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Autore: Akira14    07/03/2007    6 recensioni
Rassegnarsi e lasciar perdere non é mai facile per un Winchester, specie se la posta in gioco é l'unica cosa che gli rimane...(storia basata su "Faith", S1E12)
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Spoiler] Like tears from the stars Akira14 – VM15 – Spoiler - Supernatural


Aveva attraversato lo specchio.
Ora viveva nel mondo dei contrari. Non poteva esserci altra spiegazione ragionevole.
Che poi il concetto di ‘ragionevole’ nel campo di cui si occupava avesse confini molto labili, questo era un altro paio di maniche.
Aveva combattuto contro esseri disumani, spiriti pieni di rabbia e rancore, insetti guidati da una secolare maledizione…Dannazione, non molto tempo prima aveva rivisto la madre morta da più di vent’anni svanire ancora una volta nel fuoco!
Eppure tutto ciò gli era più comprensibile degli avvenimenti di qualche giorno prima.

L’incomprensibile in questione non stava tanto nel fatto che Dean si fosse rimasto ferito. Anche se gli bruciava ammetterlo, suo fratello aveva ragione: il loro era un lavoro pericoloso, si rischiava di rimetterci la pelle in ogni fottutissimo istante. Quella però era una remota possibilità, una variabile insignificante nel loro sistema. Insomma: non era concepibile che lo mollasse così.

Non lui. Non la stessa persona che l’aveva trascinato in questa caccia all’uomo con contorno di disinfestazione globale dalle creature sovrannaturali.

Inoltre, i fratelli maggiori avevano l’ordine tassativo di rimanere sempre al fianco dei minori: per darti pessimi consigli su come rimorchiare, od insegnarti il metodo più veloce per farsi passare una sbornia, istruirti su come clonare le carte di credito o procurarti dei documenti falsi.
In teoria avrebbero anche dovuto tenerti le parti, ma Dean era il figlio perfetto, quello che non avrebbe mai osato mettere in discussione la Parola del padre.
Proprio perché era così perfetto era inconcepibile che potesse sbagliare in modo tanto clamoroso.
Sparare quella scarica elettrica verso lo zombie proprio mentre si trovava in una pozza d’acqua?
Aveva un colpo solo, ma questa non era una scusante per un errore di tali proporzioni.
Avrebbe potuto dargli un bel calcio in quel suo inguine imputridito, e spostarsi in una posizione più favorevole.
Era di Dean Winchester che si stava parlando, non del primo sfigato che si metteva in testa di cacciare fantasmi, perdio!
Uno cretino del genere neanche meritava che si rimanesse al suo capezzale, che cocesse nel suo brodo solo come un cane, piuttosto.
Indi per cui questo non poteva essere il mondo reale.

‘Sì, Sam, contatela ancora un po’, magari finirai pure per crederci.’ Si disse, chiudendo il computer portatile senza alcuna gentilezza, in un impeto di rabbia.
Era tutto dolorosamente vero. La vita di suo fratello era appesa ad un filo. Sarebbe rimasto solo.
Avrebbe dovuto starsene a guardare un'altra persona che amava morire davanti ai suoi occhi.
No! Non l’avrebbe permesso un’altra volta.
Tutto ciò che gli serviva era un po’ d’aria, rinfrescarsi le idee e tornare al lavoro il prima possibile.
Sì. Loro sapevano cose che i dottori neanche immaginavano, non doveva farsi scoraggiare dalle parole di “quell’orsetto della Perlana” come Dean aveva simpaticamente definito il suo medico curante.
Quel deficiente era capace di fare lo spavaldo anche in una situazione del genere, di tenere su la sua maschera di cavaliere senza macchia e senza paura.
Idiota. Come se lui non vedesse attraverso le paurose crepe che vi ci stavano formando.
Ora basta, però. Continuando a pensare al suddetto demente non avrebbe cavato un ragno dal buco, ed era inevitabile che lo facesse osservando quel letto tristemente rifatto. Vuoto.
Uscire. Doveva uscire.

Prese la giacca, e le sue dita esitarono sulle chiavi dell’Impala, decidendo poi di andare a piedi.
Sarebbe stato troppo strano guidare in solitaria, un impietoso rigirare il coltello nella piaga.
L’aria era fredda e pungente, le strade semivuote.
Nell’impietoso e gelido silenzio sollevò gli occhi, come a cercare sollievo nello sconfinato cielo stellato.
Era una tela dipinta con maestria ultraterrena, di una bellezza tale da togliergli il fiato. Da fare sembrare lui ed ogni suo dilemma insignificante al suo cospetto.
Incurante delle spallate simpaticamente donategli dagli sparuti passanti, che con tutto il marciapiede a disposizione finivano proprio addosso a lui, si fermò per poter meglio godersi la magnificenza della volta celeste.


Gli tornò in mente una notte in cui l’amata macchinona nera s’era fermata nel bel mezzo di una deserta statale del Colorado.
Faceva un freddo cane, ma lui era voluto scendere comunque per vedere se riusciva a scorgere una stella cadente.

“Dean! Scendi e tieni d’occhio tuo fratello!” aveva tuonato la voce di John, svegliando il quattordicenne dal suo torpore. Mugugnando il soldatino aveva adempiuto agli ordini, e Sam se l’era ritrovato al fianco.
Come sempre, che John glielo chiedesse o no. Qualunque momento della sua infanzia richiamasse alla mente, non ce n’era uno in cui il fratello non fosse stato lì per lui.
Forzato dal destino avverso, forse, ma era c’era.

“L’avrei fatto anche se non me l’avessi detto…” Dean aveva mormorato in tono quasi inaudibile. “…come se fossi tanto stupido da lasciare qui fuori Sammy tutto solo. Per l’appunto.
“Ho sentito un’obiezione o era solo la mia immaginazione, Dean?” John aveva domandato con una vena d’irritazione nella sua voce, più per il fatto che la riparazione gli stesse prendendo più tempo di quanto potessero permettersi, che per il borbottio del primogenito.
“Non ho detto nulla, signore. Era solo la sua immaginazione, signore.” Fu la pronta replica del figlio.

John tornò alla sua riparazione, e Dean si sedette sul prato umidiccio non lontano dal ciglio della strada, a neanche un metro da Sam.

Quest’ultimo era troppo preso a far vagare il suo sguardo da un lato all’altro del manto stellare per prestare la benché minima attenzione al botta e risposta fra il padre ed il fratello.
La stella cadente non voleva farsi trovare, maledizione a lei.
“Woah, guarda Sam, una stella cadente!”aveva esclamato Dean, al primo sguardo verso il cielo.
Certa gente aveva una fortuna sfacciata in ogni cosa, anche nelle più impensabili.
“Dove, dove?” Naturalmente quando aveva individuato il punto indicato dal fratello, non vi era più alcun segno d’essa.
“Se smettessi di cercarla come un ossesso, magari ne vedresti una. Certe cose arrivano quando meno te l’aspetti.” Aveva osservato. In quel buio non poteva scorgere l’espressione di Sammy, ma poteva giurare che aveva messo su un bel muso solo perché la buona sorte aveva deciso di baciare prima il fratellone.
“Sì, sì, certo…” La risposta era stata, come si aspettava, molto scocciata.
“Dico davvero, sai come il coltello a serramanico che cercavi qualche settimana fa e non hai trovato finché non stavi cercando altro, no?” Dean aveva cercato di spiegargli, pazientemente.
“Devo fingere di cercare altro così la stella si fa vedere?” Sam non era certo di aver colto molto bene il discorso dell’altro.
“Possiamo metterla così. Cerca le costellazioni, l’Orsa Minore per esempio. Saper trovare in un batter d’occhio la stella polare è indispensabile. Non sempre avrai una bussola a portata di mano, o la luce necessaria per vederla, Sammy. Ecco che era partita la modalità didattica di Dean, quasi si sentisse in dovere d’insegnare qualcosa al fratello ogni volta che si parlavano.
“So benissimo dov’è l’Orsa Minore, grazie. Ed è Sam, non Sammy.” Però si era messo a cercarla lo stesso, metti mai che Dean avesse ragione nel dire che smettendo la ricerca maniacale della stella cadente ne avrebbe vista una per caso.
Il silenzio li aveva stretti nuovamente in una morsa gelata quanto la neve sui monti intorno a loro, e dopo quelle che parvero ore, Sam ancora non aveva scorto quello che tanto desiderava vedere. Come se uno spirito dispettoso deviasse il suo sguardo ogni volta che una di quelle lacrime lucenti scendeva lungo il cielo.

In quel momento, si sarebbe spogliato di tutti i suoi averi per poter toccare con mano quello spettacolo.
Mano che era ormai gelida, quasi non la sentiva più. Stava per avvicinarsela alla bocca insieme alla sua compagna, cercando di trasmetter loro un po’ di calore, quando fu fermato a metà strada ed un altro paio di mani più grandi, ruvide e calde, si sovrappose alle sue.
Dean si era spostato, sedendosi dietro di lui, e si era portato le mani di entrambi sul grembo, strofinandole gentilmente per riscaldarle.
“Appoggiati a me, chissà che non riesca a trasmetterti un po’ di fortuna.” Poteva giurare di aver sentito il sorrisino sarcastico del fratello, che pur si trovava alle sue spalle. “Purtroppo per il fascino non posso farci niente, mi spiace.


L’aveva fatto ed ecco che l’aveva trovata. Una, due addirittura, ed anche tre!
Dean era davvero incredibile, una calamita per le stelle cadenti.
Anche se Sam non sapeva se aveva tanti desideri da chiedere. Cosa si poteva chiedere poi, alle stelle cadenti?
Regali come Babbo Natale, o i desideri erano più astratti? Come la pace nel mondo ed altra roba del genere?
Ma a lui non importava granché della pace del mondo. Preferiva avere una casa fissa come i bambini che aveva osservato nelle innumerevoli cittadine viste in quei dieci anni, avere degli amici…E all’ultima chiese che proteggesse Dean e papà dal male, che nessuno dei due finisse sepolto sotto la fredda terra nello stesso modo dei tanti resti che avevano disseppellito, cosparso di sale e bruciato. Un nodo allo gola gli impediva quasi di respirare se solo ci pensava. Dubitava che anche da grande sarebbe stato grado di fare una cosa del genere, non la voleva nemmeno vedere la loro tomba!
No, la stella avrebbe vegliato su di loro.

Un sorriso amaro gli si dipinse sulle labbra. Quanta innocenza aveva perso in quei tredici anni.

Aveva smesso di credere che le stelle potessero esaudire desideri, o addirittura proteggere persone.
Eppure quando ne vide una si ritrovò catapultato indietro, ancora una volta, a quella notte in Colorado.
‘Ti prego, fai che trovi un modo per salvare Dean. Dovessi anche vendere la mia anima al diavolo.’ Congiunse le mani a mo’ di preghiera, concentrandosi ardentemente su quel desiderio.

D’altro canto il diavolo avrebbe fatto carte false per avere la sua anima, quindi era uno scambio equo, no?
Anche se
quello stupido di Dean sarebbe stato capace di barattare la sua anima con il demonio per riavere Sam indietro, vanificando così i suoi sforzi.
Non l’avrebbe neanche sfiorato l’idea che lui non avrebbe saputo che farsene di una vita senza il fratello maggiore, dal momento che era chiaro ormai che alla normalità non si poteva tornare.
E nemmeno era certo di averla mai voluta. Voleva solo staccare quel cordone ombelicale che lo legava inesorabilmente a Dean, camminare nel mondo con le sue gambe, vivere una vita che non fosse fatta di sole tre persone ed una macchina piena zeppa di armi nel bagagliaio.
Indubbiamente non aveva creduto per un solo attimo che quell’esistenza potesse essere più “sicura”. Bastava leggere il titolo di qualsiasi giornale per rendersi conto che c’erano tanti esseri umani più sanguinosi e perversi di qualsiasi creatura avesse cacciato in tutti quegli anni.

Però stava vivendo la sua vita, non quella che altri avevano deciso per lui, e questo gli era bastato.
Aveva anche cominciato ad illudersi che in fondo l’attaccamento verso la sua famiglia stesse scemando, che pur volendo loro ancora bene non avrebbe messo in discussione la sua scelta, che potesse vivere benissimo anche sentendoli una volta l’anno, o non avendo affatto loro notizie.

Mentiva a se stesso, e lo sapeva benissimo.

Gli era stato chiaro la sera stessa che erano tornati da Jericho: quel legame non poteva essere reciso.
Nemmeno se fosse emigrato dall’altra parte dell’oceano, nascosto in qualche anonimo paesino dell’Olanda. Sarebbe sempre stato lì, nel suo stesso sangue.


Sangue che ora ribolliva all’idea di vedersi strappato un pezzo di cuore. Ironico, visto che ciò che stava uccidendo suo fratello era proprio un’insufficienza cardiaca, no?
Sospirò, sconsolato. Era una causa persa. Anche facendo ricorso a tutta la sua forza di volontà, che nei suoi momenti migliori era stata tanto granitica da contrastare le irremovibili prese di posizione del padre, non riusciva a non pensare a Dean. Come la lingua batte dove il dente duole, le sue sinapsi tornavano a lavorare sul dove, sul come trovare una benedetta cura.
Possibile che con tutte le stronzate che si trovavano online – per non parlare dei ‘Preferiti’ di Dean – non ci fosse qualcosa di realmente utile in questo caso? Che con tutti libri posseduti dalla biblioteca non si trovasse un cazzo di testo che potesse servire a qualcosa?
In questi ultimi mesi aveva fatto tanto affidamento sul fatto che la soluzione di ogni problema fosse scritta da qualche parte, che ora gli pareva assurdo che la sua unica speranza fosse il desiderio espresso ad una stella cadente.
D’altra parte in diciotto e più anni da cacciatore ne aveva viste tante di cose incredibili, troppe per essere completamente scettico. Solo perché avevano sempre solo visto il lato negativo del soprannaturale, non significava che non esistesse del buono in esso.
Lui non sapeva neanche dove cominciare a cercarlo, ma magari qualcuno più esperto di loro in miracoli ed affini avrebbe potuto esser d’aiuto.
Sì, sentiva di stare cominciando a battere una pista niente male.
Ora doveva solo farsi venire in mente chi poteva essere questo qualcuno, dove andarlo a trovare e come contattarlo.
Rivolse un altro sguardo verso il cielo, ora suo unico compagno. Per quanto lo fissasse, però, non vi era il benché minimo suggerimento di un volto, un nome.
Anzi, la sua mente prese tutta un’altra tangente. Si ritrovò ad immaginare quanto Dean e suo padre si sarebbero incazzati a vederlo così che se ne stava ad aspettare che una soluzione gli piovesse dal cielo, figurandosi con vivida chiarezza le loro espressioni scocciate ed il loro tono spazientito. Una lacrima solitaria gli solcò il viso, asciugata prontamente con frustrazione.

Dannazione quanto gli mancavano. Quanto avrebbe voluto riavere indietro la sua famiglia.

Dean.

Fu allora che lo colse un flash, a comprovare che davvero ‘certe cose arrivano quando meno te lo aspetti’, come lui gli aveva detto quella notte in Colorado.
Una visione chiara e limpida, quanto gli incubi che qualche tempo prima li avevano ricondotti a Lawrence.

Il diario di suo padre, ma certo! I contatti dei suoi ‘amici’ erano tutti riportati al suo interno. Non aveva in loro la fiducia cieca che pareva riporvi Dean, ma erano la sua ultima possibilità.
Se la stella, o chi per lei, aveva fatto sì che avesse quel lampo…Non doveva far altro che seguire il suo suggerimento.
“Grazie.” Sam mormorò ai lucenti astri, guadagnandosi un paio d’occhiate stranite che scrollò da sé insieme a parte di quell’angoscia che l’aveva oppresso dalla sera dell’incidente.

Tornò in hotel quasi correndo. Ci mise un po’ a trovare la vecchia agenda, sommersa da ogni documentazione possibile in materia di malattie cardiovascolari. Eccola, giusto sotto la ricerca sulle cure tramite agopuntura.
Trovare i numeri di telefono, sparsi com’erano tra le righe, fu già un’impresa di suo.
Alcuni degl’interpellati ebbero da ridire sul fatto di essere stati svegliati in piena notte, ma apprese le condizioni in cui versava Dean si prodigarono a fornirgli consigli o altri contatti che potevano intendersi di taumaturgia, concludendo la chiamata con i migliori auguri che il maggiore dei due giovani Winchester si rimettesse presto. Non li avrebbe riportati al fratello: sarebbe stato come ammettere che s’era sempre sbagliato su di loro, che era stato sempre prevenuto considerandoli ‘gentaglia’, e questo era una verità che non avrebbe ammesso davanti a lui nemmeno sotto tortura.
Passò tutta la notte così, telefonando a decine e decine di persone e lasciando messaggi in segreteria ad altrettante, chiedendo di essere richiamato il prima possibile.
Attendendo che si degnassero di farlo – sinceramente non concepiva cosa potesse essere più importante che salvare suo fratello, e quindi non capiva cosa aspettassero – camminò tanto su e giù per la stanza da consumare parzialmente la moquette, si mangiò le unghie della mano sinistra fino a scarnificare quasi le dita, e lasciandosi cadere sul materasso considerò seriamente di cominciare a fumare.
Questo però avrebbe voluto dire alzarsi per andare a comprare delle sigarette (inaspettatamente tra i tanti vizi di Dean non c’era quello del fumo), e non ne aveva nessuna voglia.

Non s’accorse neanche d’aver chiuso gli occhi ed essersi addormentato, anzi gli parve normale di trovarsi sulla sponda di un fiume, a piedi nudi sull’erba inumidita dalla rugiada mattutina.
E neanche gli sembrò strano che guardandosi intorno si trovasse circondato da lapidi. Anche avvicinandosi non riusciva a scorgerne i nomi, le intemperie le avevano rovinato in maniera irrecuperabile.

I tumuli erano però ricoperti fiori freschi e biglietti d’addio rivolti ai defunti, segno che dopo tutti quegli anni non erano ancora stati dimenticati.
Tranne che su tre che si trovavano in un angolo dimenticato del piccolo cimitero; sepolcri dimessi ma con le iscrizioni ancora ben chiare sulle pietre tombali.
“Mary Winchester” recitava la prima. Voleva allontanarsi, ed evitare di vedere anche la prossima, che sarebbe stata la sicuramente quella di Jessica. L’aveva già vista dal vero, e sognata diverse volte, non gli andava di visitarla ancora una volta.
Il suo sguardo, però, ci cadde comunque. Pensò che il cuore gli fosse stato strappato dal petto in quell’istante. “John Winchester” Non Jessica. Suo padre. L’ultima volta che l’aveva sentito era ancora in perfetta salute, pronto a dare ordini alle sue truppe.
Era morto? Senza neanche dargli l’occasione per potersi scusare per le parole uscitegli dalla bocca la sera che gli aveva comunicato la sua intenzione di andare al college?
Egoista, il solito odioso menefreghista di sempre! A stento represse l’istinto di prendere a calci la lapide, e solo perché ne aveva notata una terza.
‘Fa che non sia la sua…Dio, fa che non sia la sua.’ Invece il nome era proprio quello che mai avrebbe voluto vedere scritto lì sopra.
“Dean Winchester” Tra l’altro il sepolcro sembrava essere stato violato. In modo diverso da come facevano loro; questa volta non erano neanche rimaste le ceneri della salma. Chi poteva essere tanto perverso da portar via un corpo dalla propria bara? A che pro, poi?
Una rabbia più cieca di quella verso suo padre s’impossessò di lui. Poteva sopportare ogni tipo d’offesa rivolta contro suo fratello, con la sua lingua svelta si sapeva difendere a perfezione da solo. Questa no.
Attaccarlo tanto apertamente quando non si poteva più difendere, era un gesto che non poteva tollerare.
Corse lungo la sponda del fiume, finché non scorse un’ombra che vi si stava bagnando i piedi.
Accostandosi notò che la figura era ricoperta di terra. Che si trattasse del famigerato tombarolo?
“Maledetto!” Gli si scagliò contro. Poco importava che fosse lui o no, il desiderio di rivalsa in lui era tale che poteva rischiare anche di colpire un innocente, se c’era la minima probabilità che si trattasse del colpevole.
“M’aspettavo un po’ più di fantasia da te, Sammy.” L’ombra si scansò, e con una stretta sicura fermò il suo pugno. “In tutti questi anni dovrai pur avere sviluppato un assortimento più vasto di insulti verso tuo fratello, no? Unbastardo di un genio dal fascino che io non potrò mai avere’ ci sarebbe stato bene.”
“Sarebbe un insulto?” Sam ribatté, liberando il braccio dalla sua stretta.
“Mi si può insultare? Senza sottintendere che sotto sotto mi si adora? Non penso proprio. La nebbia si diradò leggermente e scorse l’insopportabile sorriso di scherno sulle labbra del fratello.
“Idiota! Ti paiono scherzi da fare?” Sam gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. “Pensavo fossi…”
“Morto? Non ancora. Ma hanno già preparato un posticino tutto per me, visto che carini?” Ogni parola trasudava sarcasmo; la facciata di Dean per nascondere la sua paura. “Ed allora ci sarai tu a prenderti cura delle nostre…”
“Non ti passi neanche per l’anticamera del cervello, Dean! Sarai tu a seppellire tutti noi, sono stato chiaro?” Alzò ancora di più la voce, sentendo le corde vocali tendersi tanto da fargli male.
“Perché non puoi semplicemente lasciarmi andare?” Al contrario quella di Dean parve perdersi nel mormorio dello Stige. “Occhio per occhio, vita per vita. Ecco come funziona. Chi saresti disposto a sacrificare per me?”
“Chiunque. Tutti. Non m’importa. Voglio solo riaverti com’eri, Dean. Tossì; era rauco per lo sforzo poco prima compiuto.

“Nessuno merita di morire per me. Stai per incamminarti verso la dannazione eterna, fratellino. Ferma tutto questo, ora. Lasciami andare.” Lo stava supplicando. Voleva credere che non potesse trattarsi della stessa persona che solitamente amava comandarlo a bacchetta, trascinandolo da una città all’altra come un bagaglio ingombrante, ma ogni fibra del suo essere sapeva di stare di fronte a sangue del suo sangue.
“No. Non ti lascerò andare. Mai.” Lo allontanò dal fiume con uno spintone, facendolo cadere sulle pietre della riva.

“In questo caso sii pronto a sopportare un’altra croce. Sii preparato a perdere altre persone che ami.”
“Ti ho già detto che non me ne frega un cazzo. Come se non fossi già dannato! Farò qualsiasi cosa per farti ritornare in salute. E questo è tutto.”
“Allora non venirmi poi a dire che non ne sapevi nulla, Sammy.

Un rumore, del tutto estraneo al luogo in cui si trovano, li zittì.

Somigliava…Chiaramente era…Non poteva trattarsi che di…Un cellulare?
Con uno sforzo sovraumano aprì gli occhi, ma la sua mente era ancora annebbiata dal sonno e quando finalmente lo trovò aveva smesso di suonare.
Già che era in piedi si diresse in bagno, alla ricerca di un’aspirina per lenire il mal di testa.
Con ogni movimento scivolava via un tassello della sua visione onirica, fino a lasciarlo con la mera sensazione di aver sognato qualcosa di molto importante, senza però riuscire a ricordarlo.
L’avrebbe rammentato la prossima volta. Se si trattava di una premonizione l’avrebbe sognato ancora; si chiamavano sogni ricorrenti per una ragione, dopotutto.
Piuttosto doveva controllare chi l’aveva chiamato. Probabilmente era solo l’ennesima richiesta d’aiuto da parte di qualcuno che non riusciva a trovare John (sai che novità!), ma poteva anche essere qualcuno che lo richiamava per Dean.

“Samuel?” Già il fatto che lo chiamasse con il suo nome di battesimo deponeva a favore di quest’ultima ipotesi. Più di metà della gente che tentava di contattare loro padre in cerca d’aiuto manco sapeva che avesse due figli. “Sono Joshua. Joshua Tyler, un amico di John. Sai, lui e Dean mi hanno salvato la vita un annetto fa. Se non fosse per loro adesso io e la mia famiglia saremmo stati uccisi da quegli spiriti. Perciò, anche se preferirei che queste informazioni non diventassero di dominio pubblico, ti manderò via messaggio l’indirizzo di uno specialista in campo di guarigioni. Giuro, non conosco persona che non sia stato in grado di curare. Spero Dean non farà eccezione. Riguardatevi, mi raccomando. Poco dopo arrivò il suddetto indirizzo, di un tale Roy Le Grange in Nebraska.
Ora si trattava di andare a prendere Dean in ospedale e convincerlo a seguirlo fin da quel santone.
Facile: non gli avrebbe lasciato alcuna scelta. O veniva con lui di sua spontanea volontà o l’avrebbe tramortito e caricato di peso in macchina.
Stava cominciando a capire come comportarsi con suo fratello.

Rimaneva una sola cosa da fare, prima di uscire.
Chiamare suo padre. Sentiva di doverglielo, anche se quasi di sicuro avrebbe parlato ancora una volta ad una segreteria.
Non sapeva che ora fosse. Dando un’occhiata dalla finestra tutto pareva illuminato a giorno, dal cortile sul retro fino al comignolo più lontano che i suoi occhi fossero in grado di scorgere. D’altro canto, lavorando soprattutto la notte, suo padre poteva anche essere appena andato a dormire.
Sinceramente era un’altra delle tante cose di cui non poteva fregargliene di meno. Non sarebbe stato a farsi scrupoli per l’ora, non per lui.
“Ciao papà. Sono io…Sam. Si tratta di Dean. Sta male, ed i dottori sostengono che non ci sia più niente da fare. Ma loro non sanno quello che sappiamo noi, giusto? Quindi non preoccuparti, perché farò qualunque cosa per farlo tornare in salute. Silenzio imbarazzante. “Be’, volevo solo che lo sapessi.”*
Sarebbe stato troppo avere una parola di conforto da quel padre snaturato, in un momento delicato come quello, eh? Morse le unghie della mano destra, innervosito dal cieco desiderio di vendetta di quell’uomo, furente per non poter contare su di lui nemmeno questa volta.

Sentì bussare alla porta. Non attendeva nessuna visita, quindi si alzò di soppiatto, portando la mano sulla pistola. Aprì con circospezione, trovandosi davanti l’ultima persona che s’aspettava potesse venire in albergo: Dean.
“Che diavolo ci fai qui?”* Lo avrebbe preso a schiaffi, se non fosse stato in quelle condizioni. Pallido come un cadavere, con delle borse che gli arrivavano fino alle orbite e il passo sicuro di uno zoppo con l’artrite alla gamba sana.
“Mi sono dimesso personalmente. Non morirò in un ospedale dove le infermiere non son neanche attraenti.”* Rispose l’altro alzando le spalle, come ad aggiungere ‘non sei d’accordo anche tu?’
Trattene a stento un sorriso, mentre l’aiutava a sedersi sulla sedia.

Sempre il solito idiota.
Gli raccontò quanto saputo da Joshua, facendogli ben presente che non c’erano opzioni.
Lo intristì vedere come il fratello si diede subito per vinto, il che non fece che aumentare la sua risoluzione nel farlo guarire da quel Le Grange.

Spinse nei recessi della sua mente quel senso d’inquietudine ogni volta che il pensiero correva al guru della taumaturgia.
Dean avrebbe detto che facevano quel lavoro da tanto tempo da non poter ignorare sensazioni del genere.
Tuttavia, se era vero che nonostante la premonizione non avrebbe potuto comunque salvare Jess, che non era stato poi così sbagliato ignorare quei sogni, perché preoccuparsi di uno che non riusciva nemmeno a ricordarsi?
Caso chiuso. Non avrebbe lasciato morire Dean per una ‘sensazione’.

Qualsiasi fossero state le conseguenze.


*Le frasi contrassegnate con un asterisco vengono direttamente dalla puntata, le ho semplicemente tradotte.
Le parole in neretto erano obbligatorie per un contest, che aveva come tema una notte stellata.

  
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