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Autore: Eko1    25/08/2012    0 recensioni
Allora, questa è una storia che ho scritto al corso di scrittura creativa ancora due anni fa...e la "consegna" era "Scrivete, in prima persona e in tempo presente, di qualcuno che si innamora di voi."
Praticamente ho dovuto scrivere di me stessa vista da qualcun altro. Non vi dico neanche la fatica. Comunque il protagonista si chiama Matteo, che si innamora di me, Paola. Diciamo che le uniche cose inventate in questa storia sono Matteo e Marco!
Buon divertimento, lo pubblico in capitoli che sennò è un mattone terribile da leggere tutto insieme!
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Giorno 1

 

“Scusami...posso?” Mi chiede. Appoggia la mano sullo schienale della sedia, in attesa di una risposta. Alzo lo sguardo su di lei, e arrossisco. Con un cenno di assenso le faccio capire che è libero, ma sento il rossore sulle mie guance farsi più forte. Porto la destra al viso e faccio finta di massaggiarmi le palpebre, in modo da coprirmi la faccia con la mano. Lei sembra non accorgersi di nulla, appoggia sul tavolo la pila di libri che aveva sottobraccio e comincia a rovistare nella borsa bianca e nera che tiene accanto alla sedia. Ne approfitto per sbirciare i titoli dei volumi. Uno è “Norwegian Wood”, probabilmente un libro sui Beatles. Il secondo è un altro libro che non conosco, ha un titolo in inglese, ma non riesco a leggerlo tutto. Del terzo, scorgo solo le ultime lettere del titolo, “irl.” Cerco di capire che libro è, e allungo il collo, cercando di vedere meglio.

Incontro i suoi occhi castani e rimango fermo, come un tacchino. A collo teso, con il mento verso l'alto, una posizione veramente idiota. Lei mi osserva, probabilmente cerca di capire cosa sto facendo. Sembra decidere che dopotutto non sono così interessante da guardare, e torna al suo libro. Prende “Norwegian Wood” e ci toglie il segnalibro. Dalla borsa ha tirato fuori una matita mordicchiata, che tiene nella mano sinistra, e con cui sottolinea qualche frase nel testo. Ora riesco a leggere anche il titolo dell'altro libro. Oliver Twist, di Dickens, probabilmente in lingua originale. Ci siamo solo noi due nell'aula studio. Ha voluto mettersi vicino a me apposta? Il silenzio è quasi totale per una ventina di minuti. A romperlo c'è solo il rumore di qualche macchina lontana. Il suo cellulare vibra più volte. L'ha appoggiato vicino ai libri, ma sembra non curarsi del fatto che stia suonando.

“Ehm..il telefono..” Indico l'apparecchio vicino a lei, che senza nemmeno alzare lo sguardo lo prende in mano e lo spegne. Poi solleva il viso dal libro e con un piccolo sorriso si scusa.

“Mi sono dimenticata di spegnerlo, mi dispiace.”Si giustifica. Io subito scuoto la testa e le dico che non c'è problema, ma mi impappino e balbetto. Come un idiota. Lei annuisce, evidentemente non le importa molto del fatto che io l'abbia scusata. Non riesco a concentrarmi su quello che sto leggendo, perchè continuo a spiarla, di sottecchi. Analisi non è mai stata meno interessante, ora che ho lei da guardare.

Appoggia il gomito sul tavolo, e il mento sulla mano. Le unghie sono tutte mangiate, un peccato, perchè ha delle mani affusolate e belle. Ogni tanto, mentre legge, sospira in maniera triste, senza smettere di sottolineare. Avrà sottolineato due pagine intere, quando alza di nuovo gli occhi su di me, e mi trova a fissarla. Alza le sopracciglia come a chiedermi perchè la sto fissando.

“Ti sembra..interessante?”Chiedo, mentre vorrei spaccarmi la sedia sulla testa. Lei sbuffa, e intreccia le mani davanti a sé, sul libro.

“Cosa?” mi chiede di rimando.

Alzo il mento e con un movimento della testa indico il libro sotto le sue mani. Cerco di darmi un tono, ma ci riesco molto poco. Lei rilassa le spalle e mi sorride.

“Si. Uno dei miei libri preferiti, in realtà. Lo sto rileggendo per la cinquantesima volta, penso. Di questo passo lo sottolineerò tutto.” Ride e si passa una mano tra i capelli, togliendoseli dalla fronte. “Riusciresti a leggerlo in una settimana?” Mi domanda poi.

Io aspetto qualche secondo, non sono sicuro di aver capito quello che mi ha chiesto, ma non posso chiederle di ripetere quello che ha detto, non posso fare un'altra figuraccia.

“Certo.. mi piace molto leggere.” Lei si alza, chiudendo il libro. Ripone gli altri nella borsa e mi tende Norwegian Wood. Io lo prendo tra le mani. Ha l'aria di un libro usato, letto e riletto centinaia di volte. Ha un paio di pagine sgualcite, ma la copertina è intatta.

“Guarda che lo rivoglio. Ci vediamo qui tra una settimana, più o meno a quest'ora. Cerca di esserci.” La guardo ed è serissima. Ha due piccole cicatrici sotto al labbro inferiore, una a destra e una a sinistra, forse i buchi dei piercing. Pensando, a ragione, che probabilmente non ho capito quello che mi ha detto, me lo ripete.

“Quattro e mezza. Qui. Ricevuto.” Dico, e tendo la mano verso di lei, che sposta il busto indietro, come se il mio gesto le facesse schifo.

“Bene. Bella.”Si volta e se ne va, sbattendo la porta dell'aula. Dieci minuti dopo sono ancora in piedi a fissare la porta, con il libro in mano, sperando che torni indietro a riprenderselo per poterla rivedere di nuovo.

 

Giorno 2

 

“E quanti anni ha?” Mi chiede Marco, cercando di trattenere le risate.

“Non lo so.” ammetto. “Potrebbe avere boh..diciassette..diciotto..anche vent'anni! Non sono bravo a riconoscere l'età della gente dalla faccia! E poi l'ho vista per venti minuti!”

“C'è gente che in venti minuti si sposa eh!” si gratta una guancia, pensoso.

“Quindi..non sai come si chiama,non sai quanti anni ha, non sai che scuola fa, sai solo che le piace questo qui” indica il libro che mi ha dato lei “che forse è mancina e ha i capelli corti e castani?” annuisco. Lui continua, per fare il punto della situazione.

“Ma quindi..lei ti ha dato il libro ed è andata via? Dicendoti..bella?” Mio fratello ride, senza pietà.<

“No. Sei tu quello esperto del linguaggio..”

“E non solo di quello!”Mi interrompe lui, dandomi una gomitata. “Dio mio Matteo, come fai ad avere ventun anni ed essere così...”So che non vuole ferirmi ma ci riesce lo stesso.

“Non lo faccio apposta, cristo!”Sbotto alzandomi dal divano. “Non ci riesco! Non so come comportarmi. Cosa fare. Come trattarle. Sono cose che non ho mai capito. Non sono un puttaniere come te. Una ne ho avuta e tale deve rimanere! Ho avuto la mia occasione e l'ho mandata in vacca!” Mi risiedo, nascondendo la faccia tra le mani.

Mio fratello mi abbraccia, in silenzio. L'ha fatto pochissime volte, prima d'ora. Una volta quando è morto Pallino, il gatto, e l'altra è stata quando mi sono lasciato con Martina. Se mio fratello mi abbraccia, vuol dire che la situazione è grave.

“Senti Matteo..non è che adesso non esiste nessuna donna al mondo se non Martina!Quanto siete stati insieme? Quattro anni? Cinque?” Io apro un palmo, e poi alzo un pollice. Sei anni.

Lui reprime un moto di sorpresa ma riesce a racimolare abbastanza serietà per non rovinare il momento.

“Cazzo, la vita ti ha dato una seconda possibilità. Sotto forma di una tipa che presta libri alla gente. Che ha prestato un libro a te. Poi, può anche non essere niente no? Una cazzata...così...” Mi da una pacca sulla spalla, sorridendo. Io sospiro.

“Grazie, Marco, così mi aiuti!” gli rispondo, sarcastico.

“Non posso credere di avere i tuoi stessi geni. Siamo gemelli errozigoti...” Ammicca, sapendo benissimo che non si dice errozigoti, però pensa che sia più azzeccato, soprattutto nel nostro caso “...e tu come al solito sembri venuto fuori da un altro mondo.” Sentiamo la porta di casa sbattere, e gli ululati dei cani che annunciano l'arrivo di nostra sorella. Mi alzo per andare a salutarla, ma Marco mi tiene per un braccio.

“Fermo un attimo.”Si alza anche lui, uscendo dalla mia stanza. Sento mia sorella che singhiozza e piange, ma non faccio nulla. Marco è sempre stato più bravo di me a consolare le persone. Anzi, è sempre stato più bravo di me in tutto. L'unica cosa che so fare meglio di lui è studiare. E lui mi invidia per questo, nel tempo che gli rimane tra una ragazza e la partita di calcio, e il volontariato al canile e il gruppo e non so cos'altro.

Mi stendo sul letto, lascio a Marco il compito di consolare Alessandra. Bob Dylan mi guarda dal soffitto, con la sigaretta in bocca. Penso alla ragazza dell'aula studio, e non riesco a capire. Le mie compagne di corso e le poche amiche che ho non mi hanno mai fatto quell'effetto. Il gesto che fa quando si toglie i capelli dalla fronte, me lo ritrovo davanti qualsiasi cosa io cerchi di pensare. Non voglio pensare a lei, ma prendo il libro che mi ha prestato. Tra una settimana, ha detto. Alle quattro e mezza, al centro universitario. Apro il libro e c'è la sua scrittura.

“Non c'è amore che si sprechi, signore.” Cervantes. Scritto sulla prima pagina di un libro sui Beatles scritto da un giapponese, in matita, con una scrittura spigolosa e quasi illeggibile.

Apro la prima pagina, appoggiando il libro sul cuscino e il viso sulla mano. Come fa lei. Le pagine prima che inizi il libro sono piene di scarabocchi e citazioni a caso. Scorro le pagine velocemente e le vedo sottolineate con matite di colori diversi, con parole cancellate e riscritte, frasi e pensieri accanto ai paragrafi. Reprimo un moto di fastidio e cerco di tener fermo l'impulso di prendere una gomma e cancellare ogni scarabocchio.

Comincio a leggere, ma mi risveglio quando suona la sveglia.

Sono disorientato, non capisco quando mi sono addormentato e quanto ho dormito, ma sedendomi sul letto riesco a riprendere coscienza e lucidità. Guardo la sveglia, che segna le sette e mezza. Ho dormito circa dodici ore, saltando anche la cena. Sono ancora vestito dalla sera prima, e lo stomaco manda brontolii affamati. Pagina 127 di “Norwegian Wood” è tutta sbavata. Mi ci sono addormentato sopra, e nemmeno me ne sono accorto.

Esco dalla mia stanza, e penso a quello che mi è successo ieri. La ragazza sconosciuta e il suo libro,che io ho sbavato perchè mi ci sono addormentato sopra. E nemmeno me ne sono accorto. Tolgo Duchessa dal tavolo e do da mangiare a Lilli e a Vagabondo. Se mia sorella avesse visto qualche altro cartone della Disney probabilmente i cani si chiamerebbero Eric e Ariel. E i gatti in qualsiasi altro stupido modo. Sbatto la tazza sul tavolo e ci verso dentro il latte, freddo di frigorifero. Apro un altro pacco di biscotti e, mentre mangio, Marco mi raggiunge in cucina.

Ha gli occhi gonfi di sonno e per salutarmi fa un sonoro sbadiglio.

“Alessandra...?” Chiedo, sottintendendo il perchè stesse piangendo ieri.

“Niente..lascia stare..non capiresti.”Mi liquida con un gesto della mano. Si siede, prendendo posto davanti a me. Sbadiglia di nuovo, ed io non dico niente. Odio che mi nascondano le cose, e odio il rapporto che Alessandra ha con Marco. Sono compatibili, uniti come una cosa sola. Si confidano, giocano, si fanno il solletico e si rotolano come due bambini, insieme ai cani e ai gatti. Io non posso farlo, non ne sono capace.

“Martina me lo diceva sempre. Non sono capace di esprimermi. Non parlo della proprietà di linguaggio, parlo di sentimenti. Non riesco a sfogarmi, non riesco a dire ti voglio bene. Ho sempre paura di essere giudicato, ferito o offeso.” Mi sfuggono di bocca le parole senza che io lo voglia.

Marco si gratta la testa, puntandomi addosso gli occhi, azzurri come i miei.

“E mica è colpa tua.”Si alza e prende quattro uova dal frigorifero. Cerca una padella nei cassetti,poi si volta verso di me.

“E poi, ti sei appena sfogato. Meno sei, fratello.”

  
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