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Autore: Justonelook    25/08/2012    3 recensioni
C’era una volta, no, meglio non iniziare così, questo inizio è solito essere seguito da un lieto fine, e, sinceramente, non sono sicura di voler raccontare una bella favola, preferisco le storie che iniziano con una lunga e noiosa descrizione, così che solo i buoni lettori potranno leggere la parte migliore del racconto, quelli svogliati abbandoneranno dopo le prime righe.
Niente da dire, è solo una One Shot, sta a voi leggerla e giudicarla, nell'ordine se possibile, i pregiudizi non li ho mai capiti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era una volta, no, meglio non iniziare così, questo inizio è solito essere seguito da un lieto fine, e, sinceramente, non sono sicura di voler raccontare una bella favola, preferisco le storie che iniziano con una lunga e noiosa descrizione, così che solo i buoni lettori potranno leggere la parte migliore del racconto, quelli svogliati abbandoneranno dopo le prime righe:
 
“Io sono Mai, quando da piccola i miei genitori tentavano di farmi dire Mary queste tre lettere erano tutto ciò che mi usciva.
Maria non mi piace, o meglio, non mi si addice, era il nome di mia nonna, ma sa troppo di santa. Io non sono santa. Non che sia una di quelle ragazze scatenate e fuori dalle regole, affatto, ma sono più che certa che nessun santo mentirebbe tanto quanto faccio io. Dico più bugie a me stessa che agli altri, se devo dire la verità, ma fa lo stesso. O forse è peggio. No. Almeno il mio tormento me lo tengo dentro e non annoio nessuno, ma questa è un’altra storia.
In più io sono atea. I miei genitori non mi hanno fatta battezzare, hanno pensato che dovesse essere una scelta mia, non un obbligo, quello della religione.
Non ho nulla contro la Chiesa, anche se ci sono delle cose che non capisco, come l’intolleranza nei confronti degli omosessuali o il Papa impreziosito di oro, mentre mezzo mondo muore di fame, ma credo che ognuno sia libero di credere in ciò che preferisce, qualunque sia la sua religione.
Io non ho una religione, solo una morale, ma questo non significa che io sia una strana.
Mi da fastidio quando, dopo aver scoperto che non sono stata battezzata, la gente mi guarda storto come se fossi una pazza o qualcuno da evitare. Succede, ogni tanto. Fa male. Mi sento giudicata. Io non giudico a priori, nessuno dovrebbe farlo.
A volte mi chiedono: “Ma non ci pensi mai, a Dio?” Questo non mi da fastidio, è solo una domanda, anche se la risposta non è così semplice. “No” rispondo, e provo a spiegare che non lo faccio con cattiveria, che io non vivo in una famiglia di credenti che va a messa tutte le domeniche, non sono mai stata abituata a pensarci, quando sono sola nella mia stanza a pensare questo non mi viene nemmeno in mente, ad altro penso, a Federico, ai suoi occhi, ma pochi capiscono.
In ogni caso, se Dio esiste, è sicuramente troppo impegnato con problemi come la povertà per pensare a me. Questo però non lo dico, molti fraintenderebbero quel “se”.
Cambiando argomento, sono solo un’inguaribile romanticona che non vuole rassegnarsi al peso di questa triste società. Questo è tutto ciò che so per certo su di me. Non sono mai stata brava a descrivermi, a parlare di me stessa. Forse la verità è che io sono la prima a non capirmi.
Se mai riuscissi a scrivere qualche cosa su di me verrebbe fuori una tale accozzaglia di contraddizioni che potrei essere presa per pazza, ma forse lo sono, una pazza intendo.
A dire la verità non mi sono mai considerata una persona troppo “normale”, e uso le virgolette perché di questi tempi non sono sicura che questa parola venga usata opportunamente.
Sono piuttosto instabile direi, ogni tanto vengo colta da delle stupide crisi isteriche durante le quali me la prendo con tutto e con tutti. Chissà, forse è normale, durante l’adolescenza.
Immagino sia normale anche essere innamorata da due anni di un proprio compagno di classe. Federico. Solo lui. Da due anni. Mi sorprende non esserne ancora stufa, solitamente anche le più grandi novità ci impiegano poco a darmi noia, ma immagino che non ci si possa stufare di qualcosa che non si può avere.
Già, perché lui non è mio, egoistico modo di dire per intendere che Federico non sta con me.
Certo, perché ovviamente lui sta con Clara, la ragazza dei suoi sogni, quella cui è andato dietro per quasi due anni fino a quando, poco meno di due mesi fa, lei si è decisa a dar lui una possibilità.
Lei, l’innamorata non ricambiata, lui, l’oggetto d’amore con una gran cotta per un’altra ragazza, somiglia tanto ad uno stupido clichè da film romantico, ma questa non è una sciocca telenovela nella quale salta fuori persino la magia se il tasso di ascolti si abbassa troppo, no, questo è reale, e fa male.
Così ora stanno insieme: lui è tutto cuori e frasi romantiche e lei, lei non lo so, non ci parlo molto.
Federico non è bellissimo, ma è carismatico, ha un carattere coinvolgente ed è sincero, la maggior parte delle volte, è quel genere di ragazzo che non ha vergona a leggere libri che vengono considerati da femminucce, ma che poi trovi seduto al banco immerso nella lettura di sciocche biografie di calciatori, quel genere di ragazzo che canta a squarciagola canzoni d’amore per poi scherzare giocosamente sui miei cantanti preferiti  due minuti dopo.
Clara non è la ragazza più carina della scuola, ma ha un bel fisico ed è una di quelle a cui piace farsi desiderare, non so moltissimo di lei, ma non credo sia veramente innamorata, è fredda, ma chi lo sa, magari mi sbaglio, in ogni caso, pur non trovandola particolarmente antipatica non ce la vedo con Federico, non insieme, non è il suo tipo.
Anche Clara è una mia compagna, e così ho passata le ultime settimane di scuola a guardarli baciarsi, è stato insopportabile, ma poi è arrivata l’estate.
Io e Federico siamo amici, o perlomeno lo siamo in teoria, credo che sia il fatto che lui sa di pacermi a complicare le cose, ma allo stesso tempo sono felice di averglielo detto, fu una liberazione.
Glielo dissi circa sei mesi dopo da quando aveva cominciato a piacermi, eravamo abbastanza legati, ci parlavamo tutti i giorni su facebook per ore, una volta tornati a casa da scuola, certo, avrei preferito parlarci di persona, ma era comunque piacevole.
Un giorno, dopo alcune sue ripetute richieste su chi fosse il ragazzo che mi piaceva, gli dissi tutto. Ci accordammo subito sul fatto di restare amici, lui già pensava costantemente a Clara e io non avrei mai potuto sperare di meglio, inizialmente andò tutto bene, non era cambiato nulla, ma dopo qualche mese le nostre chiaccherate in chat arrivarono quasi ad estinguersi.
Da allora non ha mai smesso di starmi vicino, di abbracciarmi, o di stringermi la mano, ma avevo, e ho tutt’ora, la sensazione che quella sincerità che c’era tra noi col passare del tempo e la, quasi totale, scomparsa delle nostre conversazioni, sia diminuita, e questo mi spaventa, perché io vorrei sapere tutto di lui.
Federico continua a ripetere alle mia amiche che mi vuole bene e che ci tiene a me, ma ho paura che non sia più così vero e, ogni tanto, mi chiedo perché queste belle frasi le dica a loro e non a me.
Ad ogni modo, nonostante la carenza di parole tra noi in questi mesi, tra poco lui sarà qui, sotto casa mia, la scusa è che vuole che gli presti un buon libro, ma credo che in realtà voglia solo parlarmi, non l’abbiamo mai fatto da quando si è messo con Clara, lui sa che ci sto male e, forse, queste sono cose che vanno chiarite di persona.
Passano trentotto minuti e ventitrè secondi, lo so perché ho fatto il conto della durata delle canzoni sul mio celulare che ho ascoltata da quando mi sono infilata le cuffie, e sento suonare il citofono.
In casa con me c’è solo mio fratello, sa che devo uscire, così, prima ancora di essere riuscita ad infilarmi le scarpe, lo sento gridare dall’altra parte della casa: “Mai, gli ho detto che scendi, muoviti!”.
Prendo la borsa, ci metto dentro il libro e il cellulare e, poco prima di uscire dalla stanza, mi guardo allo specchio; indosso vestiti estivi da tutti i giorni, niente di particolare, non voglio che Federico capisca che per me questo è un giorno importante.
Lui non è mai venuto nella mia zona, abita fuori città e non siamo mai usciti insieme, almeno non da soli.
Davanti all’ingresso prendo le chiavi. Le getto nella borsa sentendole sbattere contro il bottone del portafogli e grido a mio fratello di chiudere la porta un’attimo prima di fiondarmi giù dalle scale.
Sono nervosa, felice anche, ma piena di ansia, però non voglio darlo a vedere, Federico sarà tranquillo come al solito.
O forse mi sbaglio, perché, quando lo intravedo attraverso la vetrata del portone del palazzo, si sta torturando le mani come solo una persona agitata può fare, questo mi fa sorridere, così, nell’istante in cui Federico alza lo sguardo e mi vede, si infila una mano in tasca per esibire l’altra in un cenno di saluto, con quel sorrisetto stupido stampato sul volto devo sembrargli tranquillissima, altro che nervosa per l’appuntamento, ha funzionato meglio del previsto.
Una volta aperto il portone faccio appena in tempo a sussurrare un “ciao” che mi trovo stretta tra le sue braccia. Lui è più alto di me, così la mia testa si appoggia sul suo petto, proprio dove posso sentir battere il suo cuore, ha un ritmo regolare, ma mi pare un po’ più accellerato rispetto al normale, mi pare, ma non ha senso, no, mi sbaglierò, il mio cuore in questo momento è l’unico che sta correndo i cento metri, temo.
Un calore rassicurante si propaga per tutto il mio corpo, ma non dura molto, perché lui si allontana per rovinare il momento con un inutile: “Allora, che facciamo?”
Decidiamo di andare a prendere un gelato e di fare un giro nel grande parco non molto distante da casa mia.
Mentre camminiamo uno a fianco all’altra, vicini, ma non troppo, non posso fare a meno di pensare che se fosse veramente venuto solo per il libro me lo avrebbe già chiesto.
Il filo dei miei pensieri viene interrotto dalla domando più stupida che Federico avrebbe mai potuto farmi: “Come va?”
Come va, mi chiede, come se non sapesse che sto di merda e che mi sento uno schifo per come stanno andando le cose tra di noi, ripenso ad una delle mie canzoni preferite, ad una strofa in particolare: And I said that’s fine, but you’re the only one that knows I lied.
“Bene” rispondo, sperando che, come nella canzone di Ed, lui capisca che sto mentendo, Federico mi guarda, alza un sopracciglio e mi chiede: “Sopravivvi?”
“Cosa?” non riesco proprio a capire cosa voglia dirmi.
Ci vogliono quattro abbracci al giorno per sopravvivere, otto per vivere e dodici per crescere.
recita a memoria citando un libro che io stessa gli ho prestato.
“Allora, a quanti abbracci sei per oggi?”
“Uno” rispondo, ripensando a quello che ci siamo scambiati poco fa.
“Bene, anche io, perciò mi sa che oggi dovremo darci dentro con gli abbracci!” ride, con un merviglioso sorriso stampato sul volto.
Lo ha detto scherzando, lo so che è così, ma non posso fare a meno di arrossire violentemente a queste sue parole, comunque lui non sembra essersene accorto, perché si avvicina e mi mette una mano attorno al fianco stringendomi a sé mentre continiuamo a camminare, non è un vero e proprio abbraccio, ma è sempre meglio della distanza che prima c’era tra noi, come se avessi avuto la peste.
Arriviamo alla gelateria e anche tra una leccata di gelato e l’altra parliamo del più e del meno, ma solo quando finiamo gli argomenti più superficiali cala tra noi un gelido silenzio.
“Sapevo che sarebbe successo.” sospiro.
“Che cosa?” chiede stupito.
Cassiopea! Mi ha sentita, credevo di aver bisbigliato.
“Sapevo che sarebbe arrivato questo silenzio imbarazzante.” spiego sedendomi a gambe incorciate su una panchina di pietra del parco.
“È  per questo che sembri agitata da quando ci siamo visti?”
No, babbeo, quello è perché non sono mai uscita da sola con una ragazzo in vita mia, fuguriamoci poi se quel ragazzo è Federico, ma forse questo è meglio che lui non lo sappia.
“Forse, ma non sono l’unica ad essere agitata qui.”
“Vero” conferma lui “ma io perlomeno ho un buon motivo.”
“Sarebbe?” faccio la finta tonta, so benissimo cos’è che gli provoca tutta quest’ansia, il mio pensiero e la sua risposta arrivano in contemporanea.
“Devo parlarti.”
Sorrido: “Questo è quello che si dice di solito quando si sta per rompere con qualcuno, ma nel nostro caso è abbastanza improbabile.”
“Già.” sembra interdetto.
“Fede, io e te abbiamo passato quasi un anno a dirci tutto senza peli sulla lingua, puoi farlo anche ora, sai?”
“Mi dispiace, per la storia di me e Clara intendo, io, non volevo farti stare male, davvero, solo che, cioè, insomma, lo sai, no? Quanto mi piace, e lei, ora, lei ci sta e io, io come faccio a dirle di no? Mi dispiace per te, tantissimo, ma già lo sapevi, giusto? Io, non so bene cosa dirti, è strano, sento di doverti delle scuse, ma non so bene per che cosa, cioè, alla fine non mi sembra di averti mai trattata troppo male, solo che ora ho questa possibilità, e, Mai, lei mi piace tanto, lo sai, io ci voglio provare, anche se forse Clara non è fatta per me, però non voglio vederti stare male.”
Si sta di nuovo tormentando le mani, e balbetta, è chiaro dalla sue parole che cerca da me una conferma di ciò che dice, vorrei aiutarlo, dire lui che è vero, che non è colpa sua, che non ci può fare nulla, ma non posso, non ci riesco e così dico solo ciò che mi sta tormentand da mesi: “Lo sai, qual è la cosa peggiore di tutta questa storia?”
Federico mi guarda, triste, facendomi cenno di andare avanti.
“Non mi hai mai dato nemmeno una possibilità.” lo dico fredda, con lo sguardo perso nel vuoto.
“Io credevo di meritarmela, una possibilità.”
Sto per mettermi a piagere, lo capisco perché il morso pungente delle lacrime preme suoi miei occhi per uscire. Cerco di cacciarle indietro tirando su col naso, ma non sono brava in queste cose così un’ intraprendente gocciolina salata scivola solitaria tracciando un percorso sulla mia guancia che le sue compagne si afretteranno a seguire.
In un ultimo, disperato, tentativo di non farmi notare mi passo velocemente una mano davanti agli occhi per asciugare quella scia di mascara che mi è rimasta sul volto per impedire a quelle stupide lacrime di raggiungere la loro amica, ma si sa che le lacrime sono come le formiche e anche se cancelli loro il percorso da seguire quelle lo ritrovano senza proleblemi, e non c’è modo di fermarle.
Ovviamante Federico si è accorto di tutto e mi sta fissando scoraggiato con gli occhi lucidi.
Sento il suo calore farsi più vicino fino a quando non mi rendo conto che mi sta abbracciando, di nuovo.
“Scusa Mai, scusa.” sussurra lasciandomi leggere carezze sui capelli.
Ci metto un po’, i miei pianti durano sempre tanto, ma alla fine mi riprendo, alzo la testa e mi fermo a pochi centimetri da suo volto, imprigionandolo tra le mie mani.
“Non è colpa tua, d’accordo? Non devi scusarti di niente, va bene? Sono solo molto sfortunata e tu non puoi farci niente, chiaro? Sei stato, anzi, sei, un ottimo amico e non ci sono ci sono abbastanza Clare al mondo per impedire questo.” L’ultima frase la dico sorridendo.
Annuisce.
“Tu mi ha detto cosa per te è la cosa peggiore, adesso, lascia che ti dica qual è la più strana: io sto con Clara, la ragazza a cui sbavo dietro da quasi due anni, ma non sono felice, o meglio, lo sono, ma c’è qualcosa di amaro, e questo non l’avevo programmato.”
“È colpa mia, non dovevo piangere davanti a te, oltre ad aver fatto una terribile figuraccia ti ho anche fatto sentire in colpa, scusa.”
“Ma va, mica è colpa tua, insomma, sì per te mi spiace, ed è abbsatanza strano, in realtà, perché credevo, senza offesa, che una volta messo con Clara di te non mi sarebbe fregato niente, e invece.. non importa, dicevo, quell’amaro che sento, beh, non è colpa tua, è lei, sembra indifferente a tutto, non so nemmeno cosa mi aspettavo in realtà.”
Non ci sono risposte a questa affermazione, così, quando per lui è ora di andare a prendere il treno mi riaccompagna a casa e ci salutiamo davanti al portone.
Io sono sul gradino dell’ingresso quando mi stritola un’altra volta, ci scogliamo dall’abbraccio e mi trovo a due centimetri dal suo volto, non ho mai avuta tanta voglia di baciarlo come ora, ne tanto meno ne ho mai avuto il coraggio, ma oggi per la prima volta in vita mia cedo all’istinto e premo le mie labbra contro le sue.
Dura un secondo, perché poi la conspevolezza e l’imbarazzo per ciò che ho fatto prendono il sopravvento.
“Tu dimenticalo, ma io avevo bisogno di avere questo ricordo da conservare.” dico evitando di guardarlo negli occhi.
Con un sorriso triste gli chiudono il portone in faccia.
Sono già girata di schiena e decisa a salire le scale quando sento bussare contro la vetrata dell’ingresso.
“Mai, torna qui, ovvio, come se adesso potessi dimenticarmi di questo e basta, vieni!”
Sta gridando in mezzo alla strada ad una porta chiusa, la gente che gli passa dietro lo guarda storto, come sto facendo io, questa era una possibilità che non avevo nemmeno considerato, mi aspettavo un messaggio o una roba del genere tra qualche giorno, ma non questo.
Torno indietro e apro la porta, restando sul gradino.
“Stupido, vai che perdi il treno!”
Mi sento nel vuoto per una manciata di secondi, giusto il tempo per rendermi conto che Federico mi ha sollevata per riappoggiarmi sull’asfalto del marciapiede e che le sue labbra sono, inspiegabilmente, appoggiate sulle mie.
“E che mi frega del treno?” dice sorridendo, ancora a mezzo centimetro dal mi volto.
“Tu sei pazzo, ma che ti prende?”
“Ehi, ti ricordo che hai iniziato tu.”
Sorride malizioso.
“Sì, vabbè, ma tu mi piaci!” protesto.
“Eddai, niente scuse, ok, lo ammetto, non so che mi prende, ma ho voglia di baciarti, mi fa stare bene, molto di più che con Clara, non credevo fosse possibile, ma con te è diverso, lo sento, quello che provi, è una bella sensazione. Credo che forse avrei dovuto dartela prima una possibilità.”
“Ti ricordo che sono stata io a prendere l’iniziativa, non tu a darmi una possibilità.”
“Vero, ma io ti ho fatta tornare indietro, tu te ne saresti andata altrimenti.”
“Ok, diciamo che che è stato un buon lavoro di squadra.”
“Siamo una bella squadra, tu ed io.”
Sbuffo scherzosamente.
“Ma come sei banale ragazzo mio, questa frase la dicono almeno in un milione di film.”
“Credevo ti piacessero le citazioni.”
“Sì, ma non questa!”
“Ma com’è che mi devi sempre contraddire?”
Non è una domanda che necessita di una risposta perché lui mi sta baciando di nuovo, ed è meraviglioso, sentirsi così felice per un gesto così semplice.
“Il tuo treno parte tra meno di otto minuti” gli ricordo tristemente guardando l’orologio del cellulare.
“Allora dovremo correre.”
“Dovremo?”
“Certo, tu sei stata ufficialmente rapita!” dice lui prendendomi la mano e buttandomi in mezzo alla strada.
Corriamo a perdifiato fino alla stazione, a quella velocità ci abbiamo messo meno di cinque minuti.
Abbiamo entrambi il fiatone così decidiamo di sederci su una delle panchine di attesa per aspettare che sul tabellone si accenda la lucina che segnala che il treno sta entrando in stazione.
“Mai?”
Mugugno qualcosa di incomprensibile perché preferisco non sprecare il poco fiato che mi è rimasto nei polmoni, ma la sua domanda successiva merita una risposta.
“Mai, posso baciarti?”
Scoppio a ridere.
“Non mi sembra che prima tu mi abbia chiesto il permesso!”
“È  un modo complicato per dire di sì?” domanda sorridente.
Fingo di pensarci su poi annuisco con foga.
Mi prende il viso tra le mani e mi bacia, questa volta non dura un secondo, io non mi sto chiedendo perché lo abbia fatto, e in stazione ci siamo già perciò questo bacio a tutto il tempo del mondo per essere lungo.
Le nostre lingue si trovano e si intrecciano, si cercano e si inseguono come un cacciatore con la sua preda.
Con la coda dell’occhio scorgo il tabellone e noto che la lucina si è accesa, mi costrngo a staccarmi.
“Odio dover essere io a interrompere tutti i nostri baci, ma il tuo treno è in arrivo.”
“Non sventolerai un fazzoletto bianco alla mi partenza, gridando il mio nome, come nei film vero?”
“Temo di no, bellezza, dai, vai, ci vediamo.” dico schioccandogli un’ultimo bacio a fior di labbra.
“Ci vediamo, Mai.” sorride tristemente, si alza e scende i gradini che portano ai binari.
Aspetto una decina di minuti ancora seduta sulla panchina e gli mando un messaggio:
 
Fede, non so bene cosa sia successo in questo ultimo quarto d’ora, ma tu stai con Clara e io non sono abbastanza forte per essere solo una ruota di scorta.
 
Un minuto dopo la vibrazione del cellulare mi rianima dallo stato di immobilità che ho assunto.
 
Hai ragione Mai, ma tu non sei una ruota di scorta, te lo assicuro, nemmeno io so bene cosa sia successo, ma ci ha fatto stare bene, questo è certo, forse sembrerò avventato, ma credo che stare con te sia una scelta migliore che stare con Clara, sicuramente mi fa sentire molto meglio, non vorrei essere troppo spietato nei suoi confronti, ma credo che la mia ragazza sta sera riceverà un messaggio del tipo: “Dobbiamo parlare.”Domani risolvo tutto, promesso.
 
Non posso fare a meno di sorridere, sono certa che Clara non si aspetta niente del genere, lei è convinta di averlo ai suoi piedi, povera, forse non se lo merita, eppure io sono felice, perché per una volta le cose stanno andando come voglio.
 
Ci rivediamo due giorni dopo, ha lasciato Clara e io ancora non ci credo, passiamo una giornata tra baci e inutili smancerie, saranno anche vomitevoli sdolcinatezze tra piccioncimi, ma mi fanno stare talemente bene che non posso non esserne felice.
 
Sono passate altre tre settimane, oggi facciamo una gita fuori porta, andiamo al mare con alcuni nostri amici.
Tra me e Federico va tutto bene, ma io non riesco a essere tranquilla, è un periodo in cui sono scontrosa e litigo con tutti, e sta cominciando a venirmi l’ansia per l’inizio della terza liceo, ma la cosa peggiore è che ho paura che Federico si renda conto di essere ancora innamorato di Clara oppure che io sono orribile.
Arrivata in spiaggia mi tolgo il vestisto celeste sotto il quale avevo già indossato il costme e, senza curarmi di mettere quell’inutile e impiastricciata pomata che chiamano crema solare, mi getto in acqua per cacciare via i brutti pensieri.
Immergersi sott’acqua è la sensazione migliore del mondo.Tutto si annulla. Si eclissa in un abisso di silenzio. Il vociare delle persone sparisce, persino la musica a tutto volume sparata dal locale sulla spiaggia sembra spegnersi per qualche secondo, per il tempo in cui riesci a trattenere il respiro. Se hai dei problemi puoi stare tranquillo, non sanno nuotare.
Non è vero quello che si dice della superficie dell’acqua, che è bellissima perché riflette bene come uno specchio, o meglio, è vero, ma vista da sotto l’effetto è decisamente migliore, come per le persone, il meglio lo si vede solo scavando sotto la superficie.
Quando riemergo due braccia forti mi avvinghiano da dietro, non ho bisogno di voltarmi per capire chi è, la semplice sensazione del suo respiro calmo e regolare sul mio collo mi da i brividi. O forse è l’acqua fredda. O entrambe le cose. Fatto sta che ho la pelle d’oca e questo lo costringe a stringermi ancora più forte per darmi calore.
“Hai freddo, Mai?” Il suo tono è caldo, premuroso.
“Sì” rispondo.
“Usciamo? Non vorrai mica prenderti un raffreddore, no?”
“Ok” sento la sua presa intorno al mio corpo diminuire e due secondi dopo me lo ritrovo davanti con una mano protesa nella mia direzione. Mi ci aggrappo, come se fosse l’unico appiglio che ho al mondo, come quando in montagna ci si arrampica, e si cerca una buona presa, per salire, perché dall’alto la vista è migliore.
“Andiamo” sussurra, giudandomi ai nostri asciugamani.
Non rispondo, non è una domanda e in questo momento rispondo a male pena a quelle.
Non lo so neanche io perché sono così fredda con lui. Fredda, come l’acqua. Io sono l’acqua. Che ti scivola via dalle mani, senza controllo. Che ti gela il sangue nella vene e ti ghiaccia il cuore. Ci  sono volte però in cui so essere calda e posso avvolgere in quel tranquillo tepore che conferisce sicurezza, ma, sfortunatamente, accade di rado.
Vado a fare una doccia fredda prima di sdraiarmi, sono certa che una volta che l’avrò fatto niente e nessuno riuscirà più ad alzarmi.
Mentre il getto gelido mi schiarisce la mente mi sforzo di pensare con lucidità.
Nemmeno lo so perché ci sta con me, forse non me lo merito. No. In realtà credo di meritare il calore di qualcuno al mio fianco, ma non posso fare a meno di pensare che forse lui merita di meglio. Inutile. Non mi toglierò mai questo dubbio dalla testa, non fino a quando starà con me per lo meno, ma io sono egoista e voglio che stia con me per sempre.
Quando torno agli asciugamani Federico è lì, che mi osserva.
“Che cos’hai?” mi chiede.
“Pensavo”dico, non mi interrompe, sa che ho bisogno del mio tempo per parlare: “Sono come l’acqua.”
“Indispensabile.”
“Inafferrabile.”
Lo diciamo praticamente in contemporanea, mi costringo a togliermi dalla faccia il sorriso da deficiente che mi ha provocato la sua risposta e protesto: “Non è vero, io non sono indispensabile a nessuno, io sono inafferabile, scappo via appena qualcuno cerca di prendermi, ti sto facendo impazzire, sono soffocante, come l’acqua.”
“Se tu sei l’acqua io sarò il letto del fiume che ti accoglie e ti sostiene con le sue sponde.” afferma lui, sicuro, con un sorriso a fior di labbra.
“Ma..” non faccio neanche in tempo a rispondere che le sue labbra già premono contro le mie, e io mi lascio andare, mi sciolgo con il suo calore e la freddezza scompare, le sue braccia che mi avvolgono mi trasmettono la stabilità di cui ho bisogno e tutto si azzera, ci siamo solo noi.
Perché lui è ancora qui, con me, mentre il resto del mondo si fa i cazzi suoi.
 
È tornato l’inverno, come ogni anno, non è una stagione che mi piace molto, una volta mi nonno mi disse: “Così come i bambini amano i giocosi colori della primavera e dei suoi fiori, come i giovani preferiscono il calore e l’ebbrezza dell’estate, e come i più grandi invece vengono ispiarati dalla poesia dell’autunno, noi anziani preferiamo la calma e la fredda tranquillità che l’inverno è solito portare, perché ci sentiamo come lui, che se ne va, per dare spazio alle vite più giovani.”
Da allora ho smesso di disprezzare l’inverno, ma continua a non piacermi, e nemmeno so perché.
Sono in montagna, io e Federisco stiamo ancora insieme, è meraviglioso, mi fa stare così bene essergli accanto, mi manca un po’, ma ci sentiamo tutti i giorni.
 
Ciao bellissima, mi manchi, ti amo.
 
Riesco a leggere il messaggio un secondo prima che il telefono mi scappi via da guanti umidi, ma non è solo il cellulare che sta cadendo, sono io, in mezzo alla strada, che sono scivolata sul ghiaccio freddo, io, che sbatto la testa contro il gradino del marciapiede, io, che sento il collo emettere uno strano scricchiolio, io, che vedo l’auto frenare, inutilmente per via del ghiaccio, io, che la vedo fermarsi a due centimetri dal mio viso, credo mi abbia preso in pieno le gambe, ma non ne sono certa, è tutto silenzioso e indolore.
Qualcuno mi scuote, fa male, vorrei che la smettesse, ma non so più parlare, e nemmeno respirare temo, nessuno ti insegna a farlo quando nasci, lo fai per istinto, ma se uno si dimentica come si fa, chi glielo può insegnare, prima che sia morto?
Non credevo esistesse davvero il buio pesto, perché di solito anche quando chiudi gli occhi ci sono delle lucine, dei colori, che rendono quel nero meno scuro, ma adesso è tutto nero, prima c’erano i suoi occhi, il suo messaggio, stampato nell’interno delle mie palpebre, ora non c’è più niente, non sento più niente, non provo più niente, non sono più niente, solo un corpo, esanime, con un sorriso sulle labbra che dice al resto del mondo che, forse, alla fine, ero felice.”
 
Sì, me lo hanno chiesto più di una volta perché scrivo solo finali tristi, ma in realtà questa volta ci ho messo pure il lieto fine, perché dopotutto Mai era felice quando è morta, e l’ultimo perido della sua vita lo ha trascorso con gioia, solo che la sua fine è arrivata presto.
Non lo faccio perché mi diverte raccontare tragedie, lo faccio perché credo che questa sia la verità del mondo che tutti devono conoscere, è vero, ci sono anche i lieto fine nella vita reale, ma questo lo sa chiunque, grazie alle favole, però la gente deve conoscore anche questo punto di vista, per sentirsi davvero fortunata.
Forse ogni tanto bisogna guardare anche il lato negativo delle cose, quello che è la realtà per molte persone, per ringraziare per ciò che si ha.
Dobbiamo ricordarci che, per ogni “E vissero per sempre felici e contenti.”, c’è una persona, innamorata di uno dei due fortunati amanti, che al contrario ha appena vissuto il suo dramma.
 
 
 
Greta si alza e consegna il tema al suo professore consapevole del pessimo voto che prenderà anche questa volta.
La ragazza non scrive così male, ma le sue idee sono parecchio in contrasto con quelle dell’insegnate che, sfortunatamente, deve valutarla.
Ogni volta quell’uomo cocciuto si ostina a rifilare terribili votacci con la scusa che la studentessa è andata fuoi tema, peccato che questa volta il tema fosse stato libero.
La ragazza torna a casa scervellandosi per intuire quale questa volta sarà la giustificazione al voto che prenderà.
Entrata nella sua camera lancia la cartella sul letto e da essa estrae la brutta copia del tema, in teoria avrebbe dovuto consegnarla insieme ai fogli protocollo, ma non lo fai mai, un altro dei motivi per cui il suo professore la detesta, ma non può consegnarlo perché Greta una volta a casa deve leggerlo alla sua amica Gaia, l’unica al mondo che sembra essere davvero interessata alle sue scritture.
Così Greta alza la cornetta e compone il numero, la voce dall’altra parte è squillante e allegra come al solito e la bionda si ritrova a sorridere, perché sa esattamente cosa sta per succedere, leggerà il tema a Gaia, lei ne sarà entusiata e le dirà che è una scrittrice nata, Greta arrossirà e in poco tempo si ritroveranno a ridere senza motivo per stupide battutine sullo scorbutico professore di lettere.
E Greta non desidera di meglio, perché il brutto voto non le interessa davvero, e sa che l’amicizia è questa, tirarsi su a vicenda e ridere per la solo felicità di sentirsi, probabilmente non ringrazierà mai abbastanza quella ragazza per tutti i sorrisi che le ha strappato, a forza di battute, dalla bocca, ma sono amiche, e dopotutto, nessuno ringrazierà mai abbastanza un amico se non chi gli sarà amico a sua volta.
 
 
 

*vaanascondersidentrolacartella*
Emm, buona mattina/buon giorno/buon pomeriggio/buona sera/buona notte, insomma avete capito, il saluto varia rispetto all’orario in cui state leggendo sta schifezzina.
L’ho riletto centinaia di volte e continua a non convincermi, l’ho cominciato a scrivere un mese fa e solo ora ho trovato la forza di pubblicarlo.
Questa breve storia è una misto di sprazzi di vita reale e della mia infinita fantasia, alcune parti sono vere, sono fatti che mi sono realmente accaduti, altri mi sono limitata ad immaginarli e così è nato questo racconto.
Mah, non so bene cosa dire, insomma, spero tanto tanto che abbiate capito questa One Shot, è tutto un tema di questa Greta, e poi nelle ultima righe si legge qualcosina di lei, bo, a me sembra chiaro, ma il fatto che sia chiaro nella mia testa non significa che lo sia anche per voi, spero di sì T.T
Spero anche tanto che vi sia piaciuto e che sarete così cortesi da lascirmi una recensione, giusto per avere una parere, anche negativo, è sempre meglio che essere ignorata e poi dalle critiche si impara molto di più che dai complimenti.
Vorrei ringraziare tantissimissimo le persone che hanno recensito la mia prima OS, anche se probabilmente non leggeranno questa, devo comunque loro un immenso favore, perché se non ci fossero state non credo avrei mai avuto il coraggio di pubblicare anche questa, quindi grazie, infinitamente grazie.
Niente, basta, io concludo perché proprio non so che dire, ma voi invece ditemi qualcosa vi prego, farei gli occhi dolci, ma a farli ad uno schermo mi sento piuttosto patetica.
Per piacere recensite!!!
Spero che il messaggio sia chiaro, grazie a chi ha letto, ci sentiamo al prossimo racconto, se ci sarà, ciao tutti!
 
 

  
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