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Autore: Rota    26/08/2012    2 recensioni
[Kasamatsu&Kise - pre slash]
Parlare del Fuoco era come parlare della Vita, nelle parole di un religioso del Tempio. Nei quattro elementi, il Fuoco rispecchiava la volontà più forte del Dio e per questo veniva considerata anche la più pura e la più alta – senza togliere per questo nulla all'Acqua, alla Terra e al Vento, sacre esattamente come l'elemento rosso.
La zona geografica in cui il sacro Tempio, in ogni suo edificio, si trovava era pieno di vulcani e di terremoti, concretizzando con una specie di idolo naturale un'intera etica, tuttavia Kasamatsu pensava davvero che oltre le mere parole del rituale che avrebbe dovuto ripetere ogni singola notte di Luna si nascondeva qualcosa in più. Attraverso la parola e attraverso la metafora si sprigionava un potere davvero enorme, per questo la bugia e la menzogna erano bandite dalla retta morale in quanto ingannatrici e sicuramente oscure: Kasamatsu, per quanto sgradevole fosse, aveva sempre detto solo e soltanto la verità.
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Autore: margherota

*Titolo: And it feels like home

*Fandom: Kuroko no Basket

*Personaggi: Kise Ryota/Drago!Kise, Kasamatsu Yukio, Altri

*Generi: Fantasy, Angst, Introspettivo

*Avvertimenti: Bi- Shot, AU, What if...?

*Rating: Arancione

*Credits: Like a prayer, Madonna

*Note: Storia appartenente ad una lunga serie fantasy che la sottoscritta ha intenzione di stendere per iscritto, passo dopo passo. Come altre tre che la seguiranno e quella che l'ha preceduta, questa bi- shot o storia a due capitoli prevederà una ben precisa struttura: primo capitolo incontro, secondo capitolo il disastro.

Ad ognuno dei membri della Generazione dei Miracoli è stato da me assegnato un elemento naturale, un animale e quindi anche un ruolo specifico che vedrò di illustrare man mano la cosa procederà.

Ero indecisa sulla canzone da usare per questa piccola long ma alla fine ho avuto l'illuminazione divina, è proprio il caso di dirlo XD questo testo di Madonna mi sembra più che mai appropriato a quello che voglio scrivere e quindi ho pensato bene di adoperarlo :)

Spero sia per voi una buona lettura (L)

 

 

 

 

When you call my name it's like a little prayer
I'm down on my knees, I wanna take you there
In the midnight hour I can feel your power
Just like a prayer you know I'll take you there

 

 

Suonò la campana grande, dal rimbombo grave e possente, per la terza volta mentre la corda di materiale grezzo veniva tirata assieme a tutti i suoi nodi e tutti i suoi fili usurati. Hayakawa aiutava il movimento, qualvolta toccava terra col pugno stretto, con un'esclamazione puramente liberatoria, neanche stesse spostando un masso particolarmente massiccio.

I fedeli che al primo rintocco avevano risvegliato il senso civile e sociale e al secondo avevano cominciato a muoversi in piccoli gruppi, come spinti da una volontà comune al terzo colpo avevano cominciato a sciamare attraverso le strade della piccola città dirigendosi tutti quanti verso quell'unico posto, proprio sopra la delicata collina che introduceva al grande vulcano addormentato. Dall'alto della finestra delle sue stanze private, Kasamatsu guardava tutte quelle persone che si dirigevano con passo più che solerte verso il proprio tempio, con l'espressione di chi sta soltanto aspettando il momento giusto per muoversi.

Non pensava che quella fosse ipocrisia, atta soltanto a nascondere qualche losco e poco pulito doppio fine – altrimenti si sarebbe rifiutato, dopo tutto quel tempo, di presentarsi ancora in pubblico e svolgere le funzioni a lui assegnate. Forse nel mucchio esistevano individui che nutrivano la speranza con preghiere ripetute, come se gesti del genere privi di anima avessero potuto davvero salvare qualcuno; Kasamatsu non negava che esistessero persone simili, ma lui certo non poteva far nulla per loro. Non si trattava neanche di affidarsi ciecamente ad un'entità superiore, capace di provvedere a qualsiasi cosa nel caso fosse stata invitata a farlo: divino e umano si intrecciavano non soltanto nella fiducia ma specialmente nell'atto, perché una vita unicamente contemplativa era da biasimare, nell'ottica di Yukio.

Per questo, oltre che le preghiere della sera e della mattina, passava il proprio tempo con gli abitanti della cittadina laddove ci fosse bisogno della presenza di due braccia forti e giovani, Per questo, oltre che rispettare le regole canoniche del suo credo e portare avanti col buon esempio la morale che aveva fatta propria, non dimenticava quanto fosse fragile la natura umana e, nella rabbia dell'istante e nell'irritazione del momento, ricordava sempre il perdono e la pazienza e il suo richiamo non risuonava mai senza appello ma piuttosto quasi come un incoraggiamento severo.

La fortuna era che, con l'alta carica che rivestiva, era anche capace di estendere il proprio modello di comportamento anche a tutti gli altri vescovi del tempio.

Sentì un rumore dietro di sé, abbastanza discreto e tranquillo, e indovinò ancora prima di sentire la voce chi fosse.

-Kasamatsu, è ora che tu ti mostri!-

Moriyama era quello tra di loro sempre molto attento alle esigenze del pubblico, se così si poteva definire la sua abilità nel percepire la sensibilità altrui, ed era anche quello più solerte a ricordargli che la funzione che svolgeva non era qualcosa di troppo solitario.

Yukio si avvicinò al mobile che occupava un lato della stanza, aprì uno dei cassetti di legno scuro e prelevò con garbo un cappello bianco tutto ripiegato su sé stesso. Stava aspettando così tanto, per rimirarlo, che per qualche attimo di concesse il lusso di contemplarlo. Poi però lo aprì e lo indossò, serio come doveva essere.

-Sono pronto.-

 

Aveva impiegato diverso tempo ad arrivare dov'era, anni di impegno e di preparazione per rimediare alla mancanza di raccomandazione e ad un'effettiva scarsità di mezzi e di arte intrinseca. Yukio non era un uomo eccezionale, l'aveva riconosciuto se stesso ed era sceso effettivamente a compromessi col proprio orgoglio; lavorava sodo ed era questa la qualità che le persone più di tutto apprezzavano, assieme alla serietà di ogni sua azione. Accettando di lavorare in uno dei templi minori del regno non per paura di un confronto con l'alto ma semplicemente accettando quello che era, poteva definirsi soddisfatto del risultato dei suoi sforzi: una società coesa e compatta, un buon inserimento del culto in ogni strato sociale della piccola città, un rapporto con la gente che migliore di così difficilmente poteva immaginare.

Questi risultati li poteva vedere nel riverente e rispettoso inchino che tutte le persone racchiuse nel tempio gli riservarono al proprio passaggio, quando con passo sicuro varcò la grande porta d'ingresso e attraversò la navata fino al palco bianchissimo posto al limite. Il mantello rossastro svolazzò quando una folata di vento lo investì e quasi gli fece cadere il cappello dalla testa, ricordandogli che solo tre delle pareti erano chiuse e lui era tenuto a stare sempre attento di quel particolare. Dietro il palco si ergeva splendido e possente il fianco destro del grande vulcano, simbolo di forza estrema e potente del loro Dio: dargli le spalle e osservare la funzione religiosa non era cosa che chiunque avesse il potere di fare.

Yukio arrivò al suo posto e con un gesto più teatrale di quello che desiderava si rivolse al pubblico lì radunato, ancora chino in avanti e in attesa della sua parola. Moriyama e Hayakawa si sistemarono l'uno al fianco destro e l'altro a quello sinistro, sorreggendo nelle mani sicure gli oggetti utili alla funzione – anche per loro era la prima volta e sembravano quasi affascinati dalla figura austera e severa di Yukio, come se prima di quel momento non l'avessero davvero mai visto.

Fu a quel punto che Yukio alzò le mani e le batté sopra il proprio capo, perché tutti i fedeli potessero alzare gli occhi su di lui e quindi potesse loro parlare senza distrazioni eventuali.

Tutto ebbe inizio.

 

Parlare del Fuoco era come parlare della Vita, nelle parole di un religioso del Tempio. Nei quattro elementi, il Fuoco rispecchiava la volontà più forte del Dio e per questo veniva considerata anche la più pura e la più alta – senza togliere per questo nulla all'Acqua, alla Terra e al Vento, sacre esattamente come l'elemento rosso.

La zona geografica in cui il sacro Tempio, in ogni suo edificio, si trovava era pieno di vulcani e di terremoti, concretizzando con una specie di idolo naturale un'intera etica, tuttavia Kasamatsu pensava davvero che oltre le mere parole del rituale che avrebbe dovuto ripetere ogni singola notte di Luna si nascondeva qualcosa in più. Attraverso la parola e attraverso la metafora si sprigionava un potere davvero enorme, per questo la bugia e la menzogna erano bandite dalla retta morale in quanto ingannatrici e sicuramente oscure: Kasamatsu, per quanto sgradevole fosse, aveva sempre detto solo e soltanto la verità.

Quando diceva “Preghiamo Dio perché possa donarci la forza prominente del Fuoco di fronte alle avversità del mondo e dello spirito” non relegava certo al miracolo il compito di motivare le proprie azioni, tuttavia era anche consapevole che il valore alto di un fine superiore non era da sottovalutare. E se questo portava le persone alla rettitudine e alla giustizia, senza doppi fini, allora andava più che bene abbandonarvisi senza troppi indugi.

Recitò la preghiera per i dieci minuti dovuti, senza pause e senza sbagli, invocando in ogni modo possibile l'illuminazione divina perché non inducesse mai in tentazione alcun bravo fedele e che sempre fosse forte e luminosa per tutti loro. Mentre le persone cantavano, come da rituale, lui si ritirò dietro il palco e abbandonò il primo dei suoi mantelli e il cappello bianco a terra, lasciando scoperti le spalle e il capo, parti sacre del corpo umano. Tornò quindi da loro, salendo dei pochi gradini che lo rendevano alto e ben visibile a tutti i presenti; prendendo dalle mani di Yoshitaka la torcia brillante di fuoco andò lento verso la parete a Ovest del tempio e inclinò le fiamme in avanti fino a che queste non attecchirono alla fine resina e illuminassero tutto: spirali e linee intrecciate, artistiche, erano state composte anzitempo addossate proprio al muro, brillarono di vita, non troppo forti da appiccare un incendio né troppo deboli da spegnersi alle prime folate di vento. Mentre faceva lo stesso con la parte Est, una tenda pesante fu srotolata dietro al palco in modo tale da proteggere le fiamme dal vento più forte, almeno per quei giorni che servivano. Yukio quindi tornò sul palco e batté ancora una volta le mani sul proprio capo.

Per il momento, il rituale era concluso: il giorno seguente avrebbe ripreso proprio da quel punto.

 

Con tutte quelle spirali di fuoco, che si arrotolavano e si allungavano lungo tutta la parete, sembrava davvero che il Tempio fosse illuminato da una qualche sorta di forza divina ben nascosta. Mitsuhiro era sempre rimasto affascinato da quella parte del rituale, anche quando era piccolo e manco si sarebbe mai sognato di prendere parte a quel magico tutto che stava vivendo proprio in quei giorni.

Sapeva il perché di tutto quel fuoco: il sacerdote, che rappresentava nel rituale l'umanità più elevata, doveva prendere confidenza con l'elemento e fare in modo che la paura fosse cancellata da ogni animo. Il Tempio, come sua casa, allora doveva diventare la dimora del Fuoco nel senso meno metaforico possibile e il sacerdote, come padrone della casa, doveva risiedere in quel luogo per la durata di due notti e tre giorni, bevendo solo due brocche d'acqua e mangiando assai poco. Era compito suo assicurarsi che non cadesse per la fatica o avesse quel poco di acqua consentitagli, si era infatti premunito di assumere quel ruolo proprio per assistere Kasamatsu e la magia del rituale in prima persona.

Lui era quella tipologia di fedele davvero entusiasta per ogni cosa.

Ogni sessanta minuti circa entrava da una porta nascosta, sotto il palco, e faceva un giro completo per l'intero edificio – ogni due ore durante la notte, per pietà dei suoi poveri nervi.

Trascorsero così le prime venticinque ore.

 

Nella mente di Yukio, tutto era diventato assoluto: forse era la stanchezza a rendere inesistenti muscoli e fisicità, forse anche il fatto che non avesse smesso di concentrarsi per tutte quelle ore di fila l'avevano reso estraneo a qualsiasi sensibilità terrena. Stava vivendo la descrizione più reale di “galleggiare nel vuoto”, anche se non era esattamente sicuro che il rituale prevedesse un simile risvolto.

Quale fosse l'obiettivo del loro credo, quale la funzionalità, quale lo scopo: tutto questo aveva impegnato la mente di Kasamatsu per quel lasso di tempo e non perché mai ne avesse davvero dubitato ma perché lo facesse proprio, come la familiarità del fuoco che gli stava arrostendo la pelle scoperta delle braccia, a quel punto.

Circondato da lingue di fuoco sottili, scorgeva le strisce brillanti a malapena attraverso le palpebre, mirando più che altro alla luminosità delle spirali che col vento assumevano, in aria.

Appoggiò per stanchezza, verso la seconda notte, le mani alle ginocchia, per reggere il peso di una schiena esausta e che per qualche sorta di miracolo ancora non l'aveva vinto con dolori atroci e il consiglio ben deciso di essere distesa in orizzontale. Alzò anche gli occhi al cielo, per distaccarsi dal vortice di buio e isolamento che lo stava ancora relegando entro quei confini. Mitsuhiro era appena andato via, lo si poteva notare dalla brocca piena d'acqua che giaceva quasi ai suoi piedi, fresca e trasparente – ne bevve un piccolo sorso e scoprì la propria gola completamente bruciata dalla cenere e dal caldo. Tossì e cercò di non scomporsi troppo, forte della consapevolezza che ben presto tutto quello sarebbe finito e lui avrebbe superato per davvero la prova più importante della sua vita.

Niente sbagli, mai più. Niente tentennamenti, niente errori.

Tornò in posizione meditativa e chiuse le palpebre, lasciando ancora una volta il mondo fuori da sé stesso e dalla propria spiritualità.

Intonò nei pensieri una canzone conosciuta, ai limiti della propria religione, un aneddoto che di solito i sacerdoti usavano per ricordare come il perdono in certi casi potesse davvero salvare la vita delle persone. Raccontava quasi la sua storia, di una persona che dopo aver commesso un grave peccato faceva penitenza e veniva accolta nuovamente nella casa del padre senza più rimpianti, senza rimorsi o accuse. Da quel momento, la grandezza lo investiva in ogni sua forma.

Kasamatsu non aveva mai peccato a quel livello, non almeno tanto da ricevere il biasimo della comunità tutta, e non riusciva a focalizzare il proprio ruolo religioso come “penitenza”, dal momento che lo aveva aiutato più di ogni altra cosa al mondo. Forse, di quella storia, gli piaceva tanto il concetto di casa, di luogo in cui poter stare bene e trovare rifugio, la dimora dove non ci sono ombre ad attenderti ma solo pace e serenità, il posto al quale si sente di appartenere.

Fu mentre recitava le ultime sillabe di quella preghiera che una voce si infilò nella sua testa – la voce quasi infantile di un essere che non riconosceva come umano.

-Ancora, ancora!-

Per quanto fosse gentile e priva di ostilità, Kasamatsu si spaventò e non poco dell'intromissione, non riuscendo davvero a darle una ragione. Si alzò in piedi, dimentico cosa fosse il contegno di un sacerdote, e pensando che qualche pazzo volesse interrompere con la sua presenza il rituale cominciò a urlare nel Tempio e a sondare con la vista ogni suo angolo, per quanto la luce delle lingue di fuoco glielo permettesse.

-Chi è là? Chi sei?-

Sentì come una risata un po' tirata, il timido tentativo di non essere sopraffatto da una forza tanto travolgente seppur umana, eppure l'origine di un tal suono molesto proprio non gli riuscì di individuare.

-Sono quello che voi avete sempre chiamato Dio...-

Quello era decisamente troppo: la blasfemia, come la mancanza di rispetto, era quella cosa che Yukio peggio sopportava. Preso da una tale ira, Kasamatsu afferrò un candelabro con entrambe le sue mani e si fece strada attraverso il tempio, percorrendolo tutto alla ricerca di quell'impudente. Non gli piaceva essere preso in giro ma ancora meno che si rivolgesse lo scherno ad un credo, non perché fosse depositario di una dignità alta come quella umana ma perché in quanto simbolo aveva una identità collettiva e rappresentativa: prendendo a scherno quello, si prendeva a scherno un popolo intero.

-Fatti vedere!-

Agitò il candelabro tra le fila di panche, illuminando angoli nascosti che non ricordava neppure. La voce ebbe un fremito, molto simile alla risata, e sembrò davvero che assieme a lei ridesse anche tutto il fuoco lì acceso. Per questo solo particolare Yukio si fermò e si acquietò un poco, senza però rinunciare al suo fastidio.

-Se lo vuoi davvero, allora canta ancora! La tua voce mi piace, non è come quella dei vecchi barbosi che normalmente mi nominano! Non pensavo che si potesse diventare sacerdoti così giovani!-

Effettivamente, Yukio era molto giovane per aver assunto un simile ruolo, ma quel particolare lo si doveva al fatto che il suo tempio non era assai importante e che per riciclarne il sacerdote dalla carica massima avevano aspettato la sua morte naturale, non qualche colpo di stato violento e sanguinario.

Con gli occhi chiari, Kasamatsu cercò ancora per qualche istante la fonte della fastidiosa voce; poi, per istinto, fissò lo sguardo sulle lingue di fuoco che danzavano attorno a lui ed ebbe quasi un'illuminazione.

Era quello, a parlare. O forse solo la stanchezza.

Aveva dunque fallito il suo compito? La spossatezza gli stava suggerendo una risposta affermativa tanto che le sue spalle appesantite ricaddero in basso e il candelabro fu appoggiato a terra. Sfinito, Yukio tornò al proprio posto sul palco e intonò di nuovo quella canzone, usando un tono alto e chiaro, perché persino i fantasmi nella sua testa riuscissero a sentirlo.

Fu come sentire un sorriso, caldo e dolcissimo.

 

La sera aiutava a colorare tutto di arancione, nel cielo di fuoco che sovrastava il tempio acceso da lingue incandescenti.

Gli occhi stanchi di Yukio osservavano la folla di fedeli che pian piano aumentava e occupava ogni spazio, mentre Moriyama e Hayakawa preparavano l'ultima delle vesti che avrebbe dovuto indossare.

Kasamatsu si alzò dal proprio posto solo quando le campane ebbero tre rintocchi e la toga chiara dell'ultima parte della cerimonia fu innalzata sopra la sua testa, allora lui stese le braccia in alto e si fece vestire, assolutamente docile.

Yoshitaka iniziò a cantare e con lui anche tutti gli altri fedeli mentre il fuoco del tempio veniva alimentato e cresceva di molto. L'intero palco prese vita, davanti a Kasamatsu, e qualche esclamazione accorata e spaventata si elevò dal pubblico in sospensione.

Ecco, la prova finale: la vera dimostrazione di una completa fiducia nel Dio. Ovviamente, per non finire bruciato vivo, il corpo di Kasamatsu era stato rivestito con un tessuto repellente e isolante, perché per quanto la fede potesse essere forte nessuno desiderava davvero la sua morte.

Doveva solo allungare la mano e dimostrare di non aver paura della potenza del suo credo mentre con voce sicura intonava l'ennesima canzone.

Nel silenzio che si distese ovunque, Yukio procedette.

 

Non fu una folata di vento eccessivo a rendere il Fuoco indomabile, ma un legno impuro o poco vivo. Si fece concreto, non solo nel pensiero ma anche nel reale, qualcosa di diverso, che avvolse completamente la figura del sommo sacerdote come una grande mano possente e non gli lasciò neanche il tempo di respirare nel mentre pensava con terribile e lucida chiarezza che sarebbe morto proprio in quel momento. Per l'ennesimo suo sbaglio.

Ebbe paura solo per la sorpresa del gesto e l'improvviso avvampare di tutto quel rosso, poi Kasamatsu si abbandonò al volere effettivo di un Dio che non aveva mai conosciuto davvero e chiuse gli occhi.

Ne ricevette una carezza sulla guancia e una risata divertita che invase ogni altra cosa.

-Sei bello quando ti rilassi, sacerdote!-

Riconobbe la voce ed ebbe un violento spasmo di irritazione istintiva che lo portò ad aprire gli occhi con rapidità e vedere davvero cosa gli stesse succedendo attorno.

Gli altri due sacerdoti e la folla di gente che occupava il castello aveva sui volti una tale diversità di emozione che sulle prime Yukio non capì cosa stesse succedendo: sgomento, paura, incredulità, rimasuglio di un terrore puro. Immaginò che accettare la morte davanti ai loro occhi fosse stato un gesto alquanto egoista e doloroso, al quale dover porre assolutamente rimedio. Vide anche qualcuno chino a terra, nel gesto più naturale della preghiera, e notando che sempre più persone si gettavano al suolo in una tale posizione ebbe anche la buona idea di girarsi e vedere a cosa il suo corpo vivo e incolume si stesse appoggiando.

Un drago bianchissimo, dai grandi occhi rossi e dai denti gialli, gli stava sorridendo come se sempre l'avesse conosciuto – e gli sembrò davvero così, una figura familiare come poche altre.

Ecco, quello era Dio. Quello era il segno divino che aveva disperatamente cercato nel proprio intimo.

 

Lo sentì chiaramente, come la più assoluta certezza della propria vita.

Solo e solamente a quello avrebbe votato la propria intera esistenza.

 

 

Like a child you whisper softly to me
You're in control just like a child
Now I'm dancing
It's like a dream, no end and no beginning
You're here with me, it's like a dream
Let the choir sing

   
 
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