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Autore: MartinaN    25/08/2012    1 recensioni
Ma il suo è un pianto silenzioso, raccolto, a tratti insicuro. John è normale, eppure non è come tutti gli altri. Ecco, se potessi parlargli gli direi questo. E gli ordinerei di preparare un tè caldo – con latte, lo prendiamo entrambi con latte. E alla fine... Alla fine gli chiederei semplicemente scusa. Senza parlare. Lui capirebbe.
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Un caloroso saluto a tutto il fandom di Sherlock qui su EFP! Sarebbe terribilmente superfluo esordire dicendo che sono stata letteralmente conquistata da questa serie TV, vero? Beh, pazienza, è proprio così che voglio iniziare questa introduzione. Seguo Sherlock praticamente da sempre, ma non ho mai trovato il coraggio di pubblicare qualcosa in questa sezione, almeno fino ad oggi. Causa scatenante? Le tre famose parole che ieri hanno sconvolto più o meno tutte noi. Il mio rapporto di amore/odio per il malefico duo Moffat-Gatiss ha raggiunto proporzioni epiche. Che diamine significa rat, wedding, bow? L’idea di un ipotetico matrimonio di John mi manda nel panico, per non parlare della terza parola che forse allude all’ultimo racconto di Sherlock Holmes narrato da Conan Doyle. Non voglio e non posso credere a tutto ciò, pertanto ho deciso di tenere impegnata la mia povera testolina con la raccolta in questione. Non aspettatevi aggiornamenti rapidi e costanti, la mia ispirazione è spesso volubile e capricciosa. L’idea sarebbe quella di scrivere 30 flashfic/oneshot, 30 come i prompt presi da una tabella che ho trovato online. L'idea sarebbe anche quella di fare il mio primo tentativo con lo slash, con mooolta calma, perchè voglio gestire al meglio Sherlock e John. Oggi iniziamo con il prompt lullaby, ninnananna. E no, non mi sono fatta assolutamente influenzare da quel bow che, tra le altre cose, indica anche l’archetto del violino. Perdonatemi per questa introduzione fin troppo lunga, ma non ho mai avuto il dono della sintesi. Spero che la lettura vi risulti perlomeno interessante! Le recensioni e i consigli sono ovviamente molto apprezzati. Buona lettura!

Martina

Frammenti di tempesta

I

La vita nell’appartamento 221B di Baker Street scorreva rapida, discontinua e stancante. Per un ex-soldato come John Watson a rigor di logica non sarebbe dovuto essere un problema. Ma c’era Sherlock. Una variabile da non trascurare assolutamente.
«John.» Tono monocorde, decisamente annoiato.
Il diretto interessato continuò a leggere e scrollò le spalle. Probabilmente il suo coinquilino aveva solo bisogno di qualcuno che gli passasse il cellulare – che, per inciso, si trovava proprio nella tasca della sua giacca. Pazzesco.
«John.» Lievemente irritato, in cerca di attenzione.
Si stava davvero disturbando ad analizzare il timbro di voce di Sherlock? Quell’uomo stava manipolando la sua psiche, non c’erano più dubbi.
«John!» Perentorio, quasi indispettito.
«Che c’è?» Si decise finalmente a rispondere il dottore. La sua domanda aleggiò nell’aria per qualche istante, forse perché considerata superflua. L’uomo sospirò sonoramente e si alzò dalla poltrona, abbandonando a malincuore la sua lettura. Si avvicinò alla scrivania e gettò un’occhiata distratta all’insieme. Il disordine regnava sovrano e l’attuale occupante non se ne curava, ma questo rientrava perfettamente nella norma. Ci vollero un paio di istanti prima che notasse che era proprio il suo computer quello con cui Sherlock stava lavorando. Di nuovo.
«Ma quello è...»
«Il tuo portatile, sì. Potresti evitare di pormi sempre le stesse domande? È uno spreco di tempo.»
«Per chi, esattamente?»
«Per me. E ora lasciami lavorare.» Sherlock pose fine al discorso con un gesto seccato della mano sinistra, senza staccare gli occhi dallo schermo.
«Ma se mi hai chiamato tu!» Sbottò l’altro, incredulo.
«Ah, quello. Ti spiacerebbe andare a comprare del latte? Temo che sia finito.»
John spalancò gli occhi e rifletté. Abitava con quel bizzarro individuo da ormai un mese, e non una singola volta l’aveva visto uscire e andare a comprare beni di prima necessità. O riordinare una qualsiasi stanza. O comportarsi da persona con una parvenza di normalità.
«Ma certo, naturale. Andrò io a fare la spesa.» Affermò rassegnato, mettendo particolare enfasi sul soggetto della frase. Enfasi che venne prontamente ignorata da Sherlock. Era una battaglia persa.
Il medico sbuffò e, dopo aver afferrato la giacca, si chiuse la porta dietro le spalle senza particolare delicatezza. Chissà quale nuova stranezza lo attendeva al ritorno. Certo, dopo il ritrovamento di svariate appendici umane nel frigorifero sarebbe stato difficile stupirsi ancora di più.

Quando, un’ora dopo, varcò la soglia dell’appartamento, fu accolto da una piacevole sorpresa. Una melodia dolce e vagamente malinconica animava il soggiorno. Sherlock stava suonando il violino. Sul volto aveva un’espressione totalmente assorta che ipnotizzò John. Lo aveva visto spesso concentrato, ma mai così: c’era un che di fragile e drammatico nei lineamenti aggraziati del giovane. Gli occhi grigi erano socchiusi e le labbra fremevano appena, come per seguire il ritmo della musica. Era... bello. Non c’erano altre parole per descriverlo. John non si azzardava a fare neppure un passo, per paura di spezzare quel momento così suggestivo. Dopo due minuti che gli sembrarono insolitamente lunghi Sherlock smise di suonare e lo guardò.
«Oh, eccoti John.» Il suo sorrisetto divertito diceva che chiaramente si era accorto della sua presenza sin dall’inizio.
«Sei molto bravo.» Mormorò lui per tutta risposta, con la mente ancora fissa sull’immagine delle dita affusolate dell’uomo che stringevano l’archetto. Un’istantanea di pura perfezione, ecco cos’era.
«Grazie. Ora, ti prego, posa quelle borse e stenditi sul divano. Ci penserò io.» Lo esortò con voce vellutata.
«Non ci credo.»
«In effetti hai ragione, non metterò a posto nulla. Ma stenditi lo stesso: dovrò pure ringraziarti in qualche modo!»
John lo squadrò sospettoso e cedette alla sua richiesta. Dopotutto aveva davvero bisogno di riposare, e lui lo sapeva. Sapeva sempre tutto. Com’era possibile?
«Molto bene. Cerca di dormire, mmm?» Mormorò Sherlock. Dopodiché iniziò nuovamente a suonare il violino. Le note prodotte dallo strumento erano di una bellezza struggente.
«Sai, mi avevi avvisato di questa tua abitudine, ma ora che ci penso è la prima volta che ti sento suonare.» Osservò con curiosità.
«Shh. Chiudi gli occhi.» Lo ammonì il detective. L’uomo lo assecondò e lasciò che una piacevole oscurità lo avvolgesse. Dopo il ritorno dall’Afghanistan aveva avuto ben pochi momenti di autentica serenità; gli sovvenne solo in quel momento che si collocavano tutti nel periodo di convivenza con Sherlock. Paradossale. Ecco un altro punto da aggiungere all’elenco di cose che non riusciva a comprendere a proposito di quel bizzarro individuo.
«Stai pensando troppo.»
«Come diavolo...»
«Fronte aggrottata, muscoli del volto tesi.»
«Cristo, ci riesci ogni volta
«John.»
Il medico obbedì alla voce baritonale e alla tacita richiesta – o piuttosto pretesa – di fare silenzio. Un sorriso istintivo addolcì i suoi lineamenti; un attimo prima di abbandonarsi al sonno si domandò con orrore se Sherlock potesse intuire anche l’immagine che rimbalzava senza sosta nella sua testa. Un paio di occhi penetranti dalle cangianti sfumature grigio-azzurre.

  
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