio: era reale ed era lì con lui. Finalmente
Kengo aveva trovato il suo posto e con esso la pace.
“Ki… Kisara…”
Non fece nemmeno in tempo a finire la frase che l’altro
gli impedì di parlare tappandogli la bocca con la propria baciandolo il più
delicatamente possibile, reprimendo con forza l’istinto di farlo suo in quel
momento stesso.
“Bentornato a casa…” abituatosi alla luce ora
poteva vedere Gentarou seduto di fronte a lui, che gli sorrideva continuando ad
abbracciarlo.
“Bentornato un corno… non ti azzardare mai più a
lasciarmi indietro! Altrimenti ti ammazzerò di nuovo con le mie stesse mani!” “Kengo, imbecille, soltanto questo sei
capace di dirgli? Seriamente…ok essere tsundere, ma tu sei un caso patologico…”
si rimproverò mentalmente non appena finito di parlare.
Gentarou rise di gusto scompigliandogli i capelli,
poi si avvicinò nuovamente fino ad appoggiare la fronte contro quella dell’altro.
“Non cambierai mai… ma è questo carattere che mi
ha fatto innamorare di te...”
“I-idiota… smetti di dire cose imbarazzanti” il
ragazzo arrossì violentemente cercando di sfuggire allo sguardo dell’altro che
però gli aveva già afferrato il volto con entrambe le mani, costringendolo a
fissarlo dritto negli occhi.
“Ti amo, Kengo.”
Quella dichiarazione così improvvisa e così sentita
smosse qualcosa dentro Kengo: era quello il momento perfetto. In vita si era
comportato da perfetto stupido, ma adesso non si sarebbe tirato indietro per
nulla al mondo. Era morto per potergli dire quanto lo amasse e cascasse il paradiso,
l’inferno o quel che era lo avrebbe fatto.
“Ti amo anche io, Gentarou.”
Un sorriso ancor più luminoso dei precedenti si
fece largo sul volto dell’altro ragazzo, che per tutta risposta se lo tirò in
braccio, baciandolo ancora una volta.
“Per sempre?”
“Per sempre.”
“Finché morte non ci separi.”