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Autore: cranberry sauce    24/08/2012    7 recensioni
John/Paul.
Per la prima volta lo vedeva sul serio, ed era un pensiero troppo grande, immenso, così lontano e incomprensibile, ma anche limpido e definitivo. Un pensiero a cui non si può sfuggire, mai, come il cielo d'inverno.
Paul stava osservando John dormire con la stessa cura che uno scienziato riserverebbe all'esemplare di una nuova specie mai vista prima, ma c'era qualcosa, una sorta di debole ma persistente pizzicore in mezzo al petto, che faceva curvare appena le sue labbra nell'ombra di un sorriso, e controllava ogni sospiro nella paura di svegliarlo.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One rainy wish
 
Pairing: John/Paul () [sì, lo so, non l’avreste mai detto. Io non scrivo mai McLennon, proprio mai.]
Note: One Rainy Wish non è solo il titolo di questa storia, ma anche quello di una canzone di Jimi Hendrix. Golden roooose, the colour of the dream i haaaaad not to loooong agooo ♥ Oddio è stupenda çwç
Anche la parte tra parentesi lì sotto è presa dalla canzone, ovviamente.
Non so se è una mia impressione e basta, ma ‘sta one-shot è lunghissima. Spero non sia noiosa. Bene, ehm… niente, me ne vado. Ciao *u*
Disclaimer: come al solito nessuno mi appartiene lalalalaaaaaaaa non mi pagano, non è vero niente eccetera eccetera
 
 

Vorrei dedicare questa storia a tutte le persone che mi seguono dagli albori della mia raccolta e che sono sopravvissute alla mia sfilza di one-shot sui quei due dementi altrimenti conosciuti come Jawn Lenin e Pol MacCartnee.
A justletitbe, perché è gentilissima e mi scrive sempre delle recensioni strappalacrime che fanno sciogliere il mio tenero cuoricino.
A two of us, che puntualmente mi lascia una recensione e che sa immaginare John e Paul negli scenari più sconclusionati. Prima o poi prometto che saprai il titolo di quel libro rosa sgargiante e giallo fosforescente.
A StreetsOfLove, perché ha sempre una parola carina da dirmi.
A Nellaria, perché la stresso con le mie McLennon e perché mi recensisce anche l’irrecensibile. A parte gli scherzi, ma come fai a sopportarmi?
E, ultima ma non ultima, a unitydivides, per tutte le ragioni del mondo e per nessuna. Perché di sì. Perché if there’s anything that you want, if there’s anything i could do, just call on me and i’ll send it along, with love from me to you! c’: Sul serio, ti voglio bene
Un grazie immenso a tutte voi, e un abbraccio virtuale spezzacostole.

 
 
{I have never laid eyes on you
Not before this timeless day
But you woke up and you smiled my name
And you stole my heart away}



E poi, tutto ad un tratto, lo vide.

Per la prima volta lo vedeva sul serio, ed era un pensiero troppo grande, immenso, così lontano e incomprensibile, ma anche limpido e definitivo. Un pensiero a cui non si può sfuggire, mai, come il cielo d'inverno. 
Paul stava osservando John dormire con la stessa cura che uno scienziato riserverebbe all'esemplare di una nuova specie mai vista prima, ma c'era qualcosa, una sorta di debole ma persistente pizzicore in mezzo al petto, che faceva curvare appena le sue labbra nell'ombra di un sorriso, e controllava ogni sospiro nella paura di svegliarlo.
Seduto sul bordo del letto, registrava mentalmente ogni movimento, ogni respiro, e allungava una mano a toccargli la fronte bollente, per poi ritirarla a metà strada e sospirare, un'altra volta, silenziosamente.
I minuti erano scanditi dall'irregolare ticchettio della pioggia che batteva insistente contro i vetri appannati della finestra, ma era solo l'ultimo sprazzo di un temporale permaloso che aveva costretto tutti quanti a rintanarsi nelle proprie case per una settimana. 
Il meteo aveva parlato chiaro: "Rovesci diffusi e abbassamento della temperatura previsti per martedì prossimo". Così aveva detto. Ma John, ovviamente, non aveva né il tempo né la voglia di ascoltare il notiziario o le raccomandazioni di zia Mimi, per cui quel pomeriggio era uscito come se nulla fosse, sfidando le nuvole scure che si addensavano veloci nel cielo d'un bianco latteo, malato.
La pioggia non l'aveva di certo risparmiato: quando rientrò a casa, qualche ora dopo, era completamente zuppo da capo a piedi; non un singolo centimetro quadro della sua persona era riuscito ad evitare l'ira funesta del temporale che continuava imperterrito ad imperversare, riversando secchiate d'acqua sull'asfalto scivoloso ed annegando i fiori nei loro vasi.
Si era buttato sotto la doccia bollente e poi dritto a letto, confidando nel caro vecchio sonno ristoratore. Dal letto, però, non si era mosso per tutta la settimana: la pioggia riscuoteva il suo tributo. 
Ora se ne stava lì, avvolto nella coperta più pesante che aveva e scosso ogni tanto dai brividi di quella febbre che non si decideva a scendere. Zia Mimi era preoccupata, non era mai capitato che John restasse ammalato per così tanto tempo, era sempre stato un bambino in ottima salute e se solo non fosse uscito, ah, se solo l'avesse ascoltata per una buona volta... Ma il medico le aveva detto con un sorriso comprensivo di non stare troppo in pensiero per lui. Medicine e molto, molto riposo erano le uniche cose di cui avrebbe avuto bisogno per rimettersi.
Se all’inizio John si dimostrò un malato particolarmente docile, ben presto questa sua convalescenza iniziò a pensargli. Il problema è che si annoiava. Si annoiava talmente tanto che credeva, a volte, di poterne morire. Lo sguardo vagava rapido nella stanza, si aggrappava febbrilmente a ogni particolare per tentare di cavarne fuori qualcosa, ma non succedeva niente. Non
succedeva mai niente, e preso dallo sconforto non poteva far altro che aspettare che il sonno lo cogliesse improvvisamente, liberandolo dall’insopportabile tedio in cui erano immerse quelle giornate infinite.
“Morire, dormire. Dormire… forse sognare.”, mormorava fra sé e sé, e intanto anche un altro pomeriggio scivolava via, lavato dalla pioggia.
 
Ma quel giorno sarebbe stato diverso. John stava quasi per addormentarsi di nuovo quando il trillo stridulo del telefono lo fece sobbalzare.
“Sì? No, ora è a letto. Ha la febbre alta. No, no, mi dispiace ma non mi sembra proprio il caso. Deve pensare a rimettersi, non a quella stupida chitarra. E allora non vedo perché tu debba disturbarlo a questo modo. Per favore, non farmelo ripetere un’altra volta… No.”
“Chi è?”, urlò John tendendo il più possibile l’orecchio, e sorridendo non appena un gelido “E’ quel tuo amico, Paul” lo raggiunse.
“Come dicevo, non è proprio il caso che tu venga qui. Mi dispiace.”
“Sta’ zitta, Mary! Non ascoltarla, non ascoltarla! Mi sto annoiando tantissimo qua, sto morendo, muoio!” e continuò per un po’ su questo tono, sgolandosi per farsi sentire dall’altra parte della cornetta.
Dei passi frettolosi sulle scale preannunciarono l’ingresso nella stanza di Mimi, livida in volto, la quale squadrò John con impazienza. Nella sua mente stava chiaramente infuriando una battaglia di proporzioni epiche per decidere se fosse il caso di lasciarsi andare e rimproverarlo – perché, si chiese, perché doveva essere sempre così… così John? – o se trattenersi a causa della sua condizione di convalescente. Optò per una terza opzione, sparendo tanto velocemente quanto era arrivata poco prima e fiondandosi in cucina con l’obiettivo di sfogarsi sulle verdure del pranzo.
John si sistemò il cuscino dietro la testa, sperando che Paul lo avesse sentito.
 
E Paul lo aveva sentito, decisamente. Lo aveva sentito ed era corso là appena aveva potuto, ed ora eccolo lì, confuso e spaurito e vergognosamente felice. Eccolo lì a studiare John che dormiva tutto arrotolato nelle coperte.
Teneva un braccio sotto il cuscino e una mano vicino alle labbra. Ogni tanto mugugnava qualcosa e corrugava la fronte.
Era strano vederlo così, sembrava quasi un bambino. Così innocente. Così fragile.
Era strano vederlo, vederlo sul serio.
 
Paul si fece coraggio e avvicinò il volto a quello dell’amico. Allungò un dito e gli sfiorò piano la guancia, bollente. Avrebbe voluto
svegliarlo, dirgli che era lì, chiedergli cosa gli andava di fare, ma qualcosa lo spingeva a rimandare il momento, solo per un altro minuto, o forse cinque, o forse per sempre, e assaporare quella strana intimità che sembrava, improvvisamente e indissolubilmente, legarli.
E il suo cervello continuava a ripetergli come in un mantra di spostarsi, di non accarezzarlo con la mano, no, ma cosa fai, non è giusto, non è normale, smettila Paul, smettila o si sveglierà, ecco, lo vedi?, si sveglierà, si sta svegliando, ormai è sveglio.
Paul era così vicino da poter vedere ogni ciglio tremare mentre John sbatteva le palpebre un paio di volte e gli rivolgeva uno sguardo pieno di stupore e di sonno.
Voleva, no, doveva spostarsi, ma quel sorriso incerto e il suo nome – “Paul” – pronunciato in un soffio, lo trattennero lì dov’era.
Respirava appena, imbarazzato, privo della forza necessaria a distogliere lo sguardo da quel John che continuava ad essere, anche ora che i suoi occhi erano aperti, terribilmente indifeso, e desiderava solo stringerlo a sé, portarlo via, nasconderlo al resto del mondo perché il mondo faceva male e niente e nessuno poteva permettersi di far del male a John, al suo John.
 
“Cos’è, mi vuoi dare un bacio in fronte?”
Paul ritornò bruscamente alla realtà e si alzò rapido dal letto, facendosi tutto rosso in viso. “Come?”, biascicò schiarendosi la voce un paio di volte.
“Ti ho chiesto se avevi intenzione di darmi un bacio in fronte. Sai, per provare la febbre.”, continuò John tra uno sbadiglio e l’altro mettendosi a sedere.
“No, io… Cioè, sì, volevo vedere se scottavi e… Però con la mano, sì, una cosa…”, aveva la bocca completamente secca e una paura terribile di non sembrare convincente. “Una cosa normale, ecco.”
Non era stato di sicuro il monologo più brillante che avesse sentito, ma John annuì e si tirò le coperte fin sopra la testa. “Apri il secondo cassetto.”
“Come?”
La voce ovattata scandì di nuovo l’ordine.
“Prendi la chiave che c’è dentro, e chiudi la porta.”
Paul obbedì in silenzio.
“Fatto?”
“Sì?”
 La testa di John rispuntò da sotto le coperte, un’espressione compiaciuta dipinta sul suo volto. “Così adesso Mimi non può entrare”, disse constatando l’ovvio. “Beh, che fai lì in piedi? Mi sembri in prestito”, e gli fece segno di tornare a sedersi vicino a lui.
“Scusami se stavo dormendo, non ti ho sentito entrare. Non sento niente, a dire il vero, dato che ho le orecchie tappate”, mormorò giocherellando con un buco nella trapunta.
Paul non aprì bocca. C’era qualcosa di diverso in John; era… era gentile, per una volta, e non aveva ancora fatto nessuna battuta pungente. Mentre cercava qualche parola da articolare, non poteva far altro che pensare a quanto fosse tutto particolarmente strano, quel giorno. Quasi assurdo. Irreale. Scosse la testa e tentò di focalizzarsi sulla conversazione che faceva fatica ad avviare, ma non appena il suo sguardo ricadde sull’altro, sentì una domanda scivolargli dalle labbra senza che lui potesse fare niente per fermarla. “Posso dormire con te?”
John lo osservò con curiosità per qualche istante, e Paul pregò che non stesse mentendo quando aveva detto di non riuscire a sentire niente.
“Lo sai che sono le tre e che ho appena finito di dormire, vero?”
Evidentemente, non era così. Paul avrebbe voluto alzarsi ed andarsene, e magari trasferirsi in un altro stato, continente, in un’altra galassia, ma con un altro immane sforzo riuscì a rispondergli: “Sì, lo so.”
“Hai portato la chitarra?”
“Io… veramente no. Tua zia non era molto d’accordo.”
“Hai freddo?”
“No, sto bene così.”
John lo guardò accigliato e ripetè: “Hai freddo?”
Paul si voltò verso di lui, perplesso. “Ho detto che sto-”
“Hai freddo?”, lo interruppe l’altro.
E poi, all’improvviso, capì. Incrociò lo sguardo di John e non potè fare a meno di sorridere stupidamente.
Era un sì. Un sì. Un dannatissimo sì.
“In effetti sto morendo dal freddo”, mormorò piano. John sorrise a sua volta.
“Dai, togliti le scarpe”, e una manciata di secondi dopo si stavano già combattendo il poco spazio a disposizione.
 
“Smettila di darmi il gomito nel naso!”
“Ma tu mi avrai dato già cinquantamila calci!”
“Solo perché tu continui a muoverti di qua e di là come un’anguilla”
“Oh beh, grazie, in qualsiasi modo mi metta ho sempre la tua ascella in faccia”
John scoppiò a ridere. “Scusami, potevi dirlo prima. Aspetta, se ti tiri un po’ su ci stiamo”
Paul si ritrovò stretto tra le braccia di John, la testa appoggiata al suo petto.
Sentiva il suo cuore battere, regolare;  si stupì di trovarsi davvero così vicino a lui, e gli sembrava, inoltre, di essersici ritrovato all’improvviso, come quando nei sogni si passa da uno scenario all’altro senza alcuna continuità e tutto sembra, nonostante ciò, così vero e naturale per chi sogna da risultare completamente plausibile.
Ma non era un sogno, e Paul da quel pomeriggio si sarebbe aspettato qualsiasi cosa tranne quello.
 Ascoltò per un po’ il respiro di John, trattenendo il suo quando una mano gli accarezzò piano i capelli, delicatamente, come a temere di fargli male. Allora lui gli passò, impacciato, un braccio attorno alla vita e chiuse gli occhi.
Non gli importava di prendere la febbre o il raffreddore o la tosse o il mal di gola. Davvero, non gliene sarebbe potuto fregare di meno. E non gli importava nemmeno se era la cosa sbagliata da fare, dormire con il proprio migliore amico stretti a quel modo. Non gli importava se non era una cosa da migliori amici, non voleva nemmeno pensare a classificarla.
Gli sfuggì un grugnito sommesso.
“Cosa c’è?”, chiese John, togliendo la mano dalla sua testa.
“Niente, niente”
“Hai sonno?”
“Non lo so… forse sì.”
“Puoi dormire, se vuoi.”
“E tu cosa fai?”
“Ti abbraccio”
Paul rise. “Per tutto il tempo?”
“Sì. Sempre.”
Non gli sembrava il caso di rispondere, e d’altro canto non avrebbe saputo cosa aggiungere. Sfiorò con le labbra il tessuto ruvido della maglietta dell’altro e lo strinse un po’ di più.
John mantenne la parola e non lo lasciò andare neanche per un secondo. Con le dita tracciava arabeschi sulla sua schiena mentre questi scivolava, dolcemente, nel sonno; disegnava oscuri labirinti e figure di sogno, mentre la pioggia continuava a cadere, sempre più fine, sempre più leggera e distante. E così si addormentò anche lui, il mento appoggiato alla fredda fronte di Paul e una ciocca di capelli scuri stretta fra le dita.
   
 
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