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Autore: Feel Good Inc    25/08/2012    10 recensioni
Si era finalmente allontanato dal portone, ma continuava a studiare il pavimento lucido, i mobili spolverati e profumati di lavanda, la lunga tavola imbandita con aria a metà diffidente e a metà divertita.
«Hai pulito tutto» disse; non era una domanda.
Belle accennò un sorrisetto. «Pensavo fosse questo il mio compito, signore.»
Rumpelstiltskin ebbe una sorta di sussulto: doveva essere passato molto tempo dall’ultima volta che qualcuno si era rivolto a lui con l’appellativo di ‘signore’.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Diciotto minuti

{ lunghi tutta una favola }

 

 

 

 

 

 

 

Quella porta era come una frontiera, un confine tutt’altro che metaforico tra il giusto e lo sbagliato e tra il coraggio e la paura, e a Belle ci vollero diversi secondi – forse minuti interi – prima di decidersi a tendere la mano e a bussare pianissimo sul legno scuro come il buio che gravava sulle sale del castello. Ci fu un lungo, lunghissimo silenzio, così pesante che il suo respiro echeggiò più volte nel corridoio vuoto; lottò con l’impulso di trattenere il fiato, perché il cuore le batteva già abbastanza forte così. Dopotutto lui le incuteva ancora un certo timore.

Si sarebbe aspettata di sentire la sua voce brusca, un ‘Avanti!’ poco incoraggiante, magari anche uno di quei raggelanti risolini che erano il segno indiscutibile di un animo per niente benevolo. Ciò che di certo non si aspettava era che la porta si aprisse così improvvisamente da farla sussultare, e che lo sguardo di Rumpelstiltskin si posasse su di lei in modo tanto diretto da farla sentire, per un istante, una bambina spaurita.

«Sì?» fu il modo in cui l’accolse, in un tono più sorpreso che infastidito. Forse neppure lui si era aspettato un contatto diretto con lei. Forse non era l’unica a non sapere bene cosa fare con l’altro, in fondo.

Lo sbirciò per un attimo, e la vista già avvezza alla semioscurità costante le permise di distinguere dei capelli arruffati, più del solito, e ombre più scure che mai sulla pelle impenetrabile del suo viso. Lo aveva svegliato? Dunque anche lui era in grado di cedere a un atto umano come quello del sonno? Quella creatura era un vero mistero.

Belle abbassò rispettosamente gli occhi. «Perdonatemi, non era mia intenzione disturbare il vostro riposo.»

Rumpelstiltskin non la smentì né confermò. Rimase semplicemente in attesa, la mano nera e rude sullo stipite, la figura immobile.

«Mi chiedevo...» Belle deglutì, scoprendo di aver perso tutto il coraggio che l’aveva portata ad accettare il suo accordo, in principio, e a comparire spontaneamente al suo cospetto, adesso. «Mi chiedevo se voi... se io...»

«Ebbene?»

Si fece forza e per una volta osò sollevare il capo e guardarlo dritto negli occhi, come lui faceva con lei. «Mi chiedevo se potrei avere un altro vestito.»

Rumpelstiltskin tacque, evidentemente colto alla sprovvista. Belle trasse nuovo coraggio dal suo silenzio.

«Vi ho seguito senza quasi dire addio alla mia famiglia e al mio paese; mi avete dato per stanza una cella umida e per giaciglio un freddo pavimento, e non ho chiesto nulla di più. Ora vi chiedo un vestito. Con quest’abito» fece notare, sollevando i lembi della lunga veste dorata con la quale aveva danzato l’ultima volta al braccio di Gaston, «non riuscirò certo a intrufolarmi nel caminetto per spazzare via la cenere, non trovate?»

Il tono di sospensione della domanda le spense la voce in gola; aveva parlato senza interruzioni, decisa a farsi valere per una volta con il suo aguzzino, e ora che il respiro le mancava non poteva fare altro che attendere e temere la sua reazione. Si preparò alle urla, alle risa di scherno, ma di nuovo Rumpelstiltskin la sorprese.

«Capisco» farfugliò, passandosi una lunga unghia sulla guancia come per riflettere meglio, «non hai torto. Bene, vedrò cosa posso fare.»

Belle espirò, attonita. Tentò di ringraziarlo, magari di benedire tanta inaspettata indulgenza, ma la porta si era già chiusa e il corridoio vuoto era tornato a essere un interminabile gioco di ombre.

 

 

Le tende alle finestre impedivano alla luce del sole di sfiorare anche una semplice lamina di spazio, ma avrebbe giurato che fosse il tramonto quando Rumpelstiltskin tornò. Era stato via per tutto il giorno, svanito in silenzio come uno sbuffo d’aria attraverso un vetro rotto: come al mattino l’unico segno della sua presenza era stata la porta della sua cella improvvisamente aperta, così uscendo non le aveva rivolto una parola. Belle sapeva che non avrebbe dovuto sentirsene rattristata – non era tenuto neppure a parlarle, lei era solo la sua governante – eppure non riusciva a non pensare che quell’uomo fosse ormai l’unica sua compagnia, l’unico contatto tra lei e il vasto e sconosciuto mondo. Così, quando lo sentì entrare nella sala ormai splendente in cui la sera prima lei aveva rotto la tazzina da tè, senza volerlo né prevederlo si ritrovò a sorridere.

«Bentornato» esclamò, abbandonando in fretta straccio e ramazza in un angolo e avvicinandosi alla tavola già pronta. «Vi ho preparato la cena. Spero non si sia raffreddata, ma non mi avete detto quando sareste rientrato, e a dire la verità non mi ero neppure accorta che foste uscito, e poi ci ho messo un po’ di tempo a trovare la cucina e spero di non aver sbagliato nulla, non ho cucinato molto spesso in vita mia, e...»

Rumpelstiltskin era rimasto sulla soglia e non aveva più mosso un passo. Aveva con sé una cesta di vimini, non si era ancora tolto il mantello, e si guardava intorno come se stentasse a riconoscere la realtà che lo circondava; Belle si accorse che spostava lo sguardo su di lei e subito s’interruppe. Aveva sbagliato qualcosa?

Rimase vicina alla tavola, combattendo l’istinto di torcersi le mani in grembo, ad aspettare chissà quale rimprovero. Ma, quando lo sentì parlare, per l’ennesima volta in quella prima giornata di prigionia dovette ricredersi sul conto del suo carceriere.

«A cosa è dovuta tutta questa confidenza?» Ridacchiava, come suo solito, ma pareva più confuso di lei. «Non è necessario che tu ti finga la dolce mogliettina che aspetta il ritorno dello sposo, sappiamo tutti e due che non ti piacerà mai stare qui.»

Belle si sentì arrossire. E tuttavia sentì il bisogno di giustificarsi, di spiegarsi. Tirò indietro una ciocca di capelli sfuggita all’acconciatura ormai disfatta. «È che... per tutto il giorno non ho potuto parlare che con gli orologi e i candelieri, e così...»

Rumpelstiltskin non l’ascoltava. Si era finalmente allontanato dal portone, ma continuava a studiare il pavimento lucido, i mobili spolverati e profumati di lavanda, la lunga tavola imbandita con aria a metà diffidente e a metà divertita.

«Hai pulito tutto» disse; non era una domanda.

Belle accennò un sorrisetto. «Pensavo fosse questo il mio compito, signore.»

Rumpelstiltskin ebbe una sorta di sussulto: doveva essere passato molto tempo dall’ultima volta che qualcuno si era rivolto a lui con l’appellativo di ‘signore’. Belle continuava a sorprendersi di quanta umanità si nascondesse sotto tutta quella pelle spessa, e al contempo, riconoscendo le proprie prevenzioni, se ne sentiva profondamente in colpa. Anche lui era un uomo, dopotutto... o lo era stato.

«Sedete» cercò di riprendersi, «la zuppa dovrebbe essere abbastanza calda.»

Curiosamente docile, obbedì, e Belle si ritrovò a sorridere di nuovo nel passargli accanto leggera per raggiungere la cucina e servire le portate successive. Gli sfiorò inavvertitamente un braccio e lo sentì caldo, reale. Ma certo che era un uomo. Perché mai avrebbe dovuto avere paura di lui? Non le aveva fatto del male finora, e qualcosa le diceva che non gliene avrebbe fatto mai.

Appena prima di uscire dalla sala, percepì un movimento, giusto con la coda dell’occhio; si voltò e vide con stupore il candelabro sulla mensola rivolgerle un grazioso inchino. L’orologio lì accanto mosse vivacemente le lancette come in un gesto di saluto. Belle si fermò, deliziata, poi si volse di nuovo a guardare Rumpelstiltskin.

«È abbastanza calda» confermò lui, sogghignando al di sopra di un cucchiaio, come se niente fosse.

 

 

Il fuoco era l’unica cosa cui non avesse pensato Belle; un cenno di una mano antica e potente, e le fiamme erano subito divampate da sole. Nel cerchio di luce la giovane sedeva a leggere: lucidando i cristalli e le porcellane aveva trovato una bella sala piena di libri, e il padrone del castello non sembrava aver nulla in contrario, così non le sembrò troppo indecoroso starsene seduta in una poltrona con uno di quei tomi antichi e splendidamente rilegati tra le mani.

Rumpelstiltskin girava la ruota dell’arcolaio nell’angolo più buio della sala. Belle lo guardava, di tanto in tanto, ma non riusciva a vedere nulla del suo lavorio incessante. Aveva l’impressione che la vicinanza di lei lo contrariasse più di quanto volesse dare a vedere; e pensare che chiunque avrebbe immaginato l’esatto opposto! Era pur sempre una sua prigioniera. Non si aspettava che si sforzasse di essere gentile con lei. Così come era evidente che lui non si aspettava che la sua nuova servetta si mostrasse così volenterosa. Era tutto davvero inaspettato, e se anche le fosse stato accanto in quel momento, Belle non avrebbe saputo bene cosa dirgli o come comportarsi.

Alla fine il libro l’ebbe vinta; la storia catturò tutta la sua attenzione e la realtà del castello vuoto in cui avrebbe vissuto tutto il resto della sua vita non fu altro che una vaga consapevolezza al margine della coscienza. Sprofondando nella lettura, dimenticò tutto, e non si accorse del tempo che passava finché un eco di passi venne a scuoterla dal suo sogno ad occhi aperti.

«Un racconto interessante?»

Belle alzò lo sguardo, sorpresa da una tanto improvvisa manifestazione di interesse, e si voltò. Rumpelstiltskin era in piedi alle sue spalle, appoggiato allo schienale della poltrona, chino su di lei; un senso di crescente disagio la spinse a distogliere immediatamente gli occhi dal solito ghigno che gli aleggiava sulle labbra. Si concentrò sull’illustrazione di una bambina la cui casetta era stata strappata via da un ciclone e catapultata in una terra piena di stranezze.

«Molto» ammise. «L’ipotesi che esistano altri mondi oltre al nostro è... è emozionante» si ritrovò ad aggiungere, in un sussurro appassionato.

«Oh, esistono» mormorò Rumpelstiltskin, e all’improvviso non c’era alcuna traccia di ironia nella sua voce. «Ti assicuro che esistono.»

Suo malgrado, sorpresa, Belle si voltò ancora. «Come fate a saperlo?»

Rumpelstiltskin non si mosse, ma l’ombra che così spesso oscurava il suo volto – finanche quando rideva – si era fatta ancor più impenetrabile. Così da vicino, per la prima volta da quando lui l’aveva rinchiusa nel suo cupo castello circondato di monti e silenzio, Belle riconobbe quanto potesse davvero essere pericoloso.

«Io so molte cose, ragazzina, così tante che ascoltarne appena la metà ti spaventerebbe a morte» bisbigliò, facendole correre un brivido giù per la schiena. «Credi che la capacità di fermare una guerra non ti chieda nulla in cambio? Credi che il poter far muovere una cosuccia come un candelabro non si prenda un pezzetto di te? Esistono molte cose di cui tu non hai la minima idea, e la maggior parte di quelle cose fa paura.»

A Belle occorse tutta la propria forza d’animo per non fuggire via in quel preciso momento. In quegli occhi improvvisamente furiosi era comparsa una luce folle, un riflesso di cose perdute e di altre mai avute che le fece davvero orrore. Eppure fu in quello stesso momento che capì che Rumpelstiltskin, ‘quella bestia’, era stato ed era ancora un uomo – solo gli uomini potevano soffrire così.

«Potreste mettermi alla prova... e raccontarmi.»

Un breve silenzio, un altro risolino. Lo vide riprendere il controllo, ma si sentiva ancora il cuore in gola. Perché?

«Forse lo farò. Un giorno. Per stanotte, concedimi di dirti solamente che so» e Rumpelstiltskin si scostò dalla poltrona per mostrarle qualcosa che finora le aveva tenuto nascosto allo sguardo, «che è l’azzurro il tuo colore.»

Belle si alzò in piedi, meravigliata. Era un vestito... Un vestito semplice, ma bellissimo, proprio come l’avrebbe voluto lei, uno che avrebbe potuto intrufolarsi in qualunque caminetto. Rumpelstiltskin lo tenne sollevato perché lei potesse ammirarlo, e allora Belle poté vedere i fili di stoffa azzurra rimasti impigliati tra le sue dita, e capì perché per tutto quel tempo fosse rimasto nell’ombra a tessere senza rivolgerle una sola parola.

«Spero che ti piaccia, mia cara» sghignazzò piano.

Belle non riuscì a dire nulla. Il senso di disagio si era addolcito, trasformandosi in un qualcosa di molto simile al tepore del fuoco.

 

 

Quando la sorpresa aveva lasciato il posto ai primi segni di una timida riconoscenza, si era lasciata sfuggire che quel dono era fin troppo bello, troppo luminoso se paragonato al grigio pietra della celletta che era la sua stanza. Certo non si sarebbe aspettata di vedere il turbamento offuscare i tratti del volto del suo padrone – ma adesso, inaspettatamente, si stavano separando di fronte a una porticina di legno di ciliegio; e Belle non avrebbe saputo dire se la confusione che provava lei fosse più sconvolgente o meno di quella che ancora se ne stava dentro gli occhi di lui.

Non trovò le parole per ringraziarlo, così si strinse al petto – ancora – il vestito azzurro e accennò un inchino.

«Buonanotte, signore.»

Rumpelstiltskin non rispose, quasi non la guardò neppure. Ma prima che si allontanasse lungo il corridoio, Belle fu certa di aver veduto un piccolo sorriso nascere e subito morire sulle sue labbra di bestia così umana.

Rimasta sola, entrò nella sua nuova stanza, vide che era spaziosa e confortevole e che c’era una splendida pendola appesa alla parete di fronte, e sorrise a sua volta, felicemente incredula.

Nell’arco di ventiquattro ore si erano parlati per non più di diciotto minuti. Diciotto minuti in cui si era sentita, chissà perché, libera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Suppongo di averlo fatto, sì. Ho scritto una vera Rumpelstiltskin/Belle. E non rimpiango niente.

Ho avuto l’idea dei ‘diciotto minuti’ perché ho scoperto che l’episodio 1x12, Skin Deep, comprendeva appunto diciotto minuti in più; ovviamente questo non era possibile, e alla fine la maggior parte delle scene su Rumpel e Belle sono state tagliate – e così, mi sono detta, ecco perché la loro storia mi è sembrata incompleta ed ecco perché non riesco a shipparli più di così: urge rimediare in qualche modo. u__ù

Immagino non ci siano poi molti particolari da spiegare, a parte l’accenno a Lumière e a Tockins che giudicavo immancabile, e naturalmente il libro letto da Belle – dai che ve lo aspettavate ;) Non so se è già stato scritto qualcosa su Rumpel che le regala il vestito azzurro, e nel caso me ne scuso, non era mia intenzione scopiazzare da nessuna parte. Il titolo vuole rifarsi alla mia Jiminy/Cappuccetto Sette giorni (lunghi ventotto anni), non perché ci sia effettivamente un legame tra le due storie ma perché, suppongo, l’impegno e la passione nello scriverle è stato lo stesso

Confesso di non essere molto soddisfatta del risultato. Però considerate che resto sempre una shipper Gold/Emma convinta xD

Aya ~

   
 
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