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Autore: Dama Grigia    23/08/2012    5 recensioni
Dopo aver assassinato Albus Silente, Severus Piton si ritrova solo, senza nessuno che abbia fiducia in lui. E se questa condizione cambiasse? Se la persona più improbabile sapesse la verità e gli desse la forza di andare avanti? Forse anche l'odiato professore riceverà quell'amore in cui non sperava più da tanto, sebbene dall'ultima persona a cui avrebbe pensato.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton, Sibilla Cooman
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Il mattino giungeva al termine ad Hogwarts. La scuola era immersa in un silenzio surreale, che stonava con la grandezza e l’imponenza dell’edificio. Di colpo, da una delle aule ( forse era quella di trasfigurazione? O magari di incantesimi? L’eco rendeva impossibile precisare l’origine esatta del suono) si udì un grido. Di nuovo. Severus Piton, stringendo i denti, si affacciò alla finestra del corridoio che stava attraversando appena in tempo per vedere gli ultimi gufi scappare dalla chioma di una maestosa quercia. Poco più in là, un gruppetto di studenti osservava inorridito la maledizione cruciatus partire dalla bacchetta di Amycus e scagliarsi su di un loro compagno. Chissà se il ragazzo aveva fatto qualcosa per essere scelto come cavia, o era stato preso a caso per un banale esempio. Severus non sapeva rispondere, sapeva solo di dover cercare una scusa per mandare a chiamare il mago in presidenza immediatamente. Stava già elaborando un discorso vago sul piano di studi, qualunque cosa che allontanasse Carrow dallo sfortunato alunno, quando un voce alle sue spalle lo sorprese:

“Si gode lo spettacolo, Preside?”
La professoressa Mc Granitt aveva volutamente aggiunto un accento sprezzante sull’ultima parola..
Il mago si voltò lentamente, prendendo tempo per dominare le emozioni. La guardò negli occhi, carichi di odio e disgusto, ed avvertì la consueta fitta di dolore che l’inimicizia della maga gli provocava. Accanto a lei, la professoressa Cooman. Quelle due sembravano il gatto e la volpe nell’ultimo periodo, inseparabili, sempre a farfugliare tra di loro e a guardare male il successore di Silente. L’assassino di Silente. Curiosamente, però, stavolta Sibilla lo guardava con … cos’era? Tristezza? Compassione? Minerva riprese a camminare spedita e passando accanto al collega non gli risparmiò una spallata. L’altra gli passò altrettanto vicino, ed in quello stesso istante il mago avvertì la mano di lei sfiorare la sua. Pensò che avesse mancato il bersaglio nel tentativo di imitare il gesto dell’anziana amica, ma poi le dita della donna, delicate, leggere, eteree, si strinsero intorno al suo palmo. Severus ebbe un tuffo al cuore: non avvertiva il calore di un altro essere umano più o meno dall’ultima volta che Silente gli aveva posato la mano nera e raggrinzita sulla spalla, pochi giorni prima di morire. Non che fosse stato un granché come calore, in effetti. La stretta durò pochi secondi, poi lei disse a voce alta:

“Continua a negare, Severus, ma io so come stanno le cose. Non dimenticarti delle mie capacità. Io possiedo la Vista.”

“Oh, Sibilla, non c’è bisogno di visioni per sapere come stanno le cose. Harry era presente, nessuno di noi ha motivo di dubitare della sua parola.” Ribatté la professoressa di Trasfigurazione senza voltarsi. Eppure non sembrava che le due si riferissero alla stessa cosa.

Sibilla si tolse gli occhiali e fissò di nuovo colui che le stava davanti. Senza quei fondi di bottiglia, le sue iridi avevano un che di penetrante. Poi, accertatasi che la collega non la vedesse, stirò l’angolo destro della bocca nell’accenno di un sorriso. Infine, se ne andò e svoltò l’angolo dietro al quale era appena scomparsa Minerva. Il professor Piton, confuso e sbigottito, rimase a fissare il corridoio, sentendosi improvvisamente in una situazione di stallo. Che doveva fare? Possibile che quella donna per una volta avesse avuto una visione vera, e fosse stata in grado di interpretarla? Possibile che Sibilla, così svampita e ingenua, sapesse … ?

In ogni caso, Severus dubitava che lei avesse le capacità per opporsi al Signore Oscuro qualora lui le avesse voluto leggere la mente, e per questo avrebbe dovuto essere preoccupato. Tuttavia, l’idea che qualcuno in quell’incubo sapesse, la vana speranza che chiunque potesse avere fiducia in lui, gli provocò un moto di gioia difficile da controllare. Quando finalmente riuscì a riscuotersi, il gruppo di studenti nel parco era già sparito. La lezione doveva essere finita. Decise che sarebbe passato almeno in infermeria per verificare che il ragazzo stesse bene. Sì, doveva concentrarsi sugli alunni, ma non riuscì a liberarsi di quel pensiero fisso per tutto il resto della giornata.

***

Sibilla si rigirava nel letto, incapace di prendere sonno. Forse aveva sbagliato ad esporsi così, in fondo aveva solo fatto un sogno. Sapeva perfettamente di non essere questa grande Veggente, eppure non le era mai capitato nulla del genere prima d’ora. Ricordava ogni singolo dettaglio dell’ufficio del preside, avrebbe potuto contare le carte di caramella sparse sui vari scaffali. Silente era seduto alla scrivania, mentre Severus gli stava davanti, in piedi, imponente nel suo mantello nero. Solo un brave scambio di battute:
“Ne abbiamo già parlato troppe volte, Severus. Quando verrà il momento sarai tu ad uccidermi.”

“Perché non riesci a capire quanto questo mi costi, Albus?”

“Lo capisco invece. È per questo che insisto. Non devi avere esitazioni. Il Signore Oscuro non dovrà nutrire dubbi sulla tua fedeltà, o …”

“O io non potrò proteggere i ragazzi. Lo so, lo so.”

A questo punto si era svegliata, ma aveva impiegato diversi minuti per rendersi conto che si era trattato solo di un sogno. O magari era stata una visione.
Vinta dall’insonnia, la maga si tirò a sedere sul letto e afferrò la bacchetta dal comodino.

“Lumos.”

Dopo di che spostò il cuscino, per prendere il foglietto di carta piegato in due che vi teneva nascosto. Lo aprì.

Amava quella foto. Non aveva idea di come Minerva fosse riuscita a convincere il collega a posare, sta di fatto che gli aveva scattato una fotografia stupenda, dove lui faceva uno di quei sui rari, meravigliosi sorrisi.

Amava quel sorriso. L’aveva capito la prima volta che aveva visto il mago ridere. L’unica volta, in realtà. E ad essere onesti, era una risata di scherno rivolta a Minerva, dopo che Serpeverde aveva vinto la Coppa di Quidditch. Ma tant’è. Dopotutto, era il carattere di Severus.

Amava quell’uomo. Non se n’era neanche accorta, o forse non voleva accorgersene, all’inizio. Poi, un pomeriggio di qualche anno prima, Silente le aveva rivolto una domanda:
“Dimmi, come descriveresti il professor Piton?”

“Cosa?” aveva chiesto lei a sua volta, sorpresa.

“Hai capito benissimo.”
Dopo alcuni secondi di incertezza, durante i quali alla maga vennero in mente tutte le volte che era stata schernita dal collega riguardo alla “vista”, Sibilla aveva risposto:

“Arrogante, saccente, irrispettoso!”

“E poi?”

“E poi …” Un sospiro. “Affascinante. Intelligente. Risoluto. Nonché completamente disinteressato a me.”

“Dai tempo al tempo …”

Scuotendo la testa per distogliersi da quei ricordi, Sibilla mise la foto dentro un libro sul comodino e buttò giù l’ennesimo bicchiere di sherry. Forse avrebbe dovuto fermarsi, pensò senza però averne l’intenzione.

***

La mattina dopo Severus, dopo aver riflettuto sulla questione tutta la notte, era giunto alla conclusione che Sibilla doveva essere a conoscenza, se non di tutto, almeno del fatto che lui era ancora dalla parte di Silente. Sedendo a tavola per la colazione, non rispose al saluto di Alecto. Non aveva dormito quasi per nulla, ed era di malumore. Più del solito. Nonostante ciò, quando la veggente entrò in sala, aprì la bocca per rivolgerle un educato buongiorno, ma le parole gli morirono in gola: lei barcollava, strascicava i piedi, aveva il volto paonazzo. Era ubriaca fradicia, di prima mattina. L’intero corpo studentesco e diversi insegnanti la fissarono sbigottiti dirigersi verso il preside e salutarlo biascicando:

“Buuuuonsciorno, Sceverus.”

Il mago si guardò rapidamente intorno. La domanda che si stavano facendo tutti non era tanto perché Sibilla fosse in quelle condizioni quanto perché si rivolgesse proprio a lui. Ed aspettavano di scoprirlo, ovviamente. La maga non li fece aspettare a lungo, dato che continuò:

“Lo sciai che io sciò il tuo piccolo scegreto?”

Severus sentì crescere il panico dentro di sé, ma prima che potesse fermarla lei andò avanti:

“Ammettilo che ti piascio. Ti sciono sempre piasciuta, vero?”

La situazione era quindi la seguente: il preside, sollevato ed al tempo stesso sbigottito, guardava con tanto d’occhi la donna che, chinata verso di lui, i palmi appoggiati al tavolo, cercava di convincerlo a confessare un presunto amore a lungo celato. Il resto della sala (centinaia di persone) non muoveva un muscolo, fissandoli come un cercatore che ha individuato il boccino.

< Io - la - strozzo. >

Bene, adesso era arrabbiato. Nel corso degli anni aveva avuto modo di conoscere bene la collega, che l’aveva spesso innervosito, esasperato, infastidito. Non di rado, l’aveva persino divertito, nonostante lui non l’avesse mai manifestato. Eppure mai, mai come in quel momento l’aveva fatto infuriare tanto. Non si rendeva conto del pericolo che correvano entrambi? Non capiva cosa sarebbe successo se il Signore Oscuro avesse scoperto la verità? E lei si prendeva una sbronza! Tanto valeva scrivere una bella lettera firmata e controfirmata ed inviarla a Lord Voldemort via gufo, no?

Aprì la bocca per cercare di dire qualcosa, ma Carrow fu più veloce:

“Come ti permetti, stupida alcolizzata! Adesso ti riporto nel tuo buco qua sopra!”

Certo. Era l’ideale affidare Sibilla, non più padrona di sé (per quanto lo fosse mai stata), a un mangiamorte meschino e sadico quale Amycus. No, Severus non si fidava neanche un po’ di lui, e lo stesso pensiero dovette cogliere Pomona, dato che ribattè pronta:

“ Oh, non c’è bisogno che si disturbi lei, posso pensarci io a portare Sibilla di sopra, ha bisogno di riposare, nient’altro.”

No, non andava bene nemmeno lei. Troppo tenera, non avrebbe fatto altro che consolare la maga, la quale invece aveva bisogno di una buona strigliata, per Salazar!

“Basta così!” Intimò ai due, che avevano cominciato a discutere.

Minerva non era presente, dato che aveva preso l’abitudine di scendere tardi per non incontrarlo. In quel momento sarebbe stata veramente necessaria.

“La questione mi compete direttamente, in quanto preside di questa scuola. Inoltre, essendo un pozionista esperto, ho quello che le serve.” Ciò detto si alzò e, aggirato il tavolo, si avvicinò alla professoressa Cooman, che nel frattempo si era accasciata a terra ed aveva cominciato a studiare attentamente il pavimento.

“Alzati.”

Niente.

“Sibilla, alzati. Sto parlando con te.”

Nessuna reazione. Rassegnato, estrasse la bacchetta e la trascinò fuori con un incantesimo.

“Vi consiglio di sbrigarvi a finire. Le lezioni inizieranno tra dieci minuti.” Intimò prima di uscire ai ragazzi che lo stavano ancora fissando.

La portò fino al suo appartamento non senza una certa fatica e la distese sul letto. Sfiancato, si sedette qualche secondo sul bordo di quest’ultimo e l’occhio gli cadde sul suo vecchio manuale di Pozioni Utili, posato sul comodino, che cercava da tempo. Evidentemente la maga lo aveva preso in prestito senza preoccuparsi di avvertire. Sospirando, se lo infilò sotto il mantello ed uscì, diretto al suo sotterraneo, dove posò il libro e prese la pozione che cercava. Se tutto andava bene, Sibilla sarebbe tornata lucida in pochi secondi. Tornato finalmente da lei, la trovò nel pieno di una discussione col riflesso dello specchio. Ansimando a causa delle scale, la costrinse non senza una certa fatica a bere il contenuto della fiala. Come previsto, la maga recuperò quasi subito la padronanza di sé. E trovandosi sola di fronte ad un Severus Piton visibilmente arrabbiato, iniziò a preoccuparsi.

“Che cosa … che cosa è successo?” Chiese, pur non essendo sicura di volerlo sapere. Il mago le snocciolò l’accaduto sillabando ogni parola, le sopracciglia che s’incurvavano sempre di più, le braccia incrociate. Anche il fiatone contribuiva all’effetto: era dovuto a tutti quegli scalini, ma Sibilla non poteva saperlo.

“La pozione che ti ho dato è servita a rimediare alla tua to-ta-le mancanza di professionalità e buonsenso. Hai nulla da dire?”

Lei borbottò qualcosa riguardo alla stanchezza e al fatto che Carrow non avrebbe dovuto darle dell’alcolizzata.

“Non mi pare che si sia allontanato molto dalla verità.” Insinuò Severus. Si rendeva conto della cattiveria della sua affermazione, ma in quel momento era semplicemente furioso. Per l’altra fu come ricevere una pugnalata in pieno petto. Sgranò gli occhi dietro le lenti e serrò le labbra, tentando di fermare sul nascere il loro tremito. Impallidì lentamente mentre brevi, regolari sussulti le scuotevano il corpo. Non voleva piangere, non doveva mettersi a piangere. Non lì, davanti a Severus, che in quel momento la disprezzava già abbastanza. Però non riuscì a trattenersi. Gli occhi le si riempirono di lacrime e lei cominciò a tremare violentemente, buttandosi a sedere su di una sedia. Non alzò la testa, non sarebbe riuscita a sopportare lo sguardo di lui, la cui voce però tradì una sincera preoccupazione quando le disse:

“Non voglio che tu beva ancora. Mai più, mi sono spiegato? Se dovessi trovare una sola goccia di sherry in questo castello, potrei essere costretto a prendere provvedimenti che preferirei evitare.” Sibilla si costrinse a guardarlo. Di cosa stava parlando? L’avrebbe licenziata? Scoppiò a piangere più forte di prima, tanto che l’inscalfibile preside provò una stretta al cuore nel vederla in quelle condizioni. In fondo, la conosceva da anni. Erano amici, in un certo senso. E ad ogni modo, lei era l’unica persona ad avergli rivolto un gesto d’affetto da tempo. Quasi senza volerlo, si avvicinò a lei e le posò una mano sulla spalla ed una sul braccio.

“Io … io non sono … io non sono un’alcolizzata!” Cominciò a balbettare lei. “Non … io … giuro che è l’ultima volta, lo giuro … tu non devi pensare … io … alcolizzata!”

“Allora dimostramelo.” Rispose lui, e per un folle momento fu vicino a stringerla forte, ma per fortuna della sua dignità qualcuno bussò impetuosamente alla porta.

“Severus! Apri immediatamente!”

Alzando gli occhi al cielo, l’uomo eseguì.

“Buongiorno, Minerva. Siamo tornati al tu?”

La donna piombò nella stanza e si precipitò accanto alla più giovane amica, sibilando indignata:

“Che cosa le hai dato? Mi hanno detto che intendevi somministrarle una pozione! Se le hai fatto qualcosa non te la farò passare liscia stavolta!”

“No, no, Minerva, sto bene.” Mormorò l’altra dominando i singhiozzi.

“Mi ha solo fatto tornare sobria.”

“Come sarebbe a dire, sobria? Eri ubriaca?” Domandò l’anziana maga.

“A quanto pare Pomona ha omesso questo particolare, dico bene?” Intervenne lui.

“Non ho mai parlato di Pomona!”

“Già, peccato che sia l’unica in tutto il castello abbastanza buonista da fingere che Sibilla fosse in condizioni accettabili. Io devo lavorare adesso, e se non sbaglio anche voi due.”

Minerva, piuttosto imbarazzata per la gaffe, si affrettò ad uscire, borbottando a mezza voce:

“ Come vuole lei, preside.”

Siamo tornati al lei?

Avrebbe voluto chiedere lui, ma la donna se n’era già andata. Lui fece altrettanto, dicendo alla collega senza voltarsi:

“ Ricordati quello che ho detto.”

Quella sera, seduto al banco da lavoro, Severus stava preparando una nuova dose di pozione delucidante, sperando di non doverla mai usare su Sibilla. Ad un certo punto, colpì qualcosa che dal tavolo cadde a terra con un tonfo. Si trattava del libro che aveva recuperato quella mattina, e dalla prima pagina era scivolato fuori un foglietto di carta. L’uomo lo raccolse e lo guardò con un certo stupore. Vide se stesso sorridersi pacatamente da una foto. La ricordava, ma era certo di non averne mai chiesto una copia a Minerva. Quella che aveva davanti non poteva che appartenere a Sibilla. La piega nel mezzo era evidenziata da una linea completamente scolorita, segno che il foglio era stato aperto e chiuso svariate volte. Ecco, ora era davvero confuso. Che se ne faceva lei di una sua foto? Involontariamente estrasse da sotto il mantello la foto di Lily. Mise le due immagini l’una accanto all’altra e rimase profondamente colpito. L’una sorrideva spontaneamente, l’altro in maniera forzata. La prima sprizzava gioia da tutti i pori, il secondo celava a malapena il fastidio. Lei appariva più colorata della copertina del “Cavillo”, lui rigorosamente nero. Per quale dannata ragione Lily, bella e solare, che tutti amavano, era morta, e lui, Severus Piton, l’odiato ex-mangiamorte, l’assassino di Silente, era vivo? La vita non è giusta, aveva detto una volta a Potter. Sospirò. Quel ragazzo, che tra l’altro non poteva soffrire, era l’unica ragione per cui continuava a vivere, nella menzogna e nel pericolo. Silente era morto, e adesso non c’era nessuno che tenesse a lui, al preside usurpatore. O forse no? Quelle due foto avevano una sola cosa in comune: il solco bianco nel mezzo. Possibile che Sibilla …? Scuotendo la testa, Severus infilò entrambe le foto tra le pieghe del mantello. Meglio non pensarci più, si disse.

***

Seduto nell’ufficio del preside, Severus si era quasi addormentato. Da tre giorni non chiudeva occhio, impegnato a sperimentare una pozione. Cercava di preparare qualcosa che fornisse una protezione dal dolore delle cruciatus, da poter versare poi in qualche modo nei bicchieri degli studenti. Il rumore improvviso di qualcuno che bussava alla porta lo fece sobbalzare.

“Avanti.” Permise dopo aver messo via i fogli pieni di annotazioni. Sibilla entrò timidamente nella stanza, rivolgendo al mago uno di quei sorrisi ormai quotidiani che lui stava persino imparando a ricambiare.

“Potrei parlarti qualche minuto, Severus? Hai da fare?”

“No.” Mentì lui, trattenendo uno sbadiglio. “Dimmi pure.”

“Ecco, volevo chiederti, ehm, posso sedermi?”

“Ovvio.”

“Dicevo, volevo chiederti: tu sei un ottimo occlumante, vero?”

Non si aspettava quella domanda, e non era sicuro che avrebbe portato a qualcosa di buono. Pertanto si tenne un po’ evasivo:
“Me la cavo. Perché me lo chiedi?”

“Io avrei bisogno di un favore. Voglio, vorrei, se non è un problema, beninteso, che tu mi dessi qualche lezione sull’argomento.”

“Prego?”

“Ho bisogno di imparare l’occlumanzia. Il fatto è che di questi tempi rischio che qualcuno cerchi di approfittarsi delle mie capacità, ecco.”

Seguirono diversi secondi di silenzio, durante i quali il mago si rese conto che lei sperava di potergli parlare liberamente di ciò che sapeva. Sospirò. Sapeva quanto difficile fosse insegnare l’occlumanzia a qualcuno non predisposto, ci aveva provato disperatamente un paio di anni prima. Tuttavia, da quando aveva smesso di bere, Sibilla era notevolmente più lucida.

“Bene.” Concesse. “Ti aspetto stasera nei sotterranei, allora, in aula di pozioni. Ma non ti prometto risultati.”

“Grazie, Severus.” Fece lei congedandosi. Prima di uscire, gli sorrise di nuovo.

Grazie a te

. Pensò lui, consapevole dell’importanza che l’amicizia della collega aveva acquistato negli ultimi tempi.

***

“Allora, sei pronta?”

“Sì, però dovrei chiederti qualcosa. Io non credo di avere una grande forza di volontà, quindi, per favore, non fermarti solo perché te lo chiedo. Va bene?”

Certo che era una richiesta insolita, ma Severus non vedeva perché non avrebbe dovuto accoglierla.

“Se ne sei sicura.”

“Ne sono sicura.”

“Bene, allora adesso tenterò di entrare nella tua mente. Tu devi sforzarti di respingermi, dovrai metterci tutta te stessa. Hai capito?”

Sibilla annuì.

“D’accordo. Legilimens!”

Il mago non si stupì nel non incontrare la minima resistenza. Quello che vide però lo lasciò basito. Vide una bambina insicura, la figlia di una ragazza madre, che rifletteva su di lei speranze ed ambizioni. Ma Sibilla non sembrava avere particolari capacità, e la consapevolezza di deludere la mamma era troppo pesante per lei, a quell’età. Poi vide la bambina crescere e andare ad Hogwarts, la vide incaponirsi nello studio della divinazione per la quale sembrava avere una leggerissima inclinazione. La vide diventare orfana per mano di un mangiamorte, la vide terminare gli studi con determinazione. La vide ottenere con soddisfazione il posto di insegnante.

“Basta! Basta così, Severus, per favore!”

Le aveva promesso che non si sarebbe fermato, o no? Strinse più forte la bacchetta ed andò avanti. Ed ecco. La vide, giovane donna, ammettere davanti a Silente il proprio amore nei confronti del collega di Pozioni, la vide capire che non sarebbe mai stata corrisposta, la vide rifugiarsi nell’alcool per tentare di dimenticare. L’uomo abbassò il braccio mettendo fine all’incantesimo. Rimasero per qualche secondo a guardarsi negli occhi, colmi di sorpresa i neri, traboccanti di amarezza gli azzurri. Alla fine Sibilla, incapace di reggere lo sguardo dell’altro, si accasciò a terra in preda ai singhiozzi. Severus si morse un labbro, realizzando che quella reazione nella maga era dovuta alla consapevolezza di averlo deluso. Come quando lui le aveva dato dell’alcolizzata un paio di mesi prima. Conosceva il dolore che lei provava in quel momento, l’aveva provato sulla propria pelle. Era intenso, più di una cruciatus, era profondo tanto da indurre il desiderio di strapparsi il cuore, e non guariva con il tempo. L’ultima cosa che voleva era essere la causa di un dolore simile. Eppure, davanti a lui c’era quella donna fragile e innamorata che fino ad allora aveva sofferto in silenzio. Per l’anima di Salazar, perché mai vederla piangere lo dilaniava in quel modo? Aveva visto morire decine di persone, per quale dannatissima ragione quel pianto riusciva a scalfire la sua corazza di indifferenza? Eppure, ogni singhiozzo che lei tentava invano di trattenere era come una pugnalata. Per la seconda volta sentì il bisogno di abbracciarla, e questo lo spaventò. Sapeva che stavolta Minerva non sarebbe arrivata tempestivamente a fermarlo, ma la cosa che più lo preoccupava era che non voleva essere fermato. Non poteva lasciarsi commuovere così, non lui, non il preside freddo e distaccato, l’assassino di Silente! Ma ecco che già si ritrovava inginocchiato accanto a lei. La strinse in un rispettoso, silenzioso abbraccio.

“Mi dispiace. Avrei dovuto fermarmi.”

Fu come se solo in quel momento la maga comprendesse quanto lui aveva visto, perché cercò di liberarsi premendogli le mani sul petto e tirandosi indietro. Severus però non la lasciò andare. Quando lei si arrese, consapevole della propria fragilità, lui le posò una mano sulla nuca e le spinse delicatamente la testa verso il proprio petto. La donna affondò il viso nella stoffa nera e continuò a piangere, stretta tra le braccia forti del mago, che senza neanche pensare a quello che stava facendo posò le labbra sui capelli di lei. Si fermò appena in tempo per ritirare la testa di scatto prima che Sibilla se ne accorgesse. Ma cosa stava per fare?

“Mi d-dispiace. Io non so-sono in grado. Non sono a-alla tua alte-altezza.”

Si riferiva all’occlumanzia? Forse no.

“Va tutto bene, tutto bene. Puoi contare su di me, non ti lascerò da sola a piangere.”

Non parlarono più per forse un’ora, finche l’ultimo singhiozzo fu soffocato e l’ultima lacrima ricacciata indietro. Poi lei sorrise. Adesso sapeva che, anche se non l’amava, Severus le sarebbe sempre stato vicino. E decise che avrebbe fatto altrettanto per lui.

***

Era in seria difficoltà. Stava facendo una fatica terribile per tenere testa ai colleghi. Minerva, Filius e Pomona non gli lasciavano nemmeno il tempo di respirare, mentre lui cercava di fermarli senza far loro del male. Sapeva che avrebbe solo dovuto aspettare il momento giusto, un istante di tregua, la frazione di un secondo sarebbe stata sufficiente a lanciare un potente Pietrificus ed immobilizzarli giusto il tempo necessario per cancellare la memoria a tutti. Anche se aveva la netta impressione che Harry fosse vicino, molto vicino, forse nascosto da quel suo mantello che un tempo Potter e Black usavano per fare scherzi di cattivo gusto. Poi però accadde qualcosa. Dal fondo del corridoio spuntò Sibilla. Aveva sfoderato la bacchetta ed aveva un’espressione determinata sul volto. Ma come poteva essere? Lei non lo avrebbe mai colpito, non l’uomo che amava e che sapeva essere innocente. Lanciando l’ennesimo Protego, Severus capì che intendeva schierarsi con lui. Voleva mettersi contro tutto e tutti, pur di non lasciarlo da solo ad affrontare la battaglia. No, non poteva permetterle di fare qualcosa del genere! Sarebbe stato pericoloso, avrebbe potuto farsi male, Minerva sapeva essere spietata se la si faceva arrabbiare. Ancora pochi metri e la veggente avrebbe commesso un grande errore. C’era solo un modo per proteggerla. Corse verso la finestra e spiccò un salto. Trattenendo i gemiti di dolore dovuti ai tagli, puntò la bacchetta verso l’alto e lanciò l’incantesimo che lui stesso aveva creato anni prima per il suo Signore, quando era ancora tale. Volò via il più velocemente possibile, senza voltarsi indietro. Stava facendo una sciocchezza, lo sapeva. Adesso tutta Hogwarts sarebbe stata nei guai, mentre se solo fosse riuscito a fermare i colleghi avrebbe potuto lanciare un semplice oblivius su tutti gli interessati. Ma non aveva avuto tempo. Lei stava arrivando, e cosa sarebbe successo se fossero accorse altre persone, e loro due si fossero trovati alle strette? Lui poteva fuggire finchè era da solo, come aveva appena fatto, ma non poteva volare con Sibilla aggrappata addosso, né potevano smaterializzarsi da lì. In breve, per proteggere un’amica aveva appena messo a repentaglio tutta Hogwarts. Non era questo che gli aveva insegnato Silente. Ma nel momento in cui aveva capito che ne andava della vita della maga, aveva avvertito un senso di panico, un terrore che gli attanagliava il cuore. Qualcosa di maledettamente simile a quello che aveva provato quando il Signore Oscuro aveva deciso di dare la caccia ai Potter, a Lily. E questo poteva voler dire solo che si stava pericolosamente affezionando a Sibilla, fu costretto ad ammettere con se stesso.

***

“Ho ucciso Severus Piton tre ore fa e la Bacchetta di Sambuco, la Stecca della Morte, la Bacchetta del Destino è davvero mia!”

No. Non poteva essere, doveva aver capito male. Si aggrappò al braccio di Minerva e prese a tremare.

“Sibilla! Che ti succede?” Mormorò l’anziana maga.

“Cos’è che ha detto? Su Severus, cosa ha detto?”

Gli occhi le si velarono di lacrime mentre rispondeva:

“Che l’ha ucciso. Chi avrebbe potuto immaginare che fosse dei nostri?”

“Già. Chi avrebbe potuto?” Ma l’altra si era di nuovo concentrata su Harry. Dopo, tutto accadde velocemente, quasi senza che la veggente se ne accorgesse. Lampi di luce, confusione, urla. Morto, il Signore Oscuro era morto. Lei però non se ne poté rallegrare, non si unì alle grida di gioia, né dette il minimo segno di vita quando Minerva l’abbracciò stretta senza smettere di saltare. La sola dipartita che in quel momento aveva significato per lei era quella di un uomo come tanti, un uomo che aveva commesso degli errori, l’uomo che amava. Ed ora la morte di quell’uomo, come aveva fatto la sua vita, stava passando in secondo piano, scivolando silenziosa nell’ombra. No, no, no, no, mille volte no.

“Non è morto! Severus non può essere morto!” Gridò lei, con più fiato di quanto credesse di averne nei polmoni. Decine di persone, nel raggio di diversi metri, si voltarono. Tra queste, Hermione.

“Professoressa, l’abbiamo visto con i nostri occhi.”

“Non sono mai riuscita ad insegnarti niente, Granger. Io vedo con l’occhio interiore!”

“Le dico che è morto.”

“Dimmi dove si trova, piuttosto.”

“Perché non cerca di vederlo?”

“Granger!” Forse fu il tono della sua voce, o più probabilmente le lacrime che aveva agli occhi, ad ogni modo Sibilla ottenne quello che voleva.

“È alla stamberga strillante.”

Bene. Adesso non le restava che andare da lui. Nessuno l’avrebbe seguita, lo sapeva. Senza dire una parola, corse via. Corse da lui.

***

Stava per morire. Severus lo sapeva, l’aveva capito nel momento in cui il Signore Oscuro l’aveva mandato a chiamare. Soltanto, non capiva perché ci volesse tanto. Perché doveva soffrire così? Da quanto ormai il trio più conosciuto nel mondo magico l’aveva lasciato, più morto che vivo, steso su quel pavimento? Voleva andare via, finalmente, lasciare quel posto che gli aveva provocato solo dolore. Cosa gli restava per cui vivere? Una voce, una subdola vocina gli mormorò qualcosa. Parole sconnesse, che non potevano essere più lontane da lui. Perline, colori, fantasia. poi altre, stavolta più pertinenti con il carattere del mago. Solitudine, amore, determinazione. Tutto questo era riunito in una sola persona, una persona che conosceva da diciassette anni ma che aveva imparato a conoscere da pochi mesi.

Sibilla,

disse ancora la vocina, tanto insidiosa che l’uomo si chiese se Pix non fosse lì da qualche parte. Invece, entrò qualcun altro, con passo rapido e leggero. Una voce gridò, con un dolore che Severus non credeva fosse possibile provare per uno come lui.

“No.” Continuava a ripetere lei mentre si chinava sul corpo immobile. “No.”

Severus avvertì qualcosa di deliziosamente leggero insinuarsi sotto la stoffa lacerata sul suo petto. Le dita della maga accarezzarono piano la pelle e risalirono, per sfiorare i contorni della spaventosa ferita alla gola. Qualcosa cadde addosso a lui. Erano forse gli occhiali, scivolati dal viso di Sibilla? Probabilmente sì, perché un attimo dopo qualche gocciolina cadde sul naso del mago, per poi rotolare giù ed incagliarsi nell’angolo della sua bocca. Poté sentire il sapore salato delle lacrime, poi i singhiozzi riempirono la stanza. Di nuovo, una pugnalata al cuore: non sopportava di sentirla piangere. Era più forte di lui. Era amore? Forse, decise il mago. Con uno sforzo enorme, riuscì ad aprire gli occhi ed a fissarli in quelli della donna. Le lacrime conferivano riflessi viola a quell’azzurro. Poi fu il buio.

***

Bene. Era in una stanza. Bianca. Ok. James Potter era di fronte a lui. Brutta cosa. Era morto? Ovviamente, altrimenti come poteva trovarsi di fronte a Potter?

“Severus, prima di tutto ti devo ringraziare, e credo di doverti delle scuse.”

“Sono commosso.”

“Noto un certo sarcasmo.”

“Dici?”

“Volevo che venisse Lily. O Silente. Mi hanno mandato qui proprio perché tra di noi non corre buon sangue.”

“Ma che carini.”

“No, aspetta. Fammi spiegare, non è semplice.”

“Prenditi tutto il tempo che vuoi, so che non sei una cima.”

“Il fatto è che sei in coma!” Esplose James.

“Secondo Silente, vedendo qualcuno a cui sei affezionato avresti potuto avere voglia di venire di là.”

“Di là?”

“Vedi quelle due porte? Una è aperta, ed oltrepassandola moriresti definitivamente. L’altra, quella laggiù, è chiusa. Nel momento in cui capirai di avere una ragione per vivere, riuscirai ad aprirla. E a vivere. Per questo non … non è venuta Lily. Avresti voluto seguirla, vedendola. Però mi ha pregato di dirti che ti ringrazia infinitamente per quello che hai fatto, che crede di essere stata una stupida ad averti abbandonato a te stesso in quel modo e che adesso meriti di vivere, nel senso della parola.”

“Hai imparato il discorso a memoria?”

“Hai capito tutto?”

“Ovvio.”

“Bene, allora io ho finito.”

Così dicendo, se ne andò semplicemente dalla porta aperta. Però, era stato diretto e conciso. Certo, il mago non si era aspettato chissà chi ad accoglierlo a braccia aperte, ma non poteva tenere a freno l’indignazione. Potter. James Potter. L’avrebbe strozzato, se solo fosse servito a qualcosa. Era arrivato, aveva diligentemente spiegato la situazione, portato i saluti della signora e si era tolto dai piedi. Va bene, pazienza. Era il momento di ragionare razionalmente. Severus si avvicinò all’uscio chiuso e provò ad abbassare la maniglia. Niente. Doveva trovare un motivo per vivere, quindi. E chi assicurava a loro che lui avesse ancora un motivo per vivere? Nessuno. Ce l’aveva un motivo? Sì. Sibilla. No, che c’entrava lei? Sibilla. Sibilla. Sibilla. Non smetteva di pensarla. Che stava facendo? Era accanto al suo letto? Si era già dimenticata di lui? Poi udì qualcosa, un suono che riconobbe immediatamente. Era un pianto, era lei che piangeva. Posò l’orecchio sulla porta:

“Severus, resisti! Per favore, non mollare! Ci sono io qui con te.”

In quel momento, l’uomo si rese conto di avere uno scopo. Doveva vivere per asciugare quelle lacrime, per stringere quella pazza, pazza donna tra le braccia, per guardare ancora quegli occhi stupendi, per stringere forte quella mano ancora e ancora e ancora. Si gettò sulla maniglia e tentò disperatamente di aprire, mentre gridava il nome della maga che l’aveva portato ad amare di nuovo. La serratura scattò con un sonoro “Click”. Spalancata la porta, Severus non si voltò, non pensò a Lily, ma si precipitò fuori. Un attimo dopo, sgranò gli occhi senza smettere di chiamare la veggente con tutta la (poca) voce che riuscì a tirare fuori. Lei era lì, china su di lui, teneva la sua mano tra le proprie e sorrideva. Restarono a fissarsi per un tempo inquantificabile, secondi, minuti, ore, chi poteva dirlo? Poi la donna tornò alla realtà:

“Vado a chiamare madama Chips. È notte fonda, ci sono solo io qui.”

Severus tentò di protestare, ma non ne ebbe la forza. Pochi minuti dopo, la curatrice decretò:

“ Adesso le do qualcosa che la faccia dormire, ha bisogno di riposo.”

“Curioso, credevo di essermi appena svegliato.” Ma il suo sarcasmo non aveva lo stesso effetto del solito, con quel tono di voce basso e strascicato.

“Non faccia lo spiritoso.” Tagliò corto la maga, mentre gli faceva bere una pozione soporifera.

“Sono abbastanza sicuro di averla preparata io stesso, questa.” Pensò l’uomo un attimo prima di piombare nel sonno.

***

Svegliati.

No.

E svegliati!

No.

Dopo una breve lotta interiore con se stesso, Severus aprì gli occhi. Passate le due settimane di riposo forzato, finalmente sarebbe stato dimesso. Non vedeva anima viva dalla notte in cui si era svegliato, eccezion fatta per Madama Chips, che impediva a chiunque di entrare nella stanza al grido di:

“Non deve essere disturbato!”

Adesso però era finita. Sarebbe tornato alla sua vita di prima. Beh, non proprio. Ora si sapeva la verità su di lui, dopo che il giovane Potter aveva avuto la malaugurata idea di raccontarla a tutti ( complice una “breve” intervista di dieci pagine sulla Gazzetta del Profeta ), e sotto diversi punti di vista non era un bene. E poi c’era Sibilla. Ma Sibilla non c’era. O meglio, non era ad accoglierlo fuori dall’infermeria con Minerva, Pomona e Filius. Celando la delusione ( come d’altronde era abituato a celare qualsiasi emozione ) il mago ringraziò i colleghi per la gentilezza.

“Severus,” cominciò il professor Vitious, “ grazie per aver protetto tutti noi. Ci dispiace davvero molto per quello che è successo. Ti abbiamo attaccato in tre, è per questo che siamo qui, sai.”

“Doveva essere così.” Tagliò corto lui.

“Sì, ma eravamo tre contro uno, siamo stati imperdonabili.” Ma perché non se ne andavano? Effettivamente, avevano anche ragione a volersi scusare. L’avevano quasi ammazzato, o no?

“Tranquillo, Filius. Sei stato all’altezza della situazione.” Non poté trattenersi. Ed aggiunse:

“Non ho forse ragione, signorina Sprite?”

In dieci secondi aveva messo l’accento sulla statura dell’uno e sul nubilato cronico dell’altra. I due se ne andarono con una scusa in un tempo ancor più breve.

“Te le potevi risparmiare, Severus.”

“Mi stai soffiando contro? Sai che sono allergico ai gatti, soprattutto se sono petulanti Grifondoro.”

“Non attacca con me, pensi che basti una battutina a farmi scappare?”

“No, sei l’unica con cui non funziona.”

“E perché l’hai fatto se sapevi che non avrebbe avuto effetto?”

“Potevo forse perdermi l’occasione? Piuttosto, posso andarmene o c’è qualche ritardatario nel comitato d’accoglienza?” Domandò tenendosi vago.

“No, solo noi. Il fatto è che sono tutti molto occupati a cercare di rendere il castello accettabile entro il prossimo anno scolastico. Aspettavi qualcuno in particolare?”

“Dovrei?”

“Magari Harry? Voleva restare, ma ha dovuto accompagnare la signorina Granger in Australia, dove pare che si trovino i suoi genitori.”

“No, grazie, non ho alcuna voglia di vedere quel ragazzo.” Fece lui con una smorfia.

“Ne sei certo?”

“Ho già avuto uno sgradito incontro con il suo dannato padre, un Potter in vena di ringraziamenti è sufficiente.”

Una voce li interruppe prima che Minerva potesse intervenire in difesa di James:

“Severus?”

Il mago si voltò di scatto. Ecco la persona che aspettava in particolare.

“Finalmente è il mio turno di ringraziare qualcuno. Se non fosse stato per te non mi troverei qui.” Le disse avvicinandola. Le sorrise, un sorriso vero, sincero, destinato solo a Sibilla. Si trovavano faccia a faccia, ma curiosamente lei invece di rispondere al sorriso assunse un’aria cupa.

“Speravo saresti stata più felice nel vedermi vivo.” Disse lui sorpreso dalla reazione.

“Io non comprendo, Severus.” Aveva parlato con un filo di voce, forse a causa della presenza della collega, o forse semplicemente per la delusione.

“Cosa?”

“Credevo di essere, come dire, importante per te. Hai risposto ai miei sorrisi, mi hai stretta tra le braccia, ti sei svegliato gridando il mio nome. Il MIO nome, capisci? Il giorno dopo, però, Harry ha tirato fuori tutta quella storia, di te, di Silente, di … Lily.”

“Ah.”

“Sempre è un sacco di tempo, Severus. Sempre comprende anche adesso. Giusto?”

Silenzio.

“Tecnicamente, è stato imprudente da parte mia usare un avverbio così ineluttabile. Nessuno può sapere se qualcosa sarà per sempre. Io non posso dimenticare Lily, Sibilla. Tuttavia, per quanta fatica mi costi ammetterlo, mi sono innamorato di nuovo. Di te, nonostante ammettere questo mi costi ancora più fatica. Di una donna vivace, un po’ pazza, strampalata. Una bislacca veggente. Eppure è così, non cambierei una virgola in te. Non una perlina di meno, non una ciocca di capelli più corta.”

“Ho aspettato tanto che tu mi dicessi qualcosa di simile, ma adesso non so più a cosa credere.”

“Sai, quando dico che mi hai salvato, non intendo solo nel momento in cui mi hai trovato alla Stamberga Strillante.”

“Che stai dicendo?”

“Come avrei potuto sopportare l’odio di tutta Hogwarts? Tutti così convinti della mia colpevolezza, certi che io fossi solo un lurido traditore. Gli sguardi, le parole, feriscono anche una persona apparentemente inscalfibile come me. Tu mi sei stata vicina. Mi hai offerto la tua amicizia e il tuo sostegno, non mi hai abbandonato. Eri pronta a combattere al mio fianco, o sbaglio?”

“Amicizia e sostegno da parte mia non implicano che tu ti sia innamorato di me.”

“C’è stata una terza volta in cui non sarei sopravvissuto senza di te.”

Qualcosa nel tono con cui lui aveva detto quest’ultima frase fece accelerare all’impazzata i battiti del cuore di Sibilla.

“Come sai sono entrato in coma. Per svegliarmi, per tornare qui, avevo bisogno di una ragione per vivere, di qualcosa che mi desse la forza per aprire gli occhi, di un motivo per voler tornare.” Parlando, aveva cominciato a chinarsi su di lei, accorciando la distanza tra i loro volti.

“Sai perché mi sono svegliato?”

Ancora più vicino.

“Sai per chi mi sono svegliato?”

Ormai potevano avvertire l’uno il respiro dell’altra sulle labbra.

“Per te. Per vivere vicino a te, finalmente, invece di sopravvivere da solo. Quindi,”

La maga arretrò appena.

“Ti chiedo,”

Lui avanzò raggiungendola di nuovo.

“Vorresti salvare anche …”

Le passò una mano dietro la schiena e la premette verso di sé.

“… il mio futuro?”

Con esasperante lentezza, piegando appena la testa di lato, posò le proprie labbra sottili su quelle vellutate di lei, e per alcuni secondi restarono così, le bocche immobili unite. Poi Sibilla, timidamente, assaporò il labbro inferiore di Severus, che rispose al bacio. Entrambi furono come attraversati da una scarica. Il mago si staccò a malincuore e si voltò verso una sgomenta Minerva, che si era tenuta abbastanza in disparte da non sentire quanto si erano detti.

“Conto sulla tua discrezione, ovviamente.”

“Ma certo, ma certo. Sono, beh, sorpresa, ma, insomma, sono anche tanto felice per voi, anche se, voglio dire, pensavo che, insomma, Lily …”

“Minerva?” La mise a tacere lui. “Devo farti stringere un Voto Infrangibile o posso fidarmi?”

“ Ho la bocca cucita, tranquilli.” Disse lei prima di lasciarli da soli.

Poco dopo, in un luogo più appartato, i due si baciarono di nuovo, ancora e ancora, desiderosi di recuperare il tempo perso in tutti quegli anni.

“Severus? Perché non hai aspettato che Minerva se ne fosse andata?” Disse Sibilla allontanandolo delicatamente da sé. Il mago sorrise sornione.

“Quanto pensi che sarà snervante per lei doversi tenere un segreto così?”

“Non saprei, ma se vuoi posso vedere che mi dice la sfera.”

L’uomo si chiese se lei stesse scherzando o fosse seria. Nel dubbio, rispose:

“Non ce ne sarà bisogno, è evidente che la voglia di raccontare a tutti ciò che ha visto la corroderà. Tuttavia, non potrà farlo.”

“E con ciò?”

“Diciamo che dovevo ancora prendermi una piccola rivincita. Quindi, se per te va bene, la terremo sulla corda per qualche giorno.”

“Ma questo significa che nessuno dovrà vederci così.” Ribatté la donna accennando alle braccia che nel frattempo erano tornate a cingerle la vita.

“In questo caso sarà meglio nasconderci bene.”

“Non adesso, però! Guarda che ore sono, dobbiamo andare in Sala Grande per il pranzo.”

“Da quanto tempo, esattamente, hai l’abitudine di pranzare con il resto del genere umano?”

“Che giorno è oggi?”

“Martedì.”

“Allora sono esattamente otto giorni.”

“Un record.”

“Ma che dici?”

“Dimenticavo che l’ironia non attacca con te.”

“Andiamo adesso.”

Alzando gli occhi al cielo, Severus lanciò la controproposta:

“E sia, ma solo se poi riprenderemo il discorso da dove l’abbiamo interrotto.”

“Quale discorso?”

Un sospiro.

“Questo discorso.” Le spiegò baciandola.

“Forse allora dovremmo salire da me, così non ci disturberà nessuno.” Azzardò lei arrossendo. Era molto meno sprovveduta di quanto sembrasse. Severus, preso in contropiede, non poté far altro che sorridere e ringraziare mentalmente James Potter per essere così insopportabilmente odioso.

 
   
 
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