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Autore: CaskaLangley    10/03/2007    4 recensioni
E finché restavano insieme, sarebbero stati a casa dovunque.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kairi, Riku, Sora
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Kingdom Hearts II
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UNBREAKABLE

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make our dreams come true
don't give up the fight

L’aveva visto perdere colore, come un fiore seccato tra le pagine di un libro.
Aveva cercato di dargliene un po’ del suo. Un po’ di rosso, un po’ di giallo, un po’ di blu. Aveva provato a ricolorarlo, a ridipingerlo come lo ricordava; un po’ lilla, un po’ azzurro, con quei bei punti di verde acqua brillante a cui lui aveva sempre guardato con fiducia, come se lì ci fossero tutte le risposte che cercava. Un po’ di quel bianco splendente che aveva soltanto lui.
Ma nessuno di quei colori aveva attaccato.
E lui aveva realizzato, a un certo punto, che nessun colore avrebbe attaccato mai.
Non aveva il potere di appiccicare il colore sulle persone, anche se gli avevano spesso fatto capire il contrario, e lui aveva finito come uno sciocco per crederci.
Anche quando Riku sorrideva, lui non era mai felice.
Non era più felice da tanto tempo.
Qualcosa si portava via i colori, dentro di lui, e lui non faceva niente per respingere quel qualcosa.
E Sora non aveva abbastanza potere per farlo al posto suo.
Semplicemente, non era abbastanza forte. Abbastanza capace. Abbastanza.
Quando lo guardava da lontano come in quel momento, e non doveva sforzarsi di essere allegro per raccoglierne il pallido riflesso sullo specchio del suo viso, sentiva così tanto e così bene il suo turbamento che gli veniva da piangere. Lo sentiva…ma non lo capiva.
E Sora poteva solamente rimanere lì, a guardarlo cadere. A inginocchiarsi, e pregare.

you will be allright
cause there's no one like you in the universe

Ricordava che da quando erano piccoli, Riku lo aveva trascinato come fa la corrente con le barchette di carta nel mare.
Anche tutto il suo ultimo anno non era stato altro che fare la barchetta di carta sulla scia del soffio di Riku.
Adesso che Riku era immobile, anche Sora rimaneva lì, a dondolare placido e annoiato sempre nella stessa pozzanghera d’acqua sporca. Era una sensazione terribile.
Rivoleva la sua corrente. Rivoleva la sua rotta capricciosa, e non sapeva come convincerla a tornare.
Quando Riku gli aveva chiesto con che faccia avrebbe guardato le persone dopo essere stato nell’oscurità, lui aveva davvero pensato che bastasse una faccia buffa a risolvere le cose.
Riku non sapeva fare facce buffe. Preferiva essere teso, e spavaldo, e dare l’idea di avere tutto perfettamente sotto controllo, anche quando dentro si stava sbriciolando.
Si era perso in modo così grave?
Esisteva qualcosa nell’universo abbastanza forte da strappare a Riku il suo coraggio?
“Sora?”
“Yep.”
“A chi arriva prima al rifugio?”
Sora aveva sorriso maligno: “Non sperare che ti dia un vantaggio per via della gamba.”
Riku gli aveva risposto con quel sorriso sicuro che aveva sempre fatto, e che negli anni non era mai cambiato: “Sono io che ti sto dando un vantaggio per via della gamba.”
“Allora via!” disse all’improvviso, e cominciò a correre, guardandosi indietro e ridendo, sentendo Riku che gli dava del bastardo.
Quando pensò che forse avrebbe dovuto rallentare, ma non sapeva se farlo vincere con l’inganno sarebbe servito a qualcosa, lui gli arrivò velocissimo alle spalle e lo superò, facendogli respirare un sacco di sabbia. Sora rise felice, e cominciò a sforzarsi di più, a correre più veloce, finché non lo raggiunse e corsero quasi fianco a fianco sul lungo mare, affondando i piedi nella sabbia bagnata dalle onde.
Si arrampicarono sulla casa sull’albero, e quando saltarono giù la gamba di Riku cedette. Sora si fermò e gli porse la mano.
“Continua a correre.”
“Però…”
Lui sorrise spavaldo: “Muoviti, o mi rialzo e ti straccio anche così.”
“Sì, certo, certo. Adesso vado davvero.”
“Basta che ti sbrighi, stai per perdere contro uno zoppo. E’ troppo persino per te.”
Sora fece una smorfia arrabbiata e sbuffò.
Si sedette davanti a lui, con uno sguardo così triste che non avrebbe mai voluto farlo.
“…a volte va bene anche fermarsi, Riku…”
Lui lo guardò e gli sorrise sprezzante, girandosi da un’altra parte: “Va bene, aiutami ad alzarmi se ti fa sentire meglio. Ogni scusa è buona per toccarmi.”
“Oh, stai zitto!”
Riku si mise a ridere. Sora gli prese un braccio e se lo mise sulle spalle, poi si alzò. A volte lo sorprendeva essere diventato abbastanza forte per reggerlo così, perché in confronto a lui Sora si era sempre sentito un nanetto, un embrione di uomo. Aveva dato per scontato che Riku sarebbe stato sempre più forte di lui.
Lo strinse forte alla vita per reggerlo, e a quel punto lui scattò via come un gatto. Il tempo di rendersene conto, e aveva toccato la parete del rifugio.
Sora spalancò gli occhi e diventò rosso di rabbia: “Non vale, mi hai preso in giro!”
“Tanto avresti perso comunque, in un modo o nell’altro!”
Lo raggiunse e toccò anche lui la parete, poi disse arrabbiato: “Sei una carogna, Riku!”
“E tu sei così poco sveglio, Sora.”
“Taci. Con te non parlo.”
Riku ricominciò a ridere. Rideva spesso, come se volesse buttare fuori qualcosa.
Sora rise con lui. Anche lui aveva qualcosa da buttare fuori.
Prima o poi, pensava, avrebbero buttato fuori tutto. E Riku avrebbe riso così tanto che un giorno, svegliandosi al mattino, si sarebbe reso conto di stare finalmente bene.
Poi si intristì, pensando che forse Riku rideva così tanto perché per moltissimo tempo non aveva riso affatto. Mentre lui era insieme a Donald e Goofy, e faceva visita a un sacco di amici, Riku era solo.
…Riku era stato solo per così tanto tempo…
…forse doveva solamente ricordarsi come stare con gli altri.
Era riuscito in cose molto più difficili di quella, Riku, non c’era niente che non potesse sconfiggere.
E Sora lo avrebbe aiutato come poteva.
Anche lui era riuscito in cose molto più difficili di quella, in fin dei conti.

don't be afraid
what your mind conceives
you should make a stand
stand up for what you believe

and tonight we can truly say
together we're invincible

Kairi si stava guardando attorno in soggezione da lunghi momenti. Non era abituata a spazi così ampi, eppure così ristretti, a mura così alte. Era tutto così imponente, eppure in qualche modo così claustrofobico, per lei che era cresciuta su una piccola isola circondata dall’infinita vastità del mare. Solo la moltitudine di iris che si arrampicavano giù dalle finestre, attorno alle colonne, e lungo i corrimano come festoni, le davano un certo senso di famigliarità.
Era sgattaiolata fuori dalla sua stanza a piedi nudi, per cercare i suoi amici, perché temeva che con le scarpe l’avrebbero sentita e l’avrebbero ripescata subito, ma non era stata una buona idea; non c’era sabbia, lì, e i piedi le si congelavano contro il marmo freddo del pavimento. Fortunatamente era, almeno, pieno di tappeti rossi.
Si sollevò la gonna e cercò di capire se la stesse sollevando troppo o troppo poco, ma alla fine la lasciò giù per non mostrare i piedi scalzi, anche se i tulle rigidi e vaporosi le rallentavano il passo.
Solo i capelli arricciati, che le cadevano morbidi sulle spalle, le davano un senso di fresco sul collo che da quando li aveva lasciati crescere raramente aveva sentito, ed era piacevole.
Scese le gradinate, affiancate da monumentali colonne che le toglievano un po’ il fiato, e cominciò a vedere della gente in giro. Erano perlopiù nobili ben vestiti e dame scintillanti nei loro gioielli e nei loro abiti colorati. Kairi si sporse dalla balconata e vide che al pian terreno, nell’immenso atrio, ogni cosa era stata addobbata e brillava, e da lì sembrava che tutto il castello fosse avvolto da un’aria di festa. C’era un sacco di gente, e anche da lì riconosceva moltissimi volti noti. Le sembrava di vedere la principessa Jasmine, e c’era Aladdin con lei. Ridacchiò pensando che anche lui dovesse sentirsi esattamente come lei con quei vestiti cerimoniosi addosso. C’era anche Belle, meravigliosa a braccetto del suo principe, e il colore del vestito della bellissima Aurora cambiava continuamente per opera delle fatine che come al solito non riuscivano a mettersi d’accordo; le scie delle loro bacchette si riflettevano contro il marmo lucente, facendo risplendere di colori tutta la stanza.
Kairi guardava meravigliata le principesse, rapita dal loro splendore. Si vedeva benissimo anche da lì che erano stupende, e lei si sentì un rospetto e desiderò scavarsi una nicchia in qualche colonna e nascondercisi per tutto il giorno. Un po’ avvilita si girò, e si trovò faccia a faccia con due nobili che camminavano una accanto all’altra nei loro vestiti che le facevano sembrare dei pasticcini al contrario. Ma veramente anche Kairi sembrava un pasticcino al contrario, in quel momento.
Fece un inchino così come le venne, tirandosi su appena gli angoli della gonna per non scoprire i piedi, e disse non molto sicura, ma cercando di sembrarlo: “Buon giorno.”
Le donne la guardarono curiosamente. Quando sollevò il viso sorrisero divertite, ma cordiali.
“Ma voi siete la principessa Kairi! Non serve che vi inchiniate così a due semplici dame” fecero insieme un largo inchino “Grazie mille principessa, e una buona giornata anche a voi. Sarete splendida alla parata.”
Kairi annuì nervosamente e ricominciò a guardarsi in giro. Percorse i lunghissimi corridoi alla cieca, distribuendo inchini che sembravano quasi genuflessioni anche ai servitori, e quando finalmente riconobbe Goofy sussultò di gioia e gli corse incontro.
Lui le sorrise con gli occhi chiusi: “ Ahyuck Kairi! Sei già pronta?”
“Sono scappata…” ammise, non troppo fiera “Dove sono Sora e Riku?”
Goofy rise: “Sono scappati anche loro, e stiamo tutti facendo finta di non sapere che sono nella terza stanza a destra di questo corridoio.”
“Grazie mille Goofy, tanto per cambiare mi salvi la vita!”
Lui annuì e le fece segno di stare in silenzio: “Corri prima che ti veda Donald e faccia la spia.”
Lei fece vigorosamente di sì con la testa e si mise a correre.
Quando finalmente aprì la porta, e vide Riku e Sora seduti su un tavolo –Riku solo appoggiato, Sora con le gambe incrociate- non poté fare a meno di andare loro incontro tenendo le mani come ad un salvagente in mezzo a una tempesta in pieno mare.
Sora si mise a ridere e la indicò, vedendola arrivare goffamente tra tutti i suoi tulle, cerchi e corsetti.
“Sembri una pecora che cammina sulle zampe di dietro!”
“Sta zitto!”
Cercò di capire se potesse sedersi anche lei sul tavolo, ma Riku le porse una sedia e lei disse mesta: “Forse è meglio…”
Si sedette e tutta la gonna le si arricciò sui fianchi e le salì sul davanti, scoprendo il sottogonna. Si piegò per sistemarlo e le cadde il diadema dalla testa. Sora continuava a ridere e disse: “Dammelo!” sporgendosi dal tavolo. Lo prese e glielo rimise in testa, anche se tutto storto. Così le si addiceva certamente di più. Si girò e vide che anche Sora era vestito da cerimonia, tutto di blu. Stava benissimo, ma siccome era stato scortese non glielo avrebbe mai detto e gli puntò divertita il dito: “Sembri un baronetto.”
“Lascia perdere! Sono scappato fuori e ho incontrato Riku…” si mise a ridere “Aveva tirato fuori il Keyblade e pensavo che ci fossero degli Heartless, allora mi sono affiancato e l’ho tirato fuori anch’io, poi dalla stanza è uscito l’omino buffo che lo stava vestendo e ha cominciato a scappare terrorizzato dicendo che avrebbe fatto rapporto al Re!”
Kairi scoppiò a ridere e guardò verso Riku.
Lui stava guardando fuori dalla finestra, con una mano appoggiata contro il vetro, estraneo ai loro discorsi.
Era quasi sempre così.
Ritornava con loro, poi, magari faceva quel sorriso arrogante e un po’ assente che si era abituata a vedere da quando erano piccoli, e allora lei faceva finta di niente, ma Riku…lui non era mai completamente con loro.
Una parte di lui era sempre lontana, altrove, e irraggiungibile.
E più Riku andava lontano, più Sora cercava di seguirlo.
E più cercava di seguirlo, più si allontanava anche lui.
E più Riku si sentiva inseguito, più andava lontano.
E più loro correvano, più Kairi, che aveva i piedi scalzi e un vestito troppo scomodo, rimaneva indietro.
…ma poteva andare bene anche così, per un po’, purché non andassero troppo lontani, così lontani che lei non avrebbe potuto né raggiungerli, né gridare abbastanza forte per farsi sentire quando li chiamava.
Ma non sarebbe successo, lo sapeva.
Dovunque sarebbe andato uno, sarebbero andati anche gli altri.
Lo avevano promesso.
Solo che a volte era dura rendersi conto che anche se fisicamente era lì, Riku ogni giorno veniva un po’ meno a quella promessa.
Kairi si alzò ed andò da lui, trascinandosi dietro i tulle che ruvidi facevano attrito coi tappeti.
Gli si mise accanto, gettò un occhio fuori dalla finestra e vide solamente giardini.
“Cosa stai guardando?”
Riku scosse la testa.
“Allora la domanda giusta è a cosa stai pensando.”
“Che sono troppo debole con voi. Avrei dovuto ficcarvi la testa nella sabbia invece di lasciarmi convincere a venire qui.”
Kairi fece un’espressione sofferente: “Sì, avresti dovuto. Guarda come mi tocca andare in giro conciata.”
Riku le sorrise: “Sei bellissima.”
“Nnnh, scoccia ammetterlo ma tu sei molto più bello di me.”
Lui indicò di nascosto Sora e bisbigliò: “Scappiamo senza di lui, siamo troppo belli per fare brutte figure portandocelo dietro.”
Kairi ridacchiò: “Povero Sora, tutto solo!”
“Tutto solo…” Riku appoggiò la testa contro la finestra e sorrise “Lo sai che Sora non è mai tutto solo. Se si perdesse in mezzo al deserto farebbe amicizia con un cactus.”
Lei ridacchiò di nuovo, dandogli ragione, e si appoggiò alla finestra cercando di seguire il suo sguardo.
Che cosa vedi, Riku?
…dove sei adesso?

“Anche tu hai degli amici in questo posto. Prima di tutti il Re.” Sussurrò per non entrare bruscamente nei suoi pensieri.
“Dovremmo prendere tutti gli amici di Sora e farli scontrare con il mio unico amico. Il Re probabilmente vincerebbe, ma sarebbe il colossale svantaggio numerico a rendere epica la battaglia.”
“Riku! Tu hai anche degli altri amici, qui.”
“Non prendermi in giro. Le hai sentite le voci.”
“Non ho sentito proprio nessuna voce.”
“Ascolta meglio.”
“Che cosa dicono?”
“La verità.”
“Che sarebbe?”
“Il Re è impazzito a far entrare il servo di Maleficent a palazzo.”
Kairi gli afferrò la giacca e lo costrinse a guardarla, ma non aveva niente da dire.
Fu Riku a parlare.
“Puoi biasimarli?”
“Sì.” Rispose senza nessun indugio “E tu non li devi ascoltare, va bene? Il Re si fida di te. Sora si fida di te. Io mi fido di te. Non importa che cosa blaterano un mucchietto di nobili che facevano passeggiate mentre voi rischiavate la vita, va bene?”
Riku le sorrise, come le sorrideva sempre quando si pungeva le dita con gli aghi quando faceva le prove per tessere gli amuleti porta fortuna. Non era il sorriso di chi credeva che andasse tutto bene, ma per adesso poteva andare.
“Smettetela di spettegolare di me!” si lamentò Sora saltando giù dal tavolo e correndo da loro.
“Digli anche tu qualcosa, Ri---” – Riku le fece segno di fermarsi, in segreto, e lei lo colse subito.
“Stavamo dicendo che è meglio se cammini a cinque passi da noi, o ci farai sfigurare.”
Kairi annuì: “Stavo giusto dicendo a Riku che sta benissimo vestito così, sembra proprio un principe.”
Sora si guardò e chiese arrabbiato: “E io no?!”
Riku lo squadrò e disse: “Se ti danno pure il cappello sembri il Gatto con gli Stivali.”
“Prova a ripeterlo! Facciamo una gara a chi arriva prima al piano di sopra, ti straccio!”
In quel momento le porte si aprirono ed entrarono Donald e Goofy. Donald starnazzò: “Allora siete qui!” e dietro di lui Goofy le fece l’occhiolino. Kairi rimandò.
“Sua Maestà e la Regina vi aspettano nella Gran Sala e voi siete qui a guardare fuori?!”
Sora si mise le braccia dietro le spalle e sbuffò, avviandosi. Riku lo seguì, ma Kairi si aggrappò alla sua giacca per fermarlo. Quando Sora fu abbastanza distante gli scivolò davanti e disse: “Prima o poi tutti sapranno quello che hai fatto.”
“Sembra questo il problema.”
Lei scosse la testa: “Quello che hai fatto veramente. Per tutti, anche per loro. Però, fino ad allora, ricordati sempre che noi ti vogliamo bene, ok?”
Riku le sistemò il diadema sulla testa.
“Allora non importa che loro lo sappiano.”
Si sorrisero, poi lei piagnucolò: “Intanto io dovrò far finta di avere le scarpe per tutto il giorno…”
“Sarà un po’ difficile camminare per le vie della città fino a sta sera.”
“Lo so, non me lo ricordare…”
“Dai, corri a prenderle, ti copro io.”
“Davvero?”
“Come no. Nessuno vuole una principessa dissanguata perché ha pestato un vetro, e specialmente io, visto che tutti darebbero la colpa a me. Vuole uccidere la principessa! Affilate i forconi!
Kairi lo guardò male, poi rise: “E noi ti difenderemo anche da quelli, Riku.”
“Siete ancora qui a spettegolare?!” gridò Sora dalla porta “Che cos’avete di tanto segreto da dirvi?!”
“Stavamo dicendo che è strano, continui a crescere ma resti sempre un nano. Eppure hai i piedi grandi.”
“Questo nano sta per arrivare prima di te alla Gran Sala!” e scattò via. Riku le disse velocemente “vai, sbrigati” e cominciò a correre come un fulmine dietro a Sora. Affacciandosi dalla stanza Kairi li vide inseguirsi e gridarsi dietro dribblando tutti i nobili attoniti, mentre dietro di loro Donald urlava cercando di fermarli, e sorrise al pensiero che in un certo senso, a modo loro, anche Sora e Riku non si fossero messi le scarpe. La loro isola li seguiva, anche se ne erano lontani.
E finché restavano insieme, sarebbero stati a casa dovunque.

and during the struggle
they will pull us down
but please, please let’s use this chance to
turn things around

and tonight we can truly say
together we’re invincible

Adesso era Sora che si sentiva una pecora che cammina sulle zampe di dietro.
In un bagno di folla, circondato da così tanti amici che accidenti, si ritrovava a chiedersi quanti cavolo ne avesse, di amici, tutti quei volti famigliari cominciavano a diventargli sconosciuti nel caos e nel bagliore accecante del sole, che entrando dalle finestre colorate colpiva i pavimenti bianchi rendendo qualsiasi cosa scivolosa allo sguardo. Goofy non faceva che grattarsi imbarazzato la testa e sorridere, esattamente come lui. Solo Donald sembrava a suo agio, e sul punto di fare la ruota come un pavone.
Quando fu vicino a non capire più niente gettò un occhio alle scale, e vide Kairi intenta a trascinare giù Riku e contemporaneamente a non inciampare nel vestito. Era così buffa che non poteva non ridere.
In quanto a quell’altro, Sora aveva un conto aperto con lui.
Quando lo aveva spinto fuori da dietro la colonna dove osservava preoccupato la folla, prima di accorgersi che fossero quasi tutte persone conosciute, gli aveva detto: “Fai il tuo bagno di gloria Keyblade master. Io sarò dietro a raccogliere le briciole perché Kairi non ci inciampi.”
Sora era stato travolto dagli eventi prima di poterlo mandare a quel paese, ma intendeva rimediare.
Salì le scale e quando Kairi lo vide soffiò forte, con le guance gonfie: “Aiutami, tiro e tiro, ma non lo smuovo di un millimetro!” – e si sistemò il diadema che le cadeva su un lato della testa, aggrappato ad un ciuffo di capelli.
Sora lo guardò male, gli afferrò un braccio e cominciò a tirare. Lui un po’ si mosse, ma si mise a sghignazzare: “Magari Chip e Dale sarebbero più efficaci.”
Senza pensarci due volte Sora gli diede un calcio sullo stinco e lui lo sollevò velocemente, stringendolo con un’espressione dolorante. Sora ghignò e gli disse che gli stava bene, e solo quando Kairi si portò spaventata una mano alla bocca e gli chiese come stava, se riusciva a camminare, lui si rese conto di quello che aveva fatto e spalancò gli occhi sentendosi terribilmente in colpa.
“Scusa! Riku, scusa! Scusa, scusa, scusa!”
“Prova a metterla giù” suggerì Kairi, che poi lo guardò con un cipiglio arrabbiato “Sora, sei uno scemo!”
“Tranquilla” disse Riku, a denti stretti “Girare in sedia a rotelle era un handicap che mi mancava.”
“Ti prego, scusami, non l’ho fatto apposta!”
“Mi hai dato un calcio, certo che l’hai fatto apposta!”
“Sì, quello l’ho fatto apposta, solo che…” piagnucolò “Scusaaaaa! Dimmi che stai bene, per favore!”
Riku allora mise giù tranquillamente la gamba e lo guardò freddamente: “Certo che sto bene, era l’altra.”
Kairi lo guardò per un attimo in prospettiva e cominciò a ridere. Sora divenne tutto rosso e, invece, cominciò a gridare arrabbiato: “Sei un cretino! Io mi stavo preoccupando sul serio! Vai al diavolo!”
Riku rise e lo prese in giro: “Un tuo calcio non farebbe niente neanche a un piccione in agonia, Sora.”
“Adesso vediamo, vieni qui!”
Riku prese Kairi per le spalle e se la mise davanti. Sora ribollì: “Non è leale, non puoi usare Kairi come scudo!”
In quel momento un’ovazione generale sottolineò l’arrivo del Re e della Regina, preceduti dal fedele Pluto, che subito si buttò addosso a Riku per fargli le feste. Loro si resero conto di ostruire il passaggio, ma quando imbarazzati cercarono di spostarsi la Regina sorrise e il Re si mise a ridere: “Potete usare il pianerottolo, ragazzi, non è soltanto nostro.”
“Vostra Maestà, abbiamo bisogno del vostro aiuto per portare giù Riku.” disse solennemente Kairi.
Il Re lo guardò e lui incrociò le braccia come un bambino ostinato: “Io sto bene anche qui.”
“Gli dica che non è venuto per fare il palo!” insistette Kairi sistemandosi ancora una volta il diadema, che ora le cadeva sull’altro lato. Intanto Sora stava cercando di convincere Pluto a mordere la gamba a Riku per ripicca, ma senza risultati, visto che riusciva a strappargli solo ulteriori leccate in faccia.
“Kairi, credo che il Re abbia cose più serie di cui occuparsi…” protestò Riku, ma il Re rise e scosse la testa: “Beh, sei comunque più in evidenza qua sopra di quanto non lo saresti in mezzo alla folla, se ci pensi un attimo.”
Riku guardò ai piedi della scalinata e fece la tipica espressione seccata di quando si rendeva conto di avere torto, ma non voleva ammettere che qualcun altro aveva ragione.
E così, nel giro di un attimo, Re Mickey aveva convinto Riku a scendere le scale.
Sora era felice, ma una piccola, fastidiosa parte di lui, si sentì offesa; né lui né Kairi –con la quale era di solito così arrendevole- erano, insieme, riusciti in tutta la mattina a strapparlo via per non più di una manciata di secondi dalla sua ostile e tetra indisposizione.
Sora era felice, sì, ma avrebbe voluto scuotere Riku e gridargli faccia: “io sono il tuo migliore amico! Lo sono da sempre! E’ me che devi ascoltare, me!”
Sora era felice, ma osservando ogni tanto Riku e il Re confabulare da soli odiava quell’atteggiamento da solo noi che siamo stati nell’oscurità. Si sentiva messo da parte, e ingiustamente, perché se solo avesse potuto, se la sua strada non lo avesse portato da un’altra parte, lui Riku l’avrebbe seguito in capo al mondo, anche in quella oscurità. Era vero, il Re gli era stato accanto durante un’esperienza terribile, e insieme avevano condiviso cose che Sora non poteva immaginare, ma se non poteva farlo era solamente perché Riku si ostinava a non parlargliene.
Perché improvvisamente si comportava come se non potesse più capirlo?
Nell’atrio, intanto, il vociare allegro e caotico era diventato più soffuso; non si poteva parlare di silenzio, ma persino Sora che non era molto attento aveva notato il cambiamento, e quando aveva guardato Kairi aveva capito che per lei era lo stesso. Si avvicinarono a Riku, che accanto al Re si guardava nervosamente attorno, e borbottò: “Credo di aver rapito la metà delle persone in questa stanza…”
Con suo disappunto Kairi e il Re risero, poi quest’ultimo si allontanò di qualche passo per cominciare a fare gli onori di casa a ciascun ospite insieme alla Regina Minnie.
Sora si sintonizzò sulle bassissime frequenze di un discorso che sentiva bisbigliare appena dietro le sue spalle. Due donne stavano parlando di Riku. Cercò di capire che cosa si stessero dicendo, ma a distrarlo giunse Pinocchio che fece un inchino ai reali, poi alzò la testa, e quando vide Riku cacciò un urlo acutissimo e scappò via terrorizzato passando sotto le gonne delle dame e tra le gambe degli accompagnatori.
Sapeva che non doveva, ma Sora scoppiò a ridere, e per non fare altrettanto Kairi si mise una mano davanti alla bocca e si girò. Riku lo guardò malissimo e lui cercò di ingoiare la risata, mentre il Re scuoteva lentamente la testa e sospirava, con un leggero sorriso. La Regina, imbarazzata, si scusò con lui e con tutti gli ospiti circostanti.
“Forse è meglio se vai subito a scusarti con Alice…” sghignazzò Sora. Riku si guardò attorno alzandosi sulle punte: “Veramente mi preme soprattutto non incontrare la Bestia, quella ferita ci ha messo un secolo a guarire.”
“Come, non lo sai? La Bestia è tornata un principe.”
“Posso batterlo a pugni?”
Sora annuì. Riku poteva battere chiunque in qualsiasi modo, il dubbio non si poneva.
Kairi osservò: “Se è vero che ne hai rapiti la metà, per adesso le reazioni sono buone…”
Sora rise, e lo fece anche Riku, non potendo fare altrimenti.
Poi Sora si zittì, sentendo le voci dietro di lui moltiplicarsi.
Maleficent.
Xehanort.
Kingdom Hearts.
Kairi sussurrò a Riku: “non ascoltarli.”
“Sei tu che li ascolti” rispose lui scrollando le spalle, ma anche Sora li stava ascoltando, e stava lottando con tutto se stesso per non evocare il Keyblade e cominciare a sventolarlo sui grugni di quei nobili insopportabili.
Quando uno alzò troppo la voce, e lo sentirono chiaramente dire “metterci tutti in pericolo di nuovo, il Re deve essere impazzito”, Sora si girò di scatto e gridò: “Ehy!”
Non poté fare altro perché si fece avanti il Re, che salutò cordialmente le dame. Sora sbottò, indicandole: “Queste parlano male di Riku!”
“Sora…” lo pregò lui.
“Sora un cavolo!” avanzò e le donne spaventate arretrarono “Chiedete subito scusa!”
Una delle due si limitò a guardarsi attorno con aia di falsa superiorità, mentre l’altra commentò: “C’è qualcun altro che deve chiedere scusa, qui.”
Sora si sentì ribollire e solo Kairi, che gli si aggrappò un braccio, gli impedì di assecondare gli impulsi delle sue mani a stringersi attorno a quello stupido collo grinzoso.
“Sora, per favore…” disse il Re, mettendosi in mezzo.
“Ma Re!! Hai sentito che cos’ha detto?!” si sbracciò per indicare la donna, in caso l’avesse persa di vista “Hanno detto che anche tu sei pazzo! Sei il Re, dì qualcosa!”
“Ho sentito, Sora, ho sentito” disse tranquillamente, e le due donne arrossirono violentemente, mentre tutti attorno a loro si erano zittiti e osservavano –chi preoccupato, chi divertito- la scena.
“V-Vostra Maestà…” cominciò una “Noi non intendevamo…”
“Non dovete preoccuparvi. Non perché sono il Re significa che non possiate esprimere il vostro giudizio sul mio operato. Al contrario, come ben sapete invito chiunque a farlo in ogni momento.”
“…G-grazie, Maestà…”
“Tuttavia” aggiunse, sicuro, ma estremamente garbato. Non aveva dovuto nemmeno alzare la voce, anche se sembrava. “Vi prego di non biasimarmi se in questo giorno di festa ho per un attimo trascurato i vostri timori. E’ stata una mia debolezza, e me ne dispiaccio.”
Scese un silenzio ancora più riverente. Sora gridò: “Ma che fai, ti scusi tu?!”
Il Re gli fece cenno di tacere, e continuò.
“Questo ragazzo è stato un prezioso alleato nella battaglia contro l’Organizzazione XIII, ma confesso di aver insistito per avere la sua presenza qui oggi perché è un mio caro amico, che mi ha aiutato in molteplici situazioni difficili con la massima onestà e lealtà.”
Riku bofonchiò a voce bassissima: “Sì, può bastare…”
“Non solo il Keyblade master, ma anche la principessa Kairi, Goofy e Donald – il Capitano della guardia e il Mago di corte- hanno piena fiducia in lui. E se comprensibilmente il nostro giudizio potrebbe sembrarvi offuscato dall’affetto, vogliate almeno fidarvi di quello del Keyblade, che l’ha scelto come custode.”
“Appunto! Io non vedo nessuno di voi con un Keyblade, qui!” puntualizzò Sora, ancora arrabbiato. Il Re sorrise divertito e aggiunse: “Io affiderei a Riku la mia vita. L’ho fatto in passato e non me ne sono pentito. Ripongo in lui assoluta fiducia, il che significa che l’intero palazzo può fare altrettanto senza alcun timore.”
Poi il Re si inchinò e fece una breve risata: “Spero che il mio lungo discorso noioso non vi abbia rovinato la festa. Vi prego, tornate a divertirvi.”
Lentamente, tutti ricominciarono a parlare.
Ovviamente Sora sapeva benissimo che il Re non avrebbe mai umiliato nessuno, tantomeno un nobile, costringendolo a porre pubblicamente delle scuse. Comunque, a lui la cosa non toccava minimamente.
“Ehy, voi due! Chiedete subito scusa a Riku!”
Le donne si immobilizzarono nella posizione in cui erano.
“Ti scongiuro, lascia perdere…” fece Riku, disperato, ma a lui non fregava proprio niente.
“Avete parlato male del mio amico senza sapere niente, adesso dovete chiedergli scusa!”
Quelle quasi tremavano. Fecero un inchino incerto e dissero in coro: “Vogliate scusarci, Keyblade master. Siamo immensamente dispiaciute.”
“Non a me! A Riku!”
“…v-veramente noi…”
Riku si coprì la faccia con una mano e si girò dall’altra parte.
Sora si bloccò e si imbarazzò a morte.
“Ah, già. Ahah. Dovremmo aggiungere un numero dopo, io Keyblade master uno e lui Keyblade master due, ahah!”
Le donne, un po’ turbate, chiesero ancora scusa e si allontanarono il più velocemente possibile.
“…tecnicamente l’uno sono io” specificò Riku, poi chiese, guardando severamente sia lui che il Re “Adesso posso nascondermi da qualche parte o volete farmi vergognare fino ad uccidermi?”
Entrambi si grattarono la testa con una mano, ridendo imbarazzati. Il Re disse: “Vai pure, se preferisci.”
Sora sussultò: “Ma come vai pure? Resta qui! Questa festa è anche per te!”
Riku si limitò a sorridere sarcastico e chiamò Pluto, che gli corse subito incontro.
“Vieni con me, almeno tu che non parli.”
Il cane guardò il Re, come per chiedergli il permesso.
“Ti affido Riku, Pluto. Guarda che non si cacci nei guai.”
“Sì Pluto, i nobili col panciotto mi fanno tanta paura.”
Quello abbaiò, poi si mise a girare attorno a Riku un paio di volte.
“Ti vengo a chiamare quando usciamo.”
Senza pensaci un momento Sora disse con urgenza, a voce troppo alta: “Ci vengo io! Vengo io a chiamarti!”
Gli altri lo guardarono turbati. Lui abbassò lo sguardo: “Il Re ha altre cose da fare che stare dietro a noi…”
Riku lo prese in giro: “Come sei saggio. Andiamo, Pluto?”
Il cane abbaiò di nuovo e si avviò sulle scale, scodinzolando e guardandosi continuamente indietro per assicurarsi che lui lo seguisse.
Sora rimase solamente lì, a guardarli andare via.
Kairi gli si avvicinò e gli posò gentilmente una mano sul braccio.
Lui la guardò, e vide il suo visino dispiaciuto tagliato in due da un ricciolino scomposto che le cadeva davanti. Glielo tolse con un dito e le disse: “Sembri un riccio di mare, però ti stanno bene.”
Lei sorrise e si avvicinò, bisbigliando: “Ho nascosto le scarpe qui vicino, quando usciamo le metto. Poi puoi tenermi a braccetto, così non cado?”
Sora annuì e gettò un ultimo sguardo risentito alle scale. Kairi sospirò.
…perché Riku non sapeva chiedere tienimi, così non cado?
E dire che loro erano lì, pronti per quello. Si sarebbero messi lui da una parte, lei dall’altra, e lo avrebbero tenuto su, sempre.
Ma Riku preferiva inciampare da solo.
E Sora non sapeva come dire a Kairi che era lui, adesso, ad aver bisogno di un sostegno…

do it on your own
makes no difference to me
what you leave behind
what you choose to be

L’acqua marina gli inzuppava le scarpe, e il sale gli pizzicava l’orribile vescica che gli era venuta a furia di camminare tutto il giorno. Ma stava camminando ancora. Riku voleva camminare, e lui non voleva che camminasse da solo, anche perché non voleva rischiare che la gamba gli facesse male quando non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarlo.
Sora era in silenzio da quando erano tornati. Solo qualche commento di circostanza, la buona notte a Kairi, e qualche risata tirata, avevano spezzato il tiepido silenzio della sera.
Era in silenzio perché c’erano tante parole che si agitavano dentro il suo stomaco. Sembravano farfalle schiacciate in un minuscolo barattolo. Era la prima volta, da che poteva ricordare, che non le aveva lasciate volare fuori dalla bocca una per una così, come venivano, e le aveva accumulate, accumulate, accumulate, e adesso erano arrabbiate, si agitavano, sbattevano le ali e si scontravano l’una contro l’altra, ma non avevano idea di quale ordine dovessero adottare per riuscire a liberarsi.
Una metafora così carina, per dire che Sora era uno stupido e non sapeva che cosa fare.
Da quando Re Mickey aveva fatto quel bel discorso al castello lui si era abbacchiato terribilmente, e sebbene avesse continuato a ridere e scherzare con tutti, a salutare i vecchi amici, aveva messo il suo cuore in un angolo, lontano da tutti, e lo aveva lasciato ad arrovellarsi da solo. Si era sentito così scemo, perché lui era riuscito solo a gridare come un moccioso, e a mettere Riku in imbarazzo.
Avrebbe voluto poter dire anche lui qualcosa di così limpido e chiaro come affiderei a lui la mia vita, ma per lui non era così facile, perché sì, Sora avrebbe affidato a Riku la sua vita tanto in battaglia quanto in qualsiasi altro momento, ma non era ancora abbastanza, non era tutto.
Lui conosceva Riku meglio di chiunque altro, anche dei suoi genitori. Lo conosceva da così tanto, e aveva visto così tanto di lui, che qualsiasi parola sarebbe stata riduttiva.
Riku era un fenomeno che non poteva essere spiegato.
Lui era…beh, era fantastico.
Il migliore del mondo.
Non c’era nessuno come lui, nessuno che gli somigliasse anche solo un po’, e allora c’era davvero qualcosa che Sora potesse dire per far capire agli altri quanto lui fosse eccezionale?
E gli importava, in fondo?
Gli importava di dirlo a tutti? In parte sì, perché era così fiero di lui, che avrebbe sbandierato le sue gesta come un bambino che porta a spasso il cucciolo appena comprato per farlo vedere a tutti. In parte no, perché sapeva che le persone sono limitate, soprattutto quando hanno paura. Ma odiava non essere riuscito a farlo, perché lui sapeva benissimo che cosa pensava di Riku, ce l’aveva lì davanti, sempre, e lo distruggeva non riuscire a spiegarlo nessuno, perché significava che non sarebbe mai riuscito a spiegarlo a lui.
Non sapeva come spiegargli che quando lo guardava, era coraggio quello che vedeva.
Il coraggio di combattere il proprio demone un’infinità di volte, e non in modo sempre metaforico; il coraggio di combatterlo davvero, di strappargli la carne, l’energia, e di sapere sempre, a fine battaglia, che presto sarebbe tornato, e ciononostante di non arrendersi, di non lasciarsi sopraffare.
Il coraggio di proteggere il proprio cuore anche nell’Oscurità, anche quando nemmeno il suo corpo era più il suo, il coraggio di non dimenticare, ma di affrontare quell’oscurità, e di sconfiggerla con le sue sole forze, anche in quel mondo buio e senza speranza, anche in quella desolante solitudine.
Il coraggio di essere lì, adesso, e di aver scelto di tornare e di restare, anche se era così difficile e il passato così doloroso da sopportare –il coraggio di non rifuggirlo, quel passato, ma di affrontarlo, di non nascondersi mai, di non giustificarsi mai, di non smettere mai di chiamare le cose con il nome che avevano, di non mentire mai né agli altri né a se stesso, perché Riku non mentiva, e non perché non lo sapesse fare: non mentiva perché aveva la forza di sopportare qualsiasi verità.
Riku non dubitava mai di se stesso. Non aveva mai avuto un cedimento, un incertezza, un’esitazione, non si era tirato indietro di fronte a niente, mai. E anche dopo tutto quello che era successo, anche adesso che il rimorso lo divorava in modo così fisico che Sora poteva quasi vederla, quella bestiaccia cibarsi del suo stomaco, aveva il coraggio di non dubitare di se stesso, il coraggio di non lasciarsi andare.
Sora lo guardava, e vedeva in lui tutta quella forza, così tanta da esserne intimidito, e avrebbe voluto potergli dare i suoi occhi costringerlo a guardarsi come lui lo guardava, e a vedersi come lui lo vedeva.
Forse allora avrebbe visto tutto quel coraggio, e tutta quella forza, e avrebbe capito una volta per tutte quello che era.
Era un eroe.
Era l’unico.
…ma Sora non poteva cavarsi gli occhi dalle orbite, né tanto meno Riku lo lasciava avvicinare abbastanza ai suoi per lasciarglieli sostituire con i propri, e quindi?
Poteva solamente camminare un po’ distanziato da lui, con gli occhi gravidi di lacrime amare non solo perché era meramente triste, ma soprattutto perché quello che aveva davanti era il suo migliore amico da sempre, e lui non lo riteneva intelligente, o sensibile, o maturo abbastanza per capirlo.
Era terribilmente umiliante, e offensivo, e non c’era modo di porre rimedio a questa cosa, perché se ci avesse provato sapeva che avrebbe finito per incasinarsi e arrabbiarsi, sembrare infantile e irragionevole.
Ma il suo affetto per lui era esattamente così, infantile e irragionevole.
Così radicato che non glielo riusciva a spiegare.
Si può spiegare come mai il cuore batte, o il sangue scorre?
Certo, lo puoi fare a livello scientifico, ovviamente, ma davvero?
Se avesse dovuto spiegarlo in modo scientifico Sora avrebbe dovuto stendersi su un lettino e farsi esaminare, e i dottori non gli erano mai piaciuti.
Se fosse servito per confortarlo un po’, però, per lui lo avrebbe fatto.
Per lui non avrebbe esitato un attimo a trafiggersi con un Keyblade, esattamente come aveva fatto per Kairi, e se fosse riuscito ancora una volta a tornare indietro lo avrebbe fatto di nuovo, e di nuovo, qualsiasi cosa per dimostrargli quanto era orgoglioso di lui, e di essere suo amico.
Ma Riku continuava a camminargli davanti, distante, troppo preso dai suoi pensieri per fermarsi. E Sora poteva solamente restare in silenzio, a pensare che se non altro, per colpa di quella stupida vescica, tutti e due adesso zoppicavano un po’ a destra.

and whatever they say
your soul’s unbreakable

Era molto presto, e l’isola dei bambini era ancora spopolata.
Loro non erano più bambini, o almeno si divertivano a crederlo, ma continuavano ad andare comunque lì, perché qualsiasi cosa fosse successa, e per quanto tempo sarebbe passato, i loro luoghi erano lì.
Lì erano partiti, e lì erano tornati.
Era lì che sarebbero tornati sempre.
A lei piaceva camminare sulla spiaggia al mattino, magari correre un po’ –sapeva che Sora e Riku erano una calamita per i guai, e per la prossima volta voleva farsi trovare assolutamente preparata- e godere della luce pallida, il cielo leggermente grigio, ma non tetro, e dell’aria fresca che sembrava muovere con ancora più forza le onde del mare.
Come succedeva spesso, però, quel mattino non era da sola.
Riku era seduto in riva al mare, e lanciava sassi nell’acqua che sprofondavano con un rumoroso tonfo.
Kairi corse a ritmo più sostenuto e gli arrivò dietro alla schiena.
“E’ permesso?”
Lui si girò e le sorrise.
“Ovviamente.”
Gli si sedette accanto, ma non troppo, perché aveva sempre un po’ paura come di invadere lo spazio dentro il quale si muovevano i suoi pensieri, come se fossero stati fisici, solidi.
La sabbia le si appiccicava sotto la gonna e lei cercava di sistemarsi in modo da non farla entrare almeno nelle mutande, anche perché era ancora freddina dalla notte.
Guardò Riku lanciare un altro sasso, che andò lontanissimo.
Ne scelse uno e lo lanciò anche lei, ma con risultati scarsissimi. Provò ancora, ma riuscì addirittura a peggiorare.
“Uffa!”
Riku rise di lei, e per sottolinearlo tirò un altro sasso, che sembrò quasi essere sparito nell’aria finché non ne sentirono il pesante tuffo tra le onde.
“Non è giusto, tu sei più forte di me.”
“Certo che lo sono, ci mancherebbe. Ma non è tanto una questione di forza, è che tieni male il braccio.”
Kairi prese un altro sasso, si mise in posizione e lo guardò curiosa. Lui le disse di tirare indietro il gomito e lei ci provò.
“Così?”
Riku scosse la testa, le prese il braccio e glielo sistemò, come se fosse stato un pupazzetto di legno per studiare l’anatomia nelle ore di educazione artistica. Le sue mani erano appena tiepide, ma aveva una presa forte, sicura, e sicuramente più delicata di quella di Sora – che ogni tanto per portarla da qualche parte le dava degli strattoni tremendi e quasi le sfasciava la spalla.
Kairi provò a lanciare, ma si era allargata troppo e Riku si abbassò di colpo per non prendersi una gomitata.
“Oh, scusa!”
“Figurati, solo che se non mi ammazzi magari ti insegno. Aspetta…” si allontanò “Ok, prova.”
Lei fece di sì con la testa e scagliò il sasso esattamente come aveva detto lui; non aveva per niente la sua precisione, ma arrivò molto più lontano, e questo bastò a farla contenta.
“Mi sa che se ti impegni tiri meglio di Sora.”
“Allora mi alleno, così posso partecipare anch’io a qualche sfida con voi. Sono stufa di fare sempre l’arbitro!”
“Stai dicendo che dobbiamo cercarci un altro arbitro?”
Ci pensò su un attimo: “…beh, suppongo che potrei fare entrambe le cose…”
“Certo, saresti così obbiettiva…”
“Dai, per lanciare le pietre non serve un arbitro, e adesso come adesso sicuramente non potrei partecipare a nessuna gara di corsa contro di voi.”
“Chi lo sa, forse un giorno.”
“Già. Guarda che mi sto allenando.”
“Dai?”
“Mh” lanciò un altro sasso “Non è una cosa che mi auguro, però se dovesse succedere di nuovo qualcosa, e dovessimo di nuovo lasciare questo posto, non voglio più essere un peso per voi.”
“Ma tu non sei un peso. Casomai è Sora il peso.”
Kairi rise e si sporse per disegnare qualcosa di imprecisato sulla sabbia umida.
“Ovviamente io non avrò mai la vostra forza fisica, né sarò mai brava a combattere come voi…in realtà, so benissimo che vi sarò sempre d’impiccio. Ma sono stata io a dire che da ora in poi ovunque andrà uno, gli altri lo seguiranno, e adesso il minimo che posso fare è almeno imparare a scappare veloce, credo.”
“Ma tu non devi scappare, devi farti rapire da brava principessa.”
“Oh, stai zitto! Farsi rapire è una palla!”
Riku scoppiò a ridere.
“Non c’è niente di divertente, guarda che stare ad aspettare che qualcuno venga a salvarti è davvero seccante. Non voglio più trovarmi in quelle condizioni, voglio diventare forte, così posso liberarmi da sola e venire a cercarvi, invece che stare sempre ad aspettarvi!”
“Così ci lasci senza lavoro.”
“Due come voi troveranno sempre qualcosa da fare…” sospirò, scuotendo la testa “Beh, tanto ce ne vorrà di tempo prima che riesca a starvi dietro…andate sempre così di fretta…”
“Se ti consola, mentalmente sarai sempre molto più veloce di Sora, questo è sicuro.”
Kairi rise: “Quanto sei cattivo col povero Sora!”
“Comunque se davvero vuoi proteggerti da sola, Kairi, la cosa migliore che tu possa fare è imparare a correre più veloce di me.”
“Non ce la farò mai.”
“E’ meglio che tu ce la faccia. Probabilmente un giorno dovrai scappare proprio da me.”
Kairi distolse lo sguardo dal mare e si girò verso di lui.
“Non dire scemenze…”
“Mi piacerebbe che fossero scemenze.”
Kairi rimase in silenzio. Lui cambiò posizione e si sedette rivolto verso di lei. Era un gesto così…ufficiale, che lei si irrigidì e cercò di non farci caso.
“Kairi, guardami.”
Lei si girò e gli si sedette davanti con le gambe incrociate, appoggiando le braccia nel mezzo per cercare di nascondergli le mutande, anche se Riku e Sora le avevano visto le mutande talmente tante volte quando erano piccoli che ormai lo consideravano del tutto normale.
Riku la guardò seriamente negli occhi.
“Non sto dicendo che succederà per forza. Dio non voglia che succeda, e io farò di tutto perché non succeda. Ma voglio che tu mi prometta una cosa.”
Kairi annuì, anche se non ne era del tutto sicura.
“Devi promettermi…devi giurarmi, che se un giorno dovessi diventare un pericolo per te o per chiunque altro, non esiterai a scappare.”
Un’onda più forte li raggiunse e le bagnò le cosce. Lei si strinse la gonna con le mani e abbassò la testa.
“Guardami, per favore.”
Ci provò, ma gli occhi di Riku l’avevano sempre messa un po’ in soggezione.
“So che non vuoi sentirlo. Io vorrei che tu non lo dovessi sentire. Vorrei non doverti dire che esiste la possibilità che un giorno Xehanort abbia nuovamente la meglio sulla mia volontà, e che se questo dovesse accadere tu dovrai spezzare la promessa di restare sempre insieme e andare via il più velocemente possibile da me. Se dovesse succedere, tu devi scappare. Non avvicinarti, non fare assurdità, non cercare di farmi ragionare e non credere a qualsiasi cosa ti dica. Non esitare nemmeno per un attimo, perché ti ucciderei.”
Kairi chiuse gli occhi come una bambina ostinata e scosse la testa.
Riku le prese una mano e le diede una breve stretta, ma forte, per richiamare la sua attenzione.
“Ascoltami, è importante.”
“Non voglio sentire queste cose.”
Lui alzò un po’ la voce, ma restava composto: “Hai detto di voler essere forte.”
Lei annuì.
“E’ la consapevolezza che ti rende forte, Kairi. Sapere quello a cui vai incontro e affrontarlo. Se sei disposta ad ascoltare adesso sarà più facile quando arriverà quel momento, e se vuoi risparmiare a Sora il penoso tentativo di non farti preoccupare, devi guardarmi.”
Kairi strinse la sabbia con una mano, che cominciava a scaldarsi leggermente. Poi strinse la mano di Riku, respirando profondamente, e lo guardò.
“Ho bisogno che tu mi faccia un favore. Una cosa che solo tu puoi fare.”
Lei annuì debolmente.
“Re Mickey e Sora sono le persone di cui mi devo fidare di più al mondo, perché sono le persone che potrebbero dovermi uccidere.”
“Ma Sora non…!”
Lui le mise un dito davanti alla bocca, senza toccarla.
“Come te, lui preferisce non pensarci. E’ ovvio. Ma Sora è consapevole dei propri doveri, e io ho fede in lui. Ho fede nel fatto che se dovessi tornare un Heartless, o qualsiasi cosa anche peggiore, nel momento decisivo lui non esiterebbe a trafiggermi il cuore con il suo Keyblade.”
Kairi scostò bruscamente lo sguardo e chiuse gli occhi.
Avrebbe potuto essere almeno un po’ più delicato nel dire certe cose.
Cercò di farsi forza, e di tornare a guardarlo, respirando profondamente.
“Ma noi conosciamo Sora. Sappiamo benissimo che temporeggerebbe, che si ostinerebbe a cercare qualsiasi altra soluzione, e senza rendersene conto metterebbe in pericolo la vita di un sacco di persone innocenti continuando a rimandare lo scontro decisivo. E’ per questo che devi promettermi che tu sarai al suo fianco e lo convincerai ad uccidermi.”
“…che cosa?” gli domandò incredula, guardandolo quasi con rabbia.
“Se sarai tu a dirglielo, lui non esiterà. Tu dovrai essergli vicina. Dovrai spingerlo quando sarà il momento e assolverlo quando sarà tutto finito. Solo tu puoi dargli quella forza, nessun altro.”
Kairi, agitata, si mise sulle ginocchia.
“Non puoi chiedermi una cosa simile! Non puoi!”
“Non sei forte abbastanza. Dovevo immaginarlo.”
Lei scosse la testa e gli afferrò le spalle.
“No! Lo sono! E’ solo che non voglio!”
“Hai idea di che cosa significherebbe per lui affrontare una cosa simile da solo? Se sei forte abbastanza, devi prenderti una piccola parte di quel peso, e assicurarmi che sarai lì per spronarlo.”
Spronarlo? Stiamo parlando della tua vita, non di una gara di corsa!”
“Hai ragione, è la mia vita. E se qualcuno deve uccidermi, voglio che quella persona sia Sora.”
“Non dovrà ucciderti proprio nessuno! Noi troveremo un modo, noi…”
“Questo è esattamente l’atteggiamento che non devi avere!” la sgridò, e le prese il viso tra le mani.
Lei si sforzò con tutta se stessa di non scoppiare a piangere.
Riku si avvicinò e la guardò seriamente negli occhi.
“Ti sto affidando la mia vita, Kairi. E cosa ancora più importante, ti sto affidando la vita del mio migliore amico. Lo so che è un peso enorme, ma io ti conosco. So che sei forte, fortissima. Ce la puoi fare, ma devi promettermelo. Promettimi che non farai sciocchezze e spingerai Sora a fare il suo dovere.”
“Non posso…”
“Per favore.”
“Riku” gli sorrise, tremando “Mi stai dicendo che devo andare da Sora e dirgli forza campione, ficca la tua chiave gigante nello stomaco del nostro più caro amico e andiamo a festeggiare?
“Nel cuore sarebbe meglio. Vai sul sicuro.”
Kairi tremava come una foglia e si strinse nelle braccia, anche se il sole cominciava a diventare caldo.
Riku la abbracciò.
Lei lo strinse forte, e sentendo tutta la forza del suo corpo muscoloso, l’ampiezza della sua schiena solidissima, la presa salda delle sue braccia che sembravano poter trattenere qualsiasi cosa, le sembrò ancora più ingiusto che al mondo ci fosse qualcosa di così orribile e potente da poter piegare persino lui.
Non era giusto, ma se così doveva essere, lei e Sora sarebbero stati al suo fianco.
In qualsiasi momento, lei e Sora sarebbero stati i suoi alleati.
Anche in un momento terribile come quello…loro sarebbero stati lì per lui.
“Te lo prometto…” gli disse sul punto di piangere.
“Ne sei sicura?”
“Lo sono” un singhiozzo asciutto “Te lo prometto, ma non vuol dire che non tenteremo fino all’ultimo momento di trovare un’altra strada.”
“Kairi…”
Lei prese il respiro e si separò leggermente da lui, pur restando in ginocchio, tra le sue braccia.
“Adesso sei tu che devi guardarmi.”
“Ti sto guardando.”
Lei annuì e cercò di riordinare i pensieri. Chiuse gli occhi e li riaprì.
“Tutte le volte che ti guardo, io vedo il tuo cuore.”
Gli scostò delicatamente la frangia da davanti agli occhi, ma appena allontanò le dita questa scivolò nuovamente davanti. Persino i suoi capelli erano ostinati, e le venne da ridere.
“Vedo qualcuno che ha tentato e ritentato l’impossibile per salvarmi quando non avevo il mio.”
Riku provò a parlare, ma questa volta fu lui a zittirlo premendogli un dito sulle labbra.
“Vedo qualcuno che ha continuato a vegliare su di me anche quando non lo sapevo. Vedo chi invece di continuare a trattarmi come una bambina mi ha dato un’arma e la possibilità di difendermi da sola. Vedo che zoppichi ancora per aver protetto Sora da quel colpo di Xenmas. Vedo che nemmeno l’oscurità è riuscita a spezzarti. Vedo che anche quando parli di perdere la tua vita, il tuo pensiero va a noi.”
Gli sorrise e tornò ad abbracciarlo, posando appena una guancia contro i suoi morbidi capelli bianchi.
“Te lo prometto. Se non ci fosse più nessun’altra alternativa, io sarò la persona che dirà a Sora di farla finita. Ma fino a quel momento, dovessimo arrivare a bussare alla porta di Dio, noi tenteremo di tutto. Non dovrai mai pensare che ti abbiamo abbandonato, non lo permetteremo mai. Due anni fa eravamo tutti troppo piccoli, troppo impreparati a quello che stava succedendo, e ne siamo stati travolti. Ma qualsiasi cosa succeda da oggi in poi, noi staremo insieme, e vinceremo.”
Gli accarezzò lentamente i capelli con le dita, e sorrise contro la sua nuca.
“Io e Sora abbiamo fiducia in te, ma tu devi avere fiducia in noi. In qualunque posto andrai, noi ti riporteremo indietro. Non devi avere paura. Ti troveremo, te lo prometto. Ti troveremo sempre…”
Riku la strinse più forte, e Kairi lo sentì tremare tra le sue braccia.
Era così piccola e debole rispetto a lui, eppure adesso che lo teneva così, nascosto contro il suo petto, le sembrava di essere davvero diventata forte abbastanza da non essere più un peso per loro.
E’ la consapevolezza ti rende forte. Proprio come aveva detto Riku.
“Non avere paura…” gli ripeté dolcemente.
E in quel momento ne fu assolutamente sicura – succedesse pure tutto quello che doveva succedere, loro erano pronti. Loro ce l’avrebbero fatta.

and during the struggle
they will pull us down
but please, please let’s use this chance to
turn things around

and tonight we can truly say
together we’re invincible

Sora era seduto sul molo da almeno un ora, e faceva nervosamente dondolare le gambe per non lanciare via la canna, buttarsi in acqua e prenderli a mano, quei maledetti pesci. Il problema però sarebbe diventato l’inverso: ne avrebbe presi troppi, e o li ributtava in mare –cosa un po’ seccante- o li portava a casa da sua madre, che sentendosi male all’idea di pulirli gli avrebbe detto come al solito “perché non ne lasci qualcuno anche ai marinai, Sora?”
Un ombra lo coprì, e si allungò increspata sull’acqua cristallina.
Tirò indietro la testa e incontrò lo sguardo di Riku che gli disse: “Chi tocca prima la stella?”
Sora annuì con entusiasmo e abbandonò la canna da pesca.
Kairi li aspettava alla partenza, e quando arrivarono li salutò e si mise sulla linea.
Lui la raggiunse, guardò Riku un po’ spaesato, poi guardò lei e chiese: “Non ci dai il via?”
“Da oggi in poi, Kairi corre” rispose Riku, posizionandosi.
Sora continuava a non capire e fece una mezza smorfia: “Ma si farà male a cercare di starci dietro.”
“Oh, Sora, fatti gli affari tuoi!” si lamentò lei, prendendo un pugno di sabbia e lanciandoglielo dietro. Lui chiuse gli occhi, riparandoseli con un braccio, e si mise sulla linea.
Riku guardò Kairi e le sorrise, complice.
“Non succede niente, anche se cade e si fa male.”
“Infatti” lo supportò lei, e fece un sorrisino di sfida “Guarda invece di correre seriamente, perché ho intenzione di cominciare a batterti il più presto possibile, Sora!”
“Non succederà mai!” sbottò lui, buttando indietro la sabbia con un piede come i tori che prendono la rincorsa.
Wakka e Tidus si stavano lanciando un pallone da Blitzball poco lontano da lì. Riku li chiamò e loro li raggiunsero.
“Ci date il via?”
“Yo, ma non lo fa Kairi?” rispose Wakka, guardando la ragazza.
“Corro anch’io!” s’intromise Tidus, ma Riku lo guardò come se fosse spazzatura e gli disse: “Sta lontano, chi ti vuole.”
Lui cominciò a piagnucolare e Sora gli rise in faccia. Lui era sempre stato l’unico in grado di stare al passo di Riku in qualcosa, e anche se perdeva continuamente, questo l’aveva sempre reso particolarmente fiero.
Wakka si grattò indeciso la testa: “Non date un vantaggio a Kairi?”
Lei sbuffò: “Lasciatemi in pace, voglio perdere con dignità!”
Riku fece un ghigno: “La domanda è se Sora riuscirà comunque a perdere contro a uno zoppo e una ragazzina.”
“La domanda è se dopo essere arrivato primo Sora ti romperà il muso con un pugno, e poi tu sei zoppo solo quando ti fa comodo!” – e ordinò a Wakka di dare quel maledetto via.
“Ya, ya…” disse quello poco convinto, legandosi meglio la fascia sulla testa, e si avviò verso la postazione da dove l’arbitro poteva vedere bene il tragitto per controllare che non ci fossero scorrettezze.
Sora intanto scrutava attento il profilo aguzzo di Riku, la pelle del suo viso che era sempre rimasta chiarissima nonostante vivessero su un’isola e fossero sempre sotto il sole.
Da quando erano tornati dal castello non aveva più sorriso nemmeno per far piacere a loro. Finalmente sembrava stare un po’ meglio, non adoperava più quel mezzo ghigno sarcastico con cui camuffava il risentimento dietro all’ironia, e in generale sembrava molto più vitale.
Sorrise tra se e se, contento di questo cambiamento, anche se un po’ risentito per non aver potuto in nessun modo favorirlo. Ma non era la soddisfazione personale di Sora ad essere importante, adesso. L’importante era che Riku tornasse a ridere di cuore, e in qualsiasi modo ci fosse arrivato non faceva differenza.
Gli bastava stargli vicino, e aspettare.
E se le cose si mettevano così, chissà, forse non avrebbe dovuto aspettare ancora per tanto…ma in qualunque modo sarebbe andata, lui sarebbe rimasto lì. Ci fossero voluti anche mille anni. Finché Riku c’era, lui e Kairi ci sarebbero stati. E insieme prima o poi avrebbero riso di nuovo come prima di partire.
Wakka cominciò il conto alla rovescia.
Quando diede il via scattarono tutti e tre insieme, e naturalmente Riku li distanziò immediatamente. Sora salutò Kairi e lo raggiunse, e quando gli fu abbastanza vicino entrambi si girarono a guardare che lei ci fosse ancora, e lui si stupì nel vederla molto meno lontana di quanto non avrebbe pensato. Kairi nascondeva sempre qualche sorpresa. Poi Sora guardò Riku, che conosceva a memoria il percorso e non aveva nemmeno bisogno di guardare avanti, e vedeva il modo in cui la osservava, sereno, come se fosse stato fiero di lei. Gli venne voglia di tormentarlo, e gli gridò che se si distraeva la scala era sua, e lo superò. Un attimo dopo Riku lo superò a sua volta, salì prima di lui sulla scala, e ovviamente lo bruciò nel raggiungere la stella. Quando anche lui c’era quasi, entrambi si fermarono per controllare che Kairi afferrasse bene il legno e non cadesse giù dalla torre; lei invece, che era più leggera di loro, percorse velocissima il filo, e quando arrivò dall’altra parte strillò: “Che cosa fate lì impalati?!”
“Tanto ormai ho vinto!” rispose Riku salutandola con una mano, e Sora ne approfittò per sorpassarlo.
Arrivarono al traguardo praticamente insieme, ma Riku lo tagliò prima. Sora prese a lagnarsi dicendo che era solo perché aveva le gambe più lunghe, e che non era giusto, dovevano rifarlo.
“Anche subito.”
Sora prese il respiro, anche se non era per niente provato dalla corsa. Ormai raggiungere la stella non era più difficile, e poteva fare anche tutto il percorso urlando e saltando. Ma era comunque stanco, non sapeva perché.
“Un attimo, facciamo riposare la povera Kairi.”
“Sì, la povera Kairi, certo.”
“Che cosa vuoi insinuare?!”
“Niente, figurati…”
Riku si sedette per terra, e dopo solo un attimo di esitazione si sdraiò. Sora accolse l’idea con entusiasmo e si mise lì vicino, poi aprì le gambe e le braccia e cominciò a muoverle per fare gli angeli nella sabbia.
Il mare profumava in modo particolare, quel giorno.
Una volta non ci faceva caso, ma da quando erano tornati aveva imparato a notare tutti i cambiamenti d’umore del mare, e per quanto fosse stupido, a volte pensava che Riku e il mare si somigliassero.
Non c’era modo di prevederli, ma qualsiasi cosa facessero gli faceva dire ah, ecco.
Lo facevano sentire a casa.
“Sora?”
“Yep?”
“Ti ricordi quando eravamo piccoli e giocavamo a nascondino con tutti gli altri bambini delle isole?”
Sora chiuse un occhio, e con un braccio si riparò dai raggi del sole.
“Certo. Ero l’unico che riusciva a trovarti.”
“Lo sei ancora.”
Sora sbatté gli occhi e girò il viso per guardarlo.
Riku gli sorrise.
“Uaah, sono ancora viva!”
Nemmeno il tempo di alzarsi, che una Kairi trafelata, distrutta e tutta rossa si era buttata tra di loro a pancia in sotto, riempiendosi i capelli e una guancia di sabbia.
Disse con uno sforzo tremendo: “Non…avete…neanche…il fiatone…vi odio.”
“Te la sei cavata bene, però.”
“Certo che…me la cavo bene…!”
“Se puoi farlo tu, Sora, Kairi può farlo sicuramente meglio.”
“Ecco…appunto…”
“Ehy, smettetela di fare comunella contro di me!”
Kairi ridacchiò e li pregò: “Non fatemi ridere, non ho…abbastanza…aria” –faticosamente, come una tartaruga, si girò come loro e chiuse gli occhi per il sole. Fece un sorriso sereno: “Che bell’aria, oggi…”
Sora si stiracchiò e annuì.
Sotto l’immensità di quel cielo azzurro, un azzurro che sembrava assurdo dirlo, visto che teoricamente tutti i mondi condividono lo stesso cielo, ma lui non l’aveva visto mai da nessun’altra parte. Nei mondi più colorati, come nei mondi più assolati, nessun cielo era limpido e terso come quello di casa sua.
Pensando a questo, chissà perché, Sora capì che anche se Riku era quello che aveva sofferto di più in tutto quel tempo, ciascuno di loro dentro il cuore portava qualche piccola ferita. Qualcuna minuscola, insignificante, qualcuna un po’ più grande, che bruciava un po’ di più.
Ma piano piano quel mare che amavano tanto le avrebbe disinfettate, e le ferite sarebbero diventate tante microscopiche cicatrici bianche, e senza più dolore sarebbero rimasti solo i ricordi, e la sensazione di essere riusciti a tornare, alla fine, e quindi che cos’altro poteva importare?
Per questo, Sora non aveva fretta.
Si mise a sedere e guardò Kairi, che aveva ancora un’espressione stanca e serena come solo dopo una lunga corsa, poi guardò Riku; i suoi occhi erano chiusi, e di tanto in tanto se li sfregava perché la frangia sospinta dal vento gli faceva il solletico.
Sora si sdraiò di nuovo e pensò che sì, non aveva nessun motivo per preoccuparsi, perché Riku come sempre aveva ragione: era lui l’unico che lo trovava.
E potevano fidarsi, lo sarebbe stato sempre.

***

Note incoerenti dell’autrice
E anche l’Iris è andato >_< Come al solito ho tenuto il significato e ho fatto fare una guest starring al fiore <3 Ci tengo che compaia almeno una volta come strizzatina d’occhio al tema. Ovviamente, si parla sempre dei 35 Flowers di True Colors.
Detto questo: SoRiKai is love <3
Quando scrivo storie che devono essere così fedeli alla trama originale cerco anche di adattarmi al registro del gioco, quindi spero che i dialoghi -con le licenze dei casi- siano quantomeno credibili nel loro essere ostinatamente semplici e puliti XD
Per il resto, che dire, si tratta di una lettera d’amore a Riku dai suoi amici, in pratica XD Come stupirsene: Riku è il personaggio meglio riuscito di Kingdom Hearts, quindi può essere solo adorato u_u
L’idea per questa storia (che è in fin dei conti la versione pucci di “Hidamari”) è nata per colpa della mia amica Sciapy è_é che mi ha mandato la discografia dei Muse e ha permesso così che ascoltassi Invincible. Quindi, come al solito, avete davanti una fic-capriccio. Dovendone scrivere minimo quindici, comunque, ben vengano i capricci (per la cronaca, a dispetto dell’ordine e dei tempi di pubblicazione, “Unbreakable” è la quinta storia di questo theme set che scrivo).
Un’altra menzione va ad una fanfic inglese che sto prontamente traducendo per voi <3 che si intitola “The Music Box”. In quella storia Re Mickey viene a mancare (*awh*) e Sora in quanto a Keyblade Master deve prendere il suo posto a palazzo. I suoi amici ovviamente non ci pensano un attimo e rimangono con lui, ma questo mette Riku sotto gli occhi sospettosi dei nobili, che non ripongono nessuna fiducia nel “ultimo cavaliere di Maleficent” e per tanto rendono la vita impossibile anche a Sora. Non avevo mai pensato a questo aspetto della vicenda, quindi grazie a “The Music Box” e attendete di leggerla, perché è strana ma adorabile <3
Infine, nonostante la song che regge la fic sia “Invincible”, io l’ho scritta intervallandone soprattutto un’altra che mi piace tantissimo ;_; “Everytime I see you” aka “Bizzarre love triangle”, cantata da Jewel (sebbene la versione originale sia di qualcun altro di cui ora mi sfugge il nome, abbiate pazienza XD). Da qui la frase ripresa all’inizio, everytime I see ou falling I get down on my knees and pray. La canzone comunque, nonostante i diversi spunti, temo parli di un tradimento continuativo ai danni di una terza persona, quindi non è il nostro caso…”XD
…adesso basta puccioserie, Caska, fai una angst ambientata in quartiere a luci rosse tra droga e prostituzione minorile, accidenti!! (c’è una storia così per ogni fandom, non vorremo mica privarcene in questo)
Bye bye :*
 

  
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