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Autore: Astry_1971    10/03/2007    1 recensioni
“Solo in quel momento, Severus si rese conto che il responsabile di quell’orrore era ancora in quella stanza. Sollevò lo sguardo e la vide: una giovane donna era rannicchiata in un angolo e fissava il Mangiamorte tremando e mugolando qualcosa di incomprensibile.”
Questa storia si svolge durante gli anni che precedono la morte dei Potter e la caduta di Voldemort.
Severus Piton è un giovane Mangiamorte alle prese con i suoi rimorsi e un amore impossibile. Sarà un Piton insolito, un Piton ragazzo, che commette errori, che ha paura e che farà quelle scelte sbagliate che lo renderanno, in futuro, l'uomo tormentato e solo che tutti conosciamo. Gli avvenimenti narrati si svolgono dopo il sesto libro della saga di Harry Potter e prescindono, ovviamente, dal settimo libro, ancora inedito.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lucius Malfoy, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Cara Akiremirror,mi spiace che gli uccelletti non ti abbiano rasserenata abbastanza, perché ti aspetta un capitolo molto brutto, e un po’ di aria fresca poteva disporti meglio alla lettura. Spero che tu sia pronta ugualmente. Sì, quello di Iris è vero amore, come quello di Severus, il fatto che non possa toccarla, nulla toglie alla forza del sentimento che li lega, e non uso il termine “legare” a caso. Ma non posso dire troppo, comunque la tua domanda sulla quercia è interessante, hai paura a chiedere e io ti dico che fai bene ad averne. Ti posso solo dire che lì accadrà qualcosa (di bello? Forse) e che Severus ci tornerà.

Buona lettura!


CAP. 9: Il volto dell’inferno

Il cuore batteva all’impazzata, fin quasi a fargli male: stava correndo, fuggiva come un bambino, incurante dei passanti che lo fissavano stupiti.
Un malcapitato, che aveva incrociato involontariamente la sua strada, si era ritrovato in terra imprecando.
“Ehi, ma sei pazzo? Guarda dove vai.”
Severus non lo aveva degnato di uno sguardo: gli importava solo mettere più distanza possibile fra lui e quel vecchio.
Come aveva potuto essere così stupido?
Era finito lì per caso. Era una sera fredda e umida ed aveva deciso di concedersi qualcosa da bere alla locanda Testa di Porco.
Ne aveva proprio bisogno, non era stata una settimana facile: Voldemort continuava a sospettare di lui, forse lo riteneva un debole.
Lo aveva preso di mira: dopo il fallimento della sua prima missione, sembrava quasi che avesse deciso di prendersi cura personalmente del suo apprendistato come Mangiamorte o, più semplicemente, si stava divertendo in attesa di vederlo crollare. Probabilmente non aveva mai creduto alle sue menzogne e sapeva benissimo cosa significasse per lui uccidere.
Sembrava che volesse scoprire fino a che punto avrebbe potuto spingerlo: vederlo uccidere a sangue freddo non gli bastava più, troppo rapido, no, il supplizio doveva durare a lungo e non solo per le vittime.
Ci si può abituare ad uccidere? Forse un giorno non avrebbe sentito più niente, quando avrebbe ucciso anche l’ultimo brandello della sua anima, allora non avrebbe sentito più niente, probabilmente era quello che cercava di ottenere il suo padrone.
Se ne stava lì, assorto nei suoi pensieri, coi gomiti poggiati sul tavolo traballante di quel locale di quart’ordine, sperando, forse, di affogare i suoi incubi nel grosso bicchiere che stringeva con entrambe le mani, quando Albus Silente aveva fatto il suo ingresso nella locanda.
Cosa ci faceva il Preside di Hogwarts in un posto simile?
La tentazione di sapere era stata irresistibile: senza pensarci troppo l’aveva seguito su per le scale, approfittando della confusione che in quel bar regnava sovrana.
Aveva trattenuto quasi il respiro, mentre cercava di captare ogni piccolo rumore proveniente dalla stanza dove il mago si era rinchiuso a parlare con qualcuno.
Silente non era un mago qualunque, il solo sapere che lui si trovava dietro quella porta, probabilmente ignaro della sua presenza, rendeva la cosa estremamente elettrizzante per un ragazzo dotato di una curiosità fuori dal comune.
Stavano parlando di scuola, le sue labbra si erano piegate in un sorriso carico di nostalgia: gli mancava Hogwarts.
Nonostante tutto, in confronto ai suoi giorni da Mangiamorte, quegli anni dedicati allo studio, sembravano quasi un ricordo felice.
Improvvisamente, qualcosa gli aveva fatto gelare il sangue, una voce aspra e rauca che non aveva niente di umano, aveva cominciato a pronunciare frasi senza senso.
“Ecco giungere, il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore…”
Era convinto che ci fosse solo una donna a parlare col preside, chi altro c’era in quella stanza?
Si era avvicinato ulteriormente posando l’orecchio sulla superficie tarlata di quella vecchia porta di legno, ma, improvvisamente qualcosa o, meglio, qualcuno lo aveva afferrato con poco garbo per i capelli e lo aveva sbattuto con forza contro la porta, spalancandola.
“Ehi, lasciami, lasciami!” aveva urlato, dibattendosi. “stavo solo cercando il bagno. E' proibito?”
Nello stesso istante in cui aveva farfugliato quella frase, si era già reso conto di quanto potesse essere ingenua come scusa.
Due occhi incredibilmente azzurri l’avevano fissato da dietro un tavolino. Di fronte a lui una figura di spalle, ammantata di scialli, continuava a parlare con quella strana voce, come se non si fosse accorta della sua intrusione.
“… nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato all’estinguersi del settimo mese…”
Non aveva avuto il tempo di vedere e sentire di più perché, quella stessa mano, che ancora lo teneva per i capelli, lo aveva sollevato di peso scaraventandolo verso le scale.
Aveva pensato solo a correre e si era ritrovato in strada, ringraziando di non essersi rotto l’osso del collo precipitandosi giù da quei gradini sconnessi.
Corse fino a perdere il fiato, senza neppure guardare dove stava andando. Voleva solo allontanarsi da lì il più in fretta possibile.
Ansimando, si appoggiò al muro di una vecchia casa, era fradicio di sudore, nonostante la giornata molto fredda.
Scosse il capo: come gli era saltato in mente di origliare?
“Stupido, stupido, stupido!”
Era davvero furioso con se stesso. Si sfogò prendendo a calci sassi e qualunque cosa avesse la sventura di trovarsi sulla sua strada, prima di Smaterializzarsi.
Giunto a Spinner’s End s’incamminò pensieroso su quella stretta via babbana.
Sentiva ancora addosso gli occhi del preside, quegli occhi color cielo che aveva imparato a rispettare dal primo giorno in cui aveva varcato la soglia di Hogwarts. Occhi che non avevano mai avuto bisogno di parole per insegnare, per ammonire e per lodare, per esprimere collera oppure benevolenza, ma ora? Cosa significava quello sguardo?
Aveva visto altre volte quell’espressione sul volto dell’anziano mago, non era rabbia, neppure paura e, sicuramente, non era uno sguardo di rimprovero: sembrava più addolorato che arrabbiato.
Severus era sempre stato bravo a comprendere i pensieri della gente solo guardandola negli occhi. Era una dote innata e, ultimamente, stava affinando questa sua capacità dedicandosi allo studio della legilimanzia, eppure non capiva: perché il preside non l’aveva fermato?
Era certo che quella donna, stesse parlando del suo padrone. Sicuramente, un uomo come Silente non avrebbe mai trascurato qualsiasi cosa, anche la più insignificante, che potesse riguardare l’Oscuro Signore, non con una guerra di mezzo.
Forse non era una cosa importante: la persona che aveva pronunciato quelle parole, in effetti, era un po’ stravagante. Forse era semplicemente una pazza e il preside non credeva alle sue parole anche se riguardavano la caduta del suo padrone. Probabilmente considerava questo evento impossibile esattamente come lui.
Si bloccò stringendo i pugni.
“E’ così, lui non cadrà mai!” mormorò fra i denti.
Continuava a ripeterselo da giorni, anche se Iris era convinta del contrario.
Aveva paura, una paura folle di sperare, di illudersi di poter vivere una vita serena con lei.
“Lui non cadrà mai, mi senti, vecchio pazzo? Non cadrà mai!” gridò. “Ma tu questo lo sai, non è vero?”
Certo, doveva essere questa l’unica ragione per cui stava percorrendo la via di casa e non era, invece, finito pietrificato o peggio.
Silente non era uno stupido ed era un mago potente, l’aveva lasciato andare, non c’era altra spiegazione.
Era certo che il vecchio preside sapesse della sua appartenenza alle fila dei Mangiamorte; se quella informazione fosse stata di vitale importanza non avrebbe mai permesso che un servo del Signore Oscuro fosse libero di riferire al suo padrone ciò che aveva appena sentito.
In parte fu sollevato dalle sue considerazioni, era meglio così.
Magari avrebbe potuto usare quell’informazione a suo vantaggio: convincere l’Oscuro che poteva essergli più utile come spia che come boia. Forse avrebbe rinunciato a tormentarlo con le sue prove di fedeltà.
Ma sì, per una volta, era stato fortunato, aveva finalmente qualcosa in mano. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di smettere di uccidere, sarebbe arrivato a rifiutarsi apertamente di farlo.
Nonostante Iris l’avesse quasi supplicato di non ascoltare il suo cuore, sapeva che, prima o poi, si sarebbe fatto uccidere pur di non vedere ancora una sola goccia di sangue innocente sulle sue mani.
Questa era la sua occasione, forse l’ultima: non l’avrebbe sprecata.
Sentì un improvviso calore invadergli il petto, il calore della speranza.
Era piacevole, non lo provava da tanto tempo.
Era già di fronte alla porta di casa, quando decise di proseguire fino alla fine di quel vicolo.
Il piccolo portoncino di un rosso acceso sembrò accoglierlo col suo colore festoso che, in realtà, non aveva mai amato, ma, in quel momento, trovò davvero bellissimo.
Bussò come un normale visitatore babbano e attese, con un po’ di impazienza, di vedere il volto di Iris dietro quella porta.
Tuttavia, mentre attendeva che la maga potesse raggiungere l’ingresso, ed aprire la porta senza l’uso della magia, come lui le aveva raccomandato, un dolore tristemente familiare, cancellò in un attimo l’espressione insolitamente serena del giovane: Voldemort lo stava chiamando.
Fissò per un attimo il portoncino ancora chiuso.
No, era meglio non farsi vedere: Iris si sarebbe di nuovo preoccupata per lui. La cosa migliore era lasciare che credesse ad uno scherzo di qualche ragazzino maleducato. Si Smaterializzò.


* * *



Severus trascinava i piedi, mentre si avvicinava alla sala dove i Mangiamorte si riunivano.
Era già in ritardo, ma non gli importava: non avrebbe mai voluto varcare quella soglia.
Da fuori si sentivano urla e risate: sicuramente il suo padrone aveva concesso un nuovo trastullo ai suoi servi, oppure, il trastullo sarebbe stato ancora lui.
Questo pensiero gli provocò un brivido lungo la schiena, chi doveva uccidere questa volta? Un Babbano? Un Mago? Forse un ragazzino o una donna?
Trattenne il fiato davanti a quel grosso portale scolpito, nel quale numerosi serpenti s’intrecciavano formando una strana e fitta trama che lo rendeva bello e allo stesso tempo inquietante.
Improvvisamente, la superficie bronzea si mosse con un rumore assordante che lo fece trasalire. Gli occhi del Mago fissarono i serpenti che fronteggiandosi dalle due ante si allontanavano stridendo.
L’ingresso alla sala ora era completamente spalancato. Severus era stato colto di sorpresa, non aveva ancora indossato la sua maschera: la stringeva con la mano destra, mentre con l’altra era appoggiato allo stipite.
Non era ancora pronto ad entrare, forse non lo sarebbe mai stato. Aveva cercato di ritardare il più possibile quel momento, ma ora doveva attraversare quella porta anche se avrebbe voluto solo fuggire.
I suoi occhi individuarono immediatamente quella scena tristemente familiare: i suoi compagni erano riuniti in un cerchio. Erano talmente vicini l’uno all’altro che era impossibile vedere al centro di quell’anello di tuniche nere, ma, il giovane, immaginava quale terribile visione si celasse dietro quel muro di uomini.
Quando il cerchio si aprì come un sipario, però, Severus non riuscì a credere a quello che i suoi occhi stavano vedendo: se l’inferno avesse avuto un volto diverso per ognuno, ora lui stava guardando il suo.
Sentì la nausea salirgli in gola soffocandolo: una donna era rannicchiata per terra, i capelli lunghi e neri sparsi sulle pietre macchiate del suo stesso sangue.
Si mosse, appoggiandosi su i gomiti, sollevò piano la testa volgendosi verso di lui.
Severus pregò, scongiurò il cielo di poter morire in quello stesso istante, prima di vedere quel volto, prima di veder confermata la sua paura.
Due gemme scure lo fissarono: Iris, la sua Iris lo stava guardando.
No! Tutto, ma non quello, le sue dita presero a stringere la maschera d’argento fino a fermare la circolazione del sangue.
Ma come avevano fatto a trovarla? In che cosa aveva sbagliato?
Il mago era come pietrificato, non riusciva a pensare, a ragionare con lucidità.
Fortunatamente questo suo atteggiamento fu scambiato per semplice freddezza, il suo volto, appariva rigido e impassibile.
Si guardò lentamente attorno, Voldemort era seduto come sempre sul suo trono e osservava la scena con un’espressione quasi annoiata.
Improvvisamente capì: il Signore Oscuro non sapeva nulla di Iris. Per lui, quella donna in terra era solo l’ennesimo divertimento per i suoi servi, solo un’altra vittima, un numero, e l’ennesima prova per lui. Questa volta il suo padrone gli avrebbe chiesto di esibire la sua fedeltà di fronte ad un pubblico.
Di nuovo, un conato di vomito salì a bruciargli la gola: la sua Iris si trovava lì, aspettando che lui la uccidesse, solo per un caso, un maledettissimo caso.
Non capiva, non riusciva a crederci, il suo sguardo si posò su ognuna di quelle orride maschere che lo fissavano, i suoi compagni erano tutti presenti: dovevano aver saputo della maledizione, nessuno doveva averla toccata.
Ci volle molto poco al giovane Mangiamorte per realizzare che non c’era modo di uscire da quella situazione, non aveva modo di salvarla, era finita.
Ciò che aveva fatto era stato del tutto inutile. Aveva ucciso e aveva continuato a farlo, aveva disperatamente ed ingenuamente cercato di convincere il suo padrone della sua fedeltà, solo aggrappandosi alla folle speranza di poter vedere la fine di quell’incubo, ma non avrebbe immaginato che sarebbe stata quella la fine, sì, perché quella sarebbe stata la fine per entrambi: non poteva salvarla, ma poteva morire con lei.
Guardò gli occhi spaventati di Iris, non gridava, probabilmente non aveva più la forza di farlo, sembrava addirittura non riconoscerlo. Cosa le avevano fatto quei mostri?
Fece un passo verso di lei. Gli altri Mangiamorte continuavano a fissarlo, cercò di ignorarli.
Voldemort aveva predisposto tutto: il palcoscenico, il pubblico e gli attori, come sempre, ma, questa volta, sarebbe stato diverso, lui non avrebbe fatto di quella morte uno spettacolo per quelle bestie.
Il fatto che il Signore Oscuro non sapesse chi fosse quella ragazza, almeno, gli dava il vantaggio di poter agire liberamente, ammesso che cercare di ucciderla in fretta si potesse considerare come agire liberamente.
Non aveva scelta: se solo avessero immaginato la verità, probabilmente lui sarebbe già stato immobilizzato e costretto a guardarla morire sotto chissà quali torture. Voldemort sapeva bene come ripagare i traditori.
Si maledì per non aver indossato la maschera al suo ingresso, mentre era costretto a fingere per l’ultima volta. Mai come in quel momento avrebbe avuto bisogno di nascondere il suo viso permettendo al dolore di deformarne i muscoli, come la natura bonaria concede a tutti gli esseri.
A lui non era permesso neppure quello.
Rese di pietra i suoi lineamenti e ciechi i suoi occhi, perché non tradissero la minima emozione, voltò le spalle alla donna e al cerchio dei Mangiamorte e si avvicinò al trono, dove l’Oscuro Signore attendeva di essere omaggiato.
S’inginocchiò afferrando l’orlo della tunica del suo Signore. Non lo sollevò, come era solito fare, ma si chinò fino al pavimento per baciarlo, quasi a voler punire se stesso per il suo fallimento, con questa umiliazione: aveva sbagliato e ora avrebbe pagato il suo errore.
Un silenzio irreale lo avvolgeva o, forse, era lui a non sentire più le risate crudeli dei suoi compagni, era come se non esistessero più, nella voragine tenebrosa in cui era precipitato ora esistevano solo lui ed Iris.
Si avvicinò lentamente al gruppo di Mangiamorte che si spostarono formando due ali nere al suo passaggio: il loro divertimento stava per cominciare.
Strinse il pugno intorno alla bacchetta.
Sapeva quello che doveva fare: l’avrebbe abbracciata, avrebbe stretto finalmente il suo fiore tra le braccia, e l’Avada Kedavra li avrebbe uniti per sempre.
Iris sembrava così stordita e sfinita da non comprendere quello che stava accadendo attorno a lei.
Forse era meglio così, pensò il Mago, ora poteva solo ucciderla, e non poteva neppure chiederle perdono.
Si chinò su di lei, il viso era irrigidito in una smorfia di disgusto, ma i suoi occhi non poterono fare a meno di infiammarsi incrociando quelli di lei: l’amava e non glielo aveva mai detto.
Perché doveva finire così? Se solo avesse potuto parlarle, gridare davanti a tutti che l’amava più della sua stessa vita.
Dovette stringere i denti fino a farsi male per impedirsi di pronunciare il suo nome per l’ultima volta.
Iris, il nome più bello che avesse mai sentito.
Lasciò scivolare la maschera a terra, le mani tremavano, ma non cercò di nasconderlo: Voldemort era dietro di lui e non poteva vederle. Per gli altri lui era solo un giovane Mangiamorte alle prime armi, era normale che fosse emozionato, perché, togliere la vita ad un essere umano, per loro era una cosa emozionante.
Cercò di contrastare la nausea, poi il suo viso si contrasse come colto da una fitta: finalmente un grido straziante squarciò il silenzio, trapassando la sua testa come una lama, ma era un grido che nessuno poteva sentire, era quello del suo cuore, un grido di dolore e di odio per quel mostro che aveva chiamato maestro, e per se stesso, per ciò che era diventato, ed era anche una disperata richiesta di perdono per quello che stava per fare, e per quello che aveva fatto a tanti innocenti, l’inutile e tardiva preghiera di un assassino, una supplica che non sarebbe mai uscita dalla sua bocca serrata e che Iris non avrebbe mai ascoltato.
Stava per stendere il braccio verso di lei, ma si bloccò, la mano tesa, come paralizzata.
Severus sapeva che, nel momento in cui avrebbe toccato la maga, gli sarebbe rimasto appena il tempo di pronunciare l’Avada Kedavra, prima che la maledizione di Iris lo uccidesse: voleva guardarla ancora un istante, un ultimo istante.
Brontolii d’impazienza si alzarono dal cerchio: i Mangiamorte reclamavano il loro sangue.
Bestie, ecco cos’erano e lui era diventato uno di loro, li aveva considerati amici.
Avrebbe voluto sputargli in faccia tutto il suo disprezzo, ma ora solo Iris era importante, più importante della sua rabbia e del suo orgoglio.
Improvvisamente, Lucius Malfoy si chinò verso la maga, ridendo.
“Allora, quanto vuoi farci aspettare ancora, Severus?” mormorò con la sua solita voce strascicata.
Gli occhi di Piton saettarono in quelli di ghiaccio del suo amico, ma l’odio si trasformò immediatamente in incredulità, Lucius aveva appena steso la mano afferrando la ragazza per i capelli.
Severus scattò indietro: Lucius la poteva toccare, non era possibile, quella non era Iris, non poteva essere lei.
Il Mago biondo non notò il lampo negli occhi dell’altro e seguitò a schernirlo:
“Pare che spetti a te l’onore di finirla, non ci deluderai, spero?” disse pulendosi le dita con una smorfia di disgusto.
Piton si sentì improvvisamente soffocare, emozioni diverse lo assalirono.
Non aveva neanche sentito le parole di Malfoy, dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non lasciar trasparire ciò che provava in quel momento, in pochi istanti la disperazione e la rabbia si erano trasformati in sollievo e persino in una egoistica gioia. Lui stesso ne fu disgustato. Una donna stava per morire, il fatto che non fosse la sua Iris non gli dava il diritto di gioire, ma non poteva farne a meno: Iris era salva.
Si voltò lentamente verso Voldemort, il mago cominciava ad essere spazientito dall’attesa, ma sembrava non aver capito quello che era successo: se qualcuno gli aveva preparato quella trappola, non doveva essere stato lui.
Il suo Signore lo guardava con aria curiosa, si era sporto dal suo trono, appoggiandosi ad uno dei braccioli e si teneva il mento fra le lunghe dita. Attendeva silenzioso che il suo servo portasse a termine il suo compito.
Severus guardò di nuovo la ragazza, sembrava davvero la sua Iris, qualcuno doveva aver usato la Pozione Polisucco.
Poi decise: non era Iris, ma non poteva fare ugualmente quello che tutti si aspettavano da lui, non l’avrebbe torturata fino alla morte per la gioia di quei cani, non perché somigliava alla ragazza che amava, ma perché non l’avrebbe più fatto, mai più.
Fece col capo un cenno deciso a Lucius, perché si allontanasse dalla giovane, si chinò su di lei e la sollevò da terra. Circondandola con un braccio la strinse contro il suo petto per trattenerla in piedi. La poveretta era a malapena cosciente, poggiò la fronte sulla spalla del mago.
Tutto avvenne in pochi istanti, il giovane Mangiamorte, portò la mano che stringeva la bacchetta dietro la schiena della ragazza, e avvicinò le sue labbra all’orecchio di lei, sussurrando, la voce simile ad una carezza, poche, terribili parole:
“Perdonami, Avada Kedavra!”


* * *



Il corpo esanime della donna scivolò lentamente a terra sostenuto dalle braccia di Piton.
Gli occhi del mago corsero ad incontrare quelli di Malfoy. L’amico fissava senza fiato un punto alle sue spalle.
Severus capì che Voldemort era in piedi dietro di lui, le sue intenzioni si potevano leggere facilmente nello sguardo terrorizzato di Lucius.
Senza voltarsi, il Mago bruno, strinse gli occhi, preparandosi a ciò che sarebbe arrivato solo dopo pochi istanti: un’ondata infuocata colpì la sua schiena, scaraventandolo a terra.
Non aveva neanche sentito il suo padrone pronunciare la maledizione, ma sapeva che quella era la Cruciatus.
Voldemort non l’aveva mai usata contro di lui, capì quanto era stato fortunato fino a quel momento.
Prese a contorcersi al suolo, cercando disperatamente di allontanare quel dolore, gli sembrava di aver preso fuoco.
Malfoy fissò, pietrificato dal terrore, il suo migliore amico che, scosso come da convulsioni, continuava a sbattere la testa contro le pietre del pavimento, il suo corpo pareva muoversi indipendentemente dalla sua volontà.
Aveva assistito altre volte al supplizio della Cruciatus, aveva sempre riso di fronte alle grida delle povere vittime. Più volte lui stesso l’aveva usata, aveva goduto di quel dolore, un dolore che non aveva mai provato sulla propria pelle.
Ora però era diverso, era il suo amico a dimenarsi sotto quella tremenda tortura, ebbe paura.
Severus non gridava, solo un gemito acuto e prolungato sgorgò dalla sua gola, quando, improvvisamente, Voldemort sollevo la bacchetta interrompendo quel tormento.
Il Mago si ritrovò supino e fradicio di sudore. Mosse appena le labbra, il sapore ferroso del sangue gli riempiva la bocca, si era morso la lingua.
Sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco la figura vestita di nero sopra di lui, non ci riuscì, ma sapeva che il suo Signore era lì che lo guardava, forse gli avrebbe chiesto una spiegazione e lui avrebbe cercato di inventare l’ennesima menzogna, per salvarsi la vita.
Stavolta non l’avrebbe fatto per se stesso: doveva sopravvivere per correre dalla sua Iris. Chiunque fosse stato a preparare la trappola della Pozione Polisucco, sapeva che era stato lui a nasconderla, Iris era in pericolo, doveva avvertirla.
Cercò di voltarsi su un fianco, tremava.
Faticosamente si mise in ginocchio e attese che Voldemort parlasse per primo.
“Mi hai deluso, Severus.” la voce di Voldemort era un sussurro, si chinò fissando gli occhi sofferenti dell’altro.
“Spiegati!” soffiò.
“Mio Signore… oggi… ero venuto a portarvi gravi notizie.” si pulì con la manica il sangue che continuava a colargli dalla bocca.
“Dovevo parlarvi, dovevo parlarvi da solo.” lanciò ai Mangiamorte di fronte a lui uno sguardo carico di disprezzo.
“Tu mi hai disubbidito.” tuonò Voldemort, puntando di nuovo la bacchetta contro di lui.
Severus fece appello a tutta la forza che gli era rimasta e drizzò orgoglioso la schiena fissando negli occhi il suo padrone.
“Io sono sempre stato un vostro fedele servitore, e voi mi avete appena dato un dolore. Il mio più grande dolore è sapere che non vi fidate di me. Voi mi umiliate chiedendomi di esibirmi con queste dimostrazioni di fronte ai miei compagni. Se ho sbagliato in qualche cosa, se non vi ho servito bene punitemi, ma non fate della fedeltà di un servo uno spettacolo da circo.”
Le labbra di Voldemort si piegarono in un ghigno soddisfatto, si voltò verso i suoi adepti che ad un suo cenno si Smaterializzarono immediatamente, dopodichè s’incamminò lentamente e solennemente verso il suo trono e si rimise a sedere.
“Siamo soli, parla.”
Severus raccontò quello che aveva sentito alla locanda, augurandosi che il suo padrone trovasse le parole di una pazza sufficientemente interessanti da lasciarlo in vita.
Quando finì di parlare, attese in silenzio e col capo chino.
Voldemort sembrò per un attimo riflettere sulle sue parole, poi artigliò rabbiosamente i braccioli scolpiti del suo trono.
“Il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore? Il solo?” Si alzò di scatto e si avvicinò al Mago in ginocchio, lo afferrò per il mento, sollevandogli la testa. Come lame roventi i suoi occhi penetrarono le tenebrose iridi del suo giovane servo.
“Nessuno può sconfiggermi, nessuno!” sibilò, poi, ergendosi in tutta la sua altezza: “Lord Voldemort non cadrà mai.” si voltò facendo ondeggiare il mantello e tornò a sedersi sul trono.
Severus lo fissava, quasi trattenendo il respiro. Immobile, attendeva di sapere se avrebbe rivisto la sua Iris. Voldemort, lo scrutava con un’espressione che il giovane Mangiamorte non sapeva decifrare. Forse le sue parole lo avevano solo ulteriormente irritato, forse aveva sbagliato. Perché non parlava, maledizione, perché continuava a fissarlo in quel modo?
Severus avrebbe voluto urlare in quel momento: se stava solo aspettando di ucciderlo perché non la faceva finita?
Improvvisamente, Voldemort parlò di nuovo, la sua voce era un sussurro, ma il giovane se la sentì scorrere addosso come una lama affilata.
“Chiunque oserà mettersi contro di me dovrà morire.” Per un attimo il mago dai capelli corvini ebbe l’impressione che un'ombra terribile oscurasse il volto di Voldemort, poi questo tornò a rivolgersi a lui con atteggiamento solenne.
“Hai fatto bene il tuo lavoro ed io so ricompensare chi mi serve bene.”
Fece una pausa poi, sporgendosi in avanti, sibilò:
“Così come so ricompensare chi mi tradisce.”
Il mago inginocchiato rabbrividì.
“Va a casa Severus Piton, non ti chiederò altre dimostrazioni.” concluse infine con noncuranza.
Severus inchinò appena il capo e si Smaterializzò.


Continua…


Siete arrivati fin qui tutti interi? Bene, vi annuncio che i guai di Severus non sono finiti. Riuscirà a salvare la sua Iris? Lo saprete al prossimo capitolo che si intitola “Tradimento e amicizia”

Ciao, a presto!




  
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