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Autore: sam93    23/08/2012    0 recensioni
“Non importa il luogo a dove vieni o dove vuoi andare, basta continuare a camminare” e dove può portare un sogno?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N.d.A: Premetto che questo non è opera mia, ma di una mia amica che non ha il coraggio di pubblicare. E che mi ha chiesto di farlo al suo posto per vedere un po' come fuzionano le cose. Spero che sia di vostro gradimento ^^ e che abbiate voglia lasciare una recensione, anche piccola piccola, per esprimere i vostri pareri.


Era una notte bellissima, tranquilla.

Il bosco era silenzioso con i suoi rumori, solo i miei passi sembravano riecheggiare di albero in albero.

I miei passi erano la sola cosa che interrompeva il riposo della natura a quell’ora della notte.

Sollevai gli occhi al cielo e vidi la meraviglia delle meraviglie … Una luna imponente, in tutta la sua grandezza e luce. Una luna che splendeva nella sua fierezza , immersa, com’era, in un cielo di un blu-nero  che sembrava inghiottire ogni tenebra. Nessuna stella osava avvicinarsi quella luna. Erano lontane dall’enorme luce, sembravano ritrarsi nelle più buie tenebre del cielo con una piccola luminosità che sembrava esprimere timidezza se confrontate con quella luna.

Una brezza leggera accarezzava il cielo, fino a scendere a scompigliare la chioma degli alberi, alberi maestosi e saggi che sembravano riverenti alle carezze del vento.

Quel vento che raggiungeva con la stessa forza il sottobosco ormai in pieno letargo. Quel vento che scivolava ai piedi degli alberi, sollevando quelle foglie ormai senza vita ma con colori talmente belli ch erano degne di attenzioni.

Quella brezza arrivò a me che, senza indugiare, saliva dal terreno fino a coprirmi, avvolgermi interamente  e poi mi abbandonava con la stessa velocità con cui mi aveva avvolto, per continuare il suo cammino ai piedi del bosco, per poi infine rialzarsi fiera nel cielo.

Costrinsi il mio sguardo ad abbassarsi sul sentiero immaginario che stavo percorrendo.

Non sapevo dove stavo andando, non sapevo da dove venivo, non sapevo neanche il perché della mia presenza in quel posto.

Un posto che mi pareva un limbo eterno senza una via d’uscita. Non sapevo nemmeno se volevo uscire di lì o rimanere in questo luogo con la consapevolezza di poter uscire se solo volessi.

Trassi un lungo sospiro e ordinai a me stessa di camminare.

“Non importa il luogo a dove vieni o dove vuoi andare, basta continuare a camminare” ripetei a me stessa.

Feci il primo passo in una direzione che non sapevo dove mi avrebbe portato... come una nave che fa vela senza sapere la rotta…
 
Stavo camminando senza fermarmi, senza una meta , semplicemente camminavo. Mi sentivo leggera sia fisicamente che mentalmente.

Il vento, la natura, la luna stessa mi facevano sentire protetta.

Protetta… che sensazione strana… per quale motivo qualcuno si vorrebbe sentire protetto? Da chi o cosa? Se vuoi protezione è perché ti senti minacciato, sia esso qualcosa materiale, sia esso qualcosa di astratto, come un emozione.

Io… io ero minacciata? Chi ero? Perché qualsiasi cosa quel posto rappresentasse, era sempre meglio di dove ero prima o di dove stavo andando? Perché sentivo che era cosi?

Se pensavo al passato un’ inquietudine mi assaliva ma nessun ricordo si affollava nella mia mente. Che non volessi ricordare?

Sollevai lo sguardo in avanti e potei  vedere la fine del bosco.

Una volta vicino alla fine degli ultimi alberi, una casa si levava maestosa.

Casa?! Era una villa enorme, diroccata, con finestre rotte, persiane ciondolanti e vetri rotti con frammenti in terra. L’intonaco era inesistente e l’edera rigogliosa e vivace avvolgeva l’enorme villa come se la volesse proteggere.

La porta… possente, spessa, in legno con decorazioni dorate a farla risplendere.

La porta… semi aperta a far vedere tenebre nascoste all’interno che sembravano chiamarti soavemente ma che sembrava non volessero uscire per paura di disperdersi nello spazio.

Involontariamente sollevai gli occhi al cielo per vedere come la luna faceva sembrare lucide quelle foglie d’edera come fossero piccole e fragili lucciole annidate sul tetto.

Un soffio di vento mi scompigliò i capelli come volesse richiamare la mia attenzione. Poi fece un turbinio di foglie su un lato della casa fino a sparire dietro di essa.

Osservai tutta la scena e non appena il turbinio sparì dietro la casa, scattai per seguirlo.
 
Non appena passai l’angolo, lo stupore si impossessò di me per ciò che vedevo.

Un lago… artificiale, circondato da un muretto di mattoni color rosso sangue. Un lago rettangolare dove ad ogni angolo e sui lati del muretto a distanza di due metri l’uno dall’altro, si ergevano delle colonne basse e anch’esse di mattone con base rettangolare. E sopra ogni colonna… l’inquietudine fatta persona.

Statue… di bambini… nudi con gli occhi vivi! Senza pupilla o iride. Occhi nero lucido che con la luce della luna sembravano prendere vita.

Prima del mio arrivo le loro teste erano rivolte verso il centro del lago, ma la mia comparsa ha fatto sì che le loro teste girassero il collo di 180° e che quegl’occhi si piantassero su di me.

Sembravano accusarmi del disturbo subìto.

Ero bloccata… paura? Inquietudine? Perche quegl’occhi mi guardavano e accusavano? Perché delle statue, fatte di pietra, dovrebbero avere uno sguardo vivo? Perché dovrebbero animarsi?!

Mi concentrai o perlomeno ci provai, volevo cercare di girare il lago e continuare la mia strada. Non volevo avere niente a che fare con ciò che avevo di fronte a me. Era qualcosa che non capivo e che mi spaventava quindi preferivo andare oltre che affrontare ciò che avevo davanti.

Quelle statue continuavano a fissarmi ma… il loro sguardo… sembrava cambiato in questi ultimi istanti…

Adesso mi guardavano inespressivi, impassibili come se la brezza della notte avesse cancellato, portato via la loro accusa nei miei confronti.

Mi decisi a camminare lungo un lato del lago con l’inquietante sguardo di quei bambini di pietra che mi seguiva e con loro anche il rumore della pietra che si muoveva per girare loro la testa verso di me…

Nel camminare potei notare come quel  lago, grande a mio avviso, sembrasse uno stagno.

L’acqua era putrida, piena di rametti, foglie e quant’altro. E le ninfee, meravigliose piante con fiori degni di grazia, erano marce, completamente annerite e putride.

Una volta percorso un intero lato del lago, potei notare un ruscello largo non più di 80 - 90 cm.

Un ruscello che dall’alto del colle scendeva e si riversava in quel lago, sicuramente indegno di quell’acqua corrente limpida, fresca e invitante.

L’acqua scorreva e quasi senza far rumore entrava in contatto con il lago. Ecco perché non mi ero accorda di quel ruscello né sul collo né al lago, perché era silenzioso e pieno di grazia nei suoi movimenti. Delicato e sensibile nell’accarezzare la terra.

Chiusi  gli occhi e ascoltai i lievi rumori? No macché, i lievi suoni che emetteva quel ruscello. Sembrava avere proprietà rilassanti e l’inquietudine di quegli sguardi ancora fissi su di me sembravano non scalfirmi grazie al suono lieve di quel ruscello.

Avevo ancora gli occhi chiusi quando percepii una presenza accanto a me.

Gli aprii di scatto e sobbalzai alla vista di un ragazzo accanto a me. Un ragazzo fisicamente bello e vestito solo con jeans e una t-shirt blu e senza scarpe e calzini. I capelli corti di un nero corvino, ma il suo viso… non c’era, era inesistente. Né occhi , né naso, né bocca, né orecchie. Il suo viso era nero, un nero contorno, senza un lineamento, solo nero.

Se avesse avuto occhi, sicuramente mi stava guardando come continuavano a fare anche quelle statue. Però stranamente quel ragazzo non mi faceva paura, forse mi intimidiva un po’, però sentivo che era l’unico in quel momento che mi poteva far stare tranquilla.

Eravamo l’uno di fronte all’altro, quando lui si fece da parte e potei vedere che dal nulla era apparsa nel torrente una canoa gialla a due posti, senza remi.

Guardai lui e non perse tempo a porgermi la sua mano. Feci per prenderla ma non volevo subito abbandonarmi alla sensazione di fidarmi di lui. Volevo che mi parlasse, volevo sapere chi era, cosa voleva da me e dove aveva intenzione di portarmi.

-Chi sei?- chiesi, la mia voce sembrò alterare la quiete del bosco.

Quelle statue osservatrici sembravano riprendere quell’espressione iniziale di fastidio, al suono della mia voce.

Il ragazzo invece sembrava immutabile, non rispose, non si mosse. Niente.

Quel silenzio mi innervosì, così continuai:

-Da dove vieni? Perché sei venuto qui da me? Perché ora? E dove hai intenzione di portarmi con quella canoa senza remi?-

La mia voce … era strana. Sentivo che era la mia voce ma la sentivo distante.

Il ragazzo rispose: -Parlare non serve-, semplicemente disse questo.

La sua voce? Era persino più strana della mia. Era una voce metallica, non era vera voce, cioè … come spiegare? Di solito una voce ha un suo timbro, un suo suono e grazie a questo è riconoscibile. La sua invece non aveva timbro, era irriconoscibile e in associabile ad una voce umana.

-A me serve sapere- dissi convinta della mia insistenza.

Quel ragazzo anche con la sua voce strana non mi faceva paura, ma la mancanza di risposte da parte sua mi innervosiva.

-Non ho nome, vengo dal nulla, la notte mi ha indicato di venire da te, e ti porterò dove l’acqua si arresta volontariamente nella terra-

Non capii niente, avevo la sensazione  come se mi avesse detto qualcosa e allo stesso tempo  non mi avesse detto niente.

Quando quel ragazzo parlava, le statue sembravano in stato confusionale, come se quel ragazzo distogliesse loro l’attenzione da me e dopodiché non riuscissero più a concentrarsi su qualcosa. Confuse appunto.

In più il fatto di non capire quello che diceva quel ragazzo mi innervosiva ancora di più se invece stava zitto.

Riportai la mia attenzione  sulle statue e lui disse:

-Ti osservano, loro sono te-

-Cosa significa? Non ho capito una sola parola di tutte quelle che hai detto, non capisco!- dissi ormai pienamente nervosa.

La mia alterazione nella voce fece irritare le statue anche se parevano ancora confuse.

-I loro sguardi rispecchiano te, le loro espressioni sono le tue, sono come tu vedi te stessa-

Come io vedevo me stessa? Io non mi vedevo impassibile, infastidita o innervosita…

-Io non sono impassibile a… - presi un respiro e allargando le braccia indicai tutto quel posto -… tutto questo!- risposi esasperata.

-Loro mutano lo sguardo attraverso l’espressioni che fai vedere te esternamente, tu non lasci trapelare le vere emozioni, quello che veramente provi. Loro… - disse indicando quelle statue -sono una prova che ti fa capire come tu sia chiusa- finì impassibile.

Mi alterai seriamente, ma notai che nell’alterarmi la mia espressione facciale rimase immutata.

Così abbassai lo sguardo dicendo, anzi sussurrando: -Io non sono chiusa-

Sempre con impassibilità visto che non aveva un viso, quel ragazzo mi ritese la mano chiedendo: -Andiamo?-

Presi quella mano e mi sorpresi nel sentire un calore tiepido e allo stesso momento affettuoso. La sua mano avvolse la mia e con l’altra, che pose al centro della mia schiena, mi spinse delicatamente verso quella canoa.

Tutto sembrava fermarsi dolcemente; quelle statue di bambini ancora confusi ma rilassati, i rumori del bosco sembravano acquietarsi e quel ruscello, già di per sé tranquillo e rilassante, sembrava richiamarci.

Il ragazzo mi aiutò a salire e ci posizionammo per bene nella canoa e notai che ci sistemammo in direzione opposta rispetto alla corrente del ruscello. Come diamine intendeva salire il fiume quel ragazzo?!

Mi girai leggermente per chiederglielo e anche per sapere il suo nome, non potevo continuare a chiamarlo ragazzo.

-Posso sapere come risaliremo il fiume se siamo contro corrente e per di più in salita? E qual è il tuo nome? Non voglio chiamarti “ragazzo”-

Era fermo immobile, con la sua schiena eretta e il viso abbassato verso di me quando chiese:

-Sai di essere in un sogno?-

A quella domanda ogni cosa, ogni rumore, ogni movimento ed espressioni altrui si bloccò e forse anche io con lei.

Ero in un sogno? In tutto questo tempo non ci avevo mai pensato. Lo ero davvero? Forse… infondo realmente non ricordo chi sono e da dove sto fuggendo, se sto fuggendo. Che stia fuggendo dalla realtà, la vera realtà? Sono pienamente cosciente di essere in un sogno? Di solito non si sa di esserlo… sono sconvolta o sorpresa di scoprire di esserlo? No… non più di tanto.

Ma con questa domanda cosa voleva farmi capire? Che tutto è possibile? La razionalità e la logica hanno un valore ancora per me, anche se sono in un sogno.

-Forse, forse so di essere in un sogno… -risposi guardandolo in modo interrogativo.

-Tutto ciò che c’è riflette te o riflette su di te. Per risalire il ruscello basterà che tu chieda a te stessa di poter risalire il fiume e l’acqua rifletterà quello che vuoi- disse in tono pacato ma fermo.

Chiedere a me stessa di risalire il fiume? Ma di cosa stava parlando? Maledizione! Tutto questo non aveva senso! Perché diamine sto usando proprio ora la mia razionalità mentre prima ne vedere statue vive non ho quasi battuto ciglio?!! L’usare la logica e il non trovarla in quel posto mi spazientì e feci per alzarmi dalla canoa ed andarmene.

Ma quel ragazzo mi appoggiò una mano su una spalla e fece una delicata pressione verso il basso per rimettermi seduta.

-La logica ti sta offuscando, ti è davvero così difficile ascoltare te stessa?- chiese il ragazzo inclinando leggermente il viso a sinistra.

Era difficile? Si lo era, era difficile, ho sempre aiutato ed ascoltato gli altri ma non riuscivo a dedicarmi a me stessa, tanto che pia piano ci ho rinunciato a starmi dietro. Però non pensavo questo per dei ricordi, magari reali, che mi sono tornati in mente, ma semplicemente per delle sensazioni.

Avevo la sensazione addosso di non riuscire ad occuparmi di me stessa ma solo degli altri…

Credo di essere arrivata ad una conclusione… penso troppo!

Dovevo lasciarmi andare, dovevo imparare ad accogliere e gioire di quei momenti in cui potevo pensare a me stessa. È questo  il mio problema! Mi accorgevo e sapevo di cosa avevo bisogno ma ero restia a chiedere. Tutto quello che riuscivo a fare era ammetterlo o direttamente negarlo. Ma mai chiedere aiuto.

-Cosa devo fare per farmi ascoltare dall’acqua?- chiesi rassegnata

-L’acqua sei tu e tu sei l’acqua. Non ti preoccupare di farti ascoltare, pensa piuttosto a parlare a te stessa-

-Come? Come faccio?- richiesi pensando già in partenza di non poterci riuscire.

Il ragazzo non rispose . Figurarsi se mi dava una mano.

Guardai dritto davanti a me e poi chiusi gli occhi. Cercai di rilassarmi e di inspirare ed espirare regolarmente. Me stessa… io…. Dovevo ascoltarmi. Il mio respiro, il torace si abbassava e si alzava, una sorta di leggerezza mi pervase.

Il vento ricominciò a muoversi tra gli alberi e l’acqua ricominciò a scorrere silenziosamente nella solita direzione.

Volevo risalire quel fiumiciattolo, volevo vedere come l’incontro della terra e dell’acqua fosse così armonioso e senza esitazioni. La bellezza di come l’acqua va incontro alla terra, lo stesso volevo fare io. Io dovevo incontrare me stessa come l’acqua incontra la terra. Volevo risalire quel fiume!

Sentii qualcosa cambiare esternamente a me… l’acqua!

Spalancai gli occhi di scatto e abbassai il mio sguardo verso l’acqua. L’acqua adesso scorreva all’incontrario! Andava verso la salita! Ma… ma… come… è meraviglioso!

Mi girai verso il ragazzo con un sorrisone ed ebbi la sensazione che anche lui sorridesse. Mi sentivo bene, alleggerita.

La canoa piano piano cominciò a salire e l’acqua faceva lo stesso. Nel risalire quel colle, in questo fiume nascosto dagli alberi, notai che gli sguardi dei bambini si rigiravano lentamente verso il lago. Nel risalire il fiume una sensazione di meraviglia e sorpresa mi pervase. Mi
sentivo cosi leggera e sicura di me. Quello che volevo potevo ottenerlo.

Sentii una mano posarsi sul mio braccio e sobbalzai. Ero talmente presa da quello che vedevo che non mi ricordai del ragazzo.

Fece scorrere la sua mano fino alla mia mano sinistra, la prese e la fece passare oltre il bordo della canoa e me la immerse nell’acqua che scorreva. Una sensazione fresca e pura avvolse la mia mano mentre quel ragazzo ritirava la sua.

In quel momento ero contenta e senza pensieri, se non uno.

Con la mano ancora immersa nell’acqua chiesi:

-Qual è il tuo nome?-

Il ragazzo esitò a rispondere:

-Non ho un nome, so solo che sarò la persona che ti starà accanto e ti amerà nella vita reale-

Sgranai gli occhi e ritraendo la mano dell’acqua mi girai verso di lui.

-Stai scherzando?! Mi stai dicendo che sarai il mio futuro compagno?- esclamai

Rispose con la sua incrollabile impassibilità: -Esatto-

Ma… lui non era niente… cioè…

-Ma tu non hai un viso, né una voce come faccio a capire chi sei?-

-Lo scoprirai,ora nessuno lo sa. Né io, né te, né la natura che ci circonda. Devi aprirti alle persone, non trovare solo difetti-

A cosa si riferiva? Non ero aperta nella realtà? Cosa ne sapeva lui? Cosa ne sapevo io? Non chiesi, semplicemente perché volevo godermi quell’attimo rilassante.

Mi rigirai per bene e vidi che eravamo in un laghetto circondato come sempre dal bosco. Non era niente di che, era piccolo però sembrava famigliare ed accogliente.

-Voglio fermarmi al centro del laghetto e stare lì- dissi respirando quell’aria così pulita.

-Pensalo- disse il ragazzo.

Lo pensai e la canoa si fermò al centro. La natura, il vento, l’acqua e i rumori naturali del bosco creavano una melodia paradisiaca. Però…
odiavo chiamarlo ragazzo!

-Ti chiamerò Kiba- dissi aspettando il suo dissenso, invece mi sorprese.

-Mi piace, anche se poi in futuro avrò il mio vero nome-

Ero curiosa di una cosa nei confronti di quel ragazzo.

-In questo sogno, tu sei dalla mia parte? Mi difenderesti?-

Avevo quasi paura della risposta. Lui rispose semplicemente:

-Sì-

Quella risposta laconica in qualche modo mi infastidì, anzi mi ferì.

-Sì perché devo o sì perché voglio?- chiesi quasi scontrosa.

Esitò a rispondere ma rispose:

-Perché voglio, non so chi sono ne tantomeno chi sarò però ho una sensazione verso di te che mi urla di proteggerti, perciò sì, ti proteggerò- lo disse in tono misurato come se non volesse aprirsi troppo.

Pensare di restare in quel posto per sempre, non mi diede noia, anzi. Kiba sarebbe stato con me e avremmo passato il tempo in quella natura così materna.

-Kiba… che cosa sai di te stesso? Proprio nulla? Ti senti vuoto?- chiesi mentre mi cresceva la voglia di abbracciarlo.

Non rispondeva, perciò mi girai quel poco per capire il perché del suo silenzio e potei vedere le sue mani sudate che si contorcevano fra di loro e il suo viso abbassato. Il suo viso era assente, ma il suo corpo sembrava quasi spaventato nel rispondere.

-Kiba?-chiesi preoccupata.

Non si calmava, continuava ad agitarsi. Così misi una mano sulle sue e lui si bloccò alzando il viso verso di me. Non potevo vedere il suo sguardo, visto che era una maschera nera, ma era come se potessi percepire il suo stato d’animo.

-Kiba?- ripetei, donandogli un mezzo sorriso.

Sembrò allentarsi un minimo e mi strinse una mano. Abbassai lo sguardo sulle nostre mani congiunte.

-Prima di vederti al lago, ero nei meandri delle tenebre presenti in questo bosco senza fine. Ero vuoto se non per il fatto che sentivo che dovevo trovarti, starti vicino. Ma se non fosse per te, sarei vuoto, senza niente dentro. Tu mi fai sentire qualcosa anche se ancora non so tanto di quello che sarò per te in futuro- rispose Kiba e la sua voce non era più metallica, anzi, era dolce e bassa.

-Non qualcosa, Kiba, qualcuno. Il fatto che ti senta vuoto non significa che non sia nessuno. Starò con te, accanto a te per farti sentire come è bello sentirsi pieni dentro, nel cuore e nella mente- dissi sorridendo.

Un rumore nel bosco ci fece voltare entrambi. I suoni nel bosco sembravano fermarsi e lo stesso fece l’acqua. Da un punto nel bosco  si sentì l’avvicinarsi di qualcosa. Qualcosa stava pestando, sempre più vicino, le foglie.

Le nostre mani congiunte si strinsero e lui con movimenti aggraziati cercò, tramite la sua mano, di accarezzarmi il palmo per rilassarmi.

Quel qualcosa che si avvinava mi inquietava e non sapevo spiegare il motivo.

Dalle ombre che formavano gli alberi che delimitavano quel laghetto, uscì fuori un lupo di normali dimensioni ma in condizioni pessime.

Fiondò i suoi occhi sui miei ed era come se mi paralizzasse.

Quello sguardo cattivo, subdolo e falso sembrava stesse perforando la mia testa. Quello sguardo mi ricordava qualcuno… ma chi? In quel momento non c’era nessuno a parte me e Kiba e sicuramente non era Kiba a ricordarmi quello sguardo.

Un sogno… io sono in un sogno… che quel lupo mi ricordasse una persona reale? Sentivo che era una donna adulta che nella realtà in un passato non troppo lontano mi ha ferito mentalmente, deludendomi. Percepivo il mio cuore formare rabbia, delusione e falsità vedendo quel lupo.

Il mio sguardò si indurì mentre ancora il suo mi teneva bloccata. Kiba sembrava una presenza estranea, né mi aiutava, né io chiedevo aiuto a lui.

-Smettila di guardarmi in quel modo! Tu sei solo una persona che posso manipolare, mi appartieni e non permetterò a nessuno di portarti via! Quel ragazzo deve sparire!- quel lupo parlò con una foga incredibile, sbavando e con gli occhi iniettati di sangue.

È pazza! Sembrava senza controllo! Mi intimorì, anzi mi mise paura e dovetti rilassare il mio sguardo.

-Porta quella canoa da me! Avvicinati!- Ordinò rabbiosa.

Lo disse con un tono che dava l’idea di sbranarti se non lo avessi fatto.

Pensai di avvicinarmi a quella belva e piano piano la canoa cominciò a muoversi riluttante come lo ero io. A mano  a mano che ci avvicinavamo, la belva sembrava agitarsi sempre di più. Kiba era lì, mi teneva la mano ma era fermo, impassibile.

Eravamo a 50 cm dalla sponda, quando la belva balzò sulla canoa.

-Torna alla villa! Forza! Muoviti!- disse dandomi una musata sulla spalla.

-E togli le tue mani dal lui!- disse schifata.

Tolsi le mie mani e mi girai faccia a faccia con la belva. Il suo fetore era insopportabile! Mi feci forza e pensai di tornare giù in quello strano posto. L’acqua cominciò, con mia grande sorpresa, anche se lo avevo già fatto prima, a scendere come è naturale che sia.

La canoa si inserì nel fiumiciattolo e cominciò a scendere. La belva orribile seduta sulla punta della canoa davanti a me, io nel mezzo e dietro di me Kiba totalmente immobile e silenzioso.

Scendevamo il fiume in completo silenzio ma potevo percepire la tensione di Kiba e l’autorità e il possesso che sprigionava quella belva.

Mi intimoriva e per questo non riuscivo ad impormi ed oppormi ma le emozioni dentro di me erano vivide e dolorose…

Eravamo ritornati a quel lago artificiale e subito la belva balzò giù e io e kiba la seguimmo.

Non appena fummo fermi, mi accorsi che gli occhi dei bambini erano ritornati su di me, e le emozioni vivide e dolorose che si stavano formando dentro di me, esplosero.

Rabbia! Delusione! Falsità! Manipolatrice! Quella belva nella realtà mi aveva ferito, fatto male. Non si era scusata lo sentivo! Era rimasta ferma nelle sue idee e azioni fatte. La tristezza iniziale e il dolore che quella belva mi aveva procurato era stata sostituita dalla rabbia cieca e indomita! Rabbia, rabbia rabbia!

Sparisci belva! Non ti voglio davanti a me! Via! Non voglio che qualcuno rifletta me stessa come quelle dannatissime statue! Quei dannatissimi bambini!

Via! Via! Sparite!!!

Non voglio rodermi di rabbia, inquietudine e delusione!

Via sparite tutti!

La rabbia montava dentro di me, mi sentivo un vulcano in eruzione.

Viaaaaaa!

La belva esplose in mille pezzi con un rumore armonioso e voluto alle mie orecchie. Pezzi di ossa e carne sparsi in terra. Ero macchiata di quel sangue putrido e infetto. Tutta quella poltiglia in terra non mi faceva più paura, mi sentivo alleggerita da quel peso .

La rabbia era più controllata ma mancava qualcosa.

Mi voltai senza pietà verso una di quelle statue e pensai una sola cosa: -Esplodi!-

Le loro teste, tutte le loro teste, esplosero in un rumore assordante. Rumore di pietre che cascavano nell’acqua, in terra. Il resto del loro corpo piano piano cominciò a sgretolarsi.

Mi sentivo alleggerita. Avevo eliminato ciò che mi aveva procurato dolore, anche se non lo comprendevo a pieno quel dolore visto che ero in un sogno  e potevo solo percepire le emozioni che provavo realmente.

Oltre alla belva eliminata, che rappresentava una persona nella realtà, avevo eliminato anche me stessa visto che quelle statue riflettevano me.

Che non accettassi me stessa?

Questo sogno è un incubo o un desiderio?

Desidero realmente eliminare la persona che mi ha fatto più male ed eliminare le mie emozioni? Desideravo avere la certezza di una persona che mi amerà?

Oppure avevo paura? Paura della mia rabbia che mi consumava? Paura che qualcuno mi mostrasse quello che facevo vedere anziché quello che ero? Paura del dolore che mi procurano gli altri? Paura di trovare una persona che mi ami davvero ma non riuscire a riconoscerla e quindi perderla?

Mi trovavo in un desiderio o in un incubo?

 
Mi svegliai al suono della sveglia. Riconobbi la realtà e la sua pesantezza. Ricordai quel sogno in ogni dettaglio e ricordai il dilemma.
In quel sogno vidi la somiglianza nella mia vita.
  
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