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Autore: NoceAlVento    27/08/2012    1 recensioni
Blue si svegliò sotto uno spesso strato di neve di diversi centimetri. Si alzò in piedi scrollandoselo di dosso e istintivamente si domandò per quanto tempo fosse rimasto fermo per concedere al nevischio di ricoprirlo a quel punto. Si trovava in una sconfinata piana su cui imperversava una violenta bufera di neve e le correnti d'aria, che cambiavano direzione di minuto in minuto, gli ghiacciavano il volto. Inizialmente si convinse di trovarsi nella distesa a est di Pallet Town e cercò di spiegarsi la tempesta, fino a che non avvistò, in lontananza, qualcosa di mai visto prima: un gigantesco numero nove in pietra – forse ossidiana o tectite, a giudicare dal colore molto scuro – che veniva trascinato dalle folate ora da un lato, ora dall'altro. Improvvisamente l'effigie mutò direzione di volo dirigendosi verso di lui. Blue iniziò a fuggire alla sua sinistra, ma sprofondò dopo pochi passi nella coltre immacolata su cui poggiavano i suoi piedi. Per sua fortuna tanto bastò: una corrente sospinse a metà strada il nove nella rotta opposta alla sua, allontanandolo all'orizzonte.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo del Conflitto Globale'
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I 'Opener'

T R I D U U M


* * *

~Premessa 2.0~

Non è mia pratica comune modificare le Premesse. La mia politica, quantomeno fino a ora, è sempre stata quella di scriverle all'inizio proprio per confrontarle con il Commento finale che invece è sempre composto al termine della stesura generale. Questa volta mi trovo a effettuare una eccezione – come evidenziato dall'atipica intestazione – in quanto la Premessa originale era quanto di più distante potesse esserci da ciò che Triduum si è poi rivelata essere. Quanto state per leggere, dunque, è frutto di una osservazione d'insieme maturata verso il finale del quarto capitolo. Una delle principali pecche della Premessa che avevo ideato precedentemente era che dava per scontata una conoscenza generica di quanto è il progetto che prende il nome di Ciclo del Conflitto Globale; non essendo mai stato appropriatamente introdotto, la sua presentazione è la prima cosa a cui mi dedicherò.

Il Ciclo è consto di cinque storie: Triduum, Aequor, Involutus, Dilabor e Vox, qui elencate secondo la cronologia interna, ossia secondo l'ordine di svolgimento – quello di divulgazione è invece Aequor, Vox, Triduum, Involutus e Dilabor (pur non essendo ancora state scritte, le ultime due saranno certamente pubblicate in quest'ordine in quanto sono sostanzialmente l'una il seguito dell'altra). Per quanto concerne il nome, esso è ciò che più mi ha dato da pensare. La denominazione attuale, con il Conflitto Globale decantato come tema centrale, lascia immaginare un pentateuco di racconti incentrati su una guerra, con argomenti bellici e scontri sul fronte. Nulla di più sbagliato: l'unica storia a esservi focalizzata è Dilabor, e se proprio dovessi descrivere il Ciclo lo definirei un insieme di episodi che si svolgono in uno stesso spazio-tempo. Tuttavia ritengo che il concetto di “my pokémon world” sia parecchio inflazionato ultimamente – no, d'accordo, lo è sempre stato –, e inoltre volevo evidenziare una delle peculiarità che differenzia le mie storie da altre fan fictions, ovvero la preminenza della trama. Queste considerazioni hanno poi portato allo sviluppo del titolo corrente, che rimarca quella che è una questione capitale cui, quali più quali meno, tutte le storie tendono.

La Premessa preesistente poneva inoltre l'accento su un altro aspetto che, almeno in partenza, era quanto di più fedele al racconto ci potesse essere: in poche concise parole spiegavo che Triduum era per sua natura avulsa rispetto alla trama generale del Conflitto e dunque aggiungeva poco o niente allo scopo principale del Ciclo. Con il passare del tempo, in ogni caso, questa analisi si è rivelata errata: non direi un'eresia se affermassi che questa storia, al momento in cui sto riscrivendo la presente introduzione, è la più importante nei riguardi della saga in quanto non solo introduce nuovi personaggi approfondendoli più di quanto era previsto in origine, ma mi dà occasione di spiegare e sviluppare prospettive dell'intreccio che prima erano nulle oppure appena accennate. Inizialmente avevo pensato di correggere l'asserzione nel Commento finale, tradizionalmente utilizzato quale ultima spiaggia per qualsivoglia chiarimento che non abbia trovato spazio nella narrazione principale; tanto ho scritto e tanto ho pensato, però, che una dichiarazione simile ha cessato di essere solamente non aggiornata ed è diventata enfaticamente sbagliata.

Breve appendice: come nel caso di Vox prosegue la mia linea manageriale di reinventare pressoché da zero le ambientazioni del mondo pokémon; quindi, come accaduto con la storia sopraccitata, quando entrerà in scena Pallet Town non immaginatela come nel videogioco e affidatevi invece alla descrizione che sarà fornita da Triduum. Rimanendo in tema presento anche l'acclamata Legenda anti-spoiler, ovvero riproposta in cima a ogni capitolo e diversificata per non svelare termini che compariranno solo più avanti nel racconto.


Con l'usuale augurio di non annoiarvi,

Novecento



~Legenda~

(soltanto luoghi e persone sono citati in lingua inglese; oggetti e istituzioni, con valenza retroattiva per il Ciclo, manterranno invece le designazioni italiane)

Tilde (~): indica un ampio salto temporale (per i vuoti minori lascio semplicemente una riga bianca).



Celadon City: Azzurropoli.

Cinnabar Island: Isola Cannella.

Fighting Dojo: Dojo Karate.

Lavender Town: Lavandonia.

Lilycove City: Porto Alghepoli.

Mossdeep City: Verdeazzupoli.

Pallet Town: Biancavilla.

Pokémon Mansion: Villa Pokémon (si tenga a mente che due luoghi corrispondono a questo termine: uno situato all'Isola Cannella e uno locato nel Percorso 212 di Sinnoh).

Pokémon Tower: Torre Pokémon.

Route: Percorso.

Saffon City: Zafferanopoli.

Silence Bridge: Ponte Silenzio, altro nome del Percorso 12 di Kanto.

Vermilion City: Aranciopoli.


Agatha: Agatha.

Blue Oak: Blu Oak (no, non Verde, le nomenclature rispecchiano quelle americane).

Daisy Oak: Margi Oak.

Drake: Drake.

Lance: Lance.

Lorelei: Lorelei.

Norman: Norman

Red: Rosso.


(avvertenza: ad alcuni protagonisti nel corso del Ciclo sono stati assegnati arbitrariamente cognomi, sia inventati di sana pianta che appartenenti ad altri personaggi già esistenti per evidenziare una relazione famigliare che nel contesto dei racconti intercorre tra i due soggetti in questione; in quanto questa pratica esula dai videogiochi e la Legenda si riferisce solo a luoghi e persone che vi appartengono, tali modifiche apportate non sono citate qui)


* * *


I: “Opener


L'alba si approssimava a Johto come una mano che rimuove lo scuro mantello notturno con flemma compulsiva, svelando gradualmente la figura in precedenza celata dal manto. La sera prima le ultime luci delle piccole casupole disseminate nel villaggio si erano spente in sequenza quasi regolare, una dietro l'altra, come se qualcuno ne avesse comandato l'ordine. L'aurora era ormai inoltrata in quel freddo inverno e il bagliore del sole ancora posizionato sotto l'orizzonte iniziava a inondare le inusualmente rarefatte nuvole stagliate sul firmamento che si apprestava a scomparire alla vista. Proprio da una di queste sporadiche nubi fuoriuscì senza alcun preavviso una sagoma dalle sembianze di un drago da monta che sfrecciava in picchiata in cerca di un luogo di atterraggio consono. Esso fu localizzato poi in una sporgenza alquanto ampia che aggettava dal fianco orientale della montagna che come un guardiano osservava il borgo e lo proteggeva figurativamente. Lì il viaggiatore, un giovane trentenne, scese custodendo tra le braccia un fagotto inerte. Ad attenderlo c'era un uomo più anziano di una decina d'anni che osservava pacatamente il panorama che da lì si poteva scorgere.

« Scusa per averti chiamato a quest'ora. Non avrei voluto, ma come puoi immaginare era urgente » cominciò dopo essersi ripreso psicologicamente dalla trasvolata.

« Non dormivo neanche io » replicò l'altro pensieroso « L'ho sentito, sai ».

« Sentito? ».

« Come un fremito. Un grido lancinante. Un brivido, e un boato interiore » si voltò rivelando le rughe che gli segnavano la fronte aggrottata « È successo qualcosa di tremendo. Non è così, Drake? ».

Quello abbozzò timidamente un rapido cenno di assenso.

« Di chi è figlio il bambino che hai lì? » indicò con lo sguardo il fardello che stava stringendo. D'altronde, nel contesto, quella domanda equivaleva a chiedere chi fosse deceduto quella notte.

Le parole uscirono a fatica dalla gola di Drake, quasi ogni lettera pronunciata fosse una pugnalata allo stomaco « Mio fratello ».

« Come è successo? ».

« Non ne ho idea » il giovane tratteneva a stento le lacrime « Lui e sua moglie… sono come scomparsi. A un tratto Lilycove City… insomma, dicono che sia stata avvolta dal buio totale. Nessuna luce funzionava, tutti i lampioni guasti, ed è tutto durato meno di un secondo. Io ero a Mossdeep, sono volato il prima possibile per capirci qualcosa… e non c'erano più. Solo il bambino era ancora lì ».

L'uomo ascoltò il breve resoconto con crescente ansia, non riuscendo a capacitarsi di come un evento simile si fosse verificato « Assurdo ».

Drake decise di avanzare subito la sua proposta, dal momento che ogni secondo che trascorreva lo feriva come una lama « Devi tenerlo tu ».

« A dire il vero sospettavo intendessi chiedermelo. Ciononostante non capisco perché » il signore riprese ad ammirare l'alba imminente « Non sarebbe molto più al sicuro nelle tue mani? ».

« Lo capisci anche tu che non è normale quello che è successo ».

« Questo è indubbio ».

« Sarebbe troppo pericoloso lasciare che resti a Hoenn. Qualcosa non funziona, là. Metterebbe in pericolo troppe vite ».

« Già, dimenticavo il piccolo Norman… » si lisciò i baffi meditabondo « Non so… anche io ho una figlia a cui badare. Non avrei meno preoccupazioni di te ».

« Te lo sto chiedendo come amico prima che come Superquattro » il giovane si inginocchiò, sorprendendo il suo interlocutore che lo aveva sempre visto fiero e inamovibile « Tienilo in custodia. Hoenn non è più un luogo sicuro, né per lui né per nessun altro. Qui vivrebbe una vita felice, lontana da insidie. Dicesti tu stesso a me che Johto è per sua natura calma ».

L'anziano era ancora palesemente dubbioso.

« Non dico che dovrà restare qui per sempre… solo finché non sarà pronto. So bene che tu saprai prepararlo al meglio, in fondo sei il Capopalestra più esperto che conosca ».

La replica finalmente arrivò dopo un sospiro rassegnato « Va bene. Tuttavia ho una richiesta ».

« Tutto quello che vuoi ».

« Da diverse notti ormai ho presagi terribili » l'uomo scrutava l'orizzonte, ma la sua mente era chiaramente altrove « Non ho sonni quieti. Mi perseguita sempre un'immagine di distruzione totale ».

« Che intendi? ».

« Le visioni variano, ma paiono susseguirsi come si trovassero disposte a voluta. Non ho sempre le medesime proiezioni oniriche, eppure ritorno sempre a un'apparizione di terrore puro, un qualcosa di completamente indescrivibile. Non ha forma, ma è come se alla vista istantanea di questa entità venissi pervaso dall'angoscia più estrema. Qualcosa di gravissimo succederà di qui a poco, ne sono assolutamente certo ».

« Gravissimo? Di cosa stai parlando? ».

« Non ne ho idea. È come se qualcosa nell'ordine naturale delle cose fosse stato irrimediabilmente alterato. Ciò che so di sicuro è che sarà qualcosa di agghiacciante. Non ce lo scorderemo facilmente, ammesso che saremo in grado di assistere alla fine di ogni cosa ».

« E la richiesta? ».

« È presto detto » si girò ancora una volta a osservare il bimbo infagottato « Percepisco in lui un potenziale indescrivibile, ma anche un futuro incerto. L'avvenire non è predestinato per nessuno, ma il suo mi appare particolarmente tentennante, come se fosse in precario equilibrio funambolico tra acqua e magma ».

« Precario equilibrio funan–– non puoi parlare normalmente? ».

« Se preferisci, è sospeso a metà tra bianco e nero. La sua caduta da un lato o dall'altro potrebbe essere determinante in un domani. Temo che se scoprisse quanto il fato è stato crudele con lui potrebbe a sua volta allontanarsi dalla luce. Ti chiedo il permesso di non svelargli le sue origini. Lascia che viva come fosse nativo di qui, al riparo da qualsiasi cosa abbia dato la caccia ai suoi genitori ».

« Intendi assumere un'altra identità » Drake rifletté « Saprai bene che non potrai nascondergli per sempre la verità ».

« Ne sono pienamente cosciente, ma ritengo sia meglio comunque che lui cresca lontano dal suo passato. Come hai detto tu, finché non sarà pronto ad affrontarlo ».

« Capisco. Penso si possa fare » il Superquattro gettò uno sguardo al paesaggio orientale che iniziava a brillare nel bagliore mattutino « È l'alba, è meglio che vada ». Affidò il fardello al suo amico e si voltò verso il suo pokémon, che fino ad allora aveva pazientemente atteso sorvegliando il discorso « Coraggio, Salamence, ci attende un lungo viaggio ».

L'uomo osservò l'affiatata coppia librarsi in volo e sfrecciare nel vento mattinale fino a scomparire nella nuvola rosea più vicina. Un vagito del piccolo ruppe la quiete, tuttavia si rabbonì appena il suo zio acquisito gli posò gli occhi sopra.

« Abbiamo una lunga notte davanti a noi » gli sussurrò, poi osservò una volta di più il sole che sorgeva sopra Johto « Buona fortuna ».


~


L’inizio di un viaggio è spesso migliore della fine, o così dicono coloro che ne portano a termine uno. Un’affermazione paradossale, a ben pensarci. Raramente chi parte lo fa mentre è senza problemi e si trova perfettamente dov’è: si tratta in effetti di una cerchia di persone che vede nel viaggio la propria identificazione, che ama ricercare il nuovo pur amando il vecchio. La gente comune che decide di avventurarsi verso nuovi spazi generalmente fugge da qualcosa che considera non adatto a lei. Talvolta un’ombra, talvolta il passato, talvolta il dolore.

Eppure il viaggio modifica la mente del viaggiatore. Non è detto che la maturi, anzi spesso non è così: ma è proprio dell’uomo vedere quanto possiede con un occhio diverso una volta che ne è lontano. Taluni nel mio paese chiamano questo fenomeno nostalgia, ma è un termine che non gli si addice: è più un innesco mentale, un sentimento che nasce spontaneo verso ciò che non è più la quotidianità. Accade di chiedersi perché una persona in vita venga vista come ininfluente per poi essere rimpianta e immortalata una volta deceduta. In realtà viaggio e morte sono modi diversi di chiamare lo stesso evento, anche se può essere difficile vederlo; come può essere ostica per chi ha vissuto sempre nello stesso luogo l’idea che vi sia qualcos’altro al di là dell’orizzonte su cui per tanto tempo ha seguito l’alba e il tramonto di ogni giorno.

Così come chi non c’è più sembra apparire come figura d'angelo nella memoria, così una volta raggiunta la meta l’erba di colpo non appare più tinta di quel nitido e vivo verde che avevamo visto dall’altro lato dello steccato, e ci chiediamo perché siamo partiti. Non viene da domandarsi, a quel punto, se il desiderio di ritornare sia quello effettivo di rientrare nella propria dimora, o piuttosto l’ulteriore episodio di un inseguimento di qualcosa che non troveremo mai: vogliamo di nuovo viaggiare, e rimaniamo inconsciamente intrappolati in un circolo vizioso fatto di ombre e di idee.

Ma ci sono viaggi nei quali né l’inizio né la fine hanno veramente importanza. Viaggi nei quali è l’avventura che conta, il procedimento e non il risultato, la trasformazione e non lo stato ultimo. E queste sono le partenze da ricordare, i cammini che contano e che vale la pena di vivere; gli altri non ne sono altro che gli spettri onirici.

Qualche lettore potrà dire che non esistono viaggi simili. Da parte mia, al mio paese direbbero che è solo un’altra incomprensione linguistica: lì quei viaggi li chiamano racconti.


La nostra, di storia, ha inizio in una città già nota ai più: Vermilion City. Va tuttavia precisato che la maggior parte della gente pare non conoscere fino in fondo questo luogo, limitandolo alla sola sezione costiera; il che è obiettivamente un peccato, in quanto essa è qualcosa di unico nello scenario di Kanto. Una descrizione geografica della città è dunque quantomeno necessaria non tanto perché sia fondamentale conoscerla, quanto per rendere giustizia a una ville eccessivamente sottovalutata.

Vermilion si apre a tutti gli effetti dal fianco di una collina che ospita vari palazzi impiegati per lo più come luoghi di villeggiatura in tempo di ferie. Da essa si discende un breve declivio sovente attraversato da biciclette e si incontra l'unica vera strada che transita per il borgo: a questa è affidato il ruolo di collegare il serpentino Route 6 all'alberato Route 11 in via diretta, fungendo quindi da sentiero tracciato per chiunque non voglia trattenersi. Oltrepassatala si può quindi accedere all'anima del luogo: come usano chiamarlo i locali, il budello.

Quest'ultimo è caratterizzato da lunghe vie trasversali che si diramano lungo la sezione longitudinale per tutta Vermilion. L'estensione latitudinale è invece assai ridotta, il che porta a un vasto numero di vicoli ciechi che terminano solitamente in isolate abitazioni strette tra alte mura in pietra. In estate le strade sono affollate da vacanzieri e i negozi che ivi si trovano rimangono aperti per tutta la giornata; in particolare nella fase iniziale della mattina, ovvero quando ancora i più non si sono recati in spiaggia, l'intero borghetto si profuma delle più svariate fragranze, dalla focaccia finanche al pesce fritto.

La terza fascia, verosimilmente la più nota, è costituita dagli stabilimenti balneari che rendono la città una delle mete più popolari in periodo d'alta stagione. È superfluo descrivere ulteriormente qualcosa che già si conosce, pertanto eviterò di farlo: tuttavia può essere utile evidenziare un punto di Vermilion City in quanto proprio da lì partiremo. Parlo ovviamente del porto, che si configura come una serie di ponti lignei cui attraccano motoscafi grandi e piccoli, riposando in attesa di essere nuovamente richiamati all'attività. Chi si appoggia al muretto che delimita l'ambiente può talvolta assistere al dialogo di qualche marinaio che magari di sera, prima di coricarsi nella propria imbarcazione, si intrattiene con il suo compagno di viaggio alla luce di una lampada. Normalmente la zona è abbastanza solitaria, offrendo spazio per tranquille passeggiate con il sottofondo delle onde che si frangono sugli scafi; ma, come il lettore può immaginare, non è questo il caso.

Vi è infatti un periodo dell'anno in cui l'ambiente si gremisce di gente che attende un particolare evento. Si tratta di una delle rare occasioni in cui l'uomo sembra mostrare ancora parte di quella fanciullezza che si perde crescendo: quell'orda indistinguibile di persone si accalca nei pressi del medesimo luogo d'interesse non perché possa in qualsivoglia modo trarne giovamento o guadagno, bensì per pura curiosità e meraviglia verso qualcosa che poche volte è osservabile. Ciò di cui parlo è, ovviamente, la partenza della S.S. Anne.


Il porto di Vermilion era in subbuglio e rimanevano oramai pochi minuti di stupore assoluto prima che la nave abbandonasse gli ormeggi per avviare un nuovo viaggio, recandosi in terre esotiche che solo i passeggeri avrebbero conosciuto appieno. La tradizionale calca che colma la porzione portuaria della città era più che mai presente per salutare i propri parenti o solo per ammirare la scena. Alcune persone, però, sono diverse: non tutte amano amalgamarsi alla folla, per quanto lo spettacolo possa essere grandioso. E forse non è un caso che proprio una di queste sia il punto di partenza di quanto mi accingo a narrare.

Si trattava di un giovane venticinquenne che, appartato al limitare del muretto che delimita la zona degli ancoraggi separandola dal resto della città, osservava la passerella dell'Anne. Sopra questa, prossima a essere ritratta per consentire la definitiva partenza della crociera, stava camminando con aria soddisfatta un ragazzino di all'incirca dieci anni che stringeva in mano un lucente disco.

Sapeva bene chi era, si ritrovò a pensare l'uomo. Poi, alzando il capo in direzione del ponte principale della nave, assunse un aspetto più sorpreso: i suoi occhi avevano incrociato quelli di un suo possibile coetaneo, forse appena più anziano, il cui sguardo aveva seguito il suo stesso percorso dall'allenatore in su. Il giovane sembrava riconoscerne l'abbigliamento, quel cappotto consunto in pelle di cammello, ma soprattutto quell'aria insieme trasandata ed elegante, quasi essa fosse stipata in qualche anfratto del suo subconscio. L'aveva forse già incontrato?


~


Lance era sempre colpito a ogni visita dall'aura di tranquillità che caratterizzava quella città, se si eccettuava il giubileo in occasione del passaggio della S.S. Anne. Era quasi mezzogiorno e il sole batteva impietoso sul terreno facendo brillare la distesa oceanica di mille scintille accecanti. Si trovava sulla già nominata collina, appoggiato a una balaustra che gli impediva di precipitare sulla strada maestra: da quella posizione privilegiata poteva osservare agevolmente tutta Vermilion City. Il budello, tanto vivo e popoloso visto dall'interno, da lì pareva non più di una massa di stabili, ed era impossibile scorgere persone attraverso essi. Ciò, unito ad alcuni edifici diroccati che emergevano dal gruppo informe, dava al borgo una parvenza disabitata. Lance trovava curioso il fatto che ciò che da vicino era tanto movimentato appena allontanatisi tornasse a non significare più niente. Una metafora del mondo in rapporto alla vastità dell'universo, in effetti.

« Bello il mare, vero? ».

Il giovane si voltò con un lieve sobbalzo e notò una figura che, mentre lui era rimasto assorto in estatica contemplazione, gli si era affiancata. Lance squadrò l'uomo: era alto all'incirca come lui, indossava una camicia a maniche corte, nella mano sinistra reggeva una logora ventiquattr'ore e portava sottobraccio un cappotto marrone. Non comprese quest'ultimo particolare, poiché il caldo rendeva totalmente inutile un indumento di tal genere; non vi dedicò comunque molta riflessione, in quanto la minima differenza d'età l'aveva indotto a pensare che conoscesse già quella persona, conducendolo a tentare di identificarla. Perché uno sconosciuto avrebbe dovuto conversare con lui, d'altronde?

« Chissà dove finisce, quale costa lo delimita dall'altro lato ».

« Oh, non saprei » Lance decise che, non potendo riconoscerlo, avrebbe semplicemente potuto pilotare la discussione verso un punto morto per poi trovare una scusa per dileguarsi – per ragioni ignote la sua presenza lo metteva a disagio « Stavo guardando la città. Non sono mai stato uno che si perde nel mare, è un po' troppo ovvio ».

« Oh, neanche io » il suo interlocutore si era voltato verso di lui, costringendolo a mantenere il contatto visivo. I suoi occhi avevano un che di magnetico « Però questo è particolarmente bello. Il sole poi fa il suo, dà un'atmosfera molto estiva. Da dove vengo io non è così frequente ».

Una leggera brezza aveva iniziato a spirare sulla collinetta, scompigliando appena i capelli di Lance « Da dove vieni? ». Non aveva mai amato usare la seconda persona singolare nei discorsi, neanche nei confronti di coetanei, ma quella volta gli fu del tutto naturale.

« Celadon City ».

« Oh, bella città ».

« Oh, bella frase di circostanza ».

Lance provò un misto tra lo smascherato e l'indignato. Avrebbe voluto attaccare quell'uomo che si era permesso di dire che era solo uno dei tanti che parlano per luoghi comuni, ma sentì che non era il caso e decise invece di porla su un piano più amichevole « Perché credi che sia di circostanza? Magari lo penso davvero ».

Il suo interlocutore sorrise e si appoggiò con il braccio sinistro alla balaustra in acciaio. « Prima di tutto perché nella tua risposta non l'hai negato » il senso di essere stato colto con le mani nel sacco aumentò nel giovane « E in secondo luogo, uno tanto profondo da soffermarsi su un borghetto quando ha di fronte uno spettacolo ben più facile da ammirare non può davvero pensare che una metropoli sia una bella città ».

Questa risposta aveva lavato via ogni traccia di astio nell'animo di Lance. Non per il fatto che si fosse sentito adulato: viste le sue magistrali abilità di allenatore era abituato ai complimenti e aveva imparato con il passar del tempo a non montarsi la testa; invece, era più perché in quei pochi attimi in cui avevano parlato quell'uomo sembrava aver compreso più di lui di quanto avevano fatto altri che aveva conosciuto per anni. Rise « Touché ».

« Come ti chiami? ».

« Lance » allungò la mano in cerca di una stretta « Tu? ».

« James » questi di rimando accettò il gesto « Cosa fai nella vita? ».

« Sono un allenatore » il suo tono risentiva di una punta d'orgoglio « Tu invece? ».

« Viaggio ».

« Nel senso… sei un allenatore anche tu? ».

« No, no, non ho pokémon. Sono un semplice viaggiatore. Attraverso le regioni per scoprire nuovi luoghi ».

Lance era sorpreso: non aveva mai pensato al viaggio come unica ragione di vita « E basta? ».

« E basta ».

L'allenatore, sorpreso, distolse lo sguardo e lo puntò sotto di lui, nei confronti della via costantemente battuta « E dove vuoi arrivare? ».

James per tutta risposta si addossò al parapetto osservando l'oceano « Secondo te il mare dove vuole arrivare? ».

Non vi fu alcuna esitazione nella replica « Da nessuna parte. È statico ».

L'altro esibì un sorriso e assaporò la frescura che inusualmente soffiava « Certamente. È ovunque e in nessun posto ». Diresse gli occhi anche lui laddove Lance stava guardando, sulla strada gremita di gente, con la letizia che lentamente svaniva dal volto « Io voglio essere come il mare. Voglio essere stato ovunque. In questo modo ogni posto sarà casa mia ».

L'allenatore non sapeva come rispondere. Rimase fermo per un minuto o forse più, studiando silenziosamente quell'enigmatica figura che si trovava a un passo da lui.

« Beh, Lance, ti devo salutare » James si staccò dalla ringhiera e si incamminò scendendo la china cementata con andatura elegante. Dopo una breve distanza si girò e soggiunse « Chissà che il destino non ci faccia incontrare di nuovo, nei nostri viaggi ». Poi riprese il tragitto con calma fino a svanire oltre una curva nella strada. Lance rimase a osservarne persino l'ombra, finché anch'essa non divenne troppo sbiadita per essere individuata.


~


La folla esplose in un boato liberatorio. Mentre le eliche della S.S. Anne si avviavano permettendo al transatlantico di cominciare la traversata oceanica volavano saluti da ogni parte all'indirizzo di parenti, amici o coniugi, nell'ultima possibilità di portarli. Di rimando anche i passeggeri sparsi sul ponte principale della crociera gridavano indistintamente, come se ognuno di essi fosse in grado di riconoscere il proprio corrispondente in mezzo a quella calca indomabile. Lance non poté evitare di alzare la mano, sperando che quell'uomo, se davvero era a bordo, lo notasse. Ripensò ancora una volta a quell'incontro, alla brezza che spirava e al mare cristallino, cercando di rivivere nella mente una volta di più il dialogo. Era trascorso ormai un lustro, eppure ricordava ancora tutto distintamente malgrado non si fosse trattato, almeno sul momento, di qualcosa di memorabile. In quali modi misteriosi opera la mente umana.

Già, un lustro. Rammentò nuovamente l'afa che aveva sopportato per tutto quel fatidico giorno. Quante cose erano cambiate da allora, quante ne aveva vissute. Era riuscito frattanto nell'impresa di assumere il ruolo di Campione della Lega Pokémon, divenendo garante della sicurezza di Kanto. Pochi potevano immaginare a quanti compiti avesse dovuto far fronte con coraggio, visto che ben pochi di essi erano passati davvero alla ribalta. Certo, aveva le sue ragioni di orgoglio, imprese che avevano consolidato l'imporsi della sua nomea. L'incidente di Pallet Town, per esempio; ma anche lì, pochi conoscevano la storia nella sua interezza. Forse nessuno.

Lance osservò l'Anne che falciava l'acqua ormai notevolmente distante dal porto di Vermilion e la frotta di persone che andava disperdendosi risalendo la città in direzione della strada maestra, dove poi si sarebbe divisa nei due percorsi che ripartivano verso Kanto. Scorse la passerella vista poco prima mentre veniva ritratta e riposta per un altro anno, e rimembrò il ragazzo che l'aveva attraversata con decisione, il suo vestito rosso ben impresso nella mente.

Non aveva avuto modo di conoscerlo adeguatamente, un anno prima, ma avrebbe voluto.


~


Per quanto un giovane atleta possa rendere prestazioni migliori di uno più datato, avrà necessariamente meno esperienza di quest'ultimo, e ciò gli impedirà salvo rari casi di brillare davvero e diventare il migliore del mondo nel suo campo. Allo stesso modo il presente è usualmente superiore al passato, a prescindere da ciò che i nostalgici possono propugnare; tuttavia non è da depennare che quanto è abbia molto da imparare da quanto fu. E il passato di Kanto ha tanto da insegnarci: compiamo dunque un viaggio in questa regione, tornando a un anno e un mese prima che la S.S. Anne salpasse per il suo grande, ultimo viaggio nell'infinità, un anno e un mese prima che Lance si appoggiasse a quel muretto nei pressi del porto, un anno e un mese prima che il giovane Red ottenesse la sua MN. Quando ancora tutto quello che conosciamo non era nient'altro che un'eventualità.

Era il tempo delle grandi invenzioni, dell'ammodernamento di Kanto che finalmente diventava regione avanzata a tutti gli effetti. Al centro di questo turbinio di scoperte vi era, sorprendentemente, un luogo che solo diciotto mesi dopo sarebbe stato completamente abbandonato: la Pokémon Mansion. Essa, in futuro ridotta a poco più di un antro per creature, era in quel periodo una sorta di grande laboratorio cui faceva capo il signor Fuji, momentaneamente fuori sede per una ricerca nell'altrettanto fremente Hoenn. Proprio lì venivano generati, cosa straordinaria allora, i primi pokémon frutto soltanto dell'ingegno umano, ossia Porygon e Voltorb. Era l'apice della conoscenza dell'uomo, che si era ritrovato in grado di creare effettivamente la vita, ed era solo questione di tempo prima che un potere ancora più grande venisse scatenato e portasse al deterioramento della ricerca. Simili considerazioni erano tuttavia solo vaneggiamenti: il team di scienziati che occupava quel palazzo delle meraviglie si sentiva onnipotente e forse per certi versi lo era davvero. L'aspetto tecnologico ovviamente non si esauriva in un fazzoletto di terra quale Cinnabar Island: un valido esempio era la Power Plant, all'epoca più che attiva pur essendo destinata a un periodo di sosta che sarebbe perdurato ben due anni.

Ma Kanto non era solo raziocinio e freddezza di calcolo: era anche leggende e miti, e molti appassionati viaggiavano verso quella che era indubbiamente la principessa delle regioni per scoprirne i misteri perduti. Vi furono anche profonde modifiche nell'assetto generale della Lega Pokémon: il Fighting Dojo, per anni Palestra ufficiale di Saffron City, era stato destituito a seguito dell'ascesa di Sabrina, e lo stesso ente massimo era stato sovvertito dalla Grande Unificazione in cui si era ammirato il trionfo di Lance, universalmente ritenuto uno dei più grandi allenatori ad aver mai preso in mano una Poké Ball al punto da sconfiggere Lorelei nel Torneo pur in netto svantaggio contro il tipo Ghiaccio – il lettore più assetato di conoscenza non si disperi, giacché questo fenomeno sarà approfondito a tempo debito.

Questa era la situazione di un maestoso microverso nel periodo del suo apice riconosciuto. D'altra parte solo in grandi ambientazioni possono svilupparsi grandi vicende.


Kanto ha diverse peculiarità che sarebbe opportuno notare qualora si voglia introdurla a qualcuno che ne ignora le qualità: ad esempio presenta uno dei climi più temperati osservabili globalmente. Tuttavia questi sono aspetti che raramente possono interessare a un pubblico di non specialisti del settore geografico, quale immagino il mio non sia. Mi preme molto maggiormente invece descrivere una cosa che è spesso sottovalutata e invece ha molto da offrire a un occhio attento: parlo delle fasi notturne.

Come detto, Kanto ha svariate particolarità: una di queste è senz'altro la varietà delle città, mai simili l'una all'altra e ognuna in grado di vivere ciascun momento del giorno a suo modo. Come si può intuire, ciò si applica anche dopo il vespro, quando queste differenze si notano ulteriormente a causa degli abitanti. Sono questi infatti a dettare il ritmo a ciascun villaggio o metropoli, e se nelle ore diurne tutti tendono a comportarsi nel medesimo modo, altrettanto non si può dire delle notturne. Chiedo in anticipo perdono se quanto mi accingo a raccontare annoierà i meno interessati; ma è mia personale convinzione che per comprendere appieno una storia sia prima necessario interiorizzarne il contesto.

La zona più orientale della regione ospita Lavender Town, uno dei luoghi più desolati quando cala il sole. Si potrebbe essere indotti a pensare che solo i più superstiziosi, i folli che credono in fantasticherie su spettri, si rifiutino di uscire; in realtà è un fenomeno diffuso in tutta la popolazione, che fin da giovane è improntata a quest'abitudine alquanto inusuale. D'altronde va detto che anche solo le macabre campane che a mezzanotte risuonano dall'alto della Pokémon Tower basterebbero a intimorire chiunque vagasse nei dintorni in quel momento. Spesso coloro che sono estranei all'ambiente pensano a tutto ciò come pura suggestione; eppure nessuno nell'arco della sua esistenza ha osato avventurarsi in quella torre da solo.

Scendendo a sud lungo il Silence Bridge, i cui fianchi sono lambiti dalle dolci onde marine, e svoltando a destra alla prima via che consente di allontanarsene, ci si imbatterà nuovamente in un luogo che già abbiamo incontrato, ossia Vermilion City. Il centro tuttavia muta notevolmente d'aspetto una volta che le tinte arancioni abbandonano il suo cielo per far posto all'oscurità. Due soli sono i posti in cui la vita è ancora osservabile: il primo è una piccola pineta locata al confine orientale del borgo, in cui luoghi d'intrattenimento rimangono aperti fino a tarda notte quotidianamente; il secondo è la piazza centrale, in cui durante il periodo estivo sono organizzati con ritmo saltuario alcuni spettacoli per intrattenere i vacanzieri che si attardano per le vie sfiorate dal mare. La rimanente parte di Vermilion, che incidentalmente è anche una buona frazione del totale, si assopisce come d'incanto in un sonno profondo: le luci si spengono, i lampioni illuminano le strade con la loro morbida colorazione, il budello si svuota e il percorso maestro cessa di essere battuto a ogni minuto.

La città situata immediatamente a nord, Saffron City, vive la notte in maniera diametralmente opposta. In quanto centro più popoloso di Kanto, Saffron non si smentisce nemmeno quando il carro solare si sposta sull'altro emisfero del globo rispetto alla sua posizione e continua imperterrita nel suo tradizionalmente alto tenore di vita. Un visitatore può recarsi ovunque al suo interno: fino a che non scoccherà l'una di notte non sarà possibile trovare un quartiere isolato in quell'immensa metropoli; le insegne al neon continuano senza remore a colorare le strade cittadine con tonalità innaturali eppure così affini tra loro, risultando in un complesso arcobaleno di colori che instancabile continua a brillare.

Nella mia esperienza di persistente viaggiatore mi sono più volte imbattuto in borghi di discutibile bellezza, magari molto amati da altri compagni d'avventura ma profondamente antipatici a me. Con il passare del tempo ho affrontato empiricamente quanto prima mi era totalmente inafferrabile, e sono riuscito nell'impresa di stabilire i criteri secondo i quali la mia mente opera. Il lettore potrebbe chiedersi perché dica ciò: la risposta sta nel fatto che proprio un agglomerato presente a Kanto è vittima di questo mio ragionamento, e l'agglomerato in questione è Celadon City.

Sebbene infatti a prima vista la serata lì possa apparire identica a come viene vissuta ad esempio a Saffron, vi è una sostanziale differenza: mentre nella seconda la frenesia notturna è stesa uniformemente su tutto il territorio, nella prima essa è circoscritta al solo centro; le vie che rimangono tagliate fuori dalla sezione tarantolata della città sono abbandonate a loro stesse, illuminate soltanto dalla fioca luce dei lampioni e lasciate alla mercé dei malviventi – non a caso proprio Celadon è ritenuta l'epicentro del fenomeno del Team Rocket.

Per concludere su una nota positiva, spostiamoci leggermente a sud-ovest per osservare l'ultimo villaggio, testimonianza della tipologia di vespro più comune nella pur vasta Kanto, quella in cui la popolazione si chiude nelle proprie case e la zona è rischiarata dalle lampade che questi accendono diventando quasi un borgo di lanterne: Pallet Town. Dubito che qualcuno non conosca quello che probabilmente è il più noto centro abitato dell'intera regione, e sono certo che molti riterranno che la mia digressione notturna si sia dilungata oltre quanto avrebbe dovuto; e, a ogni buon conto, avremo comunque modo di tornare sulle implicazioni di questa scelta di vita.

Proseguiamo quindi senza ulteriori indugi su quanto avvenne in una notte come tante in quel meraviglioso modello di universo che è il mondo pokémon, e su come da lì iniziò un'avventura che avrebbe influenzato il destino di molti.


Il ragazzo si destò e si mise a sedere sul letto; era notte fonda e non un solo rumore risuonava nell'aria, ma non era quello il problema principale. La diffusa tensione che provava era dovuta al fatto che non si trovava in casa sua: intorno a lui stava un'ampia stanza abitata da nessun altro, in netto contrasto con la sua usuale camera al limite del claustrofobico. Neanche il giaciglio era il suo: era un letto a due piazze locato in quello che pareva un soggiorno. Si alzò per arrischiarsi in un'esplorazione e subito un brivido percorse la sua schiena, causato come notò dal fatto che il pavimento era costituito da piastrelle in ceramica. Alla sua sinistra stava una portafinestra che oltre le tende si affacciava su un piccolo terrazzo. Il giovane aprì e uscì all'esterno, dove spirava una pungente brezza gelida. All'apparenza si trovava in una città marittima, come evidenziato dalla linea dell'orizzonte che fungeva da limite per un mare nero come le tenebre che avvolgevano quella notte. Di fronte a lui in linea d'aria si stendeva il fulcro del borgo: un coacervo di cadenti edifici di più altezze in apparenza disabitati.

Poi, senza preavviso, proprio mentre il ragazzino si stava avvicinando al ferreo parapetto che delimitava la sporgenza, un raggio di luce fece capolino dal centro del bordo oceanico. Con una rapidità che aveva dell'innaturale sorsero le prime avvisaglie del sole mattutino, tingendo di rosa il firmamento. E proprio in quel momento, volgendo lo sguardo alla sua destra, il giovane sobbalzò osservando lo spettacolo più inquietante della sua vita.

Sulla distesa marina avanzava nel più completo silenzio una mastodontica macchina volante metallica. In breve tempo, nonostante il passo lento, l'immensa struttura oltrepassò la sfera luminosa oscurando tutta la città, e a quel punto fecero la loro comparsa anche altri velivoli che la seguivano a ruota. Questi presentavano una caratteristica ulteriore: raggi color rosso fuoco situati sulla pancia dei mezzi – uno per ciascuno di essi – che roteavano come alla ricerca di qualcosa sul mare. La silenziosa marcia proseguiva imperterrita mentre nessuno della città sembrava essersi accorto di niente; solo l'alba imminente mutava con lentezza lo scenario di quella processione, illuminandolo grado dietro grado. D'improvviso uno dei fasci mutò il proprio percorso d'azione di pari passo con il velivolo che lo ospitava per dirigersi verso la città assopita. Il suo roteare terrorizzò il ragazzo che tuttavia non ebbe il minimo tempo di reazione per potersi nascondere: in un secondo o forse meno il raggio si era focalizzato su di lui, accecandolo completamente.

D'un tratto esso si spense e l'oscurità avvolse l'atmosfera. Il giovane percepiva ancora il proprio corpo, ma l'avanzata era completamente scomparsa. Si accesero a un certo punto due luci azzurre a poca distanza da lui, o così gli pareva, poiché non vi erano validi riferimenti di spazio o di tempo. La luminosità celeste si intensificò fino a che le sorgenti non divennero poco meno di una coppia di soli in sostituzione dell'originale. Un urlo di voce maschile squarciò il silenzio che fino ad allora aveva accompagnato l'evento.

« TRITAIOS! ».


« Tutto bene? ».

Il ragazzo si svegliò sul pavimento di camera sua « Come… Cosa… ».

« Ho sentito urlare ».

La luce accesa appena prima gli impediva di vedere chiaramente e fu necessario qualche secondo per realizzare l'accaduto « Ah… Sì, un incubo ».

« Capisco. Dai, torniamo a riposare entrambi ».

« Aspetta! È già il mio compleanno, Daisy? ».

« Non ancora, sono le undici e mezzo. Dai, torna a letto ».

« Va bene… Mi spegni la luce? ».

« Certo » sorrise lei « Buonanotte Blue ».

   
 
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