Aveva attraversato lo specchio.
Ora viveva nel mondo dei contrari. Non poteva esserci altra spiegazione ragionevole.
Che poi il concetto di ‘ragionevole’ nel campo di cui si occupava avesse
confini molto labili, questo era un altro paio di maniche.
Aveva combattuto contro esseri disumani, spiriti pieni di rabbia e rancore,
insetti guidati da una secolare maledizione…Dannazione, non
molto tempo prima aveva rivisto la madre morta da più di vent’anni
svanire ancora una volta nel fuoco!
Eppure tutto ciò gli era più comprensibile degli avvenimenti di qualche giorno
prima.
L’incomprensibile
in questione non stava tanto nel fatto che Dean si fosse rimasto ferito. Anche
se gli bruciava ammetterlo, suo fratello aveva ragione: il loro era un lavoro
pericoloso, si rischiava di rimetterci la pelle in ogni fottutissimo istante.
Quella però era una remota possibilità, una variabile insignificante nel loro
sistema. Insomma: non era concepibile che lo mollasse così.
Non
lui. Non la stessa persona che l’aveva trascinato in questa caccia all’uomo con
contorno di disinfestazione globale dalle creature sovrannaturali.
Inoltre,
i fratelli maggiori avevano l’ordine tassativo di rimanere sempre al fianco dei
minori: per darti pessimi consigli su come rimorchiare, od insegnarti il metodo
più veloce per farsi passare una sbornia, istruirti su come clonare le carte di
credito o procurarti dei documenti falsi.
In teoria avrebbero anche dovuto tenerti le parti, ma
Dean era il figlio perfetto, quello che non avrebbe mai osato mettere in
discussione
Proprio perché era così perfetto era inconcepibile che potesse sbagliare in
modo tanto clamoroso.
Sparare quella scarica elettrica verso lo zombie proprio mentre si trovava in
una pozza d’acqua?
Aveva un colpo solo, ma questa non era una scusante per un errore di tali
proporzioni.
Avrebbe potuto dargli un bel calcio in quel suo inguine imputridito, e
spostarsi in una posizione più favorevole.
Era di Dean Winchester che si stava parlando, non del primo sfigato che si
metteva in testa di cacciare fantasmi, perdio!
Uno cretino del genere neanche meritava che si rimanesse al suo capezzale, che cocesse
nel suo brodo solo come un cane, piuttosto.
Indi per cui questo non poteva essere il mondo reale.
‘Sì, Sam, contatela ancora un po’, magari
finirai pure per crederci.’ Si disse, chiudendo il computer portatile senza
alcuna gentilezza, in un impeto di rabbia.
Era tutto dolorosamente vero. La vita di suo fratello era appesa ad un filo.
Sarebbe rimasto solo.
Avrebbe dovuto starsene a guardare un'altra persona
che amava morire davanti ai suoi occhi.
No! Non l’avrebbe permesso un’altra volta.
Tutto ciò che gli serviva era un po’ d’aria, rinfrescarsi le idee e tornare al lavoro il prima possibile.
Sì. Loro sapevano cose che i dottori neanche immaginavano, non doveva farsi scoraggiare
dalle parole di “quell’orsetto della Perlana” come Dean aveva simpaticamente
definito il suo medico curante.
Quel deficiente era capace di fare lo spavaldo anche in una situazione del
genere, di tenere su la sua maschera di cavaliere senza macchia e senza paura.
Idiota. Come se lui non vedesse attraverso le paurose crepe che vi ci stavano
formando.
Ora basta, però. Continuando a pensare al suddetto demente non avrebbe cavato
un ragno dal buco, ed era inevitabile che lo facesse osservando quel letto
tristemente rifatto. Vuoto.
Uscire. Doveva uscire.
Prese la giacca, e le sue dita esitarono sulle chiavi dell’Impala, decidendo
poi di andare a piedi.
Sarebbe stato troppo strano guidare in solitaria, un impietoso rigirare il
coltello nella piaga.
L’aria era fredda e pungente, le strade semivuote.
Nell’impietoso e gelido silenzio sollevò gli occhi, come a cercare sollievo nello
sconfinato cielo stellato.
Era una tela dipinta con
maestria ultraterrena, di una bellezza tale da togliergli il fiato. Da fare
sembrare lui ed ogni suo dilemma insignificante al suo cospetto.
Incurante delle spallate simpaticamente donategli dagli sparuti passanti, che
con tutto il marciapiede a disposizione finivano proprio addosso a lui, si
fermò per poter meglio godersi la magnificenza della volta celeste.
Gli tornò in mente una notte in cui l’amata macchinona nera s’era fermata nel
bel mezzo di una deserta statale del Colorado.
Faceva un freddo cane, ma lui era voluto scendere comunque per vedere se
riusciva a scorgere una stella cadente.
“Dean! Scendi e tieni d’occhio tuo fratello!” aveva tuonato la voce di John,
svegliando il quattordicenne dal suo torpore. Mugugnando il soldatino aveva adempiuto agli ordini, e Sam se l’era ritrovato al fianco.
Come sempre, che John glielo chiedesse o no. Qualunque
momento della sua infanzia richiamasse alla mente, non ce n’era uno in cui il
fratello non fosse stato lì per lui.
Forzato dal destino avverso, forse, ma era c’era.
“L’avrei fatto anche se non me l’avessi detto…” Dean
aveva mormorato in tono quasi inaudibile. “…come se fossi tanto stupido da
lasciare qui fuori Sammy tutto solo.” Per l’appunto.
“Ho sentito un’obiezione o era solo la mia immaginazione, Dean?” John aveva
domandato con una vena d’irritazione nella sua voce, più per il fatto che la
riparazione gli stesse prendendo più tempo di quanto potessero permettersi, che
per il borbottio del primogenito.
“Non ho detto nulla, signore. Era solo la sua
immaginazione, signore.” Fu la pronta replica del figlio.
John
tornò alla sua riparazione, e Dean si sedette sul prato umidiccio non lontano
dal ciglio della strada, a neanche un metro da Sam.
Quest’ultimo
era troppo preso a far vagare il suo sguardo da un lato all’altro del manto
stellare per prestare la benché minima attenzione al botta e risposta fra il
padre ed il fratello.
La stella cadente non voleva farsi trovare, maledizione a lei.
“Woah, guarda Sam, una stella cadente!”aveva esclamato Dean, al primo sguardo
verso il cielo.
Certa gente aveva una fortuna sfacciata in ogni cosa, anche nelle più
impensabili.
“Dove, dove?” Naturalmente quando aveva individuato il punto indicato dal
fratello, non vi era più alcun segno d’essa.
“Se smettessi di cercarla come un ossesso, magari ne vedresti una. Certe cose arrivano quando meno te l’aspetti.” Aveva osservato. In quel
buio non poteva scorgere l’espressione di Sammy, ma poteva giurare che aveva
messo su un bel muso solo perché la buona sorte aveva deciso di baciare prima
il fratellone.
“Sì, sì, certo…” La risposta era stata, come si aspettava, molto scocciata.
“Dico davvero, sai come il coltello a serramanico che cercavi qualche settimana
fa e non hai trovato finché non stavi cercando altro, no?” Dean aveva cercato di
spiegargli, pazientemente.
“Devo fingere di cercare altro così la stella si fa vedere?” Sam non era certo
di aver colto molto bene il discorso dell’altro.
“Possiamo metterla così. Cerca le costellazioni, l’Orsa Minore per esempio.
Saper trovare in un batter d’occhio la stella polare è indispensabile. Non
sempre avrai una bussola a portata di mano, o la luce necessaria per vederla,
Sammy.” Ecco che era partita la modalità didattica di
Dean, quasi si sentisse in dovere d’insegnare qualcosa al fratello ogni volta
che si parlavano.
“So benissimo dov’è l’Orsa Minore, grazie. Ed è Sam, non Sammy.” Però si era
messo a cercarla lo stesso, metti mai che Dean avesse ragione nel dire che
smettendo la ricerca maniacale della stella cadente ne avrebbe vista una per
caso.
Il silenzio li aveva stretti nuovamente in una morsa gelata quanto la neve sui
monti intorno a loro, e dopo quelle che parvero ore, Sam
ancora non aveva scorto quello che tanto desiderava vedere. Come se uno spirito
dispettoso deviasse il suo sguardo
ogni volta che una di quelle lacrime lucenti scendeva lungo il cielo.
In quel momento, si sarebbe spogliato di tutti i suoi averi per
poter toccare con mano quello spettacolo.
Mano che era ormai gelida, quasi non la sentiva più. Stava per avvicinarsela alla
bocca insieme alla sua compagna, cercando di trasmetter loro un po’ di calore,
quando fu fermato a metà strada ed un altro paio di mani più grandi, ruvide e
calde, si sovrappose alle sue.
Dean si era spostato, sedendosi dietro di lui, e si era portato le mani di
entrambi sul grembo, strofinandole gentilmente per riscaldarle.
“Appoggiati a me, chissà che non riesca a trasmetterti
un po’ di fortuna.” Poteva giurare di aver sentito
il sorrisino sarcastico del fratello, che pur si trovava alle sue spalle. “Purtroppo per il fascino non posso
farci niente, mi spiace.”
L’aveva fatto ed ecco che l’aveva trovata. Una, due
addirittura, ed anche tre!
Dean era davvero incredibile, una calamita per le stelle cadenti.
Anche se Sam non sapeva se aveva tanti desideri da chiedere. Cosa si poteva
chiedere poi, alle stelle cadenti?
Regali come Babbo Natale, o i desideri erano più astratti? Come la pace nel
mondo ed altra roba del genere?
Ma a lui non importava granché della pace del mondo. Preferiva avere una casa
fissa come i bambini che aveva osservato nelle innumerevoli cittadine viste in
quei dieci anni, avere degli amici…E all’ultima chiese
che proteggesse Dean e papà dal male, che nessuno dei due finisse sepolto sotto
la fredda terra nello stesso modo dei tanti resti che avevano disseppellito,
cosparso di sale e bruciato. Un nodo allo gola gli
impediva quasi di respirare se solo ci pensava. Dubitava che anche da grande
sarebbe stato grado di fare una cosa del genere, non la voleva nemmeno vedere
la loro tomba!
No, la stella avrebbe vegliato su di loro.
Un
sorriso amaro gli si dipinse sulle labbra. Quanta innocenza aveva perso in quei
tredici anni.
Aveva
smesso di credere che le stelle potessero esaudire desideri, o addirittura
proteggere persone.
Eppure quando ne vide una si ritrovò catapultato indietro, ancora una volta, a
quella notte in Colorado.
‘Ti prego, fai che trovi un modo per salvare Dean. Dovessi anche vendere la mia
anima al diavolo.’ Congiunse le mani a mo’ di preghiera, concentrandosi
ardentemente su quel desiderio.
D’altro canto il diavolo avrebbe fatto carte false per avere la sua anima,
quindi era uno scambio equo, no?
Anche se quello stupido di Dean sarebbe stato capace di barattare la sua
anima con il demonio per riavere Sam indietro, vanificando così i suoi sforzi.
Non l’avrebbe neanche sfiorato l’idea che lui non avrebbe saputo che farsene di
una vita senza il fratello maggiore, dal momento che era chiaro ormai che alla
normalità non si poteva tornare.
E nemmeno era certo di averla mai voluta. Voleva solo staccare quel cordone
ombelicale che lo legava inesorabilmente a Dean, camminare nel mondo con le sue
gambe, vivere una vita che non fosse fatta di sole tre persone ed una macchina
piena zeppa di armi nel bagagliaio.
Indubbiamente non aveva creduto per un solo attimo che quell’esistenza potesse essere più “sicura”. Bastava leggere il titolo di
qualsiasi giornale per rendersi conto che c’erano tanti esseri umani più
sanguinosi e perversi di qualsiasi creatura avesse
cacciato in tutti quegli anni.
Però stava vivendo la sua vita, non
quella che altri avevano deciso per lui, e questo gli era bastato.
Aveva anche cominciato ad illudersi che in fondo l’attaccamento
verso la sua famiglia stesse scemando, che pur volendo loro ancora bene
non avrebbe messo in discussione la sua scelta, che potesse vivere benissimo
anche sentendoli una volta l’anno, o non avendo affatto loro notizie.
Mentiva
a se stesso, e lo sapeva benissimo.
Gli
era stato chiaro la sera stessa che erano tornati da Jericho: quel legame non
poteva essere reciso.
Nemmeno se fosse emigrato dall’altra parte dell’oceano, nascosto in qualche
anonimo paesino dell’Olanda. Sarebbe
sempre stato lì, nel suo stesso sangue.
Sangue che ora ribolliva all’idea di vedersi strappato un pezzo di cuore.
Ironico, visto che ciò che stava uccidendo suo fratello era proprio
un’insufficienza cardiaca, no?
Sospirò, sconsolato. Era una causa persa. Anche facendo ricorso a tutta la sua
forza di volontà, che nei suoi momenti migliori era stata tanto granitica da
contrastare le irremovibili prese di posizione del padre, non riusciva a non
pensare a Dean. Come la lingua batte dove il dente duole, le
sue sinapsi tornavano a lavorare sul dove, sul come trovare una
benedetta cura.
Possibile che con tutte le stronzate che si trovavano online – per non parlare
dei ‘Preferiti’ di Dean – non ci fosse qualcosa di
realmente utile in questo caso? Che con tutti libri posseduti dalla biblioteca
non si trovasse un cazzo di testo che potesse servire
a qualcosa?
In questi ultimi mesi aveva fatto tanto affidamento sul fatto che la soluzione
di ogni problema fosse scritta da qualche parte, che ora gli pareva assurdo che
la sua unica speranza fosse il desiderio espresso ad una stella cadente.
D’altra parte in diciotto e più anni da cacciatore ne aveva viste tante di cose
incredibili, troppe per essere completamente scettico. Solo perché avevano
sempre solo visto il lato negativo del soprannaturale, non significava che non esistesse del buono in esso.
Lui non sapeva neanche dove cominciare a cercarlo, ma magari qualcuno più
esperto di loro in miracoli ed affini avrebbe potuto
esser d’aiuto.
Sì, sentiva di stare cominciando a battere una pista niente male.
Ora doveva solo farsi venire in mente chi poteva essere questo qualcuno, dove
andarlo a trovare e come contattarlo.
Rivolse un altro sguardo verso il cielo, ora suo unico compagno. Per quanto lo fissasse, però, non vi era il benché minimo suggerimento di
un volto, un nome.
Anzi, la sua mente prese tutta un’altra tangente. Si ritrovò ad immaginare
quanto Dean e suo padre si sarebbero incazzati a vederlo così che se ne stava
ad aspettare che una soluzione gli piovesse dal cielo, figurandosi con vivida
chiarezza le loro espressioni scocciate ed il loro tono spazientito. Una
lacrima solitaria gli solcò il viso, asciugata prontamente con frustrazione.
Dannazione
quanto gli mancavano. Quanto avrebbe voluto riavere indietro la sua famiglia.
Dean.
Fu
allora che lo colse un flash, a comprovare che davvero ‘certe cose arrivano quando meno te lo aspetti’, come lui gli aveva
detto quella notte in Colorado.
Una visione chiara e limpida, quanto gli incubi che qualche tempo prima li
avevano ricondotti a Lawrence.
Il
diario di suo padre, ma certo! I contatti dei suoi ‘amici’ erano tutti
riportati al suo interno. Non aveva in loro la fiducia cieca che pareva riporvi
Dean, ma erano la sua ultima possibilità.
Se la stella, o chi per lei, aveva fatto sì che avesse quel lampo…Non doveva far
altro che seguire il suo suggerimento.
“Grazie.” Sam mormorò ai lucenti astri, guadagnandosi un paio d’occhiate
stranite che scrollò da sé insieme a parte di quell’angoscia che l’aveva
oppresso dalla sera dell’incidente.
Tornò
in hotel quasi correndo. Ci mise un po’ a trovare la vecchia agenda, sommersa
da ogni documentazione possibile in materia di malattie cardiovascolari. Eccola,
giusto sotto la ricerca sulle cure tramite agopuntura.
Trovare i numeri di telefono, sparsi com’erano tra le righe, fu già un’impresa
di suo.
Alcuni degl’interpellati ebbero da ridire sul fatto di essere stati svegliati
in piena notte, ma apprese le condizioni in cui versava Dean si prodigarono a
fornirgli consigli o altri contatti che potevano intendersi di taumaturgia, concludendo
la chiamata con i migliori auguri che il maggiore dei due giovani Winchester si
rimettesse presto. Non li avrebbe riportati al fratello: sarebbe stato come
ammettere che s’era sempre sbagliato su di loro, che era stato sempre prevenuto
considerandoli ‘gentaglia’, e questo era una verità che non avrebbe ammesso
davanti a lui nemmeno sotto tortura.
Passò tutta la notte così, telefonando a decine e decine di persone e lasciando
messaggi in segreteria ad altrettante, chiedendo di essere richiamato il prima
possibile.
Attendendo che si degnassero di farlo – sinceramente
non concepiva cosa potesse essere più importante che salvare suo fratello, e
quindi non capiva cosa aspettassero – camminò tanto su e giù per la stanza da
consumare parzialmente la moquette, si mangiò le unghie della mano sinistra
fino a scarnificare quasi le dita, e lasciandosi cadere sul materasso considerò
seriamente di cominciare a fumare.
Questo però avrebbe voluto dire alzarsi per andare a comprare delle sigarette (inaspettatamente
tra i tanti vizi di Dean non c’era quello del fumo), e non ne aveva nessuna
voglia.
Non
s’accorse neanche d’aver chiuso gli occhi ed essersi addormentato, anzi gli
parve normale di trovarsi sulla sponda di un fiume, a piedi nudi sull’erba
inumidita dalla rugiada mattutina.
E neanche gli sembrò strano che guardandosi intorno si trovasse circondato da
lapidi. Anche avvicinandosi non riusciva a scorgerne i nomi, le intemperie le
avevano rovinato in maniera irrecuperabile.
I
tumuli erano però ricoperti fiori freschi e biglietti d’addio rivolti ai
defunti, segno che dopo tutti quegli anni non erano ancora stati dimenticati.
Tranne che su tre che si trovavano in un angolo dimenticato del piccolo
cimitero; sepolcri dimessi ma con le iscrizioni ancora ben chiare sulle pietre
tombali.
“Mary Winchester” recitava la prima. Voleva allontanarsi, ed evitare di vedere
anche la prossima, che sarebbe stata la sicuramente quella di Jessica. L’aveva
già vista dal vero, e sognata diverse volte, non gli andava di visitarla ancora
una volta.
Il suo sguardo, però, ci cadde comunque. Pensò che il cuore gli fosse stato
strappato dal petto in quell’istante. “John Winchester” Non Jessica. Suo padre.
L’ultima volta che l’aveva sentito era ancora in perfetta salute, pronto a dare
ordini alle sue truppe.
Era morto? Senza neanche dargli l’occasione per potersi scusare per le parole
uscitegli dalla bocca la sera che gli aveva comunicato
la sua intenzione di andare al college?
Egoista, il solito odioso menefreghista di sempre! A stento represse l’istinto di
prendere a calci la lapide, e solo perché ne aveva notata una terza.
‘Fa che non sia la sua…Dio, fa che non sia la sua.’ Invece
il nome era proprio quello che mai avrebbe voluto vedere scritto lì sopra.
“Dean Winchester” Tra l’altro il sepolcro sembrava essere stato violato. In
modo diverso da come facevano loro; questa volta non erano neanche rimaste le
ceneri della salma. Chi poteva essere tanto perverso da portar via un corpo
dalla propria bara? A che pro, poi?
Una rabbia più cieca di quella verso suo padre
s’impossessò di lui. Poteva sopportare ogni tipo d’offesa rivolta contro suo
fratello, con la sua lingua svelta si sapeva difendere a perfezione da solo.
Questa no.
Attaccarlo tanto apertamente quando non si poteva più difendere, era un gesto
che non poteva tollerare.
Corse lungo la sponda del fiume, finché non scorse un’ombra che vi si stava
bagnando i piedi.
Accostandosi notò che la figura era ricoperta di terra. Che si trattasse del famigerato tombarolo?
“Maledetto!” Gli si scagliò contro. Poco importava che fosse lui o no, il
desiderio di rivalsa in lui era tale che poteva
rischiare anche di colpire un innocente, se c’era la minima probabilità che si
trattasse del colpevole.
“M’aspettavo un po’ più di fantasia da te, Sammy.” L’ombra si scansò, e con una
stretta sicura fermò il suo pugno. “In tutti questi anni dovrai pur avere
sviluppato un assortimento più vasto di insulti verso tuo fratello, no? Un ‘bastardo di un genio dal fascino che io non potrò mai
avere’ ci sarebbe stato bene.”
“Sarebbe un insulto?” Sam ribatté, liberando il braccio dalla sua stretta.
“Mi si può insultare? Senza sottintendere che sotto sotto
mi si adora? Non penso proprio.” La nebbia si diradò
leggermente e scorse l’insopportabile sorriso di scherno sulle labbra del
fratello.
“Idiota! Ti paiono scherzi da fare?” Sam gridò con tutto il fiato che aveva in
corpo. “Pensavo fossi…”
“Morto? Non ancora. Ma hanno già preparato un posticino tutto per me, visto che
carini?” Ogni parola trasudava sarcasmo; la facciata di Dean per nascondere la
sua paura. “Ed allora ci sarai tu a prenderti cura delle nostre…”
“Non ti passi neanche per l’anticamera del cervello, Dean! Sarai tu a
seppellire tutti noi, sono stato chiaro?” Alzò ancora di più la voce, sentendo
le corde vocali tendersi tanto da fargli male.
“Perché non puoi semplicemente lasciarmi andare?” Al contrario quella di Dean
parve perdersi nel mormorio dello Stige. “Occhio per occhio, vita per vita.
Ecco come funziona. Chi saresti disposto a sacrificare per me?”
“Chiunque. Tutti. Non m’importa. Voglio solo riaverti com’eri, Dean.” Tossì; era rauco per lo sforzo poco
prima compiuto.
“Nessuno
merita di morire per me. Stai per incamminarti verso la dannazione eterna,
fratellino. Ferma tutto questo, ora. Lasciami andare.” Lo stava supplicando.
Voleva credere che non potesse trattarsi della stessa persona che solitamente
amava comandarlo a bacchetta, trascinandolo da una città all’altra come un
bagaglio ingombrante, ma ogni fibra del suo essere
sapeva di stare di fronte a sangue del suo sangue.
“No. Non ti lascerò andare. Mai.” Lo allontanò dal fiume con uno spintone,
facendolo cadere sulle pietre della riva.
“In
questo caso sii pronto a sopportare un’altra croce. Sii preparato a perdere
altre persone che ami.”
“Ti ho già detto che non me ne frega un cazzo. Come se non fossi già dannato!
Farò qualsiasi cosa per farti ritornare in salute. E questo è tutto.”
“Allora non venirmi poi a dire che non ne sapevi nulla, Sammy.”
Un
rumore, del tutto estraneo al luogo in cui si trovano, li zittì.
Somigliava…Chiaramente
era…Non poteva trattarsi che di…Un cellulare?
Con uno sforzo sovraumano aprì gli occhi, ma la sua mente era ancora annebbiata
dal sonno e quando finalmente lo trovò aveva smesso di suonare.
Già che era in piedi si diresse in bagno, alla ricerca di un’aspirina per
lenire il mal di testa.
Con ogni movimento scivolava via un tassello della sua visione onirica, fino a
lasciarlo con la mera sensazione di aver sognato qualcosa di molto importante,
senza però riuscire a ricordarlo.
L’avrebbe rammentato la prossima volta. Se si trattava
di una premonizione l’avrebbe sognato ancora; si chiamavano sogni ricorrenti per una ragione, dopotutto.
Piuttosto doveva controllare chi l’aveva chiamato. Probabilmente era solo
l’ennesima richiesta d’aiuto da parte di qualcuno che non riusciva a trovare
John (sai che novità!), ma poteva anche essere qualcuno che lo richiamava per
Dean.
“Samuel?”
Già il fatto che lo chiamasse con il suo nome di battesimo deponeva a favore di
quest’ultima ipotesi. Più di metà della gente che tentava di contattare loro padre in cerca d’aiuto manco sapeva che avesse due
figli. “Sono Joshua. Joshua Tyler, un amico di John. Sai, lui e Dean mi hanno salvato
la vita un annetto fa. Se non fosse per loro adesso io
e la mia famiglia saremmo stati uccisi da quegli spiriti. Perciò, anche se preferirei che queste informazioni non diventassero di
dominio pubblico, ti manderò via messaggio l’indirizzo di uno specialista in
campo di guarigioni. Giuro, non conosco persona che non sia
stato in grado di curare. Spero Dean non farà eccezione. Riguardatevi,
mi raccomando.” Poco dopo arrivò il suddetto
indirizzo, di un tale Roy Le Grange in Nebraska.
Ora si trattava di andare a prendere Dean in ospedale e convincerlo a seguirlo fin
da quel santone.
Facile: non gli avrebbe lasciato alcuna scelta. O veniva con lui di sua
spontanea volontà o l’avrebbe tramortito e caricato di peso in macchina.
Stava cominciando a capire come comportarsi con suo fratello.
Rimaneva una sola cosa da fare, prima di uscire.
Chiamare suo padre. Sentiva di doverglielo, anche se quasi di sicuro avrebbe
parlato ancora una volta ad una segreteria.
Non sapeva che ora fosse. Dando un’occhiata dalla finestra tutto pareva
illuminato a giorno, dal cortile sul retro fino al comignolo più lontano che i suoi occhi fossero
in grado di scorgere. D’altro canto, lavorando soprattutto la notte, suo padre
poteva anche essere appena andato a dormire.
Sinceramente era un’altra delle tante cose di cui non poteva fregargliene di
meno. Non sarebbe stato a farsi scrupoli per l’ora, non per lui.
“Ciao papà. Sono io…Sam. Si tratta di Dean. Sta male, ed i dottori sostengono
che non ci sia più niente da fare. Ma loro non sanno quello che sappiamo noi,
giusto? Quindi non preoccuparti, perché farò qualunque cosa per farlo tornare
in salute.” Silenzio imbarazzante. “Be’, volevo solo
che lo sapessi.”*
Sarebbe stato troppo avere una parola di conforto da quel padre snaturato, in
un momento delicato come quello, eh? Morse le unghie della mano destra,
innervosito dal cieco desiderio di vendetta di quell’uomo, furente per non
poter contare su di lui nemmeno questa volta.
Sentì bussare alla porta. Non attendeva nessuna visita, quindi si alzò di
soppiatto, portando la mano sulla pistola. Aprì con circospezione, trovandosi
davanti l’ultima persona che s’aspettava potesse venire in albergo: Dean.
“Che diavolo ci fai qui?”* Lo avrebbe preso a schiaffi, se non fosse stato in
quelle condizioni. Pallido come un cadavere, con delle borse che gli arrivavano
fino alle orbite e il passo sicuro di uno zoppo con l’artrite alla gamba sana.
“Mi sono dimesso personalmente. Non morirò in un ospedale dove le infermiere
non son neanche attraenti.”* Rispose l’altro alzando le spalle, come ad
aggiungere ‘non sei d’accordo anche tu?’
Trattene a stento un sorriso, mentre l’aiutava a sedersi sulla sedia.
Sempre
il solito idiota.
Gli raccontò quanto saputo da Joshua, facendogli ben presente che non c’erano
opzioni.
Lo intristì vedere come il fratello si diede subito per vinto, il che non fece
che aumentare la sua risoluzione nel farlo guarire da quel Le Grange.
Spinse nei recessi della sua mente quel senso d’inquietudine ogni volta che il
pensiero correva al guru della taumaturgia.
Dean avrebbe detto che facevano quel lavoro da tanto tempo da non poter
ignorare sensazioni del genere.
Tuttavia, se era vero che nonostante la premonizione non avrebbe potuto
comunque salvare Jess, che non era stato poi così sbagliato ignorare quei
sogni, perché preoccuparsi di uno che non riusciva nemmeno a ricordarsi?
Caso chiuso. Non avrebbe lasciato morire Dean per una ‘sensazione’.
Qualsiasi
fossero state le conseguenze.
*Le frasi contrassegnate con un asterisco vengono direttamente dalla puntata,
le ho semplicemente tradotte.
Le parole in neretto erano obbligatorie per un contest, che aveva come tema una
notte stellata.